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Raindrops91

Autrice: Raindrops91, buona fortuna!


Perché io sono un finocchio, Viola. Tuo padre è un finocchio. E l'uomo di cui ti parlerò è l'unico che io abbia mai amato.

***

Ovunque andasse, aveva un'andatura rilassata, e ciuffi di riccioli mori che gli coprivano la fronte, in un modo che non smetteva mai di apparirmi scompigliato. Ti stregava con un'espressione da furbastro impenitente, con quei suoi occhi verdi, accesi dalle migliori speranze. E non era mai solo, stava sempre in compagnia di qualche personcina allegra quanto lui, che per un po' sembrava essere il centro di tutte le sue attenzioni, ma poi bastava che io gli mandassi un segnale della mia presenza per farlo voltare: un cenno dall'altro lato della strada. Un'occhiata che gli urlasse in silenzio: "Amore mio!" E sarebbe stato capace di lasciare chiunque con una scusa banale, che non si sforzava neppure di rendere migliore. Il mio Lorenzo era così. Era più giovane di me, ma di preciso non ho mai saputo quanti anni avesse. Venti... Venticinque... Non potrei dirlo con esattezza. E potrà sembrarti strano, Viola, che io fossi all'oscuro di un dettaglio tanto importante. Potrà sembrarti una delle mie solite stramberie. Il fatto è che quando si cerca l'amore di qualcuno, le prime ragioni che si trovano sono, quasi sempre, quelle per non amarlo; quelle per continuare a restare soli. Ed io e lui avevamo così tante ragioni a remarci contro, che aggiungervi una data di nascita, un'età che ci rammentasse la nostra reciproca inadeguatezza, ci sembrava puro masochismo. Volevamo salvarci, Viola; perciò non ho mai conosciuto il giorno del suo compleanno, nè lui il mio: perché lo scopo di una ricorrenza é chiudere la vita in un cerchio, in un anno. Celebrare quell'anno, in quel determinato giorno, e poi dimenticarsene. E noi non potevamo accontentarci di una simile limitazione. Non eravamo fatti per festeggiare un singolo anno di vita, o un solo momento. Eravamo ingordi, ne chiedevamo il più possibile. E celebravamo ogni istante d'amore pretendendone l'eternità.

Così quando mi chiese quanti anni avessi, io risposi: "Non lo so."

E lui dovette credere che stessi scherzando, che stessi cercando di insinuare fra noi un giochino malizioso, come fanno quelle coppie che passano il tempo a stuzzicarsi reciprocamente, e magari pensano che quella possa chiamarsi intesa. Ma io ho un'indole seria fino all'osso, Viola mia, e dico solo cose smaliziate. Lui mi sorrise sghembo senza mostrare i denti, adagiò il mento sulle nocche della mano, e le dita in quella posizione contrita parevano la testa di un cigno. Mormorò mellifluo: "Chiedimi quanti anni ho."

Ed io non esitai. "Quanti anni hai, Lorenzo?"

"Non ne ho la più pallida idea." E rise, mi rise in faccia. Rise sulla mia bocca e all'interno di essa, mentre la imbrigliava in un bacio che io cercavo di schivare, perché la sua barba pungeva. E si protese in avanti sul tavolino del bar, per immobilizzarmi la nuca, e farmi accogliere passivamente la morsa delle sue labbra avvolte in quel nido di spine. Poi si alzò in piedi, era il momento di andare via prima che i suoi fratelli si accorgessero che aveva mollato il lavoro per venire da me. Annodò il grembiule in vita, perché prima lo aveva appallottolato sul tavolino. Mi sorrise ancora dicendomi ciao. E alla fine sporse in fuori gli avambracci, come una ragazzina col vestito nuovo, e chiese: "Come sto?"

"Come un pescivendolo." 

Mi fece una linguaccia. Rispose che era sempre meglio che essere come un professorino avvizzito, seduto da solo a un bar. E quando lo vidi allontanarsi, mi parve che le tasche dei suoi jeans avessero acquisito la forma delle mie mani da quando avevo l'abitudine di infilarcele dentro, per avvicinare il suo corpo al mio. Perché ne avevo nostalgia persino quando mi era accanto. E perché, probabilmente, una parte di me già sapeva che dopo di lui non avrei avuto nostalgia di altri...
Ed ora mi ritrovo a pensare a come sarebbe stato se avessimo festeggiato il giorno del suo compleanno. Penso a un'atmosfera soffusa, fingendo di essere ad una serata di gala, su un palco scintillante, tutto per noi... Ci saremmo tenuti stretti, Lorenzo; ballando lentamente. E tu saresti stato bellissimo nel tuo smoking nero, che avresti indossato al posto del grembiule da sguattero, almeno per una sera. Ed io avrei cantato per te, sottovoce, ammaliandoti con un'oltraggiosa delicatezza che non avresti mai più dimenticato. Ma le cose vanno raramente come uno le vede quando sogna ad occhi aperti. Sfrego le palpebre con le dita, imponendoci sopra l'indice e il pollice, e la frustrazione mi assale, perché non so come scacciarti. Non so come sbarazzarmi del tuo cuore rimasto cucito al mio. Sto qui, seduto su questa poltrona di vimini che mi infilza il fondoschiena, e riesco solo a pensare alle nuove occasioni. Alla rinascita che questa vita ci ha negato e mi auguro che il presente possa liquefarsi sotto questa pioggia... Sì, in un'altra vita rifaremo tutto daccapo. E lo rifaremo meglio. Liberi dalla paura che possa finire. Ma nel frattempo, restami accanto. Fammi compagnia in questa sala d'attesa e dammi un alito del tuo respiro, qualunque cosa possa dirmi che ci sei.

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