Seconda prova: I Depositari (3)
Il suono delle campane interruppe il flusso di pensieri che vorticavano senza sosta nella sua mente. Non riusciva a dargli un ordine e dunque fu riconoscente quando udì i familiari cinque rintocchi che segnavano l'inizio dell'Assegnazione.
Cominciò ad avviarsi a grandi passi verso l'imponente cancello in ferro battuto, l'unica entrata per l'immensa piazzaforte quadrata in cui gli allievi erano chiamati a radunarsi per assistere alla cerimonia.
I ragazzi, fasciati nelle loro rigide divise nere, erano tutti sull'attenti, disposti in file ordinate intorno all'Altare della Proclamazione; mancava solo lui e, consapevole di questo, si affrettò a raggiungere il suo posto, sotto l'Altare, al fianco del seggio del Generale che, per sua immensa fortuna, non era ancora arrivato.
Uno squillo di trombe annunciò l'ingresso della Delegazione straniera nella piazzaforte, scortata dal Generale in persona.
Walerian fece un respiro profondo: forse quel giorno sarebbe toccato a lui, finalmente.
"Deve essere oggi, deve per forza ..." pensò il giovane, incrociando le dita.
L'Assegnazione era, per i ragazzi dell'Accademia, il raggiungimento della maturità, la consacrazione dell'impegno di una vita, ed era perciò attesa con trepidazione: il primo giorno del mese prescelto, diverso ogni anno, si decideva chi era diventato degno di servire il Paese e l'Alleanza.
Ogni ragazzo dai sedici anni in su pregava in cuor suo di essere chiamato dalla voce tonante del Nunzio, appena salito sull'Altare, e Walerian non era da meno.
Il Generale si accomodò sul suo seggio, consegnando a Walerian il suo mantello e a Marek, dal lato opposto, il suo scettro d'acciaio e dando l'ordine di riposo agli allievi.
I membri della Delegazione si disposero a semicerchio davanti all'Altare: le due ragazze abbassarono la testa velata di rosso in segno di rispetto, i quattro militari si misero sull'attenti, mentre la loro portavoce, il Generale Ariadna Vasilyeva, si fece avanti, abbassando il cappuccio pesante che le proteggeva il volto candido dal vento tagliente di quel giorno di febbraio e scuotendo la testa, per liberare i lunghi capelli biondi e lisci legati in una coda alta.
Il Nunzio, con il mantello bianco svolazzante sulle sue spalle, si schiarì la voce e proclamò:«Siamo quest'oggi riuniti per celebrare il rito dell'Assegnazione, in cui la migliore progenie dei nostri Paesi si unisce per rafforzare la nostra Alleanza.»
Il Generale Vasilyeva fece venire avanti le due ragazze e le accompagnò sull'Altare tenendole per mano, scendendo subito dopo.
Walerian ascoltava con il cuore febbricitante, mordendosi le labbra e serrando le dita sul mantello: non ce la faceva più ad aspettare.
Il Generale si alzò, recuperando il mantello dalle mani tremanti di Walerian per indossarlo e baciando poi la mano del Generale Vasilyeva, che fece una piccola riverenza; insieme salirono sull'Altare, pronti per annunciare gli Eletti, come venivano chiamati, e svelare i volti delle fanciulle.
"È il momento ... ti prego, fa' che sia io ..." continuava a ripetersi Walerian, strizzando gli occhi e incrociando le dita.
«Questo mese due di voi saranno assegnati a queste fanciulle per adempire al compito per il quale siete stati preparati fin dalla tenera età.» esordì il Generale con la consueta formula d'apertura.
Quella volta sarebbero stati Assegnati due allievi: la fiducia di Walerian nella sua vittoria era alle stelle.
"Dannazione, fai in fretta, fai in fretta ..." si ripeteva, agitato come non mai.
Il Nunzio si fece avanti, ricevendo dal Generale la busta con il primo nome.
«Woźniak Andrej!»
Un brivido attraversò la schiena di Walerian, facendogli drizzare il collo e spalancare gli occhi.
"Ti prego, ti prego, ti prego ..." implorò: il prossimo nome sarebbe stato la sua unica speranza.
Guardò Andrej, un sedicenne spilungone con il viso spigoloso e i capelli biondo cenere, attraversare di corsa la piazzaforte per raggiungere l'Altare, visibilmente emozionato. Salutò i Generali con il saluto militare e fece un inchino alla ragazza, ancora con il volto coperto, quindi le prese la mano e la Vasilyeva le tolse il velo, rivelandone i lunghi capelli color rame ed il viso splendido, con le guance rosee e gli occhi azzurri come ghiaccio.
«Woźniak Andrej!» disse di nuovo il Nunzio a gran voce, «Sei Assegnato a questa giovane, Pavlova Anastasiya: la vostra unione è simbolo di rinnovamento della nostra Alleanza!» annunciò, legando con il velo rosso di Anastasiya le mani dei due giovani per rappresentare la loro unione.
I due ragazzi avanzarono sull'Altare per farsi vedere da tutti e alzarono vittoriosamente le due mani legate al cielo, accompagnati da uno scroscio di applausi.
Walerian non riusciva a stare fermo, quelle cerimonie lo stavano irritando: doveva sapere chi era il prossimo, doveva sapere se era lui il prossimo; aveva ventiquattro anni e non si spiegava il perché fosse ancora in Accademia, mentre ragazzini come quell'Andrej venivano Assegnati prima di lui.
La coppia si spostò da un lato dell'Altare, per permettere all'altra ragazza di venire avanti.
La tensione nell'aria era palpabile, i ragazzi dell'età giusta presenti in quella piazzaforte stavano pregando gli dei per essere chiamati, ognuno a scapito del proprio compagno, foss'anche stato il loro migliore amico.
Il Generale, guardando il foglietto con il nome del prossimo Eletto, non riuscì a trattenere un sospiro rassegnato e la Vasilyeva gli mise una mano sulla spalla, per fargli coraggio.
«Piotrowski Walerian!»
Walerian spalancò gli occhi e rilassò le dita delle mani, rimanendo immobile per qualche secondo per poter metabolizzare la notizia grandiosa.
Gli sembrò che tutto intorno a lui fosse sparito, lasciandolo solo nel nulla e nel silenzio: ogni sua preoccupazione pareva svanita, la mente si era svuotata e l'unica cosa che lo teneva ancora legato al mondo reale era l'eco del suo nome chiamato dal Nunzio.
Si ritrovò sull'Altare senza essersene accorto: il suo corpo aveva reagito perfettamente senza l'ausilio della sua mente, scossa dal raggiungimento dell'obiettivo tanto agognato.
Salutò i Generali con il saluto consueto, ma l'espressione del Generale gli sembrò strana: non sembrava orgoglioso, o contento, come lo era sempre stato per tutti, ma preoccupato e riluttante a lasciarlo andare; pur non avendo una grande espressività facciale, il Generale era facile da leggere quando lo si aveva di fronte, i suoi occhi grigi e stanchi erano libri aperti, dovuto probabilmente all'età.
Ignorò quello sguardo, promettendosi di ripensarci dopo, e si girò verso la ragazza, inchinandosi e prendendole la mano destra, piccola e bianca, curioso di vedere il suo bel viso.
La Vasilyeva le tolse il velo, svelando a Walerian l'identità della sua compagna: lunghi boccoli d'oro incorniciavano un viso di porcellana, candido e perfetto, al quale il rosa delle guance scaldava il colore altrimenti freddo come di neve, tra la quale erano entrambi cresciuti; gli occhi verdi, ornati da lunghe ciglia bianche, erano timidi nel mostrarsi al ragazzo, che li cercava curioso e affascinato; la bocca, piccola e rossa, sorrideva dolcemente.
Walerian era senza fiato.
«Piotrowski Walerian! Sei Assegnato a questa giovane, Kuznetsova Tsetsiliya: la vostra unione è simbolo di rinnovamento della nostra Alleanza!» proclamò il Nunzio, legando le loro mani con il velo della giovane.
La coppia avanzò quindi per mostrarsi all'Accademia: intrecciando le dita delle loro mani legate insieme, alzarono trionfanti le mani al cielo, accolti dagli applausi.
Andrej e Anastasiya si avvicinarono a loro e si strinsero vicendevolmente le mani, ulteriore simbolo quello del rafforzamento dell'Alleanza.
«Siamo orgogliosi di questi giovani, che oggi sono diventati degni di servire l'Alleanza con le loro vite! Gloria a voi, Eletti!» concluse il Generale con la formula di chiusura rituale.
«Gloria a voi!» risposero gli allievi nella piazzaforte, alzando le spade, parte della divisa da cerimonia, al cielo; le lame scintillarono sotto un timido raggio di sole che pareva benedire gli Eletti di quel giorno.
Gli allievi vennero mandati via, lasciando nella piazzaforte i Generali, le due coppie e i quattro militari della Delegazione.
Il Generale parlò con i suoi due allievi, esprimendo in poche parole il suo orgoglio per il raggiungimento del loro traguardo e stringendo poi loro la mano.
Walerian intravide ancora in lui quella vena di preoccupazione che gli aveva visto negli occhi poco prima, durante la cerimonia, e non riuscì a dargli una spiegazione: che ci fosse qualche problema?
"Qualche problema con me?" pensò il ragazzo, mentre stringeva la mano del Generale, che mascherava i suoi pensieri dietro un sorriso accennato di circostanza.
Il Generale l'aveva sempre guardato diversamente, fin dal primo giorno in cui era entrato in Accademia, ma non gli aveva mai detto nulla o fatto qualcosa: lo trattava come tutti, ma lo guardava in modo strano.
I Generali si allontanarono, dopo aver spiegato ai giovani che tutti i loro effetti personali erano già pronti sulla jeep che li avrebbe portati al Confine, alla Casa dell'Alleanza, e che potevano avviarsi.
Con le mani ancora legate dal velo rosso, le due coppie si incamminarono, scortate dai militari con i fucili in braccio.
Walerian buttò uno sguardo indietro, per vedere un'ultima volta il Generale, e lo trovò a confabulare con il Generale Vasilyeva in modo piuttosto concitato: la donna però se ne accorse e, dette due parole all'orecchio del Generale, si incamminò con lui in silenzio verso l'Accademia.
Il ragazzo si voltò verso il cancello di ferro battuto, opposto a quello d'ingresso, e lo guardò spalancarsi lentamente, senza un rumore; la neve iniziò a cadere sopra di loro, come riso lanciato agli sposi, accompagnandoli silenziosa fino all'uscita dell'Accademia, che i ragazzi non avrebbero più rivisto.
Tsetsiliya gli strinse la mano più forte, mentre si avvicinavano alla jeep che li avrebbe condotti alla Casa. A Walerian sembrò che la sua compagna stesse tremando, ma non per il freddo; si voltò verso di lei, rivolgendole uno sguardo rassicurante e ricambiando la stretta, provocandole un sorriso sincero sulle labbra rosse.
Si accomodarono tutti e quattro nella jeep, i veli rossi che li tenevano uniti per impedir loro di allontanarsi: avrebbero potuto toglierli una volta arrivati a destinazione, ma durante il viaggio non dovevano per nessuna ragione, poiché le strade verso il Confine potevano essere pericolose e loro dovevano arrivare laggiù tutti vivi.
Il viaggio procedeva tranquillo, tra sobbalzi e frenate dovute alle condizioni non esattamente favorevoli delle strade di montagna innevate; Andrej era riuscito ad appisolarsi e Anastasiya lo vegliava, accarezzandogli di tanto in tanto i capelli corti, mentre Walerian e Tsetsiliya, sempre mano nella mano, non si guardavano, ma fissavano la strada davanti a loro.
Erano partiti solo da quattro ore e già speravano di essere arrivati, anche se il viaggio sarebbe durato almeno altri due giorni.
«Non dovevamo lasciarlo andare, Ariadna. Non dovevamo Assegnarlo e soprattutto non alla Kuznetsova, che è nella sua stessa situazione.» disse il Generale, camminando nervosamente su e giù per il suo piccolo e spoglio ufficio, austero come lui.
«Dariusz, adesso calmati. Andrà tutto bene. Nessuno li scoprirà, nessuno sa della loro esistenza. E Tsetsiliya è molto capace, non avranno alcun problema.» lo rassicurò il Generale Vasilyeva, comodamente seduta sulla sedia del Generale con le gambe accavallate e le braccia incrociate al petto.
«Non potevamo Assegnarlo a nessun'altra delle mie allieve: nessuna di loro sarebbe stata in grado di proteggerlo ... e di tenerlo a bada, se fosse servito. E poi, se non lo avessimo Assegnato, si sarebbe fatto troppe domande e avrebbe preteso spiegazioni che non avresti saputo dargli. Ha ventiquattro anni, non avresti più potuto tacere.» concluse la Vasilyeva.
Il Generale si fermò in mezzo alla stanza, fissando spaesato la donna sedutagli davanti, che, al contrario di lui, sembrava molto tranquilla.
«Dici che abbiamo fatto bene? Voglio dire, quei due sono una bomba pronta ad esplodere.» chiese l'uomo, prendendo un sigaro dal taschino della divisa e mettendoselo in bocca per poi accenderlo.
«È stata la scelta migliore. Fidati di me.» rispose il Generale Vasilyeva, alzandosi dalla sedia e recuperando il cappotto appeso vicino alla porta. Lanciato uno sguardo al Generale non del tutto convinto della buona riuscita del piano, uscì.
Era scesa la notte nella foresta che stavano attraversando a bordo della jeep: la luna brillava pallida nel cielo nero, qualche nuvola passeggera di tanto in tanto la copriva, riducendone la luminosità per qualche istante; tra gli alberi regnava il silenzio, interrotto solo dal rumore del loro motore e dal verso di qualche gufo solitario nascosto tra le fronde coperte di neve.
Andrej e Anastasiya parlavano a bassa voce, raccontandosi degli anni passati nelle rispettive Accademie e ridendo di qualche buffo episodio, stando attenti a non fare movimenti troppo ampi e bruschi con il braccio legato per non farsi involontariamente del male; Tsetsiliya dormiva con la testa appoggiata sulla spalla robusta di Walerian, che invece guardava fuori dal finestrino, cercando di distinguere un'ombra da un'altra.
I militari decisero di fermarsi a riposare in un angolo protetto del bosco, nei pressi di una caverna che loro sapevano disabitata a seguito di numerosi controlli sul territorio.
«Tsetsiliya, svegliati.» bisbigliò Walerian, toccandole una spalla: erano le prime parole che le rivolgeva dalla cerimonia.
La ragazza aprì piano gli occhi, sbattendo più volte le palpebre, e gli chiese perché l'avesse svegliata.
«Nel mezzo di un bel sogno, per di più.» aggiunse con la voce un po' impastata dal sonno bruscamente interrotto.
Walerian non fece caso alla precisazione, non subito almeno, concentrandosi invece sulla voce di Tsetsiliya, dolce come il suono di un flauto.
«Ci fermiamo per la notte. Se scendi, puoi metterti più comoda.» rispose lui, porgendole l'altra mano, che lei strinse senza esitazione, per aiutarla a scendere.
«Grazie.» disse lei sorridendogli, mentre scendeva cercando di non inciampare nel vestito rosso da cerimonia.
Due militari restarono nella jeep, mentre gli altri due scesero e sistemarono il tutto: tirarono fuori i sacchi a pelo, disponendoli intorno ad un fuoco precedentemente acceso all'interno della grotta, e si misero di guardia all'ingresso; i ragazzi, dopo aver mangiato, si infilarono nei sacchi a pelo, scivolando presto in un sonno profondo.
Walerian però non riusciva a dormire: i tempestosi pensieri da cui era scampato quella mattina erano tornati prepotenti a disturbarlo, turbinando incessanti in un vortice senza ritorno dentro la sua mente, annegata nel loro caos infernale.
Immagini di tempi antichi, di tempeste di fulmini, di riti sanguinari ai piedi delle querce, di messi distrutte dal fuoco delle guerre e dal cattivo tempo lo perseguitavano da giorni: sembravano ricordi di vite passate, ma come poteva averle vissute? La maggior parte risaliva alle prime civiltà stanziali della sua terra, che avevano ormai imparato l'arte del coltivare la terra ed avevano costruito piccoli villaggi pacifici, altre ai popoli di pochi secoli prima: come poteva aver vissuto la loro vita?
Ma non era la loro vita che viveva, si accorse osservando attentamente con l'occhio della mente quelle immagini confuse: vedeva sempre dall'alto, come se volasse tra le nuvole, vegliando su quelle persone che imploravano la protezione del cielo.
Chiuse gli occhi, provando a cancellare quelle immagini senza senso per poter finalmente dormire, e si girò verso la sua compagna, già ritornata nel mondo dorato dei sogni. Strinse la sua mano destra, a cui era legato dal nastro, e la carezzò delicatamente con la punta delle dita, disegnando tanti piccoli cerchi sul suo dorso liscio.
Tsetsiliya l'aveva conquistato all'istante, ma non era stata la bellezza, caratteristica comune a tutti i membri di entrambe le Accademie, quanto il mistero dei suoi occhi color foresta, sempre parzialmente nascosti dalle lunghe ciglia candide: sembrava volesse nascondergli qualcosa di importante.
Per un momento, quando era stata svelata durante l'Assegnazione, gli era parso di vedere in quegli occhi una conoscenza infinita, una potenza celata e mostruosa ed una grande giustizia, caratteristiche che gli avevano fatto tremare l'anima fin nel profondo.
Nel suo cuore sentì nascere qualcosa che non seppe definire, non avendolo mai provato prima: una specie di calore gli conquistò il petto, per poi espandersi in tutto il corpo, riscaldandolo più di quanto non facessero già il fuoco e la sua divisa spessa.
"È preferibile che non amiate la donna a cui siete Assegnati: renderà più facile la separazione durante i periodi di servizio nell'esercito."
Le parole del suo insegnante gli risuonarono crudeli nelle orecchie, dandogli la definizione che cercava per quel calore e ricordandogli anche la parte disgustosa dell'Assegnazione, alla quale si cercava di pensare il meno possibile, quelli più sensibili, almeno. La sola idea di doverlo fare con Tsetsiliya gli rivoltò lo stomaco, causandogli un principio di conato di vomito.
"Non posso saltare quella parte e andare direttamente nell'esercito? È davvero necessario?" pensò, aprendo gli occhi e accertandosi che la ragazza stesse dormendo. Le accarezzò una guancia con la mano libera, scostandole qualche capello dal viso, pensando a quanto lei, così come Anastasiya, che dormiva profondamente con la schiena contro la sua, e tutte le altre ragazze della loro Accademia non meritassero quel trattamento: davano loro una parvenza di autorità perché i ragazzi venivano Assegnati a loro, come fossero stati bimbi indifesi da proteggere, quando in realtà quei ragazzi a loro affidati le avrebbero costrette a rimanere chiuse nella Casa dell'Alleanza per un anno della loro vita, votata come la loro alla difesa del Paese, solo per permettere alle due Accademie di ottenere la "migliore progenie" per proseguire nell'opera di difesa dei due Paesi.
Un gioco perverso, così l'aveva sempre definito Walerian, ma lui stesso ne era figlio e non aveva altra via per raggiungere l'esercito se non quella: quelli come lui erano stati richiesti e progettati dai Ministri della Difesa dei due Paesi dopo aver realizzato l'Alleanza; erano stati loro a dare il via ufficiale al programma.
La verità non gli era mai stata nascosta, dovevano essere coscienti di essere nati come strumenti dell'Alleanza.
Walerian in quel momento di accorse di non volerlo più fare.
I loro nomi non erano comunicati all'esercito se non al momento del loro arrivo e venivano verificati con l'opportuno documento d'identità, autenticato dal timbro dell'Accademia di provenienza, perciò gli sarebbe bastato abbandonare lì il documento ufficiale e farne un'altro normale, presentandosi al reclutamento con quello.
Un piano perfetto, tranne per il fatto che lo avrebbero cercato in lungo e in largo una volta saputo della sua scomparsa e che avrebbe dovuto abbandonare Tsetsiliya in balia di un'altra Assegnazione ... anche se non ne era del tutto sicuro, siccome non c'erano mai stati casi come il suo.
Valeva la pena di tentare.
Facendo attenzione a non fare movimenti strani, Walerian sciolse il nastro, tenendo sempre gli occhi sulla sua compagna. Quando ebbe finito, si liberò del sacco a pelo e si alzò lentamente, guardandosi intorno per essere certo di non aver destato l'attenzione dei militari di guardia all'ingresso.
"Accidenti, mi ero dimenticato di loro!" pensò, trattenendosi dal darsi una pacca sulla fronte, ma si alzò lo stesso in piedi e camminò furtivamente verso l'ingresso, dove trovò un militare addormentato a terra e l'altro di ronda che camminava avanti e indietro.
Rimase attaccato al muro e raccolse un po' di sassi da terra, aspettando il momento giusto: appena il militare fu nella posizione ideale, Walerian lanciò un sasso tra gli alberi, attirando in quel punto l'attenzione della guardia, che però si limitò solo a sporgere la testa in quella direzione. Il ragazzo lanciò quindi un altro sasso e un altro ancora, finchè l'uomo non si spostò da lì per controllare da vicino: a quel punto Walerian fece uno scatto fulmineo fuori dalla grotta, camminando quasi a gattoni per non farsi vedere dal soldato di guardia nella jeep.
Una volta superato il mezzo, si tuffò tra gli alberi, libero di raggiungere la sua meta.
Non aveva viveri, altri vestiti o altre armi oltre alla pistola nella fondina appesa alla cintura, ma se la sarebbe cavata: li avevano addestrati anche per quello, dopotutto.
Tsetsiliya si svegliò di soprassalto, spaventata, e ansimando si guardò intorno alla ricerca di Walerian, in preda all'angoscia.
"Idiota ..." pensò poi arrabbiata per il suo gesto.
«Non credere di potermi sfuggire così, sai ...» mormorò, alzandosi e correndo fuori dalla grotta, dove venne fermata dalla guardia di prima.
«Dove pensi di andare, tu?» chiese duro, afferrandola per un braccio e facendo per portarla dentro.
«Il mio Assegnato, Piotrowski ... è scappato. Stavo andando a prenderlo.» rispose lei, liberandosi della sua stretta vigorosa e massaggiandosi il braccio.
«Lasci fare a me, signorina Kuznetsova.»
«No! È sotto la mia responsabilità, me ne devo occupare personalmente.» esclamò lei con tono autoritario. Il militare cercò di replicare, ma lei lo interruppe dicendo:«Ordini del Generale.», fissandolo negli occhi con uno sguardo quasi rabbioso.
L'uomo la lasciò andare e lei si fiondò tra gli alberi alla ricerca del suo compagno.
Fin dal primo momento, tra i due si era stabilita una sorta di connessione mentale, della quale si rese conto solo in quel momento: riusciva a "sentirlo", non sapeva neanche lei come; era come se stesse seguendo la sua aura o qualcosa del genere.
Non le ci volle molto per trovarlo.
Arrivatogli alle spalle, gli saltò addosso, buttandolo a terra, e lui rispose spingendola via e puntandole la pistola contro.
«Tsetsiliya? Che diavolo ci fai qui?» domandò sorpreso, tirandosi su e spolverandosi i vestiti dalla terra e dalla neve.
«To' guarda, mi hai tolto le parole di bocca, Walerian.» rispose lei senza fare una piega, saltandogli nuovamente addosso e bloccandolo a terra, puntandogli poi la pistola in fronte. Lui deglutì rumorosamente, preso alla provvista e un po' spaventato.
«Adesso tu torni con me alla grotta, ti rimetti nel sacco a pelo a dormire e non ti azzardi a muoverti da lì, chiaro?» ordinò lei, scandendo bene le parole e mostrando i denti, come un cane pronto a mordere.
«Solo perché mi hanno Assegnato a te non vuol dire che tu mi possa comandare a bacchetta. Sai cosa succede al Confine, vero?» replicò Walerian, guardandola in cagnesco come se la sua fosse stata una minaccia.
Non ebbe tempo di fare un fiato che si ritrovò la mano di Tsetsiliya stampata sulla guancia: l'apparenza l'aveva ingannato, ma d'altronde era un soldato come lui.
«Ho avuto l'ordine dai Generali di non lasciarti scappare dalla missione e stai certo che lo rispetterò a tutti i costi. E non osare mai più rivolgerti a me con quel tono, hai capito?» ringhiò lei, premendo più forte la bocca della pistola contro la sua fronte.
Un boato irruppe nel silenzio della notte, facendo fare un balzo di spavento alla ragazza.
Immediatamente i due si trovarono chiusi in una gabbia di fulmini sfrigolanti che stavano facendo terra bruciata intorno a loro.
Tsetsiliya lasciò cadere la pistola a terra, guardandosi intorno a bocca aperta con il cuore in gola per la paura; Walerian era immobile a terra, con gli occhi sbarrati.
«Walerian! Walerian, alzati! Alzati, ho detto!» gridò lei per sovrastare il rumore dei fulmini, che continuavano ad incombere su di loro, strattonandolo dal bavero della giacca, ma il ragazzo non si muoveva, non rispondeva.
Tsetsiliya era sul punto di piangere, disperata e terrorizzata dalla situazione in cui erano, non sapeva che fare, ma raccolse tutto il suo coraggio e la sua rabbia nei confronti del ragazzo e gli tirò un altro schiaffo, sperando che potesse servire a qualcosa.
Walerian fece un respiro profondo, come se fosse appena riemerso da una lunga apnea, e si tirò su di scatto, ansimando e sbattendo più volte le palpebre.
La scarica di fulmini si placò all'istante e il bosco tornò ad essere silenzioso.
I due rimasero in silenzio a riprendere fiato, guardandosi negli occhi, pieni di domande senza risposta; dal terreno intorno a loro si levavano silenziose delle sottili volute di fumo, che si arricciolavano sinuose e salivano al cielo.
Tsetsiliya recuperò la pistola e si alzò, sistemandosi il vestito e dandosi un po' di contegno, tenendo sempre sotto tiro Walerian, che si era girato per recuperare la pistola che gli era caduta e si stava rialzando.
«Alzati e vieni con me. Immediatamente.» ordinò lei, passandosi una mano tra i capelli per toglierseli dal viso.
«Non ti interessa sapere cos'è appena successo?» chiese lui, in piedi davanti a lei ancora stordito e sconvolto dall'accaduto.
«Non cambiare discorso! Cammina, muoviti!» esclamò la ragazza, puntadogli la pistola alla nuca e spingendolo in avanti.
«Datti una calmata! Vengo con te, non c'è bisogno di tenermi sotto tiro.» provò ad obbiettare Walerian, ma fu prontamente zittito da Tsetsiliya, che rispose:«Io non mi fiderei così tanto, sai?»
Walerian sbuffò rassegnato e si fece portare dalla canna fredda della pistola premuta contro la sua pelle senza dire una parola di più.
Dopo diversi minuti di silenzio, Tsetsiliya gli chiese il perché fosse scappato, e lui gli rispose spiegandogli del suo disgusto per i metodi dell'Alleanza e del suo piano per entrare nell'esercito. La ragazza ascoltò attentamente e alla fine disse:«A me non dispiace, a dire il vero, anche se a differenza tua dovrò aspettare un anno prima di entrare in servizio.»
Walerian, scioccato dalle sue parole, balbettò sconcertato per qualche secondo, e infine, ripresosi, riuscì a formulare una frase di senso compiuto, ovvero:«Aspetta, aspetta: stai dicendo che non ti dispiace perdere la tua verginità con un uomo che con molta probabilità non rivedrai mai più e avere da lui un figlio che dovrai abbandonare alle cure delle Accademie per poi fargli vivere la tua stessa sorte?»
«Bei polmoni che hai, sono impressionata. Devi riuscire a trattenere il fiato a lungo, sott'acqua: sarai molto utile per le missioni in mare, se ne farai.» commentò lei, come se non avesse prestato minimamente attenzione alla sua opinione sincera e sconcertata.
«Comunque non mi dispiace, non tanto quanto pensi. E poi tu mi piaci, nonostante sia un idiota moralista, quindi fare sesso con te non sarà un problema, anche se forse non ti rivedrò mai più.» precisò Tsetsiliya, scioccando Walerian nuovamente, ma in parte positivamente.
Dopo questa rapida conversazione di chiarimento, i due non dissero più una sola parola e, una volta arrivati al campo, si legarono di nuovo le mani con il nastro e si rimisero a dormire, mentre nella foresta occhi sconosciuti li osservavano mentre dormivano ignari.
Il mattino dopo si infilarono nuovamente nella jeep per continuare il viaggio verso il Confine.
Walerian ripensava ancora alle parole di Tsetsiliya: davvero non le dispiaceva? Anzi, davvero non era disgustata da quella pratica? Il ragazzo stentava a credere che la sopportazione della sua compagna si basasse solo sul fatto che lui le piacesse.
Era assurdo.
Ma, per quanto gli sembrasse assurdo, non riusciva a reprimere quella piccola vena d'orgoglio che era spuntata impertinente e a trattenere un sorriso compiaciuto e imbarazzato.
Tsetsiliya, notando il suo sorriso, non riuscì a non sorridere a sua volta, provando poi a fantasticare su come sarebbe stata la loro prima volta.
Nonostante fosse stato insegnato loro di non provare forti sentimenti d'affetto per i loro Assegnati, lei desiderava che ci fosse un po' di amore tra loro, in quelle notti votate alla procreazione, e non solo simpatia di circostanza.
Walerian le piaceva, le piaceva molto.
Una Rusalki emerse dall'acqua di un ruscelletto gelido, appoggiando i gomiti alla sponda coperta di neve e tirandosi su per guardarsi meglio intorno.
Nessuno in vista.
"Eppure aveva detto che sarebbe venuto ..."
Un fruscio tra gli alberi la spaventò, facendole battere la coda involontariamente.
«Eccomi, cara. Che novità porti?» chiese l'uomo appena comparso dalla boscaglia, aiutandosi nella camminata con un bastone finemente decorato da un intaglio prezioso di simboli antichi e figure.
La Rusalki rimise le braccia in acqua, allontanandosi dalla riva: quell'uomo, di cui non ricordava neanche il nome, la disgustava in un modo indicibile, con quella faccia scura e baffuta da assassino manovrato dall'alcool e quegli occhi grigi così chiari che parevano bianchi.
Lo stava aiutando solo perché così avrebbe protetto le sue sorelle dallo sterminio.
«Stanno andando al Confine. Ma stai attento: lui ha usato la Folgore.» lo avvertì, tenendosi a debita distanza dalle sue mani guantate.
«Ti ringrazio, mia cara. Sei stata un aiuto prezioso.» rispose lui, voltandole le spalle non prima di averle rivolto un viscido sorriso.
«Manterrai la promessa, vero?» esclamò lei, avvicinandosi di nuovo alla sponda.
Lui sorrise sinistramente.
«Certamente, mia cara.»
La notte dopo si fermarono in una radura, ma, data l'umidità del terreno ancora coperto di neve, decisero di rimanere nella jeep, anche se scomodi.
Visto il poco spazio, le ragazze dormirono tra le braccia dei loro Assegnati, così beatamente che guardandoli si sarebbe potuto pensare si amassero per davvero.
«Emozionato? Il Confine si avvicina.» bisbisgliò Walerian ad Andrej, seduto affianco a lui. Il ragazzo, che stava per addormentarsi, alzò di scatto la testa in direzione del compagno e rispose sbadigliando:«Emozionatissimo. Spero di non deludere Anya ... mi piace molto ... non vorrei lasciarla, ma chissà ... quando finiremo con l'esercito ... magari la ritroverò ... e, perché no, la sposerò ...»
Walerian gli sorrise affettuosamente, dandogli una pacca sulla spalla.
«Sono certo che non la deluderai. Lei si fida di te.» lo rassicurò, facendolo sorridere fiducioso.
Andrej si addormentò dopo poco e Walerian si ritrovò solo con i suoi caotici pensieri di un'altra epoca. Continuava a non capire che senso avessero.
Delle piccole luci azzurine tra le fronde attirarono la sua attenzione: i militari di guardia non parevano essersene accorti, così infranse nuovamente la regola, sciogliendo il nastro, e scese dalla jeep per controllare, impugnando saldamente la pistola.
Le luci sparirono all'improvviso e dietro le sue spalle sentì il rumore di corpi che cadevano a terra: si girò e trovò i due soldati di guardia riversi al suolo, tramortiti o morti, era troppo buio per capirlo. Walerian avanzò con la pistola puntata.
«Chi è là?» domandò con voce sicura alle ombre che lo circondavano, ma non ottenne risposta, solo altri fruscii di stoffa e il rumore bagnato di stivali nella neve.
C'era qualcuno, ma non riusciva a vederlo: che stessero usando qualche incantesimo di occultamento? Decise perciò di fugare questo suo dubbio utilizzando un semplice controincantesimo che gli avevano insegnato in Accademia: davanti a lui comparvero sei figure vestite di pesanti abiti tradizionali.
Walerian non fece un fiato, osservandoli da dietro la canna della sua pistola: gli sembrava che stessero sorridendo.
Un uomo dagli occhi chiari e scintillanti come perle si fece avanti, aiutandosi un bastone e lisciandosi i baffi scuri.
«Osservate, fedeli: ecco il Depositario di Perun.» annunciò indicandolo con la mano guantata: le persone dietro di lui esultarono con gridolini e invocazioni, facendo dei movimenti strani e indicandolo.
«Dov'è il Marchio, dov'è?» chiedevano al loro capo con sussurri sinistri e lamentosi, continuando ad indicare il ragazzo, ottenendo da lui solo silenzio e un paterno sorriso rassicurante.
L'uomo fece un passo avanti e Walerian uno indietro, continuando a puntarlo.
«Identificatevi.» ordinò Walerian, socchiudendo gli occhi azzurri per provare a distinguerli meglio dalle ombre circostanti.
L'uomo si fermò, guardandolo sorpreso, poi fece un altro passo avanti, quindi si fermò di nuovo, sorridendo.
«Siamo tuoi servi, Depositario di Perun.» disse, inginocchiandosi nella neve, tenendo stretto il bastone, «Siamo qui per servirti e adorarti.» concluse, abbassando la testa.
Walerian non sapeva che fare e non capiva a che cosa si stavano riferendo.
"Depositario di Perun? Ma che diavolo significa?" pensò, stringendo la pistola tra le dita e tenendo l'uomo in ginocchio e i suoi sotto tiro.
Nessuno si mosse per degli istanti eterni, poi, all'improvviso, tutti gli furono addosso, invocando ancora quel Marchio che tanto desideravano vedere e cercandolo ovunque sul suo corpo, strappandogli i vestiti con furia animale.
L'unico a restare immobile fu l'uomo con il bastone, che dopo poco si alzò per poter osservare meglio quel putiferio.
Walerian cercava di divincolarsi e si trovò costretto a sparare qualche colpo: riuscì a ucciderne due e a ferire più o meno gravemente gli altri tre, che però non vollero lasciarlo; li calciò via e si rialzò a fatica, allontanandosi da loro il più possibile.
Gli avevano distrutto la giacca e la maglia che aveva sotto, lasciandogli il petto quasi del tutto scoperto e in balia del freddo invernale: fu in quel momento, mentre riprendeva fiato e controllava di non essere ferito, che lo vide, il Marchio.
Era come una piccola cicatrice bianca in mezzo al petto a forma di rombo e Walerian si stupì di non averla mai notata prima.
Distratto da quel simbolo, non si accorse che l'uomo con il bastone gli si stava avventando contro con un grosso pugnale dalla lama seghettata e che uno di quelli feriti stava ritornando barcollando alla carica.
Nessuno dei due riuscì però a raggiungerlo: un boato spaventoso li fermò, seguito dal tremare poderoso del terreno sotto i loro piedi, che si spaccò a metà e inghiottì uno dei morti e un ferito.
L'uomo guardò sorpreso la jeep, dalla quale era scesa Tsetsiliya, che stava in piedi immobile, fissandolo.
«Tsetsiliya! Torna dentro! Scappa!» gridò Walerian, senza fare caso alle indicazioni che le stava dando: voleva solo che si mettesse in salvo.
La ragazza non si girò, ma continuò a fissare l'uomo con uno sguardo truce e vuoto.
Lui cadde di nuovo in ginocchio, lasciando andare il pugnale e alzando gli occhi al cielo, invocando qualcuno a bassa voce.
«Non ci posso credere ... anche il Depositario di Peklenc ...» mormorò esaltato, rivolgendo di nuovo il suo sguardo viscido verso la ragazza.
Il terremoto non cessava e Walerian chiamava insistentemente il nome di Tsetsiliya per farla svegliare da quella sorta di trance, ma lei non reagiva.
Il ragazzo decise di saltare addosso all'uomo e di farsi spiegare una buona volta che cosa stava succedendo.
«Cosa vuol dire tutto questo? Cosa volete da noi?» esclamò Walerian a cavalcioni su di lui, schiacciandogli con rabbia la bocca della pistola contro la fronte.
L'uomo rideva contento senza rispondere e il ragazzo insistette, premendo più forte sulla sua fronte.
«Ti conviene rispondere se non vuoi ritrovarti la mia pistola nel cervello, hai capito? Rispondi!» lo minacciò Walerian e l'uomo smise pian piano di ridere, riprendendo fiato per rispondere.
«Tu ... sei il Depositario dei poteri di Perun, dio della folgore ... e padre degli dei ... la ragazza invece ... dei poteri di Peklenc, dio della ... giustizia e del sottosuolo ...» rispose a fatica l'uomo, non riuscendo a respirare bene per il peso di Walerian che gli opprimeva il petto.
«Che cosa volete da noi?» chiese di nuovo con più calma, avendo visto che l'uomo sotto minaccia stava collaborando.
«Vogliamo i vostri ... poteri ...» rantolò, allungando una mano per recuperare il pugnale.
Walerian non riusciva a mantenere la presa a causa delle scosse continue, che avevano svegliato anche Andrej e Anastasiya e i militari ancora nella jeep. Appena li vide scendere, Walerian ordinò loro di non muoversi e di restare dentro.
«Me ne occupo io! Restate lì!»
In quel momento di distrazione, l'uomo lo colpì con il pugnale al braccio sinistro, quello con la pistola, liberandosi dalla sua stretta e alzandosi in piedi.
Walerian trattenne un grido di dolore e rotolò lontano da lui, fin quasi sul bordo del crepaccio che si era creato con le scosse, quindi si alzò a fatica, impugnando la pistola con l'altra mano.
L'uomo tornò alla carica, brandendo il pugnale seghettato, ma non riuscì a colpire il ragazzo: tre colpi di pistola alle gambe e al braccio armato lo fermarono, facendolo ruzzolare rovinosamente nella neve, che si tinse immediatamente con il suo sangue.
Walerian si voltò di scatto e trovò Tsetsiliya con in mano la pistola fumante puntata nella sua direzione: si era ripresa e le scosse erano cessate.
La ragazza corse vicino a lui, calciando via il pugnale dell'uomo e schiacciandogli la gola con il piede, puntandogli di nuovo la pistola alla testa.
Tsetsiliya non fece domande, certa che Walerian le avrebbe spiegato tutto in un altro momento.
«Ce ne sono altri di voi?» chiese il ragazzo, puntando anche lui la pistola.
«Si ... siamo tanti ... e ... e in molti ... luoghi ... tante confrater ... nite ... di ... Adora ... tori ...» rispose, nonostante il piede di Tsetsiliya a schiacciargli la trachea.
«Vi ... trovera ... nno ... vi uccideranno ... Depo ... Depositari ...» li avvertì sorridendo, come se non fosse lui quello nei guai in quel momento.
Lo freddarono con un colpo in mezzo agli occhi e lo stesso fecero con gli Adoratori sopravvissuti.
Il Confine era vicino, ormai, a poche miglia di distanza; la Casa dell'Alleanza si stagliava massiccia dietro i filari di alberi sui quali la neve si stava sciogliendo.
«Dici che saremo al sicuro qui?» chiese Tsetsiliya, stringendosi a Walerian e guardando il sole sorgere dietro gli alberi.
«Certamente. La Casa è il posto più sorvegliato che io conosca.» la rassicurò lui, abbracciandola e accarezzandole la testa.
Avrebbero provato a farsi spiegare meglio la loro situazione, ma quel che importava in quel momento era essere arrivati salvi al Confine.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro