Quarta prova: Lo faccio solo per lui
Sono anni che vago per il Regno senza fermarmi, animato dalla sete di vendetta e dall'odio verso me stesso.
Niente potrà farmi desistere dal portare a termine questa missione, niente e nessuno.
Glielo devo.
Lo faccio per la mia famiglia, ma soprattutto per lui.
Per mio fratello Alessandro.
Non riuscirò mai a perdonarmi quanto gli è accaduto ormai sei anni fa, il ricordo della mia negligenza brucia ancora come fuoco infernale.
Viaggiando a piedi nelle campagne, armato del mio dolore inestinguibile e di un fucile a pompa, mi sono creato una certa fama tra le creature fatate che qui vivono: temono la mia furia cieca, che si scatena nei loro confronti se non collaborano.
Pur conscio di attirare su di me le ire del Prefetto del Regno e dei suoi Ministri, ho ucciso a sangue freddo almeno un centinaio di fastidiose bestioline magiche al fine di perpetrare la mia causa.
Perché io lo so, lo so bene, che è stato qualcuno di loro a far sparire e poi uccidere mio fratello, quel giorno. Ogni volta che incrocio quegli sguardi furbi e luccicanti, tremo cercando di trattenermi dal fare uno sterminio.
Ormai sono questo: una macchina votata alla vendetta dominata dall'odio e dal dolore.
So perfettamente che quel che faccio non riporterà in vita mio fratello, ma devo vendicare la sua morte ed espiare la mia colpa, in qualche modo.
No ... una colpa del genere non si può espiare né cancellare ... il sangue di tutte le creature fatate della Federazione non basterebbe per placare il mio dolore né per lavare via il mio peccato, niente basterebbe ... e come potrebbe?
Era mio fratello, il mio fratellino a cui volevo bene più di quanto volessi ammettere e che, per una mia distrazione, è sparito dalla mia vita per ritornarvi morto!
Dannazione Dario, non piangere, non mentre attraversi le strade tra i campi di grano, con gli occhi invisibili del piccolo popolo puntati addosso, pronti a coglierti con il piede in fallo.
In sei anni di ricerca ininterrotta non ho trovato niente: la Marabbecca nel pozzo del mio paese e quelle di ogni altro nel territorio mi hanno detto di non averlo preso, e si sa che loro non mentono; i folletti dei cespugli di ortiche, così come i loro compari altrove, affermano di non averlo mai visto passare dalle loro parti e, per quanto io li detesti per i loro modi di fare, so che hanno detto la verità; le fate dei pantani mi hanno assicurato il loro aiuto nelle ricerche, ma non so quanto quelle piccole farfalline luminescenti siano riuscite a fare in questi anni.
L'amadriade nell'ulivo vicino alla fontan'i vasc'*, ormai piena di muschio e popolata di zanzare, mi disse, fin da subito, che qualcosa era arrivato nel mio paese, quel giorno, qualcosa di sinistro, ma non volle dirmene il nome, nonostante io insistessi tra le lacrime.
Adesso sto tornando a casa per salutare i miei, che, a differenza mia, si sono rassegnati al fatto che l'omicidio di mio fratello rimarrà senza un colpevole, poi partirò di nuovo, per battere palmo a palmo ogni centimetro di terra del Regno che ancora non ho calpestato.
Li capisco, è il loro modo per superare il dolore, ma io non ci riesco, non ce la faccio proprio a lasciarmi tutto alle spalle.
Voglio rimediare al mio errore a tutti i costi, nonostante niente di tutto questo servirà.
Anche se i miei cercano di non darlo a vedere, anche se non vogliono farmelo pesare, in ogni sguardo che mi rivolgono c'è sempre una punta di rimprovero.
Non mi hanno mai perdonato per quel che è successo ad Alessandro e non lo faranno neanche se porterò loro la testa del suo assassino.
Eppure io vado avanti, stringo i denti e mi asciugo le lacrime, sperando e odiando, poiché sono le uniche cose che mi tengono in vita, nonostante la mia anima sia sospesa al centro del baratro, in equilibrio sul filo del rasoio della giustizia tra la colpa e l'innocenza.
Lo faccio solo per lui, perché un ragazzo d'oro come mio fratello non meritava di morire così, senza una ragione; lo faccio per ridare un senso a quanto è successo, per fare onore al suo nobile animo, racchiuso in un corpo che non ha avuto la possibilità di crescere per realizzare le grandi cose che sognava.
Mi fermo in mezzo alla strada, ignorando il resto, fregandomene del fatto che potrei ostruire il passaggio ad un mezzo agricolo in movimento; rivolgo lo sguardo al cielo, verso quegli dei maledetti che ho smesso di pregare e sulle cui pietre dei templi ho sputato con disprezzo.
Loro non hanno mai smesso di guardarmi, nonostante la mia fede si sia dissolta nel nulla il giorno in cui trovai mio fratello giacere cadavere in un rigagnolo fangoso; al contrario, hanno di sicuro riso di me, gustandosi il mio affannarmi per portare a termine un compito vano.
Divinità inutili, non meritate le lodi e le libagioni che gli uomini vi offrono, non meritate i sacrifici e i rituali, né le dediche di vie o città intere.
Meritate esattamente quel che date ai vostri fedeli, ovvero il nulla.
Questi pensieri ... prima che succedesse tutto questo non li avrei neanche lontanamente immaginati.
Ma non sono più il Dario di una volta, io.
Da sei anni a questa parte non sono più quel ragazzo delle ambizioni ardite, che sognava di diventare Prefetto della Federazione; non sono più il ragazzo che, ascoltando le fiabe di nonno Simone, fantasticava su viaggi intorno al mondo alla ricerca dei tesori dei draghi.
Non sono niente di tutto questo.
Ho ancora il mio nome, certo, ma sono più conosciuto come "Fantasma di Doria[1]", dal nome del mio paese natale: viaggio instancabilmente, cercando tracce come un segugio a caccia e minacciando con il mio fucile chi non mi risponde come dovrebbe; i miei occhi, neri come l'abisso senza ritorno in cui sono precipitato, hanno imparato a scavare nelle anime degli esseri viventi di ogni razza, per poter cogliere in esse la verità che sarebbe altrimenti nascosta; sul mio viso, bianco delle ceneri di mio fratello, non vi è alcuna emozione.
Sono una marionetta nelle mani del mio rimorso, ma mi sta bene così.
Non andrei avanti, altrimenti.
Scaccio dalla testa questi pensieri e riprendo a camminare, le case silenziose del mio paese sempre più vicine e le mie gambe sempre più stanche.
Prima di passare da casa, interrogherò nuovamente l'amadriade della fontana e le fate dei pantani, sperando in buone nuove.
Il calore del sole scalda la mia pelle, il vento mi accarezza il viso, portandomi alle narici il profumo di fiori lontani: tutto intorno mi parla di estate e serenità, ma questo tepore non riesce a penetrare a fondo in me, non riesce a sciogliere la neve che mi si è accumulata dentro negli anni, congelandosi.
Un sospiro sfugge dalle mie labbra al ricordo degli anni passati della mia gioventù, quando niente importava se non correre e rotolarsi giù per le chine erbose fino a sbucciarsi le ginocchia.
Un battito di ciglia dà scampo ad una lacrima traditrice, che rapida scivola sulla mia guancia, lasciando un solco nella cenere per poi cadere sull'asfalto.
Niente lacrime, Dario, solo risposte.
Le fate mi hanno svelato la sua identità.
Mi hanno finalmente rivelato il nome che l'amadriade della fontana non ha osato pronunciare, il nome di chi mi ha privato della giovinezza e della felicità.
Avrei dovuto immaginare che fosse stato lui, è il genere di cose che gli piace fare con i bambini.
Sono ormai lontano da Doria: vago in aperta campagna con il fucile in braccio pronto a sparare, radunando ogni forza che mi resta, magia e sanità mentale comprese, per poterlo fronteggiare e distruggere per sempre.
Mi fermo nel mezzo di un campo arato, piantando per bene i piedi in terra e alzando lo sguardo verso l'orizzonte infuocato.
Grido il suo nome a piena voce per farmi sentire, l'eco si spande di terreno in terreno, facendo volare i corvi e scappare gli gnomi.
Babau.
Uomo Nero.
Questi sono i suoi nomi, temuti da ogni anima che cammina su questa terra.
Un'ombra nera come il nulla mi appare innanzi, mentre uno strano calore mi infiamma il petto, donando nuovo vigore alle mie membra.
L'attesa è finita.
Il dolore si accentua, le ferite bruciano di più, ma stavolta passerà in fretta.
Stavolta passerà del tutto, o quasi.
Sorrido al pensiero che Ale avrà finalmente la sua vendetta ed io la mia pseudo-pace interiore.
Anche l'ombra sorride, un sorriso viscido gli taglia a metà la faccia vuota.
Che cazzo sorridi?
È arrivata la tua ora, figlio di puttana.
*fontana di giù/di sotto
[1]Doria: frazione di Cassano allo Ionio, provincia di Cosenza, Calabria
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