Capitolo 4
«Cosa gli hanno fatto?»
Sorrisi e serenità sono spariti dai nostri volti, un immaginario vento gelido si è interposto tra noi, riportandoci alla realtà per niente piacevole.
«Un incantesimo, ecco cosa: un incantesimo che scatena in lui, potenziandolo al solo scopo della violenza, l'istinto primordiale della caccia, rendendolo una creatura assetata di sangue e morte. Bastian è stato chirurgicamente preciso quando me lo ha raccontato, non ha tralasciato nessun particolare.»
Deglutisco rumorosamente, sento il sudore freddo della paura colarmi giù dalla nuca alla schiena.
Sto tremando.
«In parole povere, quando vede o sente che c'è qualcuno vivo nelle sue vicinanze, il suo cervello razionale si azzera ed emerge il lato bestiale, che riconosce quel qualcuno come bersaglio. L'abominio sta nel fatto che non lo riconosce come preda, da cacciare e di cui nutrirsi, ma come vittima, da uccidere in preda ad una furia incontrollabile.»
Eloise mi guarda, i suoi occhi azzurri scintillano di una luce fredda come di lame d'acciaio, cercano di non tradire alcuna emozione, ma in fondo ad essi riesco a vedere ciò che vorrebbe celare: la paura, il terrore.
Adesso sono certa che non mi sta mentendo, ma la risposta non è completa, manca il nodo fondamentale.
«Perché?»
«È un arma. Immagina un solo uomo capace di sterminare un esercito intero. Non lo trovi ... conveniente?»
«È assurdo ... è da pazzi ...»
Eloise mi interrompe esclamando:«Non mi interessa quello che pensi tu di tutto questo. Io ti ho dato le risposte che volevi, adesso sono affari tuoi: non ti controllerò né ti dirò cosa fare, il tuo destino è in mano tua.»
Detto questo, mi volta le spalle ed esce dalla stanza, lasciandomi lì da sola, in preda ai dubbi e al terrore folle.
E adesso? Che faccio? Come aveva giustamente previsto Eloise, la mia spavalderia si è drasticamente ridotta, sopraffatta dalla paura data dai fatti, finalmente chiari.
Però ... voglio vederlo ... se è così bello come ha detto, sarebbe un peccato non poterlo ammirare nemmeno una volta.
Sarebbe un bel volto da guardare morendo, anche se sarà lui ad uccidermi, straziandomi in modi indicibili.
... Bene. E ora?
È tutto il giorno che mi torturo con il pensiero di Adrian, del laboratorio.
Il tramonto incombe, il cielo già si tinge dei suoi caldi colori rosa e arancio.
Il momento si avvicina e non riesco a smettere di tremare, di sudare freddo, di respirare a fatica.
Prendo un respiro profondo, sperando di calmarmi.
Sono stata una stupida: se volevo farlo, era meglio non saperne niente di più, ma io sono stata così presuntuosa da voler sapere ogni dettaglio.
Beh, adesso so di che morte morirò. È quello che volevo, no?
Ho deciso di andare, perché altrimenti mi tradirei da sola e vivrei con il rimorso di questa occasione persa.
Voi penserete che non ne vale la pena, ma ... ehi, sono io quella che, se sopravvive, dovrà rimanere rinchiusa qui dentro: lasciatemi fare un po' quel che voglio.
«Ehi Maddy! C'è qualcosa che non va?»
Mi volto di scatto, spaventata dalla voce di Julie e dal suo tocco morbido sulla spalla.
Mi guarda in modo strano, è preoccupata: chissà che faccia devo avere per scalfire la sua naturale serenità.
Sospiro, voltandomi completamente verso di lei. Lei mi prende una mano e la stringe tra le sue; ha gli occhi lucidi, scintillano come pietre preziose.
A lei non voglio mentire, anche a costo di farla star male.
«Julie ... stasera vado incontro alla morte e non è detto che torni indietro.»
Julie tace, respira profondamente, non mi guarda in faccia.
Decido di spiegarle tutto, lei mi ascolta senza fare un fiato.
«Sei una cretina. Eloise non te l'ha detto? Oh, te l'ha detto di sicuro, certo che te l'ha detto.» mi dice, sospirando per calmarsi.
«Abbiamo solo quindici anni, Madeline. Quindici anni. Non ti conosco così bene come vorrei, ma se vuoi suicidarti a gratis fai pure.» conclude. Respira rumorosamente, con le narici dilatate e la bocca piegata in un broncio furibondo: si sta trattenendo dall'urlarmi in faccia.
Rimango senza parole: non l'ho mai vista così decisa.
Apro la bocca per rispondere, ma mi ritrovo fronte a fronte con lei, i suoi boccoli biondi mi solleticano il viso.
Improvvisamente, non c'è più distanza tra noi, sento solo le sue labbra sulle mie, unite in bacio lieve e disperato.
Julie ha le guance che vanno a fuoco, quando si ritrae, io ... ho un calore strano nello stomaco.
Mi lascia la mano e si alza, lasciando la stanza.
Si volta e sussurra:«Se puoi, torna viva, Maddy.»
Io abbasso la testa, in silenzio.
Entrare nel laboratorio è sempre troppo facile: ho scoperto un ingresso di servizio nascosto e inutilizzato e, sfruttando il mio talento nel nascondino, l'ho usato senza farmi beccare neanche una volta.
Entro e, come ogni volta, mi assale il freddo che si cela tra quelle pareti d'acciaio e la paura di essere scoperta, anche se è difficile in questo labirinto di muri.
Cammino in punta di zoccoli, attenta a non far sentire nemmeno il mio respiro, guardandomi le spalle ogni secondo.
Devo avvicinarmi il più possibile al centro se voglio vederlo.
Ormai non si torna indietro.
Il percorso lo conosco ormai a memoria e ci impiego un attimo a raggiungere il centro della stanza, dove lo intravedo sdraiato sul letto.
Le luci stavolta mi sono favorevoli e riesco a vederlo bene: è esattamente come Eloise me lo ha descritto, forse meglio di quel che mi immaginavo.
Avanzo di un passo, poi di un altro ancora.
Sono a cinque metri da lui. Sento il suo respiro.
Il mio cuore batte all'impazzata, spero di sentirlo così forte soltanto io.
Mi tengo vicina al muro, per nascondermi, pur continuando ad avvicinarmi.
«Ad ... Adrian ...»
Sussurro il suo nome in modo quasi impercettibile, non so perché, forse perché mi piace il nome, forse perché vorrei dimenticarmi che in realtà è un mostro.
Lui si muove nella brandina e io mi nascondo di scatto.
Sento un cigolio, poi il suono lievissimo di piedi nudi che toccano il pavimento.
Oh merda.
Mi muovo piano, pianissimo, cercando di allontanarmi senza farmi sentire, ma è tutto inutile: ormai mi ha sentita e conosce il posto meglio di me.
Inizio a correre, il più veloce possibile.
Corro, corro, i miei piedi mi guidano, sanno dove andare.
Scappare, scappare, non farsi prendere, non farsi trovare.
Nascondersi, nascondersi, ogni posto è buono, devo nascondermi.
I polmoni non reggono, la milza implora pietà, il cuore di colibrì batte, forse esploderà.
Nascosta dietro questo muro, uno dei tanti che mi separano da lui, fatico a calmare il respiro. Oh, perché non imparo mai?
La curiosità uccise il gatto e i proverbi hanno sempre ragione.
La mia mente è un subbuglio di preghiere e maledizioni, i destinatari si confondono.
Non mi deve trovare.
Per nessuna ragione.
Il silenzio dietro di me amplifica i miei respiri, troppo brevi e veloci perché possano servire a qualcosa.
Ma quanto sono stata stupida? Quanto?
Mi prenderei a schiaffi da sola se solo non facesse così tanto rumore!
Un passo.
Due passi.
Passi, lenti, pesanti.
Sono fregata.
Se mi metto a correre mi sentirà.
Non mi resta altro che stare qui e attendere la mia fine, tanto sa già dove sono.
Ma perché non li ho ascoltati?
Le altre volte ho avuto fortuna, sono stata veloce abbastanza.
Stavolta è finita, è finita sul serio.
È la mia ultima partita a nascondino ... e ho perso.
Ben mi sta.
Sono certa che Jerome vorrebbe essere al suo posto per godersi la soddisfazione della vittoria.
La porta da cui sono entrata è vicinissima, ma, nel balzo finale per raggiungerla, mi sento afferrare alle spalle e sbattere a terra.
Chiudo gli occhi.
Il resto è calore al cervello e dolore atroce.
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