COME FUMO
Portai alla bocca ancora due popcorn, ovviamente non centrai la bocca e mi si sparpagliarono lungo l'enorme maglione blu che indossavo.
La tv era accesa su un canale a caso, perché per i miei gusti c'era troppo silenzio in quella casa: i miei genitori non c'erano perché fuori a mangiare, quindi ero sola soletta seduta su quel divano comodissimo.
La pubblicità della Opel lasciò il posto al TG1.
<<Notizia dell'ultima ora! Un ragazzo morto a casa sua...>>
La mia concentrazione si spezzò non appena il campanello suonò.
Mentre la giornalista parlava io mi alzai senza comprendere completamente le sue parole .
Mi avvicinai alla porta con cautela. Appoggiai la mano sul legno scuro, poi guardai dall'occhiello e dopo aver capito chi fosse dall'altra parte della porta, aprii lentamente.
<<Willow!>> salutai la mia migliore amica non accorgendomi subito delle lacrime che rigavano il suo volto.
<<O mamma mia, Willow cosa è successo?>> chiusi la porta dopo averla fatta accomodare, la feci sedere sul divano cosparso di popcorn e le portai un fazzoletto.
<<Megan, è stato orribile...mi sento distrutta>> mi rispose lei piangendo. Il mascara le colava lungo lo zigomo seguendo la scia della lacrima che veloce si insinuava in ogni fessura della pelle.
<<Fred è venuto da me, sai?>> mi chiese anche se sapeva già la risposta perché mi aveva già parlato molto dell'uscita che avrebbero dovuto fare quella sera.
<<Sì? E cosa è successo? Ti ha fatto qualcosa?>> chiesi serrando le mani dalla rabbia. Nessuno poteva far del male alla mia migliore amica, se lei soffriva io soffrivo con lei.
<<È entrato in casa e subito mi ha detto che dovevamo parlare. E già da lì mi sono spaventata. Ci siamo appartati per parlare da soli e sai cosa mi ha detto quel lurido porco?>> si sfogò Willow
<<E come faccio a saperlo se non me lo dici?>> chiesi mezza sarcastica non potendo evitare di fare la battuta.
Lei scoppiò nuovamente a piangere come una disperata, come un bambino a cui è caduta la caramella.
<<Ha detto che mi tradiva da più di due mesi, che gli dispiaceva molto ma che non provava più gli stessi sentimenti dell'inizio e tutte quelle scemenze varie. Tanto non è un problema suo, tanto qua le corna chi ce le ha? Guardami sulla fronte, tra poco sono vere, mi stanno spuntando le corna da quanto mi ha tradito quello schifoso...>> dalla sua tasca estrasse un pacchetto di sigarette. Nel mentre mi avvicinai a lei e l'abbracciai accarezzandole i capelli rossi e ricci. <<Dai Willow, andrà tutto bene, troverai la persona giusta. Lui probabilmente non lo era e non ti meritava, quindi ora basta perdere tempo a piangere per lui, okay? Non si merita il tuo dolore. >> la consolai. Lei espirò rumorosamente facendo fuoriuscire nuvolette di fumo grigiastro, continuava a piangere silenziosamente tra le mie braccia. Mi alzai e con uno scatto mi avviai in cucina, aprii un cassetto e presi un pacco di fazzoletti nuovo, perché gli altri erano finiti.
Le porsi un fazzoletto bianco e lei si soffiò rumorosamente il naso.
<<Grazie mille Megan>> mi disse staccandosi dal mio abbraccio e sorridendomi dopo essersi calmata un po'.
<<Stai meglio?>> le chiesi preoccupata
<<Come vuoi che stia? Mi sento tradita, come accoltellata alle spalle...>> ammise lei mentre si torturava le mani. La televisione continuava a emettere suoni che si diffondevano nella casa vuota e rimbalzavano da una parete all'altra per poi sparire come se non ci fossero mai stati.
Gli umani pensavano che ogni problema fosse una sciagura, si rovinavano le giornate e piangevano per motivazioni non così valide per sprecare quel tempo. Ma forse è per quello che eravamo uomini e non Dei, eravamo difetti ed errori in corpi perfetti. Eravamo straordinari perché dal nulla, passo dopo passo, eravamo diventati macchine meravigliose nonostante le nostre imperfezioni. Chi saremmo senza emozioni? Senza sorrisi o pianti? Senza odio o amore? Senza paura o gioia? Il corpo da solo sarebbe come una tela bianca, quelle emozioni coloravano quella tela così triste. Coloravamo il mondo che avevamo attorno, non eravamo solo quello che la gente vedeva, eravamo quello che creavamo. Eravamo parole, risate e pianti... eravamo tutto. Eravamo la vita ed eravamo la morte. Nelle lacrime di Willow scorgevo il corso infinito tra gioia e dolore che caratterizzava la vita umana. Capivo che quelle lacrime erano un bisogno, era destino che scorressero inarrestabili su quelle guance.
Ero contenta che fosse venuta da me, che mi avesse chiesto aiuto. Nessuno si fidava completamente dell'altro perché non ci si conosce, ma d'altronde nessuno si conosce. Neppure la persona stessa conosce ogni meandro della propria essenza. Lei si era fatta vedere per quello che era. Fragile. Ma io l'avrei protetta, o almeno ci avrei provato.
Mi alzai dicendo <<Sono convinta che non hai ancora mangiato, vieni che ti faccio un piatto di pasta.>>
Lei mi guardò mentre mi ringraziava. Era già la seconda sigaretta che si fumava, avevo provato a farla smettere ma la dipendenza e il nervosismo avevano vinto su lei, come il fuoco aveva vinto la sigaretta bruciandola lentamente ma inesorabilmente. Accesi i fornelli e misi l'acqua a bollire.
<<Ci vorranno una decina di minuti. Se vuoi puoi andare un po' in bagno: ti puoi lavare la faccia o se ti vuoi fare la doccia, nel mobiletto bianco ci sono gli asciugamani. >> le dissi premurosa.
<<Grazie mille, magari mi vado a sciacquare un po' il viso. >> si alzò lasciando il pacchetto di sigarette sul tavolo e schiacciando la cicca nel lavandino. Sospirai, avrei pulito anche quello.
Mentre lei saliva le scale per andare in bagno, misi gli spaghetti nell'acqua bollente.
Ben presto si afflosciarono e furono mossi dai lenti moti all'interno del liquido.
Solo alcuni scricchiolii e fruscii provenivano dal piano superiore, per il resto solo la televisione rompeva il silenzio che si era creato.
Innervosita dal brusio della TV uscii dalla cucina e svoltai in una porta a destra dove c'era il salotto e l'entrata. Mi avvicinai alla televisione e senza far caso a ciò che trasmetteva la spensi.
Rimasi lì qualche secondo cercando di capire cosa stesse succedendo al piano di sopra ma Willow sembrava addormentata o stranamente silenziosa. Con un alzata di spalle tornai in cucina.
Una corrente fredda sprirava attraverso una finestra di fianco al frigo. Mi avvicinai per chiuderla arricciando il naso perché ero convinta di non averla aperta. Forse era solo una mia impressione.
Assaggiai uno spaghetto per sentire se era cotto. Li scolai e ne misi un pò nel piatto con del sugo avanzato dal pranzo del giorno stesso.
Aspettai dieci minuti seduta ad aspettarla ma non si degrava di scendere. La pasta si stava raffreddando e io innervosendo.
Mi alzai dalla sedia trasparente di plastica e feci per salire le scale ma poi tornai indietro, d'altronde dovevo lasciarle un pò d'intimità. Ma un suono secco ruppe l'equilibrio creato in precedenza. Come se fosse caduto qualcosa e si fosse frantumato al suolo. Quel rumore venne dal piano di sopra e mi convinse a salire a vedere cosa stava succedendo a Willow.
Salii le scale il più velocemente possibile cercando di regolare il respiro. Bussai forte alla porta chiamandola <<Willow? Tutto bene? È pronto, eh? Scendi?>> non mi rispose nessuno. Solo il silenzio.
Bussai ancora ma non sentendo nessun rumore di risposta cominciai a tirare colpi alla porta che era chiusa a chiave.
Tirai una spallata e poi un'altra fino a che non mi dolse troppo, quindi dovetti fermarmi. Si era allentata leggermente, allora senza pazienza tirai un calcio vicino alla serratura. La porta si spalancò e rimasi spiazzata da ciò che avevo davanti agli occhi. Presto dalla mia bocca fuoriuscì un grido di orrore e spavento.
Nel piccolo bagno, si trovava il corpo morto di Willow.
Davanti allo specchio del lavandino si trovava la vasca-doccia, il microfono della doccia circondava con la sua corda il collo della ragazza rendendoglielo violaceo e gonfio.
La vasca si era riempita di sangue a causa dei molteplici tagli che si allungavano verticalmente lungo le braccia e le gambe nude della ragazza.
Le braccia erano piene di lividi neri e verdi come sulle gambe, intorno ai graffi rossi sulla pelle. Rivoli di sangue segnavano il corpo incidendo il loro percorso di morte.
La maglietta bianca era completamente imbrattata di sangue scarlatto ed era leggermente tirata su.
Un lungo taglio profondo segnava il ventre di Willow orizzontalmente. Gli organi interni fuoriuscivano molli dal suo corpo e rimanevano lì, a penzolare ancora leggermente attaccati al corpo. La vasca conteneva il sangue scivolato in basso dal corpo della ragazza, e rifletteva riflessi paurosi.
Mi salì un conato di vomito per lo shock di vedere la propria amica morta e per lo schifo che mi provocava quella vista, tutto quel sangue, quei tagli e quegli squartamenti.
Mi fiondai spaventata come non mai in salotto.
Passando dalla cucina notai che la finestra era ancora aperta, ma ero sicura di averla chiusa. La rinchiusi di fretta senza dargli molto peso. Neanche le sigarette erano più sul tavolo, pensai che probabilmente le avevo appoggiate da un'altra parte.
Mi mossi verso il salotto e provai ad aprire la porta di ingresso ma era bloccata, come avrei fatto? Provai a chiamare soccorso ma il telefono non prendeva e quindi dovevo scartare anche quella possibilità.
Mi guardai attorno capendo che in ogni angolo avrebbe potuto essersi nascosto l'assassino pronto ad attaccarmi.
La televisione continuava ad andare, ma ero presa così tanto dalla paura che non ascoltai neppure. La spensi direttamente. Borbottai <<Ma non l'avevo già spenta?>> nonostante ciò non ci feci caso. E così il silenzio calò perfettamente nell'edificio.
Mi avviai verso le scale notando che la finestra fosse di nuovo aperta. Mi fermai lì davanti a fissarla sconcertata. La rinchiusi questa volta guardando fuori. Sembrava tutto normale: la strada davanti alla casa era percorsa di tanto in tanto da macchine solitarie, i lampioni illuminavano stanchi gli alberi del viale e alcuni passanti portavano a spasso il cane. La notte aveva soppresso la luce del Sole dando vita a uno spettacolo magnifico: le stelle brillavano più che mai nella distesa tenebrosa mentre la Luna piena sembrava quasi guardarmi e proteggermi. Ma la paura che avevo dentro superava ogni confine, ogni limite immaginabile. Come tutte le bambine, quando ero piccola, avevo paura di passare per il corridoio perché mi immaginavo mostri, fantasmi e uomini neri. Erano i miei incubi che avevano effetti inquietanti sulla mia psiche. Ma in quel momento, non era una finzione della mia mente. Non era immaginazione, era la realtà. Al piano di sopra la mia migliore amica era stata squartata viva, e probabilmente la stessa sorte sarebbe capitata anche a me.
Potevo scappare dalla finestra e correre via, scappare da quella casa, ma mi sembrava di abbandonare la mia amica e ciò che consideravo sicurezza.
Sentii un rumore proveniente dal salotto, come una monetina che cadeva e rotolava fino a quando si lasciava scivolare di lato. Scappai su per le scale spaventata come un coniglio. Avevo i sensi espansi al massimo, ero tesa come una corda di violino, le mani mi tremavano come foglie. Piano piano i miei occhi si riempirono di lacrime.
La luce delle lampade, che prima mi permetteva di osservare ciò che avevo attorno , iniziò a indebolirsi fino a diventare una fievole esistenza.
Il buio mi catturò, intorno a me solo paura. Non avevo protezioni, non potevo fare altro che consegnarmi al male, non avrei mai potuto vincere. Mi accasciai al muro davanti alle scale e mi sedetti sul pavimento. Portai le gambe al tronco e le circondai con le braccia tremanti.
<<Se mi vuoi prendimi!>> urlai rivolta all'ignoto intorno a me.
Le lacrime iniziarono a solcare anche il mio viso scosso da violenti singhiozzi silenziosi.
Sentivo la finestra al primo piano sbattere ritmicamente, la televisione che mandava in onda sempre la stessa frase del telegiornale ripetendola all'infinito, il rumore regolare delle gocce si sangue di Willow che cadevano nella vasca ormai piena.
Mi tappai le orecchie con i palmi delle mani e strinsi molto forte facendomi male. Mi morsi il labbro e dopo poco un sapore metallico si espanse nella mia bocca per poi scendere giù nella gola. Pensai al sangue di Willow e quello che avrei perso se Lui mi avesse trovato.
Posai una mano sulla mia pancia e anche se ci provai non riuscii a resistere al conato, quindi vomitai tutta la mia ansia e la mia paura alla mia sinistra.
Mi guardai attorno non riuscendo a scorgere nulla. In fondo al corridoio, strizzando gli occhi, scorsi un esile bagliore. Mi avvicinai a gattoni.
Capii solo quando fui a pochi centimetri di distanza che era una sigaretta accesa.
Spostai lo sguardo a destra dove il corridoio svoltava verso le camere da letto. C'era una serie di sigarette accese, sembrava quasi una pista da seguire.
Passo dopo passo, mi avvicinai alla porta di camera mia. La scia di fumo mi conduceva a quella stanza. Aprii lentamente la porta con le mani tremanti.
La camera era parzialmente illuminata da candele. Era tutto normale tranne per uno specchio posto di fronte alla porta, tra il letto e la finestra. Non l'avevo mai visto, come aveva fatto ad arrivare fino a lì?
Era alto due metri, ovale, con le rifiniture in ferro che gli davano un aspetto antico.
Mi avvicinai mentre le lacrime solcavano inesorabili le mie guance perché sapevo che non avevo più vie di fuga. Come il fumo delle sigarette bruciate mi sarei fusa con l'aria circostante diventando nulla, solo un essere che aveva vissuto su quel mondo come tante altre.
Mi avvicinai allo specchio e mi spaventai più di quanto già ero.
Davanti a me si specchiava la mia figura: un corpo minuto, i lunghi capelli bruni mi ricadevano sporchi lungo le spalle, la maglietta bianca e i jeans erano chiazzati dal sangue scarlatto di Willow anche se probabilmente anche il mio avrebbe solcato la mia pelle in poco tempo; il viso e il colletto della maglia erano ancora sporchi di vomito; il viso era cereo e il corpo tremante. Mi avvicinai ancora di più alla mia immagine riflessa e notai con molto stupore che al posto degli occhi avevo due buchi neri, come se non ci fosse nulla, solo il vuoto. Mi avvicinai con il viso ancora di più, cercando di capire cosa avessero i miei occhi. Tastai sopra la palpebra e sentii il bulbo. Non riuscii a capire cosa succedesse a quello specchio. In poco tempo dagli occhi partirono delle ramificazioni nere che inglobarono il viso della me riflessa per poi proseguire verso le spalle. Iniziai a tirare pugni contro lo specchio, continuavo a colpire ma non accennava a rompersi o solo a scheggiarsi.
<<Basta!>> urlai più forte che potevo facendomi male alla gola. Ma l'immagine davanti a me non si mosse di un millimetro.
Mi spostai da lì davanti ma la mia figura riflessa non si mosse. Il nero continuava a espandersi e a coprire ogni parte del mio corpo. Come le tenebre che piano piano sopraffavano la luce, soffocandola e facendo diventare anch'essa buio.
La mia anima si stava annerendo, stava bruciando come una sigaretta. Per quanto ancora sarei riuscita a non dissolvermi come fumo?
Presi la lampada sopra la scrivania e con un colpo secco la scaraventai contro la superficie riflettente. Una volta, due volte. Fino a che profonde crepe solcarono il materiale davanti a me. Io urlavo sfogandomi mentre la figura davanti a me continuava imperterrita a rimanere immobile.
Schegge spesse e taglienti crollavano colpo dopo colpo tagliandomi la pelle, e notai che, come avevo previsto, anche il mio sangue scivolava sul mio corpo come acqua.
Lo specchio si ruppe e cadde in frantumi. Rimase solo la cornice di ferro arrugginito.
Davanti a me, illuminata dalle flebili candele che si stavano consumando inesorabilmente, c'era una figura. La sua figura.
Era il riflesso della mia persona, quella nel riflesso dello specchio. Solo che ora era davanti a me.
Rimanemmo ferme a fissarci per qualche secondo.
Potevo percepire qualsiasi rumore o movimento nell'aria.
Davanti a me la mia figura scattò, la mano protesa in avanti verso il mio viso. Mi coprì la bocca e il nero ingoblò anche me.
Non riuscii a gridare, la mia vita si spense e fu il mio momento, quello di scomparire come fumo nell'aria.
L'unico vero incubo dell'uomo è se stesso.
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