Traccia n. 2 - Monocromatic
Bianco
Dispongo in silenzio le foto davanti a me. Sono tre in tutto, scattate a pochi minuti di distanza.
Nella prima vi tenete per mano, mentre attraversate la strada; nella seconda salite in macchina, intimoriti dalle prime gocce di pioggia; nell'ultima siete comodi, tu al volante e lei accanto, che vi baciate, mentre lampi bianchi illuminano il cielo in lontananza.
Non sai ancora che io so. Non ho ancora deciso come dirtelo.
Ricordo la prima volta che ci incontrammo, eravamo in spiaggia e il pallone con cui giocavi è finito, casualmente, sulla mia borsa. Sei venuto a riprenderlo, sorridendo con quei tuoi denti splendenti mentre ti scusavi. Mi hai offerto da bere per farti perdonare, ricordi?
Poi, il nostro matrimonio. Avevo comprato il vestito con i miei risparmi, non volevo usare quello di mia madre per il suo color crema. Volevo un abito candido per il nostro giorno. Ridiamo, nello scatto appeso al muro, fatto dopo il taglio della torta. Sembriamo felici, vero?
Anche quando ho scoperto di stare per morire, tu eri lì. Solo che poi non sono morta, lo sai? Ho vissuto per mesi dentro a quell'ospedale, in quelle stanze senza colore e senza odore, aspettando la fine. L'unico squarcio di vita delle mie giornate era l'ora delle visite. In tutto quel tempo soltanto una volta non sei riuscito a passare. Dicevi sempre che solo la morte avrebbe potuto separarci, come avevamo giurato davanti a Dio.
Volevamo avere tanti figli, da crescere in una casa rumorosa e con un grande giardino, ma la terapia mi ha resa sterile. Nemmeno questo, allora, era riuscito a scalfire il nostro amore.
Ci è riuscito solo il tempo, l'abitudine. Abbiamo vissuto insieme, condiviso gioie e dolori per trent'anni prima che tu ti stancassi.
Sai come ti ho scoperto? Soprattutto, sei sicuro di volerlo sapere?
I primi dubbi sono arrivati quando hai cominciato a controllare con insistenza il telefono. Non lo lasci più sul tavolo come una volta, è sempre nella tua tasca. Poi, ti prendi più cura di te di quando avevi vent'anni. Non esci di casa senza aver fatto una doccia, hai sempre il tuo dopobarba costoso addosso. Anche le tua camicie profumano, sai? Ma non di dopobarba...
Sei stato furbo a regalarle lo stesso profumo che uso io, ma mi è bastato smettere di metterlo per vedere se era davvero il mio aroma quello che impregnava i tuoi vestiti.
Non usciamo più insieme, per andare a cena o al cinema. Dici che non abbiamo più l'età per quello. Sei sempre troppo stanco per sfiorarmi, anche per i baci. Pensavo ti vergognassi di me, che non volessi ci vedessero uno accanto all'altro.
Sei sempre stanco perché lavori fino a notte tarda, rientri quando pensi io stia dormendo da ore. Sottovaluti il mio sonno leggero, e il mio intelletto. Come la prima volta, che fingendomi intontita ti ho chiesto che ore fossero.
"È quasi mezzanotte." hai detto guardando il telefono. "Mi hai svegliato."
Non era vero: era quasi mattina, e tu ti eri appena sdraiato. Vuoi sapere cosa ti ha tradito? Il tuo pigiama era ancora freddo, come il cuscino e le lenzuola.
Ho fatto finta di nulla, sperando che fosse una cosa passeggera. Può succedere, di sbagliare strada.
Con i mesi, però, le domande si facevano sempre più insopportabili: volevo sapere chi fosse colei che mi ha rubato il marito. Quanti anni avesse meno di me, quando fosse più bella. Poi, con le foto che qualcuno ha lasciato sul tavolo del giardino perché le trovassi, l'ennesimo colpo del destino.
Lei non è più bella di me, non è più giovane. Mi assomiglia anche, con quel caschetto canuto e il viso carezzato dalle rughe. E capisco che non posso permetterlo: anche io, che ancora ti amo, ho una dignità. Cancello in fretta una lacrima sfuggita dall'occhio sinistro.
Tiro fuori dalla tasca una fiala colma di un liquido latteo. Quando la apro un odore amaro, di mandorle, inonda le mie narici.
"Finché morte non ci separi." mormoro. Chissà di che colore è, la morte. Forse è bianca come il mio abito da sposa, forse nera come la polvere che lo sta consumando dentro all'armadio. No, penso debba essere grigia: gli oggetti candidi, o corvini, perdono il loro colore con il tempo, ma la morte è per sempre.
Verso il liquido nel latte: domani mattina sarà tutto finito. La porta d'ingresso di apre, poi la chiave gira nella toppa e urli: "Amore, sono tornato!"
Da quanto tempo non mi chiami così? Trattengo l'ennesima lacrima, mentre tu entri e mi lasci un bacio sulla fronte.
"Preparo io la cena, non ti preoccupare."
Sospiro ed esco dalla cucina. Non ho intenzione di discutere prima di essermi calmata. Rientro quando sento il profumo del risotto che lentamente cuoce. Assaggio il tripudio di sapori che hai creato. Chissà quale buona notizia hai in serbo per noi.
"Ho ricevuto una promozione e due settimane di vacanza. Domani partiamo per il lago, che ne dici?"
Penso che non accadrà, rispondo criptica assaggiando di nuovo il riso.
"Il latte aveva un odore particolare oggi, mi sa che era quello di mandorle. Ti piace la ricetta? Ne parlavano due segretarie, oggi. Ci ho messo anche un po' di cannella che so a te piace, e..."
Ti interrompi, vedendo il pallore del mio viso.
"Che cos'hai? Il sushi di ieri ti ha fatto male?"
Sushi? Ieri? Ieri non eri con me, eri con quella...
Un terribile sospetto comincia a insinuarsi nella mia mente, mettendo in secondo piano le scosse al cuore e i polmoni che faticano sempre di più. Comincio ad ansimare mentre raggiungo il cassetto con le foto compromettenti, le ginocchia si piegano ma non mi fermo.
Quando riesco ad aprirlo le mani tremano, la visuale di fa sempre più stretta. Sento le tue mani stringermi, scuotermi. Stai urlando qualcosa, lo so, ma non riesco a sentirti. Le prove che fino a poco fa guidavano le mie azioni ora si rivelano essere solo tre fogli bianchi. Non una scritta, non un segno, nemmeno una qualche piega: sono immacolati.
Quando il mio cuore si ferma, non è rimasto nulla davanti ai miei occhi: è tutto nero, un incubo, con solo una macchia bianca, lontana, a ricordarmi quello che una volta ero.
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