Traccia n. 1 - Old but Gold
Addio
"È di nuovo il carburatore, vero?" chiedo impaziente spostando il peso da un piede all'altro, mentre Marco è ancora chino sugli ingranaggi della mia vecchia Duna.
"Non è il carburatore, Gio." risponde senza smettere di spostare tubicini e osservare critico i vari pezzi. "Quand'è stata l'ultima volta che hai cambiato l'olio? È praticamente a secco..."
"Sarà stato il mese scorso, dici che è per questo che non tira? Meno male..." sospiro, ma prima che il sollievo mi raggiunga, Marco scuote la testa.
"Non credo proprio. Lasciami lavorare un po'!" mi ordina indispettito.
"Questa macchina mi ha accompagnato ovunque, sai?"
"Sì, lo so, Gio. Me lo dici ogni volta che te la aggiusto."
"Il giorno in cui i miei genitori me la regalarono, avevo appena..."
"Avevi appena compiuto diciotto anni!" esclama spazientito buttando uno straccio sporco per terra. "Ha la tua stessa età: ha fatto bene il suo lavoro, ma è ora di cambiarla. Non posso aggiustarla, questa volta è il motore."
"E se lo cambio?"
"Non producono le Fiat Duna da vent'anni. Comprati una macchina nuova, Gio."
"Non era nemmeno iniziata la crisi, nel 2006. Mio padre aveva perso il lavoro, ma con quello che era riuscito a mettere da parte mi aveva comprato una macchina." gli racconto. "È tutto quello che mi rimane di suo."
"Questo giorno doveva arrivare, prima o poi, lo hai sempre saputo." prova a consolarmi senza troppa convinzione. "Se hai bisogno, posso accompagnarti a cercarne una nuova, in questi giorni. Almeno non sarai in balia dei taxi..."
"Non ti preoccupare, prenderò la macchina di Rosa e dopo aver accompagnato a casa i bambini darò un'occhiata in giro. Che tu sappia, c'è qualche concessionario Fiat, in giro?"
"La tua nostalgia è proverbiale. Proprio non vuoi prendere una tedesca? Non penso che ci sia un singolo concessionario disposto a venderti una Fiat in tutta Francoforte."
Sorrido appena, mentre Marco si gratta la testa infastidito. Ero stato fortunato a reincontrarlo, così lontano da casa.
"Pensi mai ai giorni di scuola?"
"Quando tu correvi dietro a Rosa che non ti cosiderava, e io dovevo sempre convincere quell'arpia di inglese a concedermi un sei per poter venire qui e lavorare nell'officina di mio nonno."
"Alla fine, è grazie alla Duna se ho conquistato Rosa."
"Ci siamo separati subito dopo la maturità, e ognuno ha seguito la sua strada. Io sono venuto subito qui, mentre tu hai cominciato a lavorare in Italia."
"È stato un colpo rivederti."
"Immagina per me: all'improvviso mi chiamano con urgenza perché non sanno cosa fare, e mi ritrovo davanti questo ferro vecchio che si accende per miracolo. Ti ho riconosciuto soltanto grazie a lei...", finisce dando una pacca alla carrozzeria azzurra.
"Tu, invece, eri lo stesso, soltanto con qualche centimetro in più." rido ricordando che da adolescente era piuttosto basso.
"Mi mancano quei giorni, a volte. Eravamo spensierati, giovani..."
"E la mia Duna toccava pure i centoquaranta." ricordo all'improvviso. Da anni, ormai, arrivo a malapena alla velocità di cento chilometri orari; il cambio ha iniziato a scricchiolare, nonostante la delicatezza con cui scalo marcia è la stessa con cui carezzo la testa di mia figlia.
"Mancherà anche a me" confessa infine Marco, "finora sei stato il mio cliente più assiduo."
In effetti, quasi ogni mese mi trovavo in quella officina mentre lui cercava di aggiustare i piccoli acciacchi della mia vecchia. Pure Rosa era indispettita, da anni cercava di convincermi a cambiarla, ma il mio meccanico di fiducia aveva sempre avuto pazienza. Forse, in fondo, anche lui aveva nostalgia della nostra Pavia.
Dalla morte dei miei genitori io non ero più tornato in Italia, eccetto una breve permanenza a Torino per lavoro, mentre quelli di Marco si erano trasferiti con lui quasi subito. Non avevamo più legami con il nostro Paese d'origine, eccetto quell'automobile un po' troppo longeva.
"Non voglio rottamarla." affermo all'improvviso.
"Possiamo venderla ad un museo." risponde, sarcastico, il mio migliore amico.
"Non puoi metterla all'ingresso e spacciarla per macchina d'epoca? Farebbe pubblicità, no? Chiedi un po' a tua moglie..."
"Gretel ti darebbe ragione a prescindere. Non è un'opinione disinteressata, la sua.", alza un sopracciglio davanti alla mia proposta.
"Ma è un'esperta di marketing, no?"
In tutta risposta, Marco rotea gli occhi al cielo. L'officina, a quest'ora della sera, è vuota. Ci siamo solo noi, che ricordiamo i bei tempi andati.
Sparsi sul pavimento, ci sono gli attrezzi che ha ereditato dal nonno. Anche lui, che tanto mi prende in giro per il mio attaccamento agli oggetti, non ha mai pensato di rinnovare il suo equipaggiamento. In fondo, noi siamo i nostri ricordi. Per quanto sbiaditi e lontani, per quanto frammentati o rotti, per quanto antichi, sono loro che ci rendono umani.
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