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non dimenticare?


Anche allora, venne a mostrarsi l'alba: dal buio denso e compatto, figlio della notte, ed incarnato nelle sere senza luna, e nelle scure nubi determinate a coprire le stelle; come la lancia di un soldato, trafigge in un impeto di disperazione, la carne viva e sanguinolenta di un altro soldato suo pari; quella mattina, il Sole squarciò le deboli ed inesperte nubi della foschia; salì con forza verso l'alto, tingendo il cielo scuro del sangue rosato appartenente alla Dama del buio, e con la sua fulgida luce, irradiò il mondo degli umani; al fine di avvertirli della sua imminente ascesa al cielo.

Proprio al disotto di quella luce, correva come braccata da chissà quale entità; una gatta dal pelo fulvo e folto. Pareva corresse per salvarsi la vita, in cerca di un posto sicuro, in fuga dalla morte. Eppure era una creatura forte, quella, e lei sapeva di esserlo. Non correva infatti per la propria sicurezza, ma per quella della sua debole ed ingenua madre-uomo, che viveva in una grande tana, perfettamente incastrata, ed uguale esteriormente a tutte le altre immonde case-uomo lì attorno.

L'animale continuò ad avanzare a gran velocità: il vento gelido, quasi doloroso al contatto con il muso; la luce accecante di quel soldato vittorioso, e mille altre sensazioni simili, ignare al genere umano; vennero disintegrate, quando il puzzo del quartiere abitato penetrò nelle narici di lei: un qualcosa di immondo, innaturale, di finto... qualcosa che nulla aveva a che fare con l'odore degli altri animali. Era un fatto che da sempre, la disorientava, che infrangeva la legge dei territori; che rendeva difficile la libertà di movimento; che annullava ogni suo istinto... ma la confusione poteva avere fine. Ecco, la finestra della sua casa; era vicina, poteva raggiungerla, ed allora, le sue vertigini sarebbero sparite completamente. La gatta iniziò a correre per la propria, di salvezza; ignorò come poté un rombo di tuono assordante e maligno, che veniva da uno dei carri di ferro lì schierati; compì salti lunghi e veloci, e finalmente, giunse sul bordo della sua finestra aperta... puzzava anche lì. Poteva infatti convincersi quanto voleva, che quel posto avesse il suo odore e quello dei suoi cari; che quella fosse una tana, e che si trattasse di un posto meraviglioso; ma in fondo, il suo "nido", era e sarebbe sempre stata un'immonda, puzzolente e proibitiva casa-uomo.

-Buongiorno- la salutò una voce roca, ancora appestata dal sonno: il verso inconfondibile della sua madre-uomo. La salutava sempre così, storcendo la bocca all'insù, in un sorriso stordito e pacato. Pur conoscendone il volto, la gatta non aveva mai capito quale fosse il vero nome di quella creatura. L'aveva spesso sentita rispondere ad "Ehi" oppure a "Vieni" e questo le sembrava il nome più fedele; difatti a volte, la sua madre-uomo rispondeva anche a "Vieni Qui" oppure "Vieni che è pronto". Mentre la gatta scendeva miagolando, non poté trattenersi dal farsi una domanda; la stessa che si faceva da quando aveva memoria: si chiedeva di che sesso fosse la sua madre-uomo. Sì insomma, tutti gli animali hanno un sesso: maschi, femmine, ermafroditi; ma gli umani... parevano tutti uguali, o simili; in più con quel puzzo di chiuso che si portavano addosso, distinguerli era veramente impossibile.
Una volta scesa a terra, mentre si avvicinava al letto della madre-uomo; ne ammirava il volto, e come ogni mattina rimase colpita. Davvero non riusciva a capire... forse gli umani semplicemente non avevano un sesso; non erano veri esseri viventi, o cose così. Ah, ma la sua madre uomo poteva stare tranquilla; finché l'adorata figlia-gatto sarebbe stata al suo fianco, un minimo di natura l'avrebbe sempre raggiunta, e resa animale, anche se magari non lo era mai stata.

Proprio quando la fulva micetta stava per abbandonarsi ad un tumulto di carezze ed affetto; qualcosa, dall'alto del comodino, iniziò a vibrare. La madre-uomo senza indugio si voltò e lasciò perdere la gatta; la quale storcendo il naso, si rassegnò al fatto che la sua adorabile madre, in fondo, viveva nel suo mondo finto, ed aveva altre priorità... sicuramente più importanti di lei.

Dunque la madre-uomo, se così vogliamo chiamarla, guardò il telefono e vide che c'era un messaggio da un numero sconosciuto, che diceva solamente:"Ciao, hai bisogno di un amico?"

In quel preciso istante, qualcosa si ruppe, nello sguardo angelico dell'essere umano: in quel suo cervelletto, scattò un campanello d'allarme, che diceva:"Hey! Basta giocare, torna al mondo reale!" Ed ecco, in un secondo, la dolce e spensierata madre-uomo, si tramutò in "Alex", ed iniziò la sua giornata, accompagnata da un piccolo dubbio in quanto al messaggio misterioso.

Persino mentre camminava a passi veloci per il marciapiede, mentre l'aria gelida sferzava il volto, in maniera quasi dolorosa; ogni parte del suo cervello, era concentrata solo e soltanto sulla strana chat.
Il numero era di sicuro sconosciuto; la frase semplice, affatto aggressiva... forse si trattava di qualcuno che  aveva sbagliato numero; qualche amico che invece l'aveva cambiato; qualche nuovo compagno di classe... qual'era la foto profilo? Davvero non lo ricordava; sarebbe comunque stato importante? Forse... già, forse poteva guardare... no! Non era così grave, né tantomeno urgente; lasciarsi condizionare da un banale messaggio poi, sarebbe stato imbarazzante. Ma se davvero la faccenda era così banale, perché stava camminando a quel modo? Alex se ne rese conto tardi, ma stava procedendo a passo di marcia; a sguardo basso, e senza alcuna intenzione di rallentare. Era strano; ma d'altro canto, a che pro rallentare? E... a che pro voltarsi? Al solo pensiero, il suo istinto gridò di correre al doppio della velocità; sentiva come una presenza alle spalle... una presenza? Davvero? Su quella strada non si sarebbe spaventato un micetto appena nato...

Qualche attimo dopo, la presenza si spostò alla sua destra; ne sentiva i passi felpati, forse addirittura il respiro leggero... doveva voltarsi, doveva affrontare quell'idiozia.
Tutto quello che trovò, furono un miagolio allegro, una folta pelliccia rossa, ed i due occhi gialli della sua gatta. Alex sorrise -Che fai, mi segui? hai paura?-
Nessuna risposta in lingua umana.
-Tranquilla, ci sono io a proteggerti... mia cara-

"When I find myself in times of trouble, Mother Mary comes to me
Speaking words of wisdom, let it be"

Così cantava l'anonimo chitarrista, che ogni giorno Alex vedeva fuori dalla scuola: Pelle scura; rasta chiusi a coda bassa; dita affusolate e veloci, ed una paglietta biancastra e stropicciata in testa. Suonava di tutto, tutti i giorni, per chissà quante ore. Le uniche parole che non cantava, erano i "grazie" che scambiava con qualche moneta. Alex poteva giurare di non averlo mai visto negli occhi, tant'era grande la paglietta che portava. Non era nemmeno chiara la sua provenienza: cantava in decine di lingue, in maniera eccelsa ed ipnotica, con una pronuncia pressoché perfetta.

"Let it be, let it be, let it be, let it be.
Whisper words of wisdom, let it be"

Di solito, quell'uomo misterioso dal sorriso splendente, suscitava allegria e curiosità: donava agli studenti un motivetto da canticchiare in caso di noia; qualcosa da fare nell'attesa della campanella; compagnia per chi, marinando la scuola, aspettava l'autobus. Era un uomo silenzioso, eppure di estrema compagnia, gentile anche se riservato...

"And in my hour of darkness she is standing right in front of me.
Speaking words of wisdom, let it be"

Eppure Alex, quella mattina per la prima volta, trovò l'uomo sorridente terribilmente sospetto. Per quale motivo restava immobile? Per quanto tempo? Quel suo sorriso poi... più lo si guardava fisso, più diventava innaturale; ma non solo: l'intero corpo del chitarrista ondeggiava ripetutamente, in maniera ritmica e costante, quasi ipnotica. Andava a tempo? Forse anche il suo modo di andare a tempo era strano... "un, due, tre, quattro" sussurò Alex; no, non era giusto... "u-no du-e, u-no du-e". No, nemmeno così...

"And when the broken hearted people living in the world agree
There will be an answer, let it be"

A suo malgrado, Alex dovette rinunciare, vista la campanella della scuola. Mentre camminava, fissando l'inquietante figuro, iniziò a canticchiare:"Un, due, tre - un, due, tre" eccolo! Alla fin fine, un tempo ce l'aveva; era solo un normale chitarrista, certo un po' strano, ma nulla di che.

"For though they may be parted, there is still a chance that they will see"

Com'era stupido entrare in paranoia per una cosa così innocua...
Ecco, Alex passò accanto all'uomo.

"There will be an answer, let it... be"

Silenzio. Si trattò di un istante. Lui... aveva appena esitato; voltato la testa, e seguito con quel suo insopportabile sorriso Alex. Non l'aveva mia fatto: mai cambiato tempo; mai fissato uno studente; mai... mai uscito dalla parte. Eppure si era appena fermato, probabilmente aveva anche smesso di ondeggiare. Magari si trattava solo di un mal inteso; sarebbe bastato voltare lo sguardo, per scoprire... che so? Un ragazzo caduto come una pera cotta; un professore vestito in maniera strana, o chissà quanti altri eventi per cui qualcuno dovrebbe voltare lo sguardo. Alex però non fece nulla; perché se dall'altro lato, non vi fosse stato alcun professore eccentrico, ogni sua sicurezza avrebbe lasciato il posto alla paranoia.

Semplicemente avanzò; ma un ricordo quasi sbiadito, contribuì a triplicare la sua velocità: quel "ciao, hai bisogno di un amico?"

Anche allora, venne a mostrarsi il tramonto: la Luna, piccola e scaltra, colpì il Sole dritto al cuore, facendolo precipitare verso i confini del mondo; si mise poi a capo dell'esercito del firmamento, ed una ad una, chiamò le stelle. Quando tutte furono riunite, scese, dalla sua portantina di nubi e foschia, la Dama del buio.

E fu notte.

La gatta fulva viveva, nella notte. Ella esplorava, saltava, correva, sfidava altre gatte; assaporava il brivido della caccia, il gusto acre del sangue, e correva; correva come baraccata da chissà quale entità.

Nel mentre Alex pensava. Che ore erano? Tardi, troppo tardi; aveva dormito? Sì, no, forse... ripeteva in continuo di cessare il suo stato di dormi-veglia; ma non riusciva. Sentiva l'ansia, cadere pesante sul suo debole corpo... qual'era il motivo? Perché si sentiva così vulnerabile? Perché l'istinto gridava, con voce strozzata e sofferente, di nascondersi, come fosse un ratto di fogna azzoppato?  "Dio, perché?" Sussurrò, portando i palmi sulla fronte, in uno scatto disperato. "Perché, perché?" Iniziò a battere con forza; mentre i suoi occhi, si muovevano alla cieca, nel buio più completo. Già, era davvero tanto buio: non si vedeva ad un palmo dal naso, ed ogni singolo mobile, era sparito nel nero.

Ecco, il cellulare vibrò; s'illuminò e divenne un nuovo Sole incandescente, perforando il cupo ambiente.

"Un messaggio..." sussurò Alex; seguì la luce, ed afferrò l'apparecchio.

Un messaggio... da un numero sconosciuto... un momento; no! Non un numero sconosciuto, il numero sconosciuto! Un brivido attraversò l'oscurità, l'aria gelida, e la sua schiena.
L'intero boccone amaro, ingoiato e dimenticato; tornò in quel preciso istante, insieme ad un tremito, simile a quello di un anziano figuro prossimo al trapasso.

Non voleva vederlo... non aveva la forza di scorrere... eppure lo fece.
"Ehi! Hai bisogno di un amico?"

Digrignò i denti come un cane rabbioso: voleva rispondere; voleva farlo con tutta la rabbia che aveva in corpo; voleva scrivere:"Spiegati! Chi sei? Cosa vuoi?!" Oppure avrebbe voluto bloccarlo e continuare la sua vita; ma non lo fece.
"Non voglio nessun amico" disse invece nel buio, sottovoce, a denti stretti.
Rimase poi a fissare lo schermo, mentre lentamente, spegnendosi, sprofondava nel buio.

Silenzio; orribile silenzio, poi un tonfo improvviso.

Alex, passò in meno di un momento dall'ira al terrore: un terrore fulmineo, ed istintivo. Cos'era? Era caduto qualcosa? Luce, bisognava solo accendere una luce; ma le mani tremavano, il pulsante era introvabile, e qualsiasi cosa fosse penetrata nel buio, si stava avvicinando. Gli occhi si mossero, veloci e disperati; mentre alle orecchie arrivarono suoni trascinati, sordi, anonimi... luce; serviva luce.

Alex scese dal letto, invisibile come un'ombra. Luce; serviva luce. C'era qualcuno? I rumori leggeri continuavano... luce... luce... la finestra! Nel pieno della notte, non sarebbe cambiato poi tanto, ma forse un po'del chiar di luna, avrebbe aiutato. Bisognava avvicinarsi a passi felpati; sparire ed unirsi al nulla: se non riesci a vedere, almeno provi a sentire; Alex sentiva, ed anche l'estraneo nella stanza.

"Uno due, uno due" passi veloci ed attutiti dal buio; insieme  alle mani tese in avanti, che in pochi secondi, afferrarono il tessuto morbido e gelido della tenda. Luce...

La luce... dell'alba.
Nemmeno il tempo di metabolizzare. Un rumore acuto e stridulo, agghiacciante ed estraneo, lacerò i timpani di Alex. Bastava voltarsi; un gesto, e tutto sarebbe finito: avrebbe incontrato il suo destino, ed il mandante del messaggio...

Un movimento veloce, ed un altro di quei suoni striduli; due occhi dorati, ed un pelo dello stesso colore, lucente, ai raggi dell'aurora. -Buongiorno- parole stanche, automatiche, e prive di alcun significato; che uscivano dalla bocca di Alex, mentre qualcosa, dall'altra parte del muro, si muoveva.

Passo, passo.
Rumori sordi sul marciapiede
Passo, passo.
Il Sole, era stato scuoiato dalla nebbia: non ne restava nulla.
Passo, passo.
Le case... tutte dello stesso colore
Passo, passo.
Un verde rancido, orribile, fetido.
Passo, passo.
Tutte delle stesse dimensioni; perfettamente schierate come... come...
Passo, passo.
Come qualche sorta di riformatorio, sì, ma deserto.
Passo, passo.
Una città fantasma, ecco.
Passo, passo.
Che cosa snervante...
Passo, passo.
Nessuno in giro...
Passo, passo.
Nessun rumore, tranne...
Passo, passo.
L'irritante ticchettio della camminata.
Passo, passo.
Che posto lugubre.
Passo, passo.
...
Passo, passo.
Prima un messaggio all'alba, e poi il nulla?
Passo, passo.
Niente di niente?!
Passo, passo.
Cos'era? Una manovra speciale?
Passo, passo.

Passo, passo?
No.
Un attimo.
Silenzio.
C'era qualcosa?
Qualcuno?
Voltarsi in un secondo, senza esitazione; ecco la soluzione.

Alle spalle: una gatta dagli occhi gialli, il pelo folto e fulvo, ed una camminata da predatrice pronta al balzo.

Contatto visivo... gli occhi di lei, così pieni di... di... innocenza?

Alex si voltò.
Passo, passo.
Perché era sempre alle sue spalle?
Passo, passo.
Non aveva niente di meglio da fare?
Passo, passo.
Irritante...
Passo, passo.
Già si riusciva a sentire quella specie di chitarrista.
Passo, passo.
Che canzone era?
Passo, passo.
Qualcosa di allegro e disinvolto
Passo, passo.
Una musichetta orecchiabile
Passo, tacco.

Musica che si fermò nel preciso istante in cui Alex entrò nel cortile.
Il sorriso del chitarrista cambiò; forse si allargò in qualche modo, o forse assunse un tratto più magligno...
In quei pochi secondi di silenzio tombale ed improvviso, egli si tirò addosso gli sguardi sospettosi degli altri studenti.

Nulla di ciò li riguardava. Era una questione, una contesa, un incontro di sguardi; assolutamente privato.
Trenta metri li separavano.

Al primo passo di Alex, il chitarrista sorridente tornò a fare quella sua magia, con una canzone completamente diversa.

"Fai parte di un gregge che vive ignorando il domani"

Una canzone in italiano... era da tanto che non ne suonava una; che fosse un messaggio? Un modo per dire:"ascolta?"

E corri da un lato e dall'altro ad un cenno di cani

Alex tenne lo sguardo fisso sul volto dell'uomo: era inquietante, piatto, fermo su quell'unica espressione...

Il mito di un lupo mai visto ti ha fritto il cervello

Era lui il mandante dei messaggi, senza dubbio. Altrimenti perché tutto quell'interesse?

E corri perfino se il branco ti porta al macello

L'immagine profilo? L'aveva  vista? No... no! No! Ma... ma non era importante; non lo era. Messaggio o no, quell'uomo dal sorriso... malato, e gli occhi coperti, voleva lasciar intendere qualcosa.

E dormi nel centro del fiume che corre alla meta

Già, intendere qualcosa... ma che cosa? Forse... poteva rivelarsi davvero pericoloso.

E niente che possa turbare il tuo sonno di seta

Aveva dei piani? Qualche progetto perverso? Alex sentì un improvviso disagio cadere pesante  sulle spalle...

Qualcuno ti grida di aprire i tuoi occhi nebbiosi

Addirittura? Certo, era inquietante e sospetto, ma non sembrava uno stalker... però di sicuro, era il tipo di persona da rimanere immobile, ad osservare...

Ma tu preferisci annegare in giorni noiosi

Ma perché proprio quella canzone? Dal ritmo così dolce, eppure  dalle parole così... così inquisitorie...

Non senti che ti stanno chiamando con voce di tuono

Chiamando... chi? Si riferiva al messaggio? Lui stava "chiamando?"

E questa è una polvere grigia che cade sugli occhi dei figli dell'uomo.

Si fermò. Che... che finale era quello? Che voleva dire? Sicuramente, voleva comunicare qualcosa... ma... ma cosa?

Erano faccia a faccia.

Dopo attimi d'infinito silenzio, dalle labbra sottili dell'uomo, in un tono angelico, leggero, ed appena udibile; uscirono parole, parole senza alcun ritmo.

"Fa attenzione cucciolo d'uomo; attenzione, perché è attorno a te, che devi guardare".

Una frase inquietante, eppure calma; minatoria, ma delicata come il bacio di una madre; calda come un abbraccio, eppure... eppure bollente, e fetida; come il sangue acre, di un ratto non più zoppo, ma sbranato.

Alex non poteva lasciarlo andare; doveva sapere di più, doveva evitare, che il sorriso bianchissimo, inghiottisse la lingua biforcuta di quell'uomo.

"Tu..." provò a dire; ma le dita del chitarrista si erano già mosse, ed il suo accento angelico, era sparito.

Alex si rese conto di non aver più occasioni per parlare, e con la testa stra-piena di informazioni, si avviò verso la classe.

A che ora se ne andava, il chitarrista?
Durante la ricreazione, era lì;
Per chi usciva poco dopo mezzogiorno, non c'era più.

Pensava questo, nel buio della sua stanza. Già, aveva deciso di restare a luci spente, per non attirare l'attenzione di qualsiasi cosa potesse essere lì attorno.

Sì, c'era qualcosa; o meglio, qualcuno. Lui? Lui forse non c'era... ma... ma...

Qualcosa, doveva esserci.

Nel silenzio; nel baratro nero, omicida di ogni singolo suono, c'era qualcuno.

Incredibile... si stava fidando del consiglio di quello che era il suo stalker... perché lui ERA uno stalker.

Ma perché... non succedeva nulla? Perché quell' "intorno" a cui doveva prestare attenzione maniacale, non cambiava?
Si sentiva come un immondo ratto di fogna; prima azzoppato, poi sventrato, ed infine lasciato a marcire; con le interiora bollenti, al contatto con l'aria e lo sterco; lasciate alla mercé di mosche fecofaghe ed altri ratti rabbiosi. Infatti quando le di lui zampe ancora si muovono; il suo intero corpo si contrae dal dolore. Il chiasso assordante del silenzio, lacera e deturpa le sue orecchie; il naso viene violentato da odori vomitevoli, tra cui quello del suo stesso sangue... mentre un altro odore: quello della fogna, dello scarto del mondo; delle feci, delle carcasse di altri ratti suoi pari; si unisce allo stesso terrificante buio di quel buco asfissiante... terrificante... chiuso...

Come il topo, non vede e nemmeno sente cosa gli dilani le carni, e si cibi della sua anima; anche Alex, nel suo buco orribilmente silenzioso, ovattato e sterile; sentiva un bruciore di terrore, e di odio, e di sangue bollente.

Si aspettava che qualcosa uscisse allo scoperto, DOVEVA succedere qualcosa. doveva...

Il chitarrista... a mezzogiorno preciso, Alex l'aveva sentito sbattere la chitarra... aveva colpito qualcuno?
Aveva ucciso qualcuno? Aveva... aveva...

Un suono.
Un rumore dal davanzale; dalla tenda semiaperta: dall'unica via d'entrata aperta durante la notte.

Quello che vi vide fu agghiacciante: un animale dagli occhi gialli, spalancati e luminosi come quelli di un demonio, e dalla pupilla ridotta ad un ago da cucito; un corpo scarno, muscoloso, ricoperto da una pelliccia sporca e chiazzata di sangue... soprattutto sulla bocca; colava dai denti, quel miscuglio; probabilmente veniva dal cadavere di qualche ratto...

Ma non era lui.

Alex, con le occhiaie, e la mente frammentata, implose e collassò su di sé.
"Perché sei qui..." silenzio "Ogni fottuta MATTINA?!"
Afferrò un cuscino a due mani, e lo lanciò con tutta la forza che aveva, mancando però l'animale.
"Lo vedi? Sei forte abbastanza! Non hai bisogno della mia protezione, sei IRRITANTE!"
La gatta miagolò dolcemente, avvicinandosi.
"VATTENE!"
Alex stava per tirarle un calcio nelle costole, con tutta la violenza di questo mondo; ma si bloccò un attimo prima dell'impatto, grazie agli occhi di lei.
"No..." sussurò, con tono deluso, rauco e scavato.
"Me ne vado io...".

Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo. Passo, passo.

Passo, tacco.

Il cantante aveva visto Alex. Erano a nemmeno dieci metri di distanza. Alex non avrebbe mosso un dito, per tutta la mattina. Nemmeno. uno.

Il cantante sembrava averlo capito. Fermò la canzone gaia che stava suonando, e... e ne cominciò un'altra, con la stessa pronuncia perfetta.

"Eppure il vento soffia ancora. Spruzza l'acqua alle navi sulla prora. E sussurra canzoni tra le foglie, bacia i fiori, li bacia e non li coglie..."

E poi un'altra.
Già, perfetta, ma...

"[...]E così, conta l'emozione, nasce la mia canzone d'amore [...]".

E un'altra.
Ma quasi inespressiva...

"We all live in a yellow submarine... yellow submarine... yellow submarine..."

E un'altra.
Piatta, non interpretata.

"[...] Ti potranno dire che... non può esistere... niente che non si tocca o si conta o si compra perché [...]"

E un'altra.
Nemmeno un briciolo di sentimento.

"A modo mio, avrei bisogno di carezze anch'io; avrei bisogno di sognare anch'io; avrei bisogno di pregare Dio"

Con quel suo sorriso che copriva ogni singolo sentimento reale.

Però... ad un certo punto, si fermò.

Erano le 11:58.
Rimase immobile, con la chitarra abbassata per un minuto intero. Guardava avanti a sé, come fosse davanti ad una visione eterea.

Il suo sorriso candido, poi, svanì. L'uomo riprese in mano lo strumento, ed inizio a suonare veramente. Ci mise il doppio dell'energia e dell'impegno e... e si sentiva.
Fu poi il turno della voce... una meraviglia.

"Le mie gambe oramai... sono... stanche-eh vorrei... dare un po'... di sonno agli occhi miei..."

Cambiava il tempo, faceva pause, ed adattava quella sua vera voce: raschiante, bassa e stanca; al suono del suo strumento malandato.

"Scende l'oscurità... c'è... c'è una casa p-più il là"

Aspetta... stava succedendo qualcosa di strano: la voce cruda, e naturale, si stava incrinando.

"Il mio viaggio adesso... fi-nirà".

Eccome se si stava incrinando!

"È per... lei"

"Lei?" Su quella parola, la voce si distrusse completamente, ed una pennata sulle corde, alzò di molto la sonorità.

"Io vedo quella... ferrovia, che è fra i sassi... la mia via-ah.
Nel passato e nel presente coorre già".

Suonava con molta più violenza.
E cos'era... quel riflesso luccicante che gli copriva le guance?

"E vanno indietro gli anni miei"

Smise di fare errori... quelle... erano lacrime?

"E si fermano coon lei"

Sì... lo erano, e lui stava rallentando.

"Che la mente mia non ha lasciato... mai"

Finì con un ultima pennata, posò la chitarra a terra, con un tonfo sonoro, e cadde di conseguenza, appoggiando la testa alla paletta. Continuò quel suo pianto straziante e soffocato.

Alex rimase con gli occhi spalancati, per tutto il tempo...

Iniziò ad avvicinarsi.

Il rumore del giorno prima... era sempre per quella canzone?

Passo dopo passo.

Lo faceva tutti i giorni?

Passo dopo passo.

Con la stessa sofferenza? Le stesse lacrime? La stessa voce?

Passo, tacco.

Perché la frase? Era lui a mandare i messaggi?

Alex si sedette accanto all'uomo in lacrime.
Questo alzò lo sguardo, rivelando due occhi ambrati, quasi gialli.

Ci fu un silenzio meraviglioso e consolatorio per entrambi.

"Cucciolo d'uomo" disse poi lui. "Cos'è che ti fa così tanta paura?"

Alex guardò il cielo, guardò il sole, uscire dalle nubi e disse:"Non ne ho la più pallida idea".














Fine.

Sì, mi piace. È uscito piuttosto bene, non trovi?
Come scrittore non posso che ritenermi soddisfatto.

Tu che ne dici, manca qualcosa? Sì, lo so, ho lasciato spazio all'immaginazione... allora, lasciami chiarire, solo un attimo. Poi mi dirai per bene cosa pensi, amico mio.

Sai, Alex esiste; ma oramai, non ce n'è più solo uno/a
Certo, una è nata chissà quanti anni fa, ed ha una famiglia; mentre l'altro/a ha visto la luce... qualche giorno fa, e non ha nulla: non un aspetto, non un sesso, non una famiglia, una casa, qualche amicizia, niente! Tranne che una gatta, ed una camera da letto.

Notato? Alex non ce l'ha, un sesso; devi darglielo tu, e poi glielo darà un futuro lettore. Non male per essere l'idea mia eh?

Tu come l'hai immaginata, la figura di Alex?
No perché, sono riuscito a creare questa contrapposizione, tra la gatta (che vede Alex come sua magna mater, ergo, come figura femminile) e la visione propria di Alex, che non ha mai menzionato alcun tipo d'identità... non puoi capire la fatica!

E non è stata la parte più difficile! Sai, questo dovrebbe essere un horror. "Un horror?" Chiederai; sì. Un horror basato solo e soltanto su una persona... "Ma una persona da sola, che non ha mai fatto nulla di male, non ha problemi" dirai...

Ma ti sbagli. Proprio la mancanza di qualcosa, di un obbiettivo,  tende a far entrare le persone in depressione... ed Alex, beh, Alex ha afferrato un microscopico squilibrio, ha fatto di tutto per ingigantirlo, e ci si e gettat... gettato/a dentro a capofitto senza pensarci troppo. Tutto perché la sua vita era vuota. Alla fin fine, questo è un horror, finché lo consideri come tale! Si può dire così?

Però... povero/a Alex... certo che gli/le ho regalato proprio una vita triste... forse avrei dovuto ucciderlo/a... ma no, a quello ci penserai tu, e quelli dopo di te.

Come? Non capisci?

Pensaci su:
Un personaggio di un libro, o comunque di fantasia, esiste. Esiste su carta, e vive in chi lo ricorda. Quando un personaggio viene dimenticato, muore.

E non esiste una mente in comune: ognuno, da un nome crea un'immagine diversa; ogni immagine diversa ha vita propria, singola, e viene uccisa ogni volta che qualcuno la dimentica.

Bello fare il lettore adesso? Ti porti sulla coscienza chissà quante anime, che tu stesso hai fatto nascere...

È per questo, che Alex non ha nessuno: così, quando tu dimenticherai, morirà meno gent- porca vacca!
No... ho creato anche degli ipotetici compagni di classe... te ne sei già scordato vero?

Ecco... eppure credevo di poter salvare delle vite...

Sai, avrei potuto far morire la gatta... con quel calcio... ma io... io non me la sono sentita, ecco. Perché... perché lei rappresentava la natura, che va sempre avanti, e se ne frega degli uomini... però alla fin fine ho solo valutato:
Sarebbe potuta morire lì, per mano mia, oppure sarebbe stata uccisa decine di volte... ma in me sarebbe rimasta viva.

Oh ma a te che importa, parliamo del messaggio! Chi l'ha mandato? È stato il chitarrista? Oppure qualche altro losco figuro?

Boh. E chi lo sa? Come se un messaggio del genere fosse importante. Certo, dal messaggio è partito un polverone ma ehi! È così che siamo fatti, dico bene?

E mentre il polverone si alzava; la gatta viveva, la Terra girava, ed il Sole e la Luna combattevano.

Credo che lo pubblicherò, questo libro. Potrebbe diventare niente male...













E così, l'allegro scrittore riprese la sua piccola opera, e la lasciò sulla scrivania, pronto a continuare la sua vita.































"Ehi... aspetta... cos'era quello?"

"E... e queste?"

"Queste cosa sono? Virgolette?!"

L'uomo rimase allibito, sentiva come una strana sensazione.

"Aspetta, aspetta, aspetta! Che stai facendo?"

Parlava al vento, lui, senza un vero e propio soggetto.

"Ma non tu, imbecille! TU! Che... mi stai... mi stai descrivendo?!"

Delirava, il poverino.

"Io sono... io sono finto?"

Silenzio.

"No! NO! Io... io ho un nome! E... e..."

Non aveva nulla. Era solo un povero vecchio pazzo.

"Fottiti! Non... non è vero niente!"

Giusto, non era vero nulla.

"Ragazzo, almeno tu! Aiutami... no...
aspetta... tu... tu sei un lettore, dico bene?"

...

"Se sei un lettore, ti prego... TI SCONGIURO RICORDAMI!".

l'uomo delirante si mise in ginocchio

"DAMMI UN NOME, SE DEVI; SCRIVI DI ME; RICORDATI DELLA MIA OPERA... ma ti prego..."

Lacrime iniziarono a scendere dalle guance dell'uomo senza nome.

"Non uccidermi..."

Poi, fu calma piatta.

"Ora che ci penso però... visto che qui, ove mi presento, non sono nessuno; tu puoi inserirmi nella storia: trasforma un personaggio interno, nel narratore... se vuoi...
Dunque dimmi, ora chi sono io?"

Disse infine l [...] dagli occhi tendenti al giallo.







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...

Scusate per il disagio.
Non credevo sarebbe finita così.

Non vi obbligo a fare nulla;
dimenticare? Non dimenticare? Dipende da voi... io... io ricorderò finché posso.

Canzoni:
Let it be     Beatles
Il centro del fiume P. Bertoli
Eppure soffia   P.Bertoli
Un altra P.Bertoli
Ci sono anch'io 883
Piazza grande Lucio Dalla
Tutto a posto Nomadi

Concorso by LiveForWriteAndDance

Scusate, è davvero troppo lungo. Spero vada bene.

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