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SECONDA PROVA: BELLE EPOQUE (24/7/17)

Anche quell'anno, a New York, era arrivata la primavera.
Fra i viali, gli alberi fioriti coloravano i marciapiedi di petali color pastello, liberando nell'aria piccoli batuffoli di polline. Le botteghe e i grandi negozi del centro erano addobbati di fiori freschi, che rendevano tutta la città un profumatissimo pot-pourri. Central Park, poi, era divino: con i ciliegi in fiore, i cigni che nuotavano placidi nei laghetti e i prati punteggiati di margherite sembrava di entrare in una fiaba.
Quest'aura primaverile aveva fatto effetto anche sui newyorkesi: i cittadini, di solito scontrosi e di fretta, passeggiavano senza alcuna preoccupazione al mondo. Tutti erano felici... Tranne me.

Non fraintendetemi, adoravo i colori e i fiori della città. Se solo fossi riuscita a sgattaiolare fuori dall'attico di mio padre avrei passato ore ed ore a leggere, su una panchina di Central Park o sulla riva di un laghetto. Ancora meglio: quanto avrei voluto avere una bella casa in campagna, senza i fastidiosi rumori della città! Purtroppo non era destino. Una ragazza dell'alta borghesia, a quanto pare, aveva dei doveri (terribilmente noiosi). Uno di questi era il principale motivo per cui odiavo la primavera newyorkese: i "salottini di seta".
Cos'era un salottino di seta? Semplice: quando i ricchi uomini dei piani alti si ritrovavano -per leggere il giornale, prendere un caffè o fare qualsiasi altra cosa da adulti- le loro figlie si sedevano insieme per fare esattamente le stesse cose, solo approvate per ragazzine. Insieme prendevamo il the, spettegolavamo, mangiavamo biscotti... la definizione di "tedioso", insomma. Né a me né a mio padre piacevano questi momenti, ma non potevamo fare altrimenti...
Oggi era uno di quei giorni. Mentre mio padre, l'illustre giudice Anthony Leroix, discuteva di politica con i suoi compagni, io, Sylvia Leroix, ero costretta a sorbirmi le chiacchiere delle loro figlie.
-Avete sentito l'ultima notizia? Il Titanic è salpato!- Disse Drew Tanaka con voce graziosamente concitata. -Presto arriverà a New York, e io sarò in prima fila con mio padre. Sapete, no, lui era uno degli ingegneri...-
Un coro di "oooh" si levò dalle ragazze. Io rimasi in silenzio, limitandomi a un'espressione di finta ammirazione. Drew era la figlia di uno dei pochi immigrati giapponesi ad aver avuto successo: come lei stessa si premurava sempre di far sapere, era riuscito ad essere uno degli ingegneri capo della "nave inaffondabile". Di conseguenza, tutte le sue amiche pendevano dalle sue labbra. Io invece non ero abbastanza concentrata per darle retta: il mio stupido vestito non mi faceva quasi respirare. Se fosse dipeso da me avrei scelto qualcosa di molto più sobrio, ma, come diceva il nome dell'evento, ero stata costretta a mettermi uno sfarzoso vestito di seta verde. Che odio! Inoltre, ero incuriosita dalla nuova arrivata del gruppo... Annabeth Chase, figlia di un noto professore. Fra tutte lei era quella che spiccava di più, ma non perché fosse stravagante: erano il suo semplice vestito bianco, i suoi occhi tempestosi e la sua serietà a catturare l'occhio. Fra uno stormo di oche lei era un placido gatto, apparentemente rilassato ma pronto a scattare in qualsiasi momento. Alla sua presenza mi impegnai il doppio per distinguermi dalle lecchine di Drew: volevo farle capire che non ero l'ennesimo pennuto.
Charlotte, una delle amiche più strette di Drew, assunse un'aria sconsolata. -Purtroppo io non potrò esserci all'arrivo del Titanic. Mia madre ha deciso di portarmi ai magazzini Macy's per riarredare la mia camera-
-Anch'io sarò da Macy's! Per il mio compleanno mia madre mi ha promesso un'intero guardaroba nuovo!- Esclamò Chastity, la più oca di tutte.
-Secondo me la città è soffocante in questo periodo... per questo partirò presto per il Vermont con i miei. L'unico problema è che quei due sono così all'antica!- Si lamentò Charlene. Un sacco di Cha-qualcosa, insomma.
-Ragazze!- Esclamò Drew all'improvviso, zittendole. Sulla sua faccia apparve un ghigno poco rassicurante. -Suvvia, smettetela di vantarvi! Ricordatevi che non tutte qui possono programmare attività con i genitori...-
L'intero gruppo si voltò a squadrarmi. Certo, ero l'unica senza madre. -Papà ha detto che cercherà di portarmi fuori città il più possibile- Lo dissi con tono calmo, ma in realtà mi stavo innervosendo. Ogni singola volta finiva nello stesso modo.
-Fuori città? Dove, di preciso?- Chiese Chastity con un sorriso civettuolo.
-Pensavi agli Stati Uniti o ad un posto più esotico?- La seguì Charlotte.
-Esotico come... l'Africa?- Buttò giù Charlene, facendo scoppiare le sue amiche a ridacchiare.
Strinsi la tazza più forte. Non crescono mai. Quella battuta mi si era attaccata addosso come una piovra. Tutto questo per cosa? Solo per una voce infondata che dichiarava che mia madre, la donna che mi aveva abbandonata, era in realtà un'ex-schiava nera. La mia pelle color caramello, poi, non facilitava la situazione. La schiavitù è stata abolita, i neri sono persone libere e del tutto uguali ai bianchi, perché continuate a dirlo come se fosse un insulto? Avrei voluto urlare. Di nuovo, non mi era permesso...
Sorprendentemente, fu Annabeth a correre in mio aiuto. -Non ci trovo nulla di divertente- Disse, con voce fredda.
Le ragazze smisero subito di ridere. -Ma... Sai, tornerebbe nel paese di sua madre- Spiegò Charlene, con una punta di insicurezza nella voce.
-Non l'ho mai conosciuta, come faccio a sapere da che paese viene?- Ribattei con riacquistata sicurezza.
-Ma... guardati! È logico- Disse Charlotte. Sembrava titubante.
-Neanche io ho mai conosciuto mia madre, e nulla è logico. Comunque, e se anche fosse?- Chiese Annabeth, con quella sua serietà sconcertante.
Drew strinse gli occhi a due fessure. -Allora lei sarebbe mulatta-
-Cambierebbe qualcosa?-
-Certo! Non sarebbe americana!-
-Se non sbaglio, neanche tuo padre lo è.-
-Io... È diverso-
-Diverso? Scientificamente, Drew, siamo tutti esseri umani-
-E tu che ne sai di scienza?-
-Molto più di te, sulla scienza come su tutto il resto.-
Avevo seguito lo scontro come se fosse una partita di tennis, e a giudicare dal rossore sulle guancie di Drew, Annabeth aveva vinto. Le sorrisi, e lei fece lo stesso.

Poco dopo, quando il salottino di seta finì, Annabeth Chase mi prese da parte. -Davvero vi divertite con questa roba?- Mi chiese con fare amichevole.
-Io in realtà non ho mai neanche sorriso a una distanza minima di dieci metri da Drew. Beh, fino ad oggi-
La bionda sorrise. -Come pensavo. Senti, che ne dici di conoscere persone davvero divertenti? Sarò con dei miei amici a Brooklyn, stasera, e mi piacerebbe se tu mi accompagnassi.-
Esitai. -Brooklyn? Non saprei... non è un buon quartiere, da quanto mi risulta...-
Annabeth sorrise. -Tranquilla, i miei amici non sono delinquenti o roba simile. A essere sinceri, vengono tutti da Long Island-
Mi strinsi le spalle. -Non ci vedo nulla di sbagliato! Di sicuro mio padre acconsentirà- Confermai. Ancora non sapevo a cosa andavo incontro...
-Perfetto! Ci vediamo alle otto, allora- Mi congedò Annabeth.

Prima dell'arrivo del serpente a due teste, la serata stava andando alla grande.
Ero riuscita a convincere mio padre dicendo che stavo andando a un raduno scolastico, e sorprendentemente ci aveva creduto. Se solo avessi notato gli occhi gialli dell'uomo, mi sarei risparmiata un sacco di problemi. Invece, alle otto in punto, mi veci trovare nel luogo d'incontro che mi aveva descritto Annabeth. Come aveva detto, era accompagnata da due suoi amici: il primo, Percy Jackson, che era anche il suo fidanzato, emanava una gradevole fragranza marina, dando l'aria di essere appena arrivato dalla spiaggia; il secondo, Grover Underwood, a differenza dei suoi due amici sembrava uscito da un libro di Charles Dickens; camminava con le stampelle, ma non sembrava essere turbato dalla cosa.
Mi pareva quasi di sentire le voci scandalizzate di Drew e le sue amichette nel vedere me e Annabeth in compagnia di due maschi. Per me potevano anche andare al diavolo.
-Tu devi essere Sylvia- Mi salutò Grover con un sorriso. -Abbiamo sentito parlare di te.-
-Da Annabeth?- Chiesi, ricambiando il sorriso.
I tre si guardarono con fare cospiratorio. Dopo qualche secondo Percy rispose:-Diciamo di sì-
Strano? Eccome, ma non m'importava. In quel momento avevo un disperato bisogno di svagarmi.
Ci sedemmo in un caffè ancora aperto sul ciglio della strada. Mi piaceva: era colmo di vasi di rose di tutti i colori. Più parlavo con quei tre e più mi piacevano! Grover aveva un amore per la natura che condividevo, e Percy era una miniera d'oro di battute. Annabeth, che si era un po' lasciata andare, raccontava un sacco di aneddoti fantastici sulla loro vacanza a Long Island (o qualcosa di simile).
Sospirai. -Se potessi mi piacerebbe un sacco andarmene dalla città... Ma non credo sia possibile- Dissi.
Grover lanciò un'occhiata ad Annabeth, che annuì. Mi guardò intensamente e disse, con fare misterioso: -Sai, in effetti c'è una possibilità che tu venga a Long Island con noi...-
Incuriosita, mi sporsi per sentire meglio, ma Percy alzò una mano per zittirci. Sembrava irritato. Ci furono dei forti rumori in un vicolo e il ragazzo imprecò così male da farmi arrossire. -Per una volta credevo che ce l'avremmo fatta!- Ringhiò.
-A... Fare cosa?- Chiesi. Si girarono tutti e tre a fissarmi stupiti, come se si fossero appena accorti della mia presenza. -Sylvia, puoi scusarci un attimo? Dobbiamo... Fare una cosa... In un posto- Con queste parole Grover, Annabeth e Percy si alzarono dal nostro tavolino e corsero nel vicolo da cui era arrivato il rumore.
Ero esterrefatta, ma rimasi lo stesso ad aspettarli. Come avevo detto, mi sembravano simpatici, e non avevo intenzione di farmi scappare dei potenziali amici senza la puzza sotto il naso. Dopo una decina di minuti, però, cominciò ad agitarsi sulla sedia. Stentava a credere che l'avessero piantata in asso in quel modo, eppure...
-Io li seguo- Mi decisi ad alta voce. Mi alzai, notando che il viale era deserto: per un venerdì sera non era affatto normale. Girai l'angolo, coperto di rose rampicanti, e per poco non mi cedettero le gambe.
Davanti a me c'erano Percy, Annabeth, e Grover, coperti di graffi e polvere. I primi due erano armati di spade e pugnali -c'era ancora chi li usava?- mentre il terzo... Numi del cielo! Al posto delle gambe aveva due zampe caprine, e in testa gli spuntavano due piccole corna. Aveva in mano un flauto di pan, e sembrava intenzionato ad usarlo come arma mortale.
Annabeth mi vide e sbarrò gli occhi. -Vattene subito, Sylvia!- Mi urlò.
Più confusa che mai guardai il fondo del vicolo, e stavolta sì che caddi in ginocchio. A quanto pare, i miei tre compagni stavano combattendo delle bestie enormi, simili a cani ma molto più spaventosi, che sembravano usciti direttamente dagli inferi. Avevano le zanne sporche di sangue, e non osai immaginare a chi apparteneva. Tentai di alzarmi, ma le mie gambe non me lo permisero. -Cosa diamine sono quei cosi?!- Gridai con voce rotta.
Percy tirò un affondo verso le bestie e arretrò verso di me. -Sono segugi infernali, animaletti non proprio simpatici. Alcuni di loro non sono male, ma questi... Sembrano scappati direttamente dal palazzo di Ade- Mi spiegò il ragazzo.
-Il palazzo di Ade?- Chiesi. Perché voleva fare metafore con divinità inventate proprio mentre cercava di salvarsi la vita?
Annabeth e Grover partirono all'attacco, ma Percy esitò e rimase con me ancora un secondo. -Doveva essere Grover a dirtelo, ma date le circostanze... Sylvia, tu sei una semidea-
Credetti di non aver sentito bene (perfettamente possibile, visto che Annabeth aveva appena rovesciato i secchioni della spazzatura con un sonoro CLANG!). -Sono una cosa?-
-Una semidea, anche chiamata mezzosangue. Tua madre...-
-Altolà- Ringhiai. Non ci stavo capendo un accidente di tutta questa storia, ma le parole "mezzosangue" e "madre" nella stessa frase mi erano familiari. -Se stai per fare un qualsiasi commento razzista giuro che...-
Percy mi prese l'avambraccio e mi tirò in piedi. -Ma no, cos'hai capito! Sei una mezzosangue perche tua madre è una dea, una dea dell'Olimpo-
La testa mi cominciò a girare. -È uno scherzo?- Chiesi, frastornata.
Percy indicò i suoi amici che combattevano contro i segugi infernali. -Ti sembra finzione, questa?- Fece un respiro profondo, e continuò più gentilmente. -So che non è un'informazione semplice da digerire, ma è la verità. Cercherò di andare sul semplice. Gli Dei greci esistono ancora, e sono qui negli Stati Uniti. Ogni tanto hanno delle relazioni con i mortali, e così nasciamo noi: io sono figlio di Poseidone e Annabeth è una figlia di Atena. I satiri come Grover sono incaricati di rintracciarci e di portarci in un luogo sicuro, dove non dobbiamo avere paura dei mostri: il Campo Mezzosangue. È da un po' che ti teniamo d'occhio, e sappiamo che sei una di noi. Dovevamo parlartene stasera, ma... C'è stato un contrattempo. Sylvia, ti prego, accetta di venire subito con noi: ormai hai tredici anni, i mostri ti rintracciano troppo facilmente!-
Cercai di metabolizzare il tutto. Dentro di me sentivo crescere un'emozione strana, un misto di rabbia, paura e sorprendentemente sicurezza. Drizzai la schiena, con lo sguardo fisso sui segugi infernali: quei... Cosi, erano la prova che tutte le parole folli di Percy potevano essere fondate. Era inaccettabile. Dopo tutti quegli anni ero venuta a sapere le mie vere origini da dei ragazzi appena conosciuti, e non dai miei genitori... Anzi, magari papà neanche sapeva di tutta questa storia. Come aveva potuto, la mia madre divinamente imbecille, dimenticarmi? Non aveva sentito nessuna delle mie suppliche? O aveva semplicemente deciso di ignorarle?
Con l'idea che mia madre fosse in fuga, forse addirittura morta, mi ero messa abbastanza l'anima in pace. Ora, invece, sapevo che la signora in questione era addirittura immortale! Avrebbe potuto aiutare me e papà, trasferirsi con noi in una casa in campagna...
Gli odori della natura mi assalirono come una tempesta: il sottobosco dopo la pioggia, il grano appena colto, l'erba fresca, i fiori nei prati... Mi infusero una calma innaturale, e tutto cominciò a rallentare. All'improvviso percepivo distintamente ogni singola rosa attorno a me. In un certo senso, era come essere la maestra in cattedra davanti a una classe di bambini ubbidienti. Il mio istinto mi diceva di fare una cosa impossibile, ma d'altronde c'era ancora qualcosa da definirsi tale dopo la scoperta dell'esistenza degli Dei?
Tesi il braccio verso la pianta più vicina: si mosse, ma non con un fruscio. Crebbe letteralmente verso di me, facendo spuntare nuovi steli e nuove foglie. Era stupefacente, ma i mostri non se ne sarebbero andati solo per questo.
Quasi inconsapevolmente attaccai.
Spostai la mano in direzione delle bestie, e le rose la seguirono sotto forma di massa vegetale piena di spine. Si abbatté con forza sui segugi infernali, e a sentire i loro guaiti provai pena per loro. Annabeth e Grover, un po' ammaccati ma sani e salvi, indietreggiarono fino ad arrivare al mio fianco. Continuai a tenere la mano tesa, e le rose vorticavano fra i canidi. Alla fine le mie piante si diradarono, lasciando a terra solo un sottile strato di polvere rossa.
Sorrisi verso i miei tre amici, poi caddi in ginocchio per la seconda volta. Nella mia mente urlavo "cosa ho appena fatto?!", ma non sapevo se con tono estasiato o impaurito.
Annabeth mi mise una mano sulla spalla destra. -C'era un motivo per cui ti tenevamo tanto d'occhio. Sei una semidea potente- Mi disse con voce gentile.
Dall'altro lato, Grover mi guardava speranzoso. -Accetterai di venire al Campo Mezzosangue con noi? Lì potrai vivere al sicuro, insieme agli altri figli di tua madre...- Propose con un sorriso.
Li guardai tutti negli occhi. New York era la mia casa, e volevo bene a mio padre... Ma come potevo rinunciare a un'opportunità del genere? In più, se avessi partecipato a un altro salottino credo che sarei esplosa.
-Accetto- Decretai.
Percy mi aiutò di nuovo a rialzarmi. -Allora benvenuta, Sylvia Lacroix, figlia di Demetra-

Angolo Autrice
Spero che non ci sia un limite di parole, altrimenti credo di averlo superato alla grande!

SevLilyPeeta_03
piccolaGranger

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