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Quinta prova

Le giornate estive sono sempre noiose, qui nel deserto, così calde e opprimenti... Non opprimenti per me, non pensiate: io non mi opprimo mai! Sono gli altri animali a farlo, e così mi ritrovo praticamente da solo ad annoiarmi. E io non posso permettermelo.

Morirò entro l'anno, è scritto nel mio DNA, e non ho visto niente al di fuori di questa sabbia e, raramente, qualche oasi.

Il punto forte di noi scotteri è che possiamo sopravvivere dovunque (anche se prediligiamo i climi caldi). Il punto debole è la data di scadenza: un anno.

Abbiamo soltanto dodici mesi di tempo per vivere e riprodurci, per sperimentare ciò che gli altri fanno magari in decenni.

I miei genitori sono morti pochi giorni dopo la mia nascita e nemmeno mi ricordo più come erano fatti, se avessero le ali di un tenue rosato, o la coda nera come pece il cui pungiglione acuminato produce un veleno in grado di immobilizzare un orso in pochi secondi (lo so per esperienza diretta, l'unica che possa avere).

Continuo a zampettare lasciando una traccia di impronte piccole e rotonde, che procedono a zig-zag. Mi trascino dietro le ali chiare e mi chiedo a cosa servano, visto che non ho ancora mai volato. Nessuno degli uccelli che ho incontrato finora mi ha voluto insegnare. Se sapessi volare, oh, allora potrei visitare luoghi lontani da qui, vedere il mare di cui parlano gli altri mentre origlio le loro conversazioni, nascosto sotto alla sabbia, nelle ore più cocenti.

Il sole sta calando, e tra un po' verrà il freddo. Questo è il mio momento preferito in tutta la giornata: la sabbia scotta ancora per via della calura diurna (le mie zampe sono ormai abituate, non preoccupatevi), mentre l'aria di fa fresca e, talvolta, un venticello leggero mi scompiglia le piume.

Oggi è una di quelle sere ventose, anche se oggi l'aria ha un odore particolare che non ho mai sentito, anche se mi è vagamente famigliare. Mi ricorda, anche se poco, quello delle oasi. Mi dirigo controvento, e continuo a camminare finché mi reggono le gambe. È tutta la vita che cerco di uscire dal deserto, e finalmente ho una traccia vera e propria, anche se flebile.

Quando arrivo alla fonte di quell'odore è ormai l'alba. Sul mio dorso si sono formate curiose goccioline di acqua, e sono sicuro non sia sudore perché noi scotteri non sudiamo. L'aria del deserto è secca, mentre qui mi sembra di sentire tracce di acqua respirando. È una sensazione strana, ma non mi da fastidio.

Mi riposo qualche ora e riparto. L'aria, ora, è meno respirabile. Mi sembra di essere sott'acqua (per noi nemmeno quello è un problema. Sorprendente, vero? Se vivessimo più a lungo avremmo già conquistato il mondo...)

I miei piedi hanno abbandonato da un po' la sabbia e camminano su uno strato di roccia duro come... Beh, come roccia. Cominciano a farmi male le zampe, ora.

Davanti a me la roccia finisce e ciò che vedo mi fa dimenticare tutta la fatica.

Una distesa blu, più blu persino del cielo notturno a cui sono abituato. Delle onde alte quanto un cammello o due increspano le rocce in fondo al precipizio. Mi viene la pelle d'oca: vorrei poter saltare, sento di averne bisogno. Però non posso.

Il cielo è grigio, non come nel deserto dove al massimo passava una nuvoletta bianca ogni tanto. In lontananza vedo delle luci che mi accecano quasi, per pochi secondi. Non ho il tempo di riaprire gli occhi che sento il rombo dei tuoni. Lo conosco, perché anche nel deserto ci sono le tempeste, con tanto di fulmini, anche se non piove. Indovinate un po' cosa cade? Sabbia, tanto per cambiare...

Il mare, perché non potrebbe essere nient'altro di così bello e inquietante, si agita. Sembra quasi essere vivo, e arrabbiato. È lo stesso bellissimo.

Mi sporgo un po' per vedere meglio le onde infrangersi e creare della schiuma bianca (chissà perchè fa schiuma? I laghetti nelle oasi non ne avevano!), e perdo il contatto con il terreno.

Queste rocce si frantumano facilmente.

Provo ad aggrapparmi alla parete, anche con la coda, ma fallisco e mentre accelero nella mia caduta verso il grembo di quel gigante arrabbiato che tanto ammiro faccio l'unica cosa che mi viene in mente: apro le ali.

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