Capitolo sei
Mia madre è stata portata via una mattina, sul presto. Non so esattamente quale giorno fosse. So che non è l'unica a essere morta di tifo lungo la strada.
Mamma è sempre stata gracile, più di me. Non ha retto alla morte di mio padre e al sequestro del mio pianoforte e alla sua riduzione in legna da ardere. Non ha retto al crollo delle sue uniche certezze. Vorrei che avesse avuto le mie, di certezze: il fatto che non smetterò mai di suonare e Otabek, che mi ha promesso che non sarebbe morto in guerra.
Il resto della storia è stata una minestra di patate bollite una volta al giorno ma solo dopo che avevo lavorato: trasportato sacchi di carbone, impastato cemento, saccheggiato le case dei nobili - questo me lo facevano fare con un sottile piacere, come se volessero punirmi due volte: perché ero un nobile e perché, fondamentalmente, continuavo ad esserlo.
Non era tutto. Lo vedevo da come mi osservavano, specialmente uno che caricava con me i sacchi sui carri. L'avevo visto seguirmi fino a casa - il sottoscala che era diventato la mia casa. Al piano nobile ci vivevano infatti le famiglie numerose.
Lo aspettavo al varco.
Se ero stato capace di osservare i resti del mio pianoforte crepitare nel fuoco, allora non mi avrebbe spaventato più nulla.
E poi c'era Otabek. Tutte le volte che mi prendeva l'angoscia ripensavo al suo abbraccio la notte in cui aveva dormito da noi, nella stanza di servizio proprio accanto a quello che era diventato il mio sgabuzzino. Ero ubriaco e disperato e lui mi ha stretto forte invece di mandarmi via a calci. Il suo cuore galoppava, il mio anche. Le mie mani affondavano nella stoffa della sua camicia ruvida, avrei voluto bucarla e affondare nella sua pelle, attaccarmi a lui come l'edera ma mi ha mandato via.
Solo lui può toccarmi. Era a lui che pensavo quando mi hanno preso, una notte e mi hanno legato mani e piedi e portato in una specie di capanna dietro il cementificio. Cancellavo tutto il resto e mi aggrappavo a lui. Ho resistito agli insulti e alle botte, ho resistito come un buon soldato. E quando sono tornato indietro, quasi carponi, non mi hanno fatto entrare e mi hanno buttato fuori da casa mia perché mi ero rifiutato di cedere. Con due stracci addosso, al freddo, sono andato a dormire nel cementificio.
Ero sempre con lui.
Chissà dov'è in questo momento. Chissà che cosa si è raccontato per convincersi a non cercarmi. Se non lo fa, è perché è sempre dell'idea che sia la cosa migliore per me. Vorrei convincerlo invece del contrario, vorrei fargli ascoltare il nuovo arrangiamento di quel brano che lo ha fatto piangere, spiegargli che se Agape si è trasformato in qualcos'altro è solo grazie a lui.
Scriverò a Komarovsky e mi farò aiutare. Gli regalerò i due cubani di Zia Ekaterina.
"Yuri, tesoro! Sono arrivati tanti telegrammi per te!"
Zia Ekaterina è seduta sul piccolo canapé accanto al camino. Il gatto le si struscia intorno. Yuri invece è in piedi davanti alla finestra. La osserva. Ha in grembo una grande quantità di biglietti, cartoline, congratulazioni, inviti.
"Vengono da tutto il Paese, anche dalla Russia. Sono così felice per te!..."
"Vi ringrazio, zia."
"Intorno ai tuoi concerti si stanno raccogliendo tanti nostri connazionali, grazie alla tua musica scrivono di sentire meno la nostalgia per quanto hanno dovuto lasciare indietro."
Ekaterina affonda le mani nelle buste e lo guarda con gli occhi pieni di orgoglio.
"Non vedo l'ora che arrivi il giorno del concerto alla Carnegie Hall! Quanto manca? Due settimane? Ma lo sai che i Nussbaum hanno un palco privato in una posizione meravigliosa? Mi hanno invitata!... Yuri, a questo proposito ... Dafna è una ragazza così dolce, elegante..."
No, non ci sono preamboli che tengano, né premesse da fare. È difficile e anche inevitabile.
"Zia, c'è una cosa che dovete sapere. Ho aperto il vostro scrittoio. Quel cassetto. Mi serviva l'indirizzo di Viktor Ippolitovic' Komarovsky."
Ekaterina resta di stucco.
"Se vi chiedete perché mi servisse di scrivergli, la risposta è Otabek Altin."
Ekaterina si alza di scatto. Il gatto salta dal divano sul pavimento con estremo fastidio.
"M-ma... Che cosa significa?"
Yuri si allontana dalla finestra e siede al pianoforte ma senza suonare.
"Zia, siete mai stata innamorata?"
"Certo! Che domanda è? Tuo zio Pashev..."
"Intendo innamorata davvero, zia."
"Yuratchka, non ti seguo, perdonami."
"Perché credete che Otabek abbia rischiato la sua vita per farmi arrivare fin qui?"
Ed è allora che Ekaterina mette meglio a fuoco. Probabilmente si sarà data la spiegazione più semplice: per mera gratitudine.
Chiunque, infatti, avrebbe aiutato Yuri Plisetky, giovane rampollo e musicista eccellente, a lasciare una terra martoriata dalla violenza bolscevica per l'America che tutti accoglie, tanto più una persona appartenente una famiglia che negli anni aveva sempre servito i Conti Plisetsky ed era sempre stata trattata con la squisita decenza che solo i veri nobili sanno mostrare agli inferiori.
È questa attenta analisi che Yuri legge negli occhi chiari di sua zia. Niente di più sbagliato, da correggere immediatamente.
"Zia, lo ha fatto per me, perché sono importante per lui ."
"Tu... importante per lui...?"
"Sapete dove mi ha trovato? Sapete che quando mi ha trovato non mangiavo da una settimana? Sapete che non c'è stato un solo pezzo che abbia suonato da quando sono qui che non abbia dedicato a lui?"
Ekaterina, che tradiva il marito e fumava i Romeo Y Julieta, non è stupida e lo dimostra andando dritta al punto della questione.
"Yuri... quel ragazzo è lontano. Chissà dove. Potrebbe essere morto!"
"È qui in America. Ho scritto a Komarovsky e lui lo ha fatto partire dalla Russia, ormai più di sei mesi fa. Ed è giunto il momento che io lo riabbracci. Anche perché non ne posso più."
"Komarovsky...?? Perché non mi ha detto nulla!?"
"Perché quell'uomo esiste per farci affidamento pur sapendo che è inaffidabile. Ovviamente non mi ha detto dove si trova, non voleva farvi arrabbiare."
"Meno male!"
"Ma me lo dirà. Anzi, lo dirà a voi."
"Yuri... sei ancora un..."
"Ho sedici anni. Voi eravate già sposata a quindici."
"Era diverso, io e tuo zio appartenevamo allo stesso ambiente."
"Non esistono più gli ambienti. Zia, neanche un anno fa dormivo nel sottoscala di casa mia."
"Ed eravamo un uomo e una donna per la Santa Chiesa di Russia!"
"E voi lo avete tradito! Io non potrei mai tradire Otabek!"
Gli occhi di Ekaterina si offuscano, si fanno lucidi. Vergogna? Forse un po'. Forse è solo genuina tristezza.
"Tesoro mio..."
"Non dimenticherò né quanto ho sofferto nel separarmi da lui, prima che crollasse tutto e i miei morissero, né quanto ho gioito nel rivederlo. L'ho visto arrivare una mattina che nevicava forte e io non avevo nulla per coprirmi. Ha bucato le pareti di un incubo, lo ha fatto crollare. Era alto. Bellissimo nella sua uniforme logora. Soprattutto, il suo sorriso era bellissimo, pieno d'amore. Sapete che ha disertato? Ha saputo da qualcuno che a Mosca ero in pericolo ed è corso da me. Ero rimasto solo e anche lui. È me che ha cercato. Mi ha trovato e ha fatto sì che ora sia qui a raccontarvelo."
Ekaterina fissa per un lunghissimo istante il fuoco del camino. Le tremano le mani.
"Che c'è zia? Siete ancora scandalizzata? E se vi dicessi che fra me e Otabek esiste un sentimento talmente puro che lui non mi ha mai..."
Ma Ekaterina è altrove. Yuri inizia a preoccuparsi. Inizia a suonare un'arietta per scuoterla e lei torna in sé.
"Altin... aveva qualcuno? Familiari stretti?"
"Solo sua nonna."
"Una donna... kazaka?"
"Sì."
"Tutto questo è singolare!..."
"Cosa?"
"Qualche giorno fa è venuta a trovarmi Shulena Andreijevna. Abbiamo preso il tè e ci siamo rallegrate di come molti nostri connazionali stiano riemergendo dalla nebbia e dal declino, trovando qui in America una nuova casa. Šula aveva una proprietà a Varykino e prima di partire era riuscita a farvi ritorno per recuperare alcuni oggetti a cui teneva. Mi ha raccontato di una donna piuttosto anziana, vestita di stracci, che era stata trovata a vagare per le campagne. La sua vecchia governante se l'era presa in casa. Sembrava non avere più memoria, parlava per frasi sconnesse, russo e kazako. Non ricordava il suo nome ma ne ripeteva un altro in continuazione. Beka."
A Yuri si riempiono gli occhi di lacrime. Per un istante, che lo congela, immagina di tenere per sé quella notizia perché sa che gli strapperà Otabek dalle braccia e lo farà tornare in Russia. Immagina di poter vivere con il peso di una terribile ingiustizia a gravargli sulle spalle per tutta la vita. Ma è solo un attimo, il frutto acerbo di un cuore provato.
A vincere è il sorriso del suo amore non appena saprà che potrà ritrovare sua nonna.
"È lei, zia."
Ekaterina lo guarda.
"Domani contatterò Komarovsky."
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