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Capitolo cinque


Deve essere stato qualcosa che ho mangiato.
Lo stomaco si contorce, ho anche freddo nonostante l'aria tiepida che stanotte respiro qui nella tenda.

Quando ero al fronte, guardavo i miei compagni abbottonati nei loro cappotti, il naso completamente bianco di neve rappresa, gli occhi rossi di freddo e pensavo al mio cavallo sdraiato sulla paglia.

Pensavo all'arco descritto dal suo corpo, pensavo al calore del suo addome. Nella mia mente, mi ricoprivo di paglia e lo abbracciavo, nel tepore della stalla. Incredibilmente, riuscivo a sentire meno freddo.

In questo momento vorrei avere la forza di strisciare verso la stalla ma non ci riesco.
Qualcuno mi copre con un lenzuolo e mi accarezza la fronte. Potrebbe essere la nonna!
Ma sì! Che male c'è a immaginarla mentre mi tira su le coperte ai primi venti dell'autunno?

Mi manca terribilmente. È sparita, come tante anime di passaggio su questa terra.
Quando sono tornato dal fronte, a Mosca, lei era già altrove. Morta in questo mondo, viva nell'altro, sempre affaccendata.

Alla fine dell'estate la famiglia del Conte rientrava a Mosca ma noi restavamo ancora una settimana negli Urali. Mia nonna puliva una stanza al giorno, a fondo. Poi sentivo la porta chiudersi e la chiave girare. A fine giornata stendeva gli stracci lavati e sbiancati. Ti ci potevi pulire il muso per quanto erano bianchi.
Io invece giravo da solo per la villa, con addosso l'eccitante sensazione di stare visitando una città deserta . "meniñ balam" diceva mia nonna "Prima o poi tutte le porte saranno chiuse e anche noi andremo via. Non dimenticare nulla in giro!"
Ma io ogni anno dimenticavo sempre qualcosa: una foglia particolare, un soldatino di legno, una pietra tirata fuori dal fiume. Dimenticavo tutto nella stanza di Yuri, in modo che lo trovasse poi l'anno successivo.

L'ultima estate però non lasciai nulla.
Credo che nonna se ne fosse accorta perché alla stazione di Varykino mi disse "Hai fatto bene, Beka. Quando si lascia per sempre un luogo è bene portarsi via tutto. Perché tu non tornerai più qui, questo lo sai, vero?"

E invece ci sono tornato comunque, con Yuri. Abbiamo respirato nella stessa stanza. Ci siamo baciati. L'ho stretto forte a me. Ho dormito con i suoi capelli sul viso.

Il bacio è rimasto lì dentro.
Significa qualcosa?
Che torneremo a riprenderlo?

_____

Alla fine, Otabek era riuscito a raggiungere il cavallo nella stalla. Lo avevano trovato svenuto sulla paglia, la bestia che lo annusava e gli alitava piano sulla faccia.

Il medico del circo era riuscito solo con qualche difficoltà a far scendere la febbre, che era rimasta alta tre giorni.

È il quarto giorno, e gli occhi di Otabek si aprono negli occhi verdi di Xi-Lun Li, vestita da Serpente Bianco.
Xi-Lun è inginocchiata accanto a lui, e stringe fra le mani un panno umido.

Otabek è intontito ma non ci mette molto a capire di essere completamente nudo sotto il lenzuolo. La sua pelle ha uno strano profumo di erbe e canfora ed è fresca.
Xi-Lun deve averlo appena lavato.

Il Cosacco dello Zar si stringe meglio la stoffa addosso, impaurito dallo sguardo del Serpente, che non si abbassa, non tentenna. Ci sono solo loro due nella tenda. Loro due e il silenzio.

Xi-Lun si allunga verso di lui e continua ad osservarlo con un'intensità che nulla ha di umano. Le sue dita sfilano un lungo spillo da dietro l'orecchio e una cascata di capelli neri le piove sul viso. Si piega.

Una mano gli afferra la spalla, l'altra gli ghermisce il polso.

Ma la mano di Otabek non si muove, non si alza per sfiorarle il viso, per avvicinarla - è serrata sul lenzuolo - e quando le labbra morbide del Serpente si posano sulle sue, le sente fredde.

Xi-Lun, con pazienza e determinazione, gli lascia il polso e scosta il lenzuolo con un movimento armonioso che resta sospeso a mezz'aria.

Il corpo di Otabek rabbrividisce come se gli avessero strappato la pelle di dosso.
Mentre lei scende e lo tocca imperterrita dove non dovrebbe, lui non ha reazioni.
Allora la donna scioglie lentamente la cintura della veste e si mostra nella sua bellezza, una luminosa statua di alabastro, i seni piccoli con due piccoli rubini che sporgono, l'addome piatto e senza imperfezioni.
Scosta i lembi della stoffa e si alza in piedi.

Solo allora Otabek riesce ad articolare la parola No.
Non il diniego disperato di chi affoga nei suoi stessi sensi e non vuole trascinare l'altro con sé, ma quello di chi non ha nulla da dare o da prendere.

Restano così per un lungo minuto, finché la Xi-Lun Li si copre, riannoda la cintura, raccoglie la chioma nera sulla nuca e vi appunta lo spillo. Si inginocchia nuovamente e Otabek si sistema nuovamente il lenzuolo addosso.

Se qualcuno entrasse in quel preciso istante non troverebbe una sola piega, un'incrinatura, un elemento in disarmonia o qualcosa di vivo e di pulsante che possa rischiare di travolgere tutto. Non troverebbe né paura e né voglia, né calore e né polvere.
Non troverebbe il freddo che sfrigola a contatto con il caldo e si spacca, si divarica, inghiotte, graffia, travolge e fonde. Nulla di tutto questo, perché tutto questo è solo nella testa di Otabek, in una stanza immersa nella neve degli Urali.

"Xi-Lun..."
"Chiamavi il suo nome. Yuratchka. È bella?"
Otabek avvampa. Non lo aveva mai evocato con quel nomignolo. Deve essergli sfuggito mentre delirava.
"Non si tratta di una donna."

Xi-Lun sorride e i suoi occhi tagliano. Sono freddi e lontani, non sono come il fuoco verde di Yuri al pianoforte, Yuri a cavallo, Yuri che gli respira addosso e lo reclama.
Era stato No anche quella volta, il no più sofferto della sua vita.

"Allora non potrò mai vincere contro di lui."
"Xi-Lun, tu sei bellissima."
"E tu sei innamorato."

Il giorno successivo, Otabek ha il permesso di non lavorare. È ancora debole e se cadesse da cavallo il direttore perderebbe una delle attrazioni principali dello spettacolo.

Decide di farsi un giro in città.
Denver è piatta e monotona, la salva solo la cresta di montagne che si vede sullo sfondo. Le cime sono imbiancate e un po' lo fanno sentire a casa.
Per la strada, lo guardano tutti con una certa curiosità. Devono essere i suoi tratti orientali, la carnagione scura.
Beka, diventerai bello come un principe! Ricorda, non c'è cavallo senza principe! , trillava sua nonna.
Forse, incuriosisce i passanti anche il suo auo sguardo accigliato e serio, che le vetrine della strada principale gli restituiscono mentre cammina senza una vera meta.
Non gli capita spesso di lasciare il circo e di andarsene per conto proprio ma quel boccone di libertà gli mancava da tempo.
Ed è alla fine di una lunga serie di vetrine che si imbatte in un chiosco che vende giornali.
La foto la nota subito. The New Yorker, prima pagina, in alto a destra. Yuri Plisetsky.

Non indugia, non sfoglia. Compra il giornale e lo infila nella tasca interna come se volesse nasconderlo.

Lo compra nonostante il suo inglese sia stentato.

Poco dopo si siede in un caffè, il giornale aperto sul tavolo e gli occhi inchiodati sul giovane al pianoforte che a sua volta dalla foto sembra guardarlo.
Gli sembra più grande di come lo ha lasciato, il suo sguardo è sicuro, il sorriso appena accennato ma luminoso. Quello di Yuri brilla sempre, come un filo di luna.
È passato quasi un anno da quando lo ha salutato al porto e lui già è tornato a essere lui.
L'orgoglio di Otabek si gonfia e straripa ma vorrebbe saperne di più, per essere ancora più orgoglioso.
L'unica cosa che gli viene in mente di fare è infilarsi nella chiesa ortodossa che ha incrociato per strada e farsi leggere l'articolo da qualcuno.

La chiesa è vuota se non per la presenza di un monaco affaccendato con gli incensi e due Babushky rugose e con il fazzoletto in testa.

Otabek si inginocchia accanto a loro ma si pone il problema se le due donne sappiano leggere.
Aspetta ancora qualche minuto e poi decide di unire l'utile all'utile e di confessarsi.

Il giovane monaco che si muove silenziosamente fra i candelabri e le icone accetta di leggere e gli spiega che nell'articolo si tessono le lodi di un giovane pianista, Yuri Plisetsky, soprannominato La Fata Russa , e si fa riferimento a una sua imminente tournée nelle principali città dell'Est degli Stati Uniti per una causa molto nobile: aiutare i giovani ricoverati in un noto orfanotrofio di New York a imparare un mestiere, per evitare che una volta fuori dalla struttura finiscano sulla strada e diventino oggetto di sfruttamento e di violenza fisica e psicologica.

Violenza
Strada
Segni
Incubi

Otabek rabbrividisce e ritorna con la mente al passato, a quando non aveva avuto il coraggio di chiedere a Yuri di raccontargli che cosa gli fosse accaduto nel periodo in cui era rimasto completamente solo.

Il monaco osserva in silenzio il suo esame di coscienza. Poi si arrischia a interromperlo.

"C'è altro di cui vorresti parlare, figliolo?"

Otabek annuisce con le lacrime agli occhi.

"Padre...Mi sento in colpa per non aver avuto la forza di aiutare una persona, per non averle chiesto di condividere la sua croce con me."
"C'è sempre tempo per rimediare, finché c'è vita. E dimmi, questa persona ti è vicina?"
"Si tratta lui, padre."

Il monaco non mostra una particolare sorpresa e non dice nulla. Ascolta.

"E io sono innamorato di lui."

L'uomo alza un sopracciglio.
"Si tratta quindi di atti impuri?"
"Solo un bacio."

Il monaco sospira.
"Non posso che ricordarti cosa dice la Madre Chiesa in merito. Figliolo, lo sai, vero? Che questa croce è solo tua."

Un dato di fatto.
"Una in più o in meno non fa alcuna differenza."

Otabek si inchina. Prima di uscire, accende un cero. Una luce a cui volta però subito le spalle.

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