Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

IN VIAGGIO

Trascorro il Venerdì pomeriggio dello smonto notte a preparare la valigia e va piuttosto bene, la smonto solo due volte. Alla terza sono soddisfatta del risultato, così la carico in macchina, per evitare di cadere nel loop infinito delle ripetizioni, cosa che mi capita spesso quando sono più stanca. Però non resisto alla tentazione della mia borsa dei “non si sa mai”, che riempio con le cose che mi ero imposta di non portare, perché inutili, ma che l’ansia alla fine mi impedisce di lasciare a casa. È qualcosa su cui abbiamo lavorato parecchio con Elisa: lasciare andare, non caricare troppo il mio bagaglio, non solo quello per le vacanze, ma anche e soprattutto quello interiore. Per ora però è troppo difficile per me lasciare andare, di qualsiasi cosa si tratti. Alle 18 però fotografo la mia borsa e invio la foto alla mia psicologa, che mi risponde che ne parleremo al ritorno e che, nonostante tutto, sembra essere più piccola rispetto a quella dello scorso anno.

Sorrido prima di avvicinarmi ai fornelli e mettere insieme qualcosa per cena con le poche cose che sono rimaste nel mio frigo, poi mi concedo una coppetta di gelato che gusto sul terrazzino con la vista sui monti.

Mi accendo anche una sigaretta: non è una cosa che faccio spesso, non la facevo mai prima di quel giorno, era un suo vizio, una cosa che faceva lui.

L’odore di nicotina, il sapore che lascia sulla mia lingua, è qualcosa che me lo ricorda, anche se non è paragonabile all’odore reale del fumo di sigaretta mischiato a quello del suo docciaschiuma, o al semplice odore della sua pelle. Spesso chiudo gli occhi cercando di rievocarlo.

Dicono che l’olfatto sia il senso più potente, quello che per più tempo permane nella memoria, ma ogni tanto mi succede di non riuscire a riportare quell'odore in superficie e mi manca, mi manca tantissimo. Per questo, a volte, fumo una sigaretta: per non dimenticare.

Quando mi sdraio a letto il sole deve ancora tramontare, ma non mi dispiace, odio dormire al buio. Sono veramente stanca, quindi crollo nel giro di pochi minuti, senza trattenere il ricordo dell’ultimo pensiero che mi ha attraversato la mente prima di chiudere gli occhi, ma consapevole di quel lieve formicolio alla schiena, che da sempre rappresenta per me l’impazienza e l’aspettativa, l’eccitazione. Qualcosa che non provavo da quattro anni.

                                                                                *

Sono partita alle 7.30 del mattino e dopo due ore di viaggio lo stomaco inizia a brontolare, nonostante la colazione. Decido di fermarmi al primo autogrill che incontro, anche perché tra poco arriverà la chiamata di mio fratello. È un rituale anche per lui, questa chiamata fatta ogni giorno alla stessa ora. Se non è possibile parlare mi scrive comunque un messaggio e mi chiama non più di trenta minuti dopo, se non dovesse ricevere risposta. Lo capisco, dopo quello che è successo.

Erano le 10 del mattino quando ha provato a chiamarmi, pochi mesi dopo quel giorno e io non avevo risposto, pur non avendo motivi per non farlo. Non so cosa lo aveva spinto a correre a casa mia, forse l'ansia e la paura che ci avevano attanagliato dopo quello che era successo, oppure il sesto senso che sembra essere una caratteristica della mia famiglia e che la mia nonna materna era convinta fosse un dono; che mi aveva salvato, perché mio fratello era arrivato poco dopo il mio incontro con il Bromazepam. Però non aveva salvato nessun altro. Più ci penso, più mi chiedo perché quel giorno non abbia funzionato il mio sesto senso; perché eravamo tutti così sereni e tranquilli, nonostante la catastrofe imminente. Nulla succede per caso. Prendo un respiro e riporto la mia concentrazione sulla strada, non posso divagare. 

All'area di sosta ordino un cornetto e un ginseng grande da asporto, così da potermi sedere su un muretto e osservare le macchine che sfrecciano sull'asfalto. Conosco questo autogrill, mi fermo sempre qui. Ci siamo sempre fermati qui, anche in passato, quando era tutto normale. 

Puntuale come sempre, arriva lo squillo del telefono a riportarmi alla realtà. 

«Ciao Nic.»

«Ehi, Matilde. Dove sei?»

«In autogrill» Non riesco comunque a trattenere un mezzo sorriso, perché le battute sono sempre le stesse.

«Cornetto e ginseng?»

«Certo» faccio una piccola pausa «Tu stai bene?»

«Sì sì. Laura invece credo stia per avere un crollo nervoso.»

«La stai aiutando?»

«Certo!» La sua voce è quasi risentita «Ma tanto tutto quello che faccio non va bene!»

Rido «Devi essere paziente.» 

«Sì, beh… Io non ci arrivo a Settembre così, possiamo fare cambio di casa? Tu riesci sempre a calmarla e poi la devi comunque aiutare con gli ultimi dettagli.»

So che lo ha fatto come battuta, quindi sorrido, perché lui sa, come lo so io, che non potrei mai allontanarmi dalla mia zona per due mesi.

«Verrò a trovarvi più spesso.»

Lo sento sospirare «Tra due settimane, quando sarai tornata, ti aspettiamo a pranzo da noi. Laura deve farti provare il vestito e parlarti del tableau, non la convince la distribuzione dei tavoli.»

«Va bene. Tu intanto pensa di portarla a rilassarsi in una spa, almeno per un giorno.»

«E pensare che ero così felice di sposarmi.»

«Lo sei ancora, testina. È solo che tu avresti fatto una grigliata con birra e rutto libero, mentre Laura vuole la favola. E tu la ami, quindi le darai la favola.»

Nessuna risposta «Nic?»

«Ti odio quando hai ragione.»

«Ami anche me, non puoi negarlo. Ricorda a Laura di scrivermi o chiamarmi se ha bisogno di me. Ti scrivo quando sono arrivata.»

«Va bene. Fai attenzione sorellina. E fai la brava!»

«Anche tu fai il bravo e fai attenzione.»

Chiudo la chiamata e mi concedo una sigaretta. In vacanza fumo sempre troppo, almeno per i miei standard. È l'ultimo modo che mi rimane per poterlo sentire accanto a me.

La chiamata di Giada arriva a caso, come sempre. Lei è molto simile a come ero io prima e la adoro per questo, anche se nei primi mesi dopo quel giorno ho odiato questa sua spontaneità, perché mi mandava nel panico. 

Lei e Lucia erano state spettacolari. Avevano raggiunto me e Nic dopo il mio tentativo di raggiungere l'oscurità ed erano rimaste con noi per mesi, in cui Giada aveva imparato a comprendere la nuova me e a starmi accanto. La nostra amicizia è sopravvissuta ad uno degli impatti più violenti, un cambiamento così radicale che avrebbe fatto vacillare chiunque, ma non lei, che insieme a Nic è stata la mia roccia, quello scoglio in mezzo al vuoto e alla tempesta che mi ha fatto rimanere a galla.

Rispondo con il vivavoce dell'auto, un po’ a malincuore perché devo interrompere le note di Castle of glass, ma se non rispondessi probabilmente potrebbe scatenarsi una reazione eccessiva.

«Ciao Giada»

«Ciao Mati! A che punto sei?»

«Un po’ dopo Piacenza.»

«Uh, bene! Arrivi per pranzo?»

«Vorrei fermarmi ancora una volta. Prima delle 14 non credo di riuscire ad arrivare.»

«Dai, ti faccio tenere in caldo qualcosa.»

«Come mai questo trattamento speciale?» Chiedo ironica.

«Bisogna sempre fidelizzare il cliente, alla scuola di Marketing è la prima cosa che insegnano!»

«Giada passo le mie vacanze da voi da 28 anni e tuo padre è il mio padrino…»

«Be’, ti sei risposta da sola alla domanda, allora!» La sua risata cristallina è fenomenale, ma soprattutto contagiosa. 

«Guida piano, Mati. Ci vediamo presto!»

«E tu comportati bene!»

Chiudo la chiamata e la musica riparte, ma la canzone che risuona nell'abitacolo mi paralizza, perché non dovrebbe esserci. Sulla chiavetta quella canzone non è presente, ne sono certa. L'ho cancellata da ogni dispositivo, da ogni playlist, da tutto. Per non correre il rischio di sentirla nuovamente.

Song to say Goodbye dei Placebo. Era questa la canzone che suonava alla radio quel giorno, in quell'istante in cui il cielo è crollato, in cui tutto è andato sottosopra. Le ultime parole che ho sentito prima che il buio mi avvolgesse e le prime che ho ricordato quando sono riemersa dal torpore.

Inizio ad iperventilare e riesco ad accostare nella corsia di emergenza. Stacco la chiavetta e la butto da qualche parte nell’abitacolo. Sono paralizzata, respiro troppo velocemente e la mia mente è affollata di pensieri incoerenti. Perché quella canzone potrebbe essere il segno di una catastrofe imminente, insieme all’eccitazione di ieri, che probabilmente era ansia anticipatoria, il mio sesto senso. Tremo in modo vistoso, ma riesco comunque a raggiungere il cellulare e a chiamare Nic.

«Mati che succede?» La sua voce preoccupata risuona nell’abitacolo, perché sa che non posso essere arrivata a destinazione.  

«Mati, dove sei? È successo qualcosa?»

Mi concentro sul mio respiro, creo una piccola bolla di pace come mi ha insegnato a fare Elisa e dopo un tempo che non riesco a quantificare la mia voce esce flebile 

«La canzone» sento il respiro che mio fratello rilascia, probabilmente è in panico quanto me.

«Quale canzone?» mi chiede con voce tremante.

Prendo aria prima di rispondere «Quella dei Placebo, quella che stavamo ascoltando quando…» non riesco a terminare la frase, ma non è necessario: lui ha capito.

«Avevi la radio accesa?»

Scuoto la testa, anche se non può vedermi «No, avevo la chiavetta, non so come sia possibile, l’ho eliminata da ogni dispositivo. Forse è un segno, un presagio, dovrei tornare indietro…»

«Matilde, ascolta» la sua voce ora è più alta e dura, quella che usa per riportarmi al qui e ora «Non hai sbagliato e non è un presagio, sono certo che ci sia una spiegazione.»

Non basta per calmarmi, ma riprendo piano piano coscienza di dove sono e il respiro torna regolare. 

«Prendi la chiavetta.» È un ordine, ma suona quasi come un invito vista la dolcezza che cerca di imprimere nella voce.

Slaccio la cintura e mi chino sul sedile del passeggero, nel punto in cui credo di averla lanciata, ma non la trovo. Possibile che mi sia immaginata tutto? Sto veramente impazzendo e ho allucinazioni visive e uditive? Poi la mia mano si stringe attorno ad un piccolo oggetto in plastica morbida all’interno del vano portaoggetti della portiera del lato passeggero. Quando la porto sotto i miei occhi mi manca il fiato, di nuovo, perché non è una delle solite chiavette che ho preparato per i viaggi: è la sua chiavetta, quella cha aveva preparato lui per i nostri viaggi, con tutte le canzoni che più amava. 

«Mati?» La voce di Nic è un misto di preoccupazione e attesa

«È… È la chiavetta di Marco…» le parole mi muoiono in gola, non perché non riesca a respirare, sono solamente troppo stranita, stupita. In realtà non so neanche come definire il mio stato d'animo. Questa è una coincidenza così assurda che non posso considerarla un caso, ma stranamente, per la prima volta da quattro anni, non lo vedo come il presagio di una catastrofe, almeno non del tutto.

«Stai meglio?» La voce di Nicolò mi riporta al presente.

«Credo di sì.»

Ripiombiamo nel silenzio, si sentono solo i nostri respiri. Dopo un tempo indefinito sono di nuovo io a parlare.

«Non so cosa fare» dico semplicemente, perché davanti a me vedo tante possibilità, ma non riesco a capire quale strada devo prendere. Anche tornare indietro e chiudermi in casa implica un movimento che non sono sicura di voler compiere. L'indecisione, l'immobilitá, la paura sono ormai diventate fedeli compagne per me e, nonostante ogni tanto ne sia infastidita, le assecondo. Solo quando ho analizzato tutto, pensato ad ogni possibile catastrofe che potrebbe capitare e deciso come eventualmente affrontarla, mi muovo nella direzione che ho scelto. 

Adesso però non ho tempo, sono parcheggiata sulla corsia d’emergenza di una delle autostrade più trafficate d’Italia e devo prendere una decisione. Inizio ad iperventilare, ma la voce di Nicolò mi fa capire che non ho molta scelta, non ora.

«Maty, ascolta. Devi ripartire e raggiungere almeno la prossima uscita. Se poi non riesci a fare nient’altro ti fermi e vengo a prenderti, ok?»

Il suo tono è dolce, comprensivo, quasi compassionevole. 

Prendo un respiro e riavvio il motore, poi aspetto di avere spazio e mi immetto nel traffico dell’autostrada. La prima uscita disponibile sarà Parma, tra circa dieci chilometri.

«Nic puoi rimanere un po’ al telefono?»

«Certo, Maty» e rimaniamo in silenzio fino a quando vedo il cartello che indica l'uscita, ma decido di non attaccare la freccia, qualcosa dentro di me mi sta urlando di proseguire, anche se sono terrorizzata.

«Vado avanti, Nic» dico decisa, anche se un lieve tremolio nella voce mi tradisce.

«Brava Maty, sono orgoglioso di te.» Riesco a percepire il sorriso nella sua voce.

«Potrei aver preso io per sbaglio la chiavetta…» la mia mente sembra essere tornata a girare nel modo corretto, la nebbia si è alzata e io mi sento più lucida.

«La scorsa settimana ho fatto un esercizio con Elisa, abbiamo riaperto la scatola di Marco. Sai, quel giorno. Quando sono arrivata a casa non l'ho messa subito a posto. Potrei non aver rimesso dentro la chiavetta.»

Come spiegazione è plausibile, anche se implica che abbia fatto quelle azioni a livello inconscio e questo un po’ mi spaventa, perché non mi lascio guidare dalle emozioni da tantissimo tempo, anche se ero molto istintiva in passato.

Prendo un respiro profondo. 

«Forse era lui che voleva dirmi qualcosa» accenno un sorriso mentre dico ad alta voce quello che ho pensato dall’inizio.

«Può essere.»

«Grazie, Nic. Va meglio. Ti scrivo quando sono arrivata, ok? Non manca più tantissimo. E scusa…»

Il senso di colpa arriva per ultimo, ma non si dimentica mai di presentarsi. La mia ansia, i miei attacchi di panico, le mie paure a volte ingiustificate non hanno un impatto solo su di me, ma anche su chi mi sta attorno. Per quanto cerchi di controllarmi, alcuni miei atteggiamenti si manifestano in modo incontrollato e per qualcuno è stato difficile accettarlo, insieme al fatto che tutto ciò che sono stata ormai non esiste più.

Qualcuno si è allontanato da me e la cosa mi ha fatto male, soprattutto perchè da alcuni non me lo sarei aspettato. Altri invece, più di quanti pensassi onestamente, sono rimasti, nonostante tutto, nonostante me. Sono loro che mi hanno aiutato a rialzarmi nella voragine e a muovere i primi passi ed è per loro che continuo a stare in piedi, che non mi lascio andare: non voglio provocare altro dolore.

Il cartello che indica l'uscita autostradale della mia destinazione compare davanti ai miei occhi e sono contenta di aver proseguito, perché arrivare davanti all'albergo mi regala una sensazione di sollievo, come se avessi trattenuto il fiato per tutto il viaggio. Scendo dall’auto e mi lascio avvolgere dall'afa e dall'aria piena di salsedine; mi prendo un attimo per osservare la struttura moderna, dipinta di un azzurro tenue, con i terrazzini dalle ringhiere di un bianco candido e le fronde degli alberi tutto intorno, che regalano una piacevole ombra.

Chiudo gli occhi e respiro a pieni polmoni: nonostante i chilometri di distanza, mi sento a casa.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro