EQUILIBRIO
Come sempre nella hall l’aria condizionata la fa da padrona, troppo alta per i miei gusti, ma la maggioranza degli ospiti sono stranieri che mal sopportano il caldo della nostra estate.
Non ho comunque il tempo di curarmi del freddo, perché un piccolo urlo e un gigantesco abbraccio mi scaldano più di una coperta. Ricambio la stretta di Giada, quasi affogando tra i suoi lunghi capelli biondi e fini come spaghetti, che finiscono ovunque, compresa la mia bocca.
«Quanto mi sei mancata, Mati!»
Le sue braccia forti quasi stritolano le mie spalle strette e magre, ma sono confortevoli.
«Anche tu, Giada!»
Scioglie l'abbraccio e mi prende per mano, trascinandomi verso le cucine. Sono ormai le 14 passate, gli ospiti hanno già lasciato la sala da pranzo e rimane solo il personale intento a sparecchiare, che ci osserva con sguardi distratti. Alcuni sono volti noti, altri li vedo oggi per la prima volta.
Quando varchiamo la doppia porta a battente vengo accolta da un chiacchiericcio vivace e un caldo ben diverso dalla frescura degli spazi comuni. Non riesco a focalizzare i presenti, perché le braccia di Licia, la madre di Giada, mi avvolgono, stringendomi al petto.
Conosco bene il suo tocco, è stata una delle medicine più potenti per rimettermi in piedi, così simile a quello di mia madre. Un balsamo che ha aiutato il processo di cicatrizzazione ad iniziare e che, ogni volta, sembra aggiungere un piccolo strato di guarigione dove la ferita è ancora aperta.
«Siediti, bambina mia. Nicolò sta bene?»
Annuisco mentre vengo spinta verso il tavolo ingombro di stoviglie e fatta accomodare su una sedia traballante.
«Solo un po’ agitato per il matrimonio.»
«È normale. A proposito, riusciremo a esserci tutti! Bero ha finalmente trovato qualcuno che secondo lui sarà in grado di sostituirlo per qualche giorno!»
«Oh, bene! Nic sarà felicissimo! Lo avvisi tu?»
«Lo chiamerò questa sera. Adesso mangia, sarai affamata!»
In realtà non è così, il miscuglio di emozioni che ho provato in macchina mi ha lasciato lo stomaco stretto in una morsa. Scaccio il pensiero che possa essere ansia anticipatoria e piego leggermente la testa, in un gesto che vorrebbe essere di diniego, ma non esprimo altro, perché so che sarebbe una battaglia persa.
Mi mette davanti un piatto di affettati e formaggi con al centro un gigantesco gnocco fritto e due piadine da farcire; per fortuna arriva anche Giada, con una ciotola strabordante di insalata e pomodori. Con quella posso farcela.
Mentre mangio, sotto lo sguardo attento delle due donne, ascolto le loro chiacchiere sulla stagione balneare, che è entrata nel vivo, ma interagisco poco.
Non posso fare a meno di notare come la loro somiglianza sia aumentata nel corso degli anni, con quei capelli biondi e lisci, anche se quelli di Licia sono a caschetto, e il viso morbido e gentile. Sembrano quasi sorelle, nonostante una abbia cinquant'anni e l'altra ventisei.
Ovviamente la madre non si accontenta del fatto che abbia mangiato solo l’insalata e qualche affettato e mi propone anche una macedonia con gelato, che accetto volentieri, e un caffè.
«Vieni, ti accompagno in stanza!»
Giada mi indica la porta con un cenno della testa e io la seguo con passo tranquillo.
Le mie valigie sono già state scaricate dall'auto e quest'ultima parcheggiata, anche se non so da chi. Ne afferriamo una a testa, poi saliamo in ascensore, osservando un silenzio quasi religioso, perché raggiungere la mia stanza è sempre un momento che richiede molta forza.
Quando era arrivata la mia richiesta, l'anno dopo la tragedia, di essere alloggiata nella stessa stanza che avevo condiviso con Marco, quella dove avevamo fatto l'amore per l'ultima volta, erano rimasti tutti spiazzati, compreso mio fratello che quell’anno era venuto in vacanza con me. Mi avevano chiesto se fosse una buona idea, ma ero stata irremovibile.
L'effetto, come avevo previsto, era stato devastante, però avevo retto l'impatto e accolto il dolore che mi aveva raggiunto appena chiusa la porta; in fondo soffrire mi faceva sentire vicino a lui, a loro. Era un modo, forse disfunzionale, di tenerli ancora accanto a me. Ne avevo parlato con Elisa, che come sempre non aveva giudicato, aveva semplicemente cercato di comprendere con me il significato di quella scelta.
Non sono certa di aver trovato una risposta, però a distanza di tre anni continuo ad essere convinta di questa decisione e anche questo piccolo dettaglio è entrato a far parte della mia routine. Passare davanti alla porta della stanza che era stata dei miei genitori mi fa stringere il cuore; essere qui riporta a galla i ricordi come uno tsunami, ma riesco a gestirli e a modulare le mie emozioni.
Quello che mi strappa la terra sotto i piedi è la scena che riempie il mio campo visivo quando Giada apre la porta della stanza: è qualcosa di inaspettato e potente, come un deja vú visto dall'esterno e con alcuni dettagli diversi.
Un ragazzo dai capelli schiariti dal sole e la pelle dorata è avvinghiato a una ragazza di non più di vent'anni dai capelli corvini. In un certo senso mi ricordano me e Marco, anche se i suoi capelli erano scuri e la sua pelle più chiara.
Quando si rende conto di non essere più solo si stacca con uno scatto dalla ragazza e alza gli occhi su di noi: è in quel momento che il mio cervello va in tilt. Quegli occhi cerulei si fissano nei miei e la valanga mi travolge, perché sono identici a quelli della persona che ho amato.
Il respiro si azzera e la testa inizia a vorticare, mentre le urla ovattate di Giada arrivano da qualche luogo lontano, rendendomi impossibile comprendere le sue parole. I due ragazzi si alzano veloci, ma mentre lei scappa fuori dalla stanza senza degnarci di uno sguardo, lui rimane immobile di fianco al letto, quegli occhi ancora puntati su di me, nonostante la mia amica sia letteralmente a due centimetri dal suo petto, continuando a sbraitare.
Mio malgrado non riesco a distogliere lo sguardo, sono incatenata a lui, con la voglia di avvicinarmi e scrutarlo meglio, per cogliere le differenze: perché lui non è Marco, lo so, ma la sua aura canta per me come una sirena per il marinaio.
«Stai bene, Mati?»
Il tocco di Giada sulla mia spalla mi riporta al qui e ora insieme alla sua voce, mi volto verso di lei e la trovo ad osservarmi preoccupata, in attesa di una mia reazione, o di un crollo più probabilmente. Ammetto di essere completamente scombussolata, incapace di comprendere a fondo tutto quello che si agita dentro di me, mi sento come se fossi divisa in due entità distinte: il corpo fisico e il groviglio emozionale.
Non lo sento arrivare, l'attacco di panico, forse per colpa di quelle iridi cerulee, ma si presenta come un temporale improvviso, proprio come aveva sospettato Giada. D'un tratto divento consapevole del cuore che batte veloce, del lieve tremolio delle mie mani e dei brividi che ricoprono la mia pelle. Annaspo, in cerca di aria, quasi stessi soffocando, la testa si fa ovattata e mi porto la mano al centro del petto, da dove si irradia uno strano dolore.
Mi aggrappo a lei in cerca di sostegno e lo trovo: mi avvolge stretta, mentre parla al ragazzo nella stanza con voce irritata.
«Vattene, Mattia! Ti cerco dopo.»
Mi tiene stretta tra le braccia per un tempo che non riesco a definire con certezza, ma la marea dell'attacco scema lentamente e io ritrovo il ritmo del mio respiro. Mi fa sedere sul letto e si accomoda accanto a me, senza perdere il contatto con la mia pelle resa fredda dal sudore.
«Mi dispiace, Matilde. Non avrei mai pensato che…»
Il mio corpo ha ripreso a rispondere agli ordini, quindi appoggio una mano sulla sua e cerco i suoi occhi chiari, cercando di sorridere.
«Sto bene.» Mi blocco e correggo quello che ho appena detto; Elisa mi ricorda sempre che mentire sulle proprie emozioni è controproducente.
«Starò bene, Giada. Non… È stato inaspettato.»
Comprendo il motivo per cui è arrivato l'attacco di panico. Vedere una scena così simile a quelle che avevo vissuto qui quattro anni fa con Marco, nello stesso luogo, aveva destabilizzato completamente il mio equilibrio. Quello che non riesco a capire è il perché se ne sia andato così facilmente: a parte la respirazione non ho messo in atto nessuna delle strategie che ho imparato in questi anni, non è stato neanche necessario il bromazepam.
«Vuoi riposare un po’? Vengo a chiamarti per cena. O se vuoi te la porto in camera.»
È una stretta al cuore vedere Giada così preoccupata, non mi piace pesare sugli altri, ma so che lei mi vuole bene e questo rende tutto più sopportabile.
«Vorrei fare una doccia. Poi potremmo andare in spiaggia da tuo padre.»
«Sicura?» Chiede, gli occhi ancora incerti.
Annuisco prima di rispondere «Sicura. So che non mi crederai, ma è stato meno peggio di altre volte. Ho bisogno di aria e di respirare il mare.»
Dopo quelle parole un piccolo sorriso fa capolino sulle sue labbra, ma scompare quasi subito, come se quello a cui sta pensando non le piacesse per nulla.
«Il ragazzo, quello che era qui poco fa… Si chiama Mattia, è il capo animatore dell'albergo.»
Prende fiato e mi osserva, in attesa di una mia reazione, che però non arriva.
«Sarà in spiaggia, lo vedrai in giro spesso. Se è un problema…»
Scuoto la testa «Non è un problema, purché non torni nella mia stanza.»
Adesso sono io a sorridere e lei mi segue a ruota.
«Ti assicuro che non accadrà più, anzi. Gli farò passare qualsiasi voglia di fare l'idiota con le ospiti dell'hotel.»
Quando è sicura che tutto sia sotto controllo mi lascia sola, concedendomi il tempo per riprendere contatto con i miei ricordi, con le mie emozioni. Mi infilo dentro la doccia tiepida e mi concedo qualche lacrima per riportarmi al qui e ora, dedicando del tempo ad analizzare la mia reazione alla scena a cui ho assistito poco fa.
Con Elisa lavoro da più di un anno sul vivere il momento, sul godermi quello che succede senza dover analizzare tutto, ma i risultati sono stati scarsi e sporadici. Sviscerare ogni dettaglio mi aiuta a mantenere il controllo e mantenere il controllo per me significa continuare a respirare regolarmente.
L'unica spiegazione plausibile che trovo sono gli occhi di quel ragazzo, così simili a quelli di Marco, che se da un lato mi hanno mandato in tilt, dall'altro mi hanno ancorato a terra, impedendomi di andare alla deriva.
Esco dalla doccia e indosso un costume intero nero: l'idea di un due pezzi è sparita nel momento in cui ho visto la cicatrice sull'addome, segno indelebile di quello che è successo. Raggiungo Giada nella hall e insieme ci avviamo verso il mare, in un silenzio che lei rispetta. Passeggiare nella pineta che separa l'albergo dalla spiaggia mi regala la solita sensazione di pace, dove le parole di Giada sono un sottofondo piacevole. La vista degli ombrelloni color crema, immobili di fronte al mare piatto, mi fa sentire ancora una volta nel posto giusto. Esattamente come la vista del padre della ragazza.
Roberto, detto Bero, è stato il testimone di nozze di mio padre, era il suo migliore amico e nonostante tutto lui dice che lo è ancora. Si erano conosciuti durante il servizio di leva in un qualche paesino sperduto sulle Alpi e da allora si erano sempre sostenuti a vicenda. La perdita di mio padre lo aveva segnato più di quanto desse a vedere. Il suo carattere solare è lo stesso dei miei ricordi di bambina, però a volte vedo scemare la luce nei suoi occhi, li vedo velati di una tristezza che non gli appartiene, soprattutto quando mi guarda; credo che sia perché somiglio molto a mio padre.
Lui e Giada mi accompagnano fino all'ombrellone che mi hanno riservato, in seconda fila, non centrale: sanno che amo la brezza marina sulla pelle, ma non la confusione. Bero parla ininterrottamente con il suo accento gioioso tipico di queste zone e tormentando i baffi folti e curati, mentre saluta i vari ospiti.
Non resterò molto in spiaggia, giusto un paio di ore, anche perché Giada ha programmato la nostra serata e non ha accettato repliche, anche se non mi sarei opposta: non la vedo da troppo tempo e la sua compagnia è salutare per me. I due anni di differenza d'età sono praticamente inesistenti, almeno quelli anagrafici; talvolta quelli che pesano sulle mie spalle mi sembrano ottanta e non ventotto.
Mi accomodo sul lettino dopo aver spalmato la crema solare, che non dimentico mai anche se la mia pelle olivastra si colora in fretta, diventando molto simile a quella dorata della mia amica. Prendo dalla borsa uno dei libri che ho portato con me, “Circe” di Madeline Miller, affogando le mie emozioni in una delle poche cose che riescono realmente a distrarmi. Mi hanno accusato spesso di utilizzare la lettura per schermarmi, per non uscire o parlare e forse hanno avuto ragione. Le persone che hanno pronunciato queste parole, però, sono state le prime ad allontanarsi e la mia parte cinica aveva pensato che avrebbero trovato un'altra scusa per andarsene.
La rabbia è stata una delle parti più difficili da affrontare e accettare, non aveva mai fatto parte di me; almeno non quel genere di collera, che si annida in ogni angolo del tuo essere, avviluppandosi ad ogni pensiero e ad ogni azione. Eppure era arrivata anche lei e a volte credo non se ne sia mai andata, nonostante il percorso con Elisa. La sento scorrere sotto la superficie, incapace di liberarsi, ma sempre presente. È venuta fuori in pochi momenti, quando le mie barriere hanno vacillato, trovando le falle nei muri che ho costruito con attenzione attraverso il controllo e la routine per non crollare, per stare in piedi.
Non so quanto tempo sia trascorso, ho letto poche pagine del libro, quando un'ombra si posiziona accanto al mio lettino, oscurando il sole e distogliendo la mia attenzione dalla lettura.
Trattengo il respiro quando capisco di chi si tratta, quando nonostante la luce incontro di nuovo quegli occhi color del cielo. Lo stomaco si contrae e l'unica cosa che vorrei fare è scappare da quello sguardo così limpido, dai sentimenti che riporta a galla.
«Ehi…»
La sua voce è roca, ma gentile. I capelli castano chiaro schiariti dal sole ricadono in ciocche disordinate sulla fronte ampia, le labbra sottili sono piegate in un mezzo sorriso. Non è molto alto, visto da vicino, ma ha un fisico proporzionato, con i muscoli delle braccia appena accennati che si intravedono sotto la maglietta gialla con il logo dell'animazione e le spalle larghe.
«Ciao» rispondo, modulando la voce in modo da risultare neutra.
«Senti, per prima… Non era mia intenzione… Non volevo… Insomma, ho visto sul planning che quella stanza era libera e… Insomma, cercavo un po’ di privacy e…»
Mentre parla si gratta la nuca con la mano destra, disegnando sulla sua faccia espressioni quasi buffe. Una parte di me vorrebbe sorridere, forse la vecchia me lo avrebbe fatto, ma l'unica cosa che voglio adesso è che se ne vada. Ho bisogno che si allontani, per riprendere il mio spazio e il controllo su di me, perché qualcosa in lui agita sentimenti che stento a riconoscere, perché lontani da troppo tempo.
Alzo la mano e la scuoto velocemente «Non è un problema, basta che non succeda più.»
Liquido così le sue scuse, con voce gelida, sperando che sia sufficiente ad allontanarlo.
Inclina la testa da un lato, osservandomi curioso.
«Sicura? Mi sei sembrata un po’ sconvolta prima.»
«Come avrei dovuto essere, scusa? Stavi per scopare con una ragazzina nella mia camera d'albergo!»
Il mio tono è più alto di quello che avrei voluto, ma cerco di mantenere una postura decisa.
«Sì, infatti… Potrei offrirti da bere per scusarmi?»
Non è arrossito, ma il suo sguardo rivela un certo imbarazzo.
«Sono a posto così, grazie. Ora avrei da fare.»
Indico il libro che tengo tra le mani, stretto più del necessario.
«Vedo» si schiarisce la voce. «Magari un altro giorno?»
Non rispondo, sperando che capisca l'antifona e se ne vada, prima che il mio cuore esca dal petto. Mi sento al limite, anche se non capisco di cosa.
«Comunque sono Mattia.»
Non so cosa mi spinga a dire il mio nome, ma la voce esce in un sussurro.
«Matilde.»
Sorride, come se avesse conquistato la cima di una montagna, quasi vittorioso.
«Allora ci vediamo, Matilde.»
Poi, finalmente, si allontana, permettendomi di tornare a respirare e di pensare in maniera più lucida.
Rimango immobile sul lettino, il libro stretto tra le mani in maniera convulsa, troppo sconvolta dal turbinio di strane emozioni che si agitano dentro di me. Non mi era più successo di provare qualcosa di così potente, non negli ultimi quattro anni e onestamente non riesco a dargli una spiegazione. È una persona come un'altra, ne ho conosciuti tanti di ragazzi dell'animazione o di ragazzi in generale.
Scuoto la testa, riportandomi al qui e ora. Analizzo i dettagli, cosa può avermi portato a questo sconvolgimento interiore e arrivo ad una conclusione: è colpa della scena a cui ho assistito nella stanza e di quegli occhi azzurri. Tutto qui. Tutto adesso scorrerà come sempre.
Sorrido, orgogliosa di me e dei progressi che ho fatto, per aver gestito le mie emozioni ed avergli dato una spiegazione. Ritorno nel mio limbo fatto di pagine, sicura che questa piccola parentesi non disturberá oltre il mio fragile equilibrio.
Spazio autrice
Capitolo di grandi ingressi nella storia. Avete finalmente conosciuto Giada e la sua famiglia, ma soprattutto avete conosciuto Mattia, capace di mandare in frantumi le certezze di Matilde... E non solo le sue!
Sono al lavoro sul cast con l'IA, spero di riuscire a realizzarli presto!
Un abbraccio
Elsie
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro