Capitolo 2
Sto correndo sulle note di Friday I'm in love con le cuffie nelle orecchie e la voglia matta di non tornare più a casa. Sono stanca di non fare niente dalla sera alla mattina, per questo anche se sono le quattro del pomeriggio ho deciso di fare una corsa sulla spiaggia.
Amo la California, il mare ed il caldo. Non mi vedo in nessun altro posto tra cent'anni se non qui. «Monday you can fall apart; Tuesday, Wednesday, break my heart; Thursday doesn't even start. It's Friday, I'm in love.» Canticchio, anche se con il fiatone. Alcune persone si girano a guardarmi male, probabilmente perché sto stonando come una campana, ma non mi interessa. Non posso essere un futuro agente dell'FBI e anche la nuova Adele, no?
Corrugo la fronte quando devo fermare la canzone perché sento la vibrazione del mio cellulare. Il numero che vedo è di uno sconosciuto e lo maledico mentalmente per aver interrotto le mie amate canzoni dei The Cure. «Pronto?» Rispondo, fermandomi ed ansimando per la corsa. Ho levato una cuffietta per appoggiare il telefono vicino l'orecchio, mentre l'iPod è ancora collegato alle cuffie. Se è uno scherzo telefonico riattaccherò senza pietà.
«Parlo con la signorina Elodie Lewis?» La voce che sento dall'altro lato del telefono è giovane, professionale, ma non sembra uno scherzo.
Mi schiarisco la voce, cercando di non far sentire che sto ancora ansimando. «Sì, sono io.» Mi asciugo la fronte sudata con la mano e mi guardo intorno, per distrarmi. Ci sono così tante persone che è più facile del previsto. Eppure la mia attenzione è tutta concentrata su questa telefonata. Il cuore mi sta per scoppiare nel petto perché so cosa potrebbe essere. Forse Ty, l'amico federale di Ross, ha davvero fatto la differenza dal momento che sono passati soltanto tre giorni da quando gliene ho parlato.
«Bene. La sto chiamando dall'FBI. Abbiamo visto che ha da poco fatto richiesta per far parte di una squadra e anche che era una delle migliori durante i corsi. Noi qui non ci fidiamo molto dei telefoni, per cui vorremmo incontrarla appena possibile.» Apro la bocca, in cerca di parole, per poi richiuderla. È finalmente successo. Un tizio mi sta dicendo di incontrarlo per assumermi ufficialmente.
«Certo, certo.» Sapevo che i veri agenti non si dicono niente per telefono, hanno sempre paura di essere ascoltati attraverso questi. Vorrei dire che io non ho la stessa ansia, ma in realtà ce l'ho. «Sono a venti minuti dalla sede dell'FBI. Posso venire adesso, se per lei non è un problema.»
«Perfetto.» Ora il tizio sembra solo annoiato. «A tra poco.» Chiude ancora prima che io possa salutarlo. Corrugo la fronte. Che gran maleducato, spero che non sia nella mia squadra.
Alzo gli occhi al cielo e rimetto il cellulare nell'apposita borsetta che mi porto soltanto per la corsa. Abbie mi prende sempre in giro quando la vede. «Taxi!» Alzo la mano in aria e mi avvicino alla strada per fermarne uno. Correndo ci vuole quasi un'ora e arriverei lì tutta sudata e con l'affanno. Già farò una cattiva prima impressione vestita come se stessi correndo la maratona di New York. Il tassista di cui avevo cercato di attirare l'attenzione mi nota e accosta, perciò salgo velocemente nei sedili posteriori. «West Street 10, per favore.» So a memoria l'indirizzo dell'edificio dell'FBI, al terzo piano si tenevano i corsi.
«Certo.» Il tassista annuisce e parte, mentre io mi mordo il labbro per il nervosismo. Il ragazzo per telefono non sembrava molto simpatico, spero davvero che non sia lui con cui dovrò parlare. Metterei volentieri le cuffie per sentire altra musica, per cercare di calmarmi, ma mi sembra scortese. In più per come sto dovrei metterla a tutto volume.
Osservo fuori dal finestrino la spiaggia coperta nella mia visuale da alcune palme, le varie persone che camminano perché un giovedì come tanti. Neanche me ne rendo conto, che il palazzo dell'FBI è davanti a me in tutto il suo splendore. «Siamo arrivati.» Dice il tassista, bloccando il tassametro. «Sono quarantacinque dollari.»
Gli porgo una banconota da cinquanta. «Tenga pure il resto.» Lo saluto distrattamente prima di scendere e avviarmi all'interno dell'edificio. Non ho più il sudore appiccicato in fronte e non puzzo ancora, ma i capelli sono scompigliati. Approfitto dell'ascensore in vetro per disfarmi la coda e rifarmela. Sono più presentabile, almeno.
Quando arrivo al decimo piano, che è dove si trovano gli uffici e la segreteria ufficiale, ho il cuore che martella così forte nel petto che ho il dubbio mi sentano anche gli altri. Nella segreteria c'è un uomo che mi dà le indicazioni per un ufficio in particolare. Quando ci arrivo davanti c'è una targhetta con il nome. Steven Gonzalez.
Busso, aspettando l'avanti per entrare. «Salve. Sono Elodie Lewis. Mi avete chiamato meno di un'ora fa.»
Quello che credo sia Steven sta giocando al solitario sul computer. Ci mette due o tre minuti per girarsi verso la mia direzione, ad un certo punto penso persino di essermelo immaginato. «Oh, è lei.» Mi fa cenno con la testa di entrare, così lo faccio e chiudo la porta alle mie spalle. «Ma come diavolo è vestita?»
Cazzo. «Stavo facendo ginnastica e lei mi ha detto di fare il più in fretta possibile...» Mi giustifico, sentendo le guance andare in fiamme. Ora si rimangiano tutto, me lo sento. Diranno che c'è una seconda Elodie Lewis e che si sono confusi.
Steven sta per ribattere, ma la porta si apre ed entra una figura familiare. Ty ha una camicia aperta sugli ultimi bottoni ed il cartellino sul petto che segnala che fa parte dei federali. Sorride non appena mi vede. «Eccoti, finalmente. Ciao, Elodie.»
«Ciao.» Lo saluto, mentre Steven tossisce qualcosa sul rimanere professionali. Solo in quel momento ricollego e mi rendo conto che è lui quello che mi ha chiamato mezz'ora fa.
Ty non sembra molto felice della confidenza che si è preso Steven. «Ci conosciamo già, agente, e direi che l'unico che si sta prendendo troppa confidenza, qui, è lei.» Mi fa segno di uscire e obbedisco, senza dire niente. Ty sembrava gentile, ma c'è qualcosa di pauroso in lui quando si arrabbia. Mette timore, se non suggestione. Mi sembra più un manicomio che la sede dell'FBI. «Scusami, è un vero stronzo.» Mi devo coprire la bocca con la mano per non scoppiare a ridere all'imprecazione di Ty.
Anche lui ridacchia. «Mi dispiace per quello che ti ha detto, hai fatto bene a venire anche se stavi facendo ginnastica.» Continua, iniziando a camminare. Lo seguo stile cagnolino, completamente abbagliata e meravigliata da tutti gli uffici degli agenti dell'FBI. Questo è il mio posto e, forse, finalmente, ce l'ho fatta. «Ho visto il tuo fascicolo. Non ti stavamo chiamando perché si era perso, ma per fortuna ne avevano una copia negli archivi al primo piano. Tutti ottimi voti, niente male.» Mi fa un occhiolino. «Sarà un piacere averti nella squadra.»
«Siamo in squadra insieme?» Chiedo, sorpresa. Ci sono così tante squadre che neanche a farlo apposta.
Ty annuisce. «Io, te, Steven ed altre tre persone che conoscerai domani.» Entriamo in una stanza con un tavolo lungo quanto il salotto di casa mia. Ci sono svariate sedie girevoli intorno e davanti un tabellone trasparente. So già cos'è, ma Ty me lo spiega lo stesso. «Qui è dove ci riuniamo quando abbiamo un nuovo caso. Su quel tabellone mettiamo tutte le prove che abbiamo e i sospettati, ma immagino che già lo sapevi.» Annuisco impercettibilmente e proseguiamo con quello che potrei definire giro turistico. Questo significa che sono stata presa? O forse è una prova dell'FBI per vedere se sono all'altezza.
Dieci minuti dopo ho la conferma: sono stata presa davvero. Menomale che non sono Abbie, perché dall'emozione avrei iniziato a parlare così tanto che solo uno schiaffo mi avrebbe fermato. Ty mi fa vedere il mio ufficio, dove ci sono carte che devo firmare per accettare il lavoro. Nel farlo mettiamo i telefoni in una scatola, in modo che non possano sentirci o guardarci da lì. Per sicurezza di infilo anche l'iPod, con le cuffiette arrotolate intorno a questo. Come se il fossile che ho come telefono riuscisse a far vedere qualcosa dalla telecamera, poi. «Come ti ho detto, il tuo curriculum e i voti che ti hanno dato all'addestramento sono impeccabili. Basta una firma qui e sei ufficialmente dei nostri.»
Leggo velocemente ciò che c'è scritto sul contratto. Verrò chiamata ogni volta che c'è un'emergenza, avrò uno stipendio molto alto, le ferie a Natale, un mese di estate e altri vari ponti, senza considerare se non c'è un caso importante. Firmo e riconsegno il foglio a Ty, che sorride. «Perfetto. Puoi decorare questo ufficio come vuoi, comunque, è soltanto tuo e mi rendo conto che i colori sono un po'... spenti.» Direi: pareti beige e mobili tutti neri. Capisco che mi occupo di omicidi e psicopatici, ma almeno il mio ufficio potrebbe essere più allegro.
«Grazie.» Gli dico, anche se non so bene per cosa lo sto ringraziando. Sarà difficile lavorare con lui, soprattutto dal momento che non ho smesso di pensarci da quando l'ho incontrato tre giorni fa. Ed il fatto che mia sorella lo nominasse ad ogni frase non ha di certo aiutato.
Ma ancora non ho dimenticato la ragazza dai capelli rossi e mossi che l'ha chiamato amore e gli ha messo una mano sul petto. In più, mi sono ripromessa di concentrarmi sul mio lavoro e su nient'altro. Gli uomini sono l'ultima cosa di cui ho bisogno al momento. «Figurati, per oggi sei ancora libera, per così dire.» Si ferma un attimo, esaminando l'ufficio. Ho la sensazione che sia diventato triste, ma dura solo un attimo, perché poi sorride come ha sempre fatto fino ad adesso. «Inizi domani. Ci vediamo alle nove nella sala riunioni, che è la prima che ti ho fatto vedere. Prima di andare vai in segreteria e ti daranno il cartellino con il tuo nome per dire che sei dei nostri. Avrai il distintivo e la pistola domani.» Annuisco di nuovo e lui mi stringe la mano. «Ci vediamo.»
Quando se ne va, mi prendo un attimo per metabolizzare ancora cos'è successo. Ho appena realizzato il mio sogno, quello chiuso nel cassetto da quando ne ho memoria. Non trattengo neanche un sorriso e mi guardo intorno, memorizzando ogni particolare del mio ufficio, anche se devo decorarlo. C'è una scrivania, due sedie, un divanetto appena si entra e una libreria. Potrei mettere qualche foto con Abbie, qualche quadretto motivazionale o non so. Quello che mi mette a disagio è la porta in vetro, non mi dà molto il senso di privacy, ma c'è una piccola tendina da poter abbassare nel caso.
Sospiro e mi siedo davanti la scrivania, pensandoci su. Mi tremano le mani. Continuo a pensare che so che non sarà facile, che probabilmente questo posto mi porterà più dolore che felicità, ma in questo momento non posso proprio far altro se non sorridere.
Riprendo il mio cellulare dalla scatola, vedendo che Ty ha già preso il suo, e scrivo velocemente a mia sorella che sono stata presa all'FBI. Quando ero nel taxi non l'ho avvisata, perciò crede ancora che stia correndo. Mi arriva la sua risposta dopo poco, ma scoppio a ridere non appena la vedo, mezza sgrammaticata. Mia sorella ancora non si è abituata al telefono e preme sempre i pulsanti sbagliati per le lettere, perché sostiene che siano troppo piccoli. Perciò spesso sono a libera interpretazione di chi li riceve.
Infilo il cellulare nella tasca e decido di andarmene, consapevole che domani potrò ritornare di nuovo, e anche dopo domani, ed il giorno seguente e finché non andrò in pensione. «Arrivederci.» Dico a Steven Gonzalez quando gli passo di fianco. Sta parlando a voce alta con un uomo.
Per un attimo il pensiero di non salutarlo e andarmene così mi ha sfiorato la mente, ma non è neanche il mio primo giorno. Non voglio crearmi già dei nemici, avrò già abbastanza criminali che vorranno la mia testa appesa al muro di camera loro. Steven non mi saluta e io mi trattengo dal fargli un brutto gesto. «Coglione.» Gli dico, solo una volta in ascensore.
Devo aver sperato troppo poco che non ci fosse lui nella mia squadra, ma da un lato chi se ne importa. Non sono qui per socializzare, solo per aiutare le persone.
Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto ❤️
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