Capitolo 49
Era riduttivo descrivere la mia sensazione dicendo che avevo delle semplici farfalle nello stomaco.
Avevo e sentivo dentro un vortice, un tornado devastante più del primo, più del secondo che non mi stava lasciando via di scampo.
Questo era un bacio diverso dagli altri anche se poteva sembrare un semplice bacio; era intenso, pieno, che esprimeva tutto ciò che a parole non avevo il coraggio di dire e nemmeno lui esternava facilmente.
"Signori, tutto okay?"
Durante l'atmosfera passionale, corpo contro corpo, labbra sopra labbra e lingue che si intrecciavano in una danza di conoscenza e piacere, la commessa bussò alla porta del camerino facendomi sobbalzare.
Russel mi posò un dito sulle labbra non appena si rese conto che stavo per rispondere.
"Sì, stiamo per uscire", comunicò lasciando la presa dal mio polso ed allontanandosi da me.
Rimasi poggiata al muro senza respiro, le labbra ancora umide e tremanti da un continuo desiderio di riprendere ciò che adesso non c'era già più.
Osservai ogni movimento di Russel mentre raccolse la sua roba, la posò sulla sedia e cominciò a sbottonare pantaloni e camicia.
"Oh mamma, non vorrà cambiarsi davanti a me".
Mi agitai per l'imbarazzo quando Russel smise di sbottonarsi e mi guardò.
"Non mi dispiace avere un pubblico mentre mi spoglio ma..." si avvicinò a me con la scusa di abbassare la maniglia del camerino:"Preferisco spogliarmi da solo, oggi".
Feci un mezzo sorriso e nell'essere delicatamente sfiorata dai tessuti del completo, uscii dal camerino respirando profondamente.
Deglutii quando vidi la commessa guardare dalla mia direzione. Abbasssi il capo, sistemsi i vestiti e andai verso l'uscita del negozio alzando la mano in cenno di saluto. Avevo bisogno di respirare aria fresca, di tranquillizzarmi e, sopratutto, di far calmare questo vortice che avevo nello stomaco e che lentamente mi stava risucchiando dentro.
Passarono alcuni minuti quando avvertii la presenza di qualcuno alle mie spalle; non avevo bisogno di girarmi e capire di chi si trattasse, sapevo già fosse Russel.
Così presi a camminare sapendo benissimo che lui mi stava dietro senza dire una parola.
Arrivanno alla macchina che mi sentivo strana e spenta, eppure doveva essere il contrario. Dovevo essere al settimo cielo, cantare e ballare dalla gioia, eppure ero tutto fuorché in vena di contentezza.
"Diamine Em, il ricco e famoso McRoverguy ti bacia per la terza volta e tu sei triste?" sì, ero triste.
Che senso aveva tutto questo quando sapevo benissimo che erano solo dei dispetti per farmi tacere?
Io sapevo per certo che non sarei mai potuta interessare ad un uomo come Russel, così bello ed intelligente, attaccato alle grandi cose ed ai valori importanti come il proprio lavoro.
Ero una scrittrice di livello mondiale, avevo deciso di prendere una strada ripida e piena di ostacoli ma non ero sicura che infondo la via ci fosse la luce che speravo di vedere.
"Posso sapere cos'hai?"
Fra i miei rumorosi pensieri se ne scorse uno che aveva tutta l'aria di non esserlo; era una voce che quando la sentivo mi dava piacere per quanto intensa e profonda fosse, una voce riconosciuta che mi piaceva tanto ascoltare anche se con me parlava poco: Russel.
Lo guardai mentre lasciammo il parcheggio e ci immettemmo nel traffico
"Stavo pensando".
"A cosa?" non mi guardava, era concentrato a guidare.
"A dove andremo adesso", mentii sperando non lo arrivasse a capirlo.
"Da nessuna parte, torniamo a casa", mi raddrizzai sul sedile.
"Non servono altri vestiti?" chiesi.
"Sì ma... questa volta andrò solo io", queste parole mi spiazzarono.
"Perché?"
"Ho bisogno di fare le cose con calma, senza avere nessuno intorno".
"Capisco, va bene", sussurrai guardando le mani sulle mie gambe.
"Chissà perché vuole andare solo". sospirai.
In tutta onestà, mi andava molto di pensarci.
Arrivammo a casa dopo mezz'ora di macchina seppur ce ne volessero molti di meno, a quest'ora del giorno la città si riempiva di auto in rientro a casa dal lavoro, le colonne erano ferme e la pazienza di Russel si accorciava sempre di più.
Solitamente più tempo passavo in sua compagnia e più volevo restare, questa volta non persi tempo però a slacciare la cintura ed aprire lo sportello.
"Aspetta", Russel mi bloccò spingendomi a sedere di nuovo sul sedile.
"Dimmi".
Aveva uno sguardo indecifrabile e di solito c'era da preoccuparsi quando faceva così.
"Capisco che alcuni miei gesti possano confonderti".
Mi guardò, corrugai la fronte.
"Che cosa vuoi dire?"
"Emily, non voglio turbarti in alcun modo quindi..."
Fece una pausa che mi mise più ansia del solito; ora la sua espressione riuscivo a decifrarla: era un misto tra rabbia e tristezza, due componenti esplosivi su un uomo come Russel.
"Quindi?" ripetei.
Mi guardava dritto negli occhi, il suo sguardo era una lama gelida conficcata nella carne.
"Da oggi non ti toccherò mai più né avremo alcun contatto che non sia lavorativo".
Cominciai a tremare ed ero persino sicura di avere un espressione in volto simile a quella di un fantasma: bianca e fredda.
"Non avrò più alcun contatto con lui?"
"V-vuoi che torni a casa mia?" balbettai.
"No, questo no. Voglio solo mantenere la giusta distanza fra me e te".
Mi portai dietro le orecchie una ciocca di capelli, dovevo farmi coraggio ed affrontare la decisione a testa alta.
Lo guardai sorridendo:"Sono d'accordo con te, forse è giusto per entrambi".
Ma la mia era tutta una finzione, un teatrino uscito male.
Scesi dalla macchina chiudendo lo sportello più forte del solito, questa volta non attesi che Russel lasciasse il vicolo di casa sua facendo fischiare le ruote sull'asfalto, entrai in casa chiudendomi la porta alle spalle. Quando fui sicura di essere completamente da sola, poggiai la schiena alla porta e scivolai per terra scatenando un pianto silenzioso.
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