Capitolo 37
"Metti la schiena dritta", suggerì Russel avvicinandosi al mio sedile con la cintura fra le mani.
Feci come disse senza esitazione, si sporse verso di me per poi chinarsi verso il mio bacino; stava agganciando l'elastico attorno la mia vita per poi bloccarla alla chiusura a scatto del sedile.
Mi sentivo completamente bloccata, oltre che perfettamente impedita di fare anche solo un impercettibile movimento dal bacino in giù.
"A cosa serve?" lo guardai mentre si mise dritto.
"Tiene il tuo corpo fermo e al sicuro", tirò in avanti la cintura:"Allaccia anche questq".
La afferrai e la agganciai quando Russel si occupò di chiudere lo sportello al mio lato. Non entrò subito anzi, si allontanò per rientrare in casa ed uscire subito dopo con una borsa molto grande fra le mani; la sistemò sul sedile anteriore e mentre fece il giro per entrare al lato guida, mi voltai per quel che potevo a guardare cosa ci fosse all'interno di essa: due asciugamani da mare.
Avrei tanto voluto capire dove volesse portarmi e perché avessi addosso questa imbragatura alquanto fastidiosa e stretta.
Mi dimenai senza fare peso sul corpo, avevo solo bisogno di allentare gli elastici che mi davano la sensazione di cappio al collo.
"Stringe?" domandò chiudendo lo sportello ed allacciando la sua cintura.
"Un po'", ammisi.
"Mi ringrazierai per questo", accennò un sorriso, poi accese lo stereo al massimo del volume:"Stai rilassata e tieniti forte".
Cominciai ad avere il cuore a mille e lo stomaco sottosopra.
"Che cosa vuole fare?"
Deglutii appena girò la chiave e mise in moto, una sgommata rumorosa e la macchina salì a 180k/h in meno di cinque secondi.
Più Russel premeva sull'acceleratore e più i chilometri salivano fino a non riuscire neppure ad aprire la bocca per gridare.
Mi coprii gli occhi con le mani sentendo il mio corpo muoversi bruscamente a destra e sinistra, poi d'un tratto la macchina si fermò con un urto violento.
Trovai il coraggio che non pensavo di avere nell'abbassare le mani e guardare il motivo per il quale ci eravamo appena fermati: quattro semafori rossi, una pista piena di curve e macchine particolarmente modificate di turbo al lato destro e sinistro.
Dalle loro marmitte usciva una nuvola di fumo grigio dall'aria tossica e bollente, saliva nell'aria ed appannava i vetri come una nebbia fitta.
"Loro chi sono?" balbettai notando che guardavano nella nostra direzione.
"Miei amici", rise.
Russel abbassò il finestrino quando accanto la sua auto se ne avvicinò una bianca con scritte e disegni vistosi. Alla guida, un uomo decisamente più grande di Russel: gli sorrideva.
"Ehi Russ, a chi arriva primo?"
Quella domanda mi fece tremare:"Ti prego, no. No, ti prego no", borbottai sottovoce pregando che Russel mi sentisse.
"Per questa sera passo, grazie". Sospirai.
"Hai paura?" punzecchiò l'uomo che diede gas alla sua vettura.
"No", ridacchiò Russel poi si tirò indietro con la schiena fino a ché l'uomo potesse scontrare lo sguardo con il mio:"Non sono da solo".
"Ah, ora capisco", rise:"La mia sfida rimane valida".
"Puoi scommetterci".
Russel mise in moto non appena il semaforo tornò verde, una sgommata stridula sull'asfalto e con un sorpasso quasi mortale in curva, ci ritrovammo avanti le altre macchine sfreccianti e spericolate.
Urlai più che potevo ad ogni curva guardando le altre macchine sorpassarci o sorpassarle; il cuore lo sentii salirmi in gola con la paura che potessi gettarlo fuori da un momento all'altro.
Ero sul punto di piangere.
Poi qualcosa di strano ed inaspettato accadde: Russel tagliò la strada bruscamente passando per una via secondaria alla pista.
Questa volta rallentò di colpo mantenendo una guida leggera.
Mi guardai indietro, impaurita:"Dove stai andando?" la gola mi faceva tremendamente male.
"Lo vedrai tra poco", lui invece era così calmo che mi rese nervosa ancor di più.
"C'era bisogno di correre così tanto?" dissi stizzita e contrariata da tutto questo.
"Ti sei spaventata?"
"Sta chiedendo sul serio?"
Lo guardai furiosa:"E me lo chiedi? Sono terrorizzata".
"Beh, spero che questo ti faccia passare almeno la rabbia", si fermò di colpo inducendomi a guardare dritto davanti a me.
"Oddio", esclamai stupita da ciò che vedevo.
Russel mi liberò dall'imbragatura:"Forza, scendi".
Senza nemmeno pensarci, scesi dalla macchina avvicinandomi di più a questo mondo che mi era del tutto sconosciuto fino ad ora.
Una cascata non molto lontana, le rocce, gli alberi, i fiori e quest'acqua così cristallina illuminata da un raggio di luna.
Mi venne voglia di toccarla con mani, immergermi con i piedi e tutto il corpo, lasciarmi accarezzare da tanto splendore brillante e trasparente se solo non facesse così freddo.
Mi voltai a guardare Russel che stava sistemando le asciugamani sull'erba più corta.
"Come conosci questo posto?" mi avvicinai a lui sedendomi su una delle due tovaglie.
Si mise accanto a me:"Venivo qui con mio padre. Poi quando ho cominciato a gareggiare con la macchina, prima di tornare, a casa passavo di qua a rilassarmi."
"Quindi tu fai gare?" guardai la cascata.
"Non più, ora corro per sfogarmi da tutti gli impegni lavorativi; corro per allontanarmi da tutti i brutti pensieri; corro perché mi piace farlo".
"Ma è così pericoloso", gli feci notare.
"Chi stabilisce cosa sia o meno il reale pericolo?"
"Qualsiasi cosa lo può essere".
"Ecco, appunto".
Averlo di nuovo così vicino mi rese nervosa ma volevo provare a stare calma, si stava nuovamente aprendo con me, non volevo rovinare tutto.
"Penso che questo posto diventerà il mio preferito", esclamai alzandomi da terra ed alzando le braccia al cielo.
"Ti attacchi molto velocemente alle cose".
Mi voltai verso di lui abbassando le braccia:"Che cosa vuoi dire?"
"Ti piace l'appartamento che dividi con la tua amica; ti piace casa mia; ti piace questo posto ma..." fece una pausa guardandomi intensamente:"Non ti ho mai sentito dire che ti piace la città da cui vieni", con queste parole mi rabbuiai rimanendo a fissare il vuoto che pensavo fosse il viso di Russel:"Se ho detto qualcosa di sbagliato ti prego di scusarmi".
Quando si accorse del mio radicale cambiamento in volto, si alzò immediatamente avvicinandosi a me.
"Non scusarti, hai ragione", la mia voce era un filo sottile che a momenti si sarebbe potuto spezzare:"Non parlo mai della mia città perché io non ne ho una in cui sono stata ferma per più di un anno".
"Ma ne hai una in cui sei nata", sottolienò.
"Ci ho vissuto così poco che non la ricordo neanche più".
"Noto che i segreti non sono solo io ad averli".
Era vero, aveva ragione.
Russel di me non sapeva ancora molte cose, eppure lui di sé staba provando a dire tanto o anche solo a dimostrare a suo modo.
Io, invece, non avevo mai ricambiato con il parlargli di me.
"Tu non hai mai chiesto di parlarti di me, della mia vita. Ho pensato non ti importasse sapere".
Lo guardai, era così vicino che riuscivo a riflettermi nei suoi occhi.
"Bene, allora fallo adesso", diventò così serio e impenetrabile che mi mise i brividi più di questo poco vento che aveva iniziato a solleticarmi la pelle:"Parlami di te".
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