Capitolo 33
Lo guardai irrigidita, come avrei potuto dirgli tutto ciò che era successo ieri sera? Mi sarei sentita imbarazzata e poi non volevo che sapesse esattamente tutto ciò che facevo quando ero fuori dal suo appartamento, dopotutto lui stesso disse che la mia vita privata non era affar suo.
Deglutii:"Non hai detto che la mia vita privata non ti interessa?"
Mi guardò fisso senza batter ciglio:"Anche questo è giusto però..." poggiò la forchetta nel piatto per lasciare la sua bocca libera dal poter sorseggiare un bicchiere di vino:"... voglio ricordarti che stanotte tu stessa mi hai chiesto di domandartelo".
"Che sciocca, ha ragione" .
Abbassai il capo a disagio, odiavo le risposte ovvie specialmente se a pensarci erano gli altri e non io.
"Nulla di ché: sono stata nel mio appartamento con la mia coinquilina", sussurrai.
"Non siete uscite?"
Cominciai a giocherellare con le mani sotto il tavolo:"No, siamo state tutto il tempo a casa", mentii.
Dal suo sguardo non riuscivo a capire se mi stesse credendo oppure no e per evitare strani inconveniente, ripresi a mangiare.
"Ti manca?" chiese fissandomi.
"Un po'", mandai rumorosamente giù il boccone.
"Mi piacerebbe conoscerla", esclamò d'un fiato e con un mezzo sorriso, sussultai:"Portala qui questa sera", bevve un sorso di vino.
Annuii, questa volta anche lui riprese a mangiare mentre la musica riempì il silenzio.
"Ti è piaciuto il pranzo?" domandai sparecchiando la tavola.
"Abbastanza", si alzò per aiutarmi.
Rimasi ipnotizzata da ogni suo movimento, così delicato e sicuro di sé. Avrei tanto voluto avere la sua stessa spavalderia, come se niente e nessuno potesse mai perforare quella corazza con cui si proteggeva; avere sotto controllo ogni cosa, persino se stesso e non dover mai chiedere niente a nessuno.
Ma una cosa, o più di una, mi incuriosiva di lui: la sua vita.
"Vivi da solo per scelta?" domandai rapidamente mentre lui non mi guardava.
Si fermò davanti il lavello con la schiena verso di me, sullo stesso punto in cui due sere prima mi aveva baciata.
"Questa casa era dei miei genitori", rispose secco.
"Dove sono adesso?" pensai di sapere già la risposta ma non riuscivo proprio a frenare la mia curiosità.
Sospirò:"Sono morti in un incidente", sussurrò in un tono che a me parve nervoso.
"Brava Em, sai proprio come farli innervosire gli uomini".
Sussultai:"Mi dispiace, non dov..."
"Dovevano fare un viaggio in Italia", mi interruppe voltandosi verso di me, poggiò la mani sul ripiano del lavello dietro di lui:"Mia madre ha sempre avuto paura degli aerei così quel giorno con mio padre decisero di prendere la macchina fino al porto", deglutì stringendo le mani alle maniglie degli stipi bassi:"Una macchina impazzita guidò contromano verso la loro direzione, l'autista perse il controllo finendo fuori corsia. Per i miei genitori non c'è stato niente da fare, morti sul colpo", mi guardò.
Nel suo sguardo leggevo dolore e disperazione; uno sguardo che su di lui vestiva in maniera diversa rispetto a me.
Mi avvicinai di qualche passo:"Mi dispiace", sussurrai.
Avevo una voglia matta di abbracciarlo ma mi bloccai a pochi centimetri da lui.
"Non importa, sono trascorsi dieci anni da allora".
"Gli stessi anni in cui ha iniziato a lavorare nella Forgotten Editor". Sussultai nuovamente ricordando.
Misi le mani dietro la schiena cercando di far nascere un sorriso sul mio viso:"Bene, adesso vai via di qui. Devo mettere tutto in ordine".
Russel si spostò dal lavello fermandosi davanti a me, mi guardò fisso mentre cercai di mantenere la stessa allegria.
"Non hai bisogno di fingere per farmi sorridere", mi passò di fianco e mi lasciò sola in cucina.
"Che cosa voleva dire con quella frase?"
Sospirai fissando la porta, poi il silenzio calò in tutta la casa, Russel aveva spento perfino lo stereo.
***
Una volta finito di lavare i piatti e mettere tutto in ordine, lasciai la cucina accorgendomi della presenza di Russel davanti il pianoforte. Non suonava, stava fermo lì a fissare i tasti lasciandosi accarezzare i capelli ed il viso dal vento.
Lo raggiunsi lentamente e nonostante il rumore quasi stridulo della porta scorrevole, non si voltò a guardarmi.
"Io ho finito", attesi una risposta che non diede:"Allora salgo in camera. Sicuro vuoi che venga Cristina questa sera?" tacque.
Sospirai pronta a congedarmi, al terzo passo mi fermò:"Emily?"
Mi girai:"Si?"
"L'invito alla tua amica è ancora valido", sorrisi alla notizia nonostante lui fosse ancora serio.
Presi il portatile dal divano e salii a lunghe falcate verso la camera, presi il cellulare e chiamai Cristina.
Al quarto squillo rispose:"Pronto?"
"Cris sono io, Em", adesso ero io a saltellare come faceva di solito lei.
"Em, che succede?" aveva la voce assonnata.
"Dormivi?" chiesi con un gran sorriso.
"Riposavo. Che cosa devi dirmi?"
Mi schiarii la voce impostando un tono alquanto maschile e gutturale:"Signorina Cristina Sharrow, siamo lieti di comunicarle che il Signor Russel McRoverguy ha invitato lei a cena presso la sua villa".
"COSA?" strillò incredula.
Scoppiai a ridere buttandomi a capofitto sul letto.
"Hai sentito bene Cris, stasera sei invitata a cena nella lussuosa casa di Russel", continuai a ridere seguita dalla sua ilarità.
"Oddio non posso crederci".
"Fallo perché è la verità".
"A che ora vengo?" domandò senza contenere l'allegria.
"Passo a prenderti io per le otto".
"Va bene Em, non fare tardi sono troppo curiosa".
"Tranquilla, a dopo", riagganciai poggiando il telefono sul letto.
Ero davvero contenta di sentire Cristina così felice, anche se lo erw sempre, in qualsiasi momento.
Così stasera Cristina conoscerà Russel, ero davvero curiosa di sapere cosa penserà di lui.
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