20-Ombre
Amanda
Quando sento quelle parole, il sangue mi si gela nelle vene, è come se per un attimo il mio cuore avesse smesso di battere.
Non riesco a crederci, Callie me lo ha detto con il terrore negli occhi, era troppo scossa per poter pensare che sia stato solo frutto della sua immaginazione.
Appena rientro in casa, lascio cadere le chiavi sulla mensola del soggiorno, Callie percorre gli scalini che conducono al piano di sopra, sbatte la porta e si chiude in camera come suo solito.
Io mi dirigo furibonda in soggiorno, appoggio la borsa sul tavolo e inizio a frugarci dentro fin quando non trovo il telefono, lo estraggo e devo scorrere per un bel po' in rubrica prima di trovare il suo numero.
Clicco sull'icona e avvicino il telefono all'orecchio.
Continua a squillare senza ricevere risposta, inizio a spazientirmi e sto per riattaccare quando sento la sua voce gutturale pronunciare:-Pronto.-
Quel suono alimenta la mia rabbia.
-Trevor.- Imprimo tutto il risentimento che provo in quell'unica parola, quell'unica parola che per molto tempo al solo sentirla pronunciare, scaturiva in me un oceano di emozioni indescrivibili e incontrollabili, tanto da indurmi a dubitare del mio temperamento razionale e distaccato, ora invece è solo il nome del peggiore dei miei incubi.
-Non dirmi che lo hai fatto Trevor, non dirmi che lo hai fatto davvero.- Al solo pensiero sento una rabbia feroce inondarmi il petto.
Cammino avanti e indietro per il soggiorno, come un'ossessa, se mi fermassi probabilmente imploderei.
-Cosa Amanda? Non capisco.- Il suo tono pacato è indifeso, al mio orecchio attento, appare troppo costruito, capisco subito che mi sta nascondendo qualcosa e che probabilmente ha intuito perfettamente a cosa alludo.
-Callie dice di averti visto fuori da scuola oggi, dimmi che non è vero.- La mia sembra quasi una supplica disperata contro ogni evidenza.
Il silenzio che segue le mie parole, è così carico di certezze che non lascia più spazio ad alcun dubbio, arriva a confermare la mia paure con la stessa violenza di un pugno in pieno volto.
-Amanda...-Prova a replicare ma io lo interrompo subito.
-Ti rendi conto di quello che hai fatto? Lo sai che Callie si è sentita male perché ti ha visto? Perché ha visto te Trevor, lo capisci questo? -
Vorrei urlarglielo in un orecchio fino a rompergli il timpano ma la paura che Callie possa sentirmi, mi trattiene dal non alzare ulteriormente il volume della voce.
-Come devo dirtelo che devi starci lontane.-
-Mi dispiace, non credevo che Callie potesse vedermi.- Risponde con voce sommessa, come un bambino sgridato dai genitori per aver commesso una marachella.
La sua risposta mi manda fuori di testa, cerco di aggrapparmi con tutte le mie forze alla razionalità e alla lucidità di pensiero che mi abbandonano ogni volta che mi impegno in un dialogo con lui, provo a soffocare per un attimo la rabbia e tiro un lungo sospiro.
-Da quanto tempo va vanti questa storia?-Domando mentre con una mano torturo la stoffa del mio maglione.
-È mia figlia, Amanda, e il cortile della scuola è un luogo pubblico, nessuno può impedirmi di stare lì.-
Rimane per un attimo in silenzio interrotto solo dal suo respiro affaticato, poi aggiunge.
-Ti giuro, non volevo che lei mi vedesse, volevo solo guardarla mentre usciva da scuola, è cresciuta così tanto...-
-Stai zitto.-Lo interrompo bruscamente, non voglio permettergli di continuare oltre.
-Rispondi solo alle mie domande.- Ordino con voce ferma.
-Lo hai fatto altre volte?-
Mentre gli pongo la domanda chiudo gli occhi e resto con il fiato sospeso sperando strenuamente in una sua risposta negativa.
-Sì.-
Mi appoggio contro il tavolo mentre sento l'aria venire meno.
Non voglio nemmeno immaginare tutte le volte in cui Callie uscendo da scuola ha rischiato di incrociare il suo volto, non voglio immaginare cosa sarebbe potuto succedere se oggi lo avesse visto anche per un solo secondo in più, se ciò fosse avvenuto, il dubbio di essersi immaginata tutto, sarebbe crollato in un'istante.
-Callie non deve mai più vederti.- Il mio tono fermo non lascia spazio a repliche ma lui insiste.
-Amanda ascolta...-
-No, ascoltami tu Trevor.- Pronuncio con tono deciso.
-Dodici anni fai hai fatto la tua scelta, non si può tornare indietro, Callie è ancora traumatizzata da te, non oso immaginare cosa succederebbe se tu ripiombassi di nuovo nelle nostre vite.
Mi dispiace, avresti dovuto pensarci prima.-
Deglutisco in difficoltà e come un giudice che sta per emettere la sua sentenza, io pronuncio la mia condanna.
-Se questa cosa dovesse succedere di nuovo, passerò per vie legali.-
Un sospiro di liberazione abbandona la mia bocca, come se mi fossi tolta un peso dal petto.
-Non puoi Amanda, io non sto facendo nulla di male.- Il suo tono è quasi supplichevole.
-Oh si che posso.- Rispondo mentre metto a nudo pezzo per pezzo i suoi punti più vulnerabili.
-Ho ancora molti agganci, una mia parola e sei rovinato.
Ora devo andare.-Concludo, e senza dargli la possibilità di replicare riattaccato.
Quando poggio il telefono sul tavolo, le mani mi tremano.
Nessuno mi fa l'effetto che mi fa lui, niente mi turba come sapere che mia figlia potrebbe non essere al sicuro.
Non ho mai permesso ai miei sentimenti di compromettere la mia carriera o i miei obiettivi, non mi sono mai lasciata andare, ho sempre cercato di esercitare un controllo razionale sulle emozioni, ma alcune cose non possono essere controllare l'ho capito quando per la prima volta ho incrociato lo sguardo di Trevor, sapevo che prima o poi le sue iridi buie, mi avrebbero risucchiata e trescinata tra le ombre che quegli occhi tanto scuri nascondevano, eppure non ero mai riuscita a smettere di esserne attratta.
Liz
Giro la chiave, spingo la porta in avanti e mi introduco nell'ampio ingresso mentre lascio richiudere il portone alle mie spalle.
Abbandono lo zaino a terra e mi sfilo il giubbino.
L'abitazione è avvolta nel silenzio.
Percorro il lungo corridoio e mi affaccio in soggiorno, le sedie sono disposte in ordine attorno al tavolo, così come la poltrona accanto al camino, le finestre chiuse e il pavimento lucido, la tv è rimasta accesa ma di loro non c'è traccia.
-Nonno, nonno ci sei?- Lo chiamo più volte senza ricevere risposta.
Spalanco la porta di camera mia, tutto è rimasto come l'avevo lasciato questa mattina, il pigiama piegato sopra il letto, alcuni libri un po' in disordine sulla scrivania, l'anta dell'armadio che nella fretta ho dimenticato di chiudere e la serranda alzata solo a metà.
Mi dirigo nella camera dei nonni in fondo al corridoio, la porta è completamente chiusa, giro delicatamente la maniglia e apro l'uscio.
La stanza è avvolta nella penombra, solo un timido raggio di solo si infiltra tra le tende in pizzo e disegna un lungo spicchio di luce sulle piastrelle.
Il nonno è seduto sul divanetto avvolto nella sua coperta a quadri, con la testa poggiata lungo lo schienale morbido e rivolta leggermente verso sinistra.
Ha gli occhi chiusi e il volto rilassato, il leggero movimento del petto scandito dal respiro regolare.
I capelli bianchi pettinati dietro le orecchie lasciano scoperto il volto, nonostante la pelle raggrinsita dal passare degli anni, il suo viso conserva ancora un aspetto dai tratti virili e marcati.
Con una mano stringe la coperta mentre con l'altra tiene quella della nonna.
Lei è sdraiata nel letto, una piccola figura esile e fragile, le palpebre sottili e la pelle bianchissima, a vederla hai quasi paura che anche solo un leggero soffio di vento possa spezzarla ma poi sposto lo sguardo sulla mano che tiene stretta quella del nonno, la forza con cui si aggrappa a lui, e in quel gesto scorgo tutta la tenacia racchiusa dentro di lei.
Dorme avvolta nella sua vestaglia grigia, con i capelli bianchi raccolti in una lunga treccia.
Mi avvicino con cautela al nonno, poggio delicatamente una mano sulla sua spalla e lo chiamo sottovoce.
Apre lentamente gli occhi e appena incrocia i miei sorride.
-Liz, sei tornata ora?-Mi chiede con dolcezza mentre guarda l'orologio appeso alla parete.
-Sì-
-Come mai?-Mi domanda con un velo di apprensione negli occhi.
-Il professore di geografia ci ha trattenuto di più perché voleva finire di spiegare la lezione, non preoccuparti nonno.- Lo aiuto ad alzarsi dalla poltrona mentre adagia delicatamente la mano della nonna sulla coperta.
-Come sta?- Gli chiedo.
-È molto stanca.-Sorride amaramente.
Rimane per un po' in silenzio ad osservarla, come se volesse proteggerla a tutti i costi anche dall'ineluttabile scorrere degli anni, ogni giorno si prende cura di lei, prima che il tempo glie la porti via piano piano, pezzo per pezzo.
-Lasciamola riposare.- Bisbiglia per poi allontanarsi dalla camera.
Io lo seguo a ruota, mi volto per chiudere la porta e non posso fare a meno di guardarla, dorme, avvolta tra le morbide coperte, con il volto disteso, sembra serena.
-Riposati nonna.-Sussurro.
Chiudo l'uscio.
✨Spazio autrice✨
Beh che dire, in casa di Callie di sicuro non si respira un aria tranquilla mentre da Liz la situazione é diversa, voi cosa ne pensate?
Aspetto le vostre riflessioni e opinioni.
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