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•Capitolo XX•

[Una chiamata ]

Lo aveva fatto, aveva lasciato che l'unica persona che aveva fatto brillare anche se per poco tempo i suoi occhi, che gli aveva fatto provare la vera felicità e che aveva fatto avere un vero valore alla sua esistenza scivolare fuori dalla sua vita e stava male.

Gli occhi si erano fatti gonfi e rossi mentre piangeva ogni piccola goccia salata che aveva, andando avanti in quel modo non sarebbe mai più riuscito a versare una lacrima ma non poteva farci nulla, dopotutto era riuscito a soffocare le sue grida ma non poteva mentire a se stesso e quelle gocce erano la prova del suo male.

Si era stretto nelle sue braccia, aveva conficcato le proprie unghie nelle braccia e aveva mosso le sue dita più e più volte solcando le sue braccia pallide creando delle lunghe ferite grondanti di sangue che percorreva più e più volte e chissà, magari quando sarebbero guarite avrebbero lasciato delle vistose cicatrici o forse no, non che importasse.

Non gli importava più nulla e non era esagerato, dopotutto aveva appena perso tutto quello che aveva sempre desiderato e quello che aveva sempre sperato di raggiungere e si ritrovò a ridere amaramente fra quelle dolorose lacrime che gli abbandonavano gli occhi senza sosta.

Era esilarante come la vita avesse deciso di essere cattiva con lui, quanto avesse tormentato la sua esistenza obbligandolo a soffrire per dei sentimenti che era certo non sarebbero mai stati ricambiati e poi improvvisamente gli aveva concesso la più bella delle gioie e gli aveva regalato le più dolci delle emozioni e poi gliele aveva strappate vie senza pietà lasciandolo vuoto di ogni cosa.

Perché ad essere onesti era chiaro come ogni scelta compiuta dal ragazzo dalla chioma verde fosse stata fatta pensando a quel ragazzo esplosivo di cui di era innamorato e che non era mai riuscito a togliersi dalla testa per quanto ci avesse provato.

Così passò la notte, piangendo disperato senza neppure lasciare uscire davvero il suo dolore, tenendo dentro di se quelle emozioni cosi pensati e asfissianti privandosi del sonno perché sapeva che se si fosse addormentato allora avrebbe sognato di quei momenti unici e dolci che avevano vissuto e il dolore si darebbe fatto più forte.

Il giorno successivo era entrato in classe con un sorriso finto e tirato che ormai si era obbligato e abituato a fare nel corso degli anni cercando di non far capire quanto stesse male, sperando che lui non gli avesse rivolto un singolo sguardo oppure sarebbe crollato e darebbe stato tutto inutile.

Se lui desiderava che accadesse, di poter tornare ad essere stretto dalle muscolose braccia di Bakugou?

Certo che lo desiderava, lo desiderava come un vampiro desiderebbe il sangue, come un demone vorrebbe un'anima e come un cieco desiderebbe poter vedere almeno una volta eppure non poteva, per lui, se era per il suo bene quello che provava, il dolore che lo divorava non era nulla.

Questo era quanto lo amava, i suoi sentimenti erano così veri e profondi che era pronto a sacrificare la sua felicità, la sua stessa vita pur di poter fare qualcosa per lui, purché nulla gli accadesse e che potesse seguire il suo sogno di diventare il migliore fra gli eroi.

Sperò che nessuno gli rivolgesse la parola, che nessuno notasse come il suo sguardo fosse ormai privato di ogni mero ricordo di luce o anche solo di qualche riverbero ancora non esaurito di vita e prima che Uraraka gli si avvicinasse abbastanza per notare il suo dolore il suo cellulare squillò nuovamente.

Era ancora una volta sua madre e questa con voce stranamente seria ed autoritaria lo pregò di tornare a casa per un paio di giorni in modo che avessero potuto parlare della faccenda che riguardava suo padre e che avessero potuto parlare francamente della situazione successiva.

Gli disse con voce che non ammetteva repliche di raggiungerla dubito, di non badare alle lezioni che avrebbe potuto perdere più che quello di cui dovevano discorrere era via più importante di qualche giorno perso nonostante si trattasse della sua carriere eroica e, per la prima volta, fu lei ad attaccare.

Appena terminata la breve conversazione con la genitrice entrò in classe la figura cupa del professore Ayazawa e subito il ragazzo riportò il volere e le parole della madre per poi essere rassicurato dalla vice profonda dell'uomo già a conoscenza della decisione della donna di riavere suo figlio a casa per una settimana circa poiché c'erano dei problemi familiari da sistemare.

Midoriya ringraziò e corse fuori da quelle mura fin troppo soffocati a causa di una sola ed ingombrante presenza che pareva tormentarlo e perseguitarlo, quello sguardo scarlatti e sanguigno che gli apparteneva si era posato su di se, lo aveva percepito con chiarezza e il proprio cuore sotto quello sguardo tagliente si era stretto in una morsa di dolore immane.

Aveva gettato alla rinfusa tutto quello che aveva portato all'interno della sua stanza nel dormitorio in un borsone enorme nero come quelle emozioni che bruciavano e lo divoravano dall'interno, come quei pensieri che gli assediavano la testa appanandogli la vista e che gli impedivano di pensare quanto di vivere.

Si caricò tutto ciò che aveva, insomma, quei pochi abiti e la sua collezione di oggetti raffigurante All Might che mai, per nessuna ragione al mondo, avrebbe lasciata incustodita senza sapere quello che sarebbe potuto accedergli poiché quelli era il suo piccolo tesoro che aveva accumulato in quei lunghi anni di vita.

Così con l'animo ancora frantumato dalla sua medesima scelta percorse a passo svelto quel tratto di strada quasi infinito che lo separava dalla sua amata scuola alla stazione, aspettò lì il familiare treno che era sua abitudine nel passato prendere per tonare a casa e dopo un tempo fin troppo breve si ritrovò davanti alla porta della sua abitazione con un groppo in gola che non riusciva a diluire o a mandare giù.

Appena sfiorò la porta che questa si spalancò rivelando la figura della madre che con un sorriso luminoso lo avvolse in un caldo abbraccio che però non fu abbastanza per rallegrarlo poiché ancora portava quei segni di un amore spietato sulla pelle e nel cuore e sempre li avrebbe portati perché nessuno sarebbe mai riuscirò a farsi amare a quel modo da lui.

Non poteva esserne certo poiché sapeva che la vita era un lungo susseguirsi di anni, eventi ed esperienze e che c'era la possibilità che qualcuno si facesse spazio nel suo cuore ma mai nessuno in quel mondo, questo lo poteva affermare con certezza, avrebbe per lui avuto la medesima o superiore importanza che per egli aveva Katsuki Bakugou.

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