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42

Per anni ho lottato. Per anni ho fatto i conti con questo cuore colmo d'amore, di dolore. Per anni ho amato anche senza permesso e mi sono lasciata ferire perché stupidamente ho pensato di potere avere anch'io un lieto fine. Mi sono illusa fino a provare forte la delusione. Ho permesso agli altri di farmi soffrire, di calpestarmi. E non ho avuto scelta. Lentamente mi sono allontanata. Ho ridimensionato la mia vita. Non ho più pianto, non mi sono più disperata. Mi sono rimboccata le maniche e sono andata avanti tenendo dentro un peso consistente. Ho finto di essere forte, di potere superare tutto costruendomi una corazza, nascondendomi dietro quel muro di indifferenza che, alla fine ha iniziato a creparsi e poi a sfaldarsi fino a crollarmi addosso. Tutto questo perché ho amato. Ma l'amore non è per tutti. E a volte bisogna smettere.
Sento come una fitta alla testa. Un po' come quando ti colpiscono abbastanza forte e perdi i sensi. Un po' come quando ti addormenti ubriaca e ti svegli assetata, stordita, in cerca di risposte che non avrai mai.
Sollevo le palpebre provando un senso di stanchezza in grado di provocarmi un certo dolore al petto. Simile ma più tenue rispetto a quello provato prima di...
Mi agito alzandomi immediatamente a metà busto credendo di essermi piegata ed avere perso i sensi solo per pochi istanti. Ma, sono su un letto e non è il mio. Sono su una branda d'ospedale più che scomoda, incolore, in una stanza altrettanto asettica. La luce al neon ferisce le mie povere iridi e mi lamento.
I miei occhi adattandosi lentamente, seppur continuando a bruciare, vagano intorno.
Sono in una comunissima stanza d'ospedale. Le pareti bianche. Una finestra le cui tende spesse sono tirate ad impedire il passaggio della luce dall'esterno all'interno. C'è una poltrona accanto al letto ma è vuota. Sul bracciolo il cappotto scuro di Travis.
Il mio cuore prende a battere forsennato. Il petto torna a farmi male al ricordo di quello che ho scoperto.
Scostando la coperta mi alzo velocemente, un po' troppo, dopo avere staccato la flebo come se togliessi un cerotto.
I miei piedi nudi aderiscono al pavimento lucido e liscio. È freddo. Traballo sentendomi ubriaca. Raggiungo la porta e poco prima di aprirla, questa si spalanca costringendomi ad indietreggiare malamente con il rischio di cadere.
Travis, il viso stanco, la barba ispida, i capelli scuri scompigliati, ha un sussulto nel vedermi in piedi e pronta a scappare. Il bicchiere con il caffè che tiene in mano trema e per poco non si rovescia sul pavimento riversando all'esterno tutto il caffè che contiene, ma con i riflessi di un falco fa in modo che questo non succeda.
Piuttosto stringe i denti tenendo per sè quello che vorrebbe urlare.
«Ti sei svegliata», fa una smorfia più che un sorriso posando il bicchiere sul comodino, avvicinandosi.
Indietreggio. «Non toccarmi per favore», lo avviso cercando di parlare senza piangere, ricacciando dentro il nodo che rischia di soffocarmi.
Mentalmente ripercorro le ultime ore passate, ripenso a quello che ho scoperto, alla reazione che mi ha provocato tutto lo stress e il dolore che è riaffiorato in un battibaleno schiacciandomi come se fossi una nocciola.
Si blocca. «Puoi stenderti? Hai avuto un attacco di panico e non respiravi più. Dovresti riposare», silenziosamente mi prega di non fare i capricci.
Inizialmente sono pronta a protestare. Eppure, quando mi rendo conto di come mi sta guardando, non riesco a contrastarlo. Non ce la faccio ad oppormi. E come una bambina, torno sotto la coperta guardandomi prima un momento per capire se ho addosso uno di quegli orribili camici aperti sul dietro. A dispetto di quanto penso, indosso un pigiama morbido.
Chi è stato a mettermelo?
Travis, in parte rincuorato dalla mia risposta così docile, si siede sulla poltrona. Massaggia la fronte con una serie di smorfie poi recupera dal capotto un flacone di pillole prendendone una insieme ad un sorso di caffè. Appoggia la testa chiudendo un secondo gli occhi e si rilassa visibilmente come se volesse attivare il principio della pillola prima del previsto.
Non è solo stanco. Me ne rendo conto adesso che lo ritrovo qui davanti. Appare distrutto, distratto da qualcosa. Non un pensiero, forse una serie di ricordi che continuano a fargli male.
«Stai male?»
«È solo un lieve mal di testa. Ogni tanto ritorna», spiega massaggiandosi la nuca muovendo la testa da una parte, premendo i polpastrelli sul collo. «Soffro di emicrania da quando ho picchiato forte la testa contro un masso bello grosso.»
Evito proprio adesso di sparare a raffica le mie domande sull'argomento. «Da quanto sono qui?» Chiedo invece.
«Qualche ora», guarda l'orologio al polso come per accertarsi di avere detto la verità. «Hai avuto una crisi respiratoria e hanno dovuto sedarti perché continuavi a tremare come una foglia.»
Deglutisco a fatica. Non riesco a guardarlo per più di due secondi negli occhi. Prendo il bicchiere sul comodino. È tutto azzurro con una cannuccia dello stesso colore. Bevo un lungo sorso d'acqua per attenuare la sete. Sento la gola bruciare terribilmente.
«Mi hai portata tu qui?»
«Si. Ho chiamato Mitch e prima il pronto soccorso perché ero nel panico anch'io. Insomma... è stata colpa mia.»
Chiudo gli occhi. «Non ora», mormoro.
Sospira. «E quando? Bi, io non posso perderti così. Non posso neanche fare finta di niente perché è successo. Non voglio negare l'evidenza.»
I miei occhi iniziano a bruciare. Batto le palpebre velocemente. Bevo un altro sorso d'acqua mandando insieme ad essa il nodo che sale. «L'hai ammazzato...» scoppio inevitabilmente in lacrime. La mia testa oscilla e la prendo tra le mani tirando al petto le ginocchia.
Travis nega più volte alzandosi, sedendosi sul bordo del letto, e non ascoltando la mia richiesta mi abbraccia. Mi tiene stretta a sé senza neanche preoccuparsi del dolore che sento ancora al petto.
«Io gli ho creduto. Stavo parlando con lui. Volevo aiutarlo quando è successo tutto il resto in un susseguirsi di attimi che continuo a sognare e a rivivere ogni singola notte.» Fatica a parlare. La voce gli si inclina persino uscendo stridula.
«Chi te lo ha impedito? Chi ti ha impedito di parlare con lui e salvarlo?»
«Un uomo che in seguito ha messo il piede su quella dannata bomba.»
Strizzo le palpebre. Non oso immaginare gli ultimi istanti di vita di Nic, tantomeno i terribili momenti vissuti da Travis poco prima di essere sbalzato via e dilaniato da una bomba.
In tutto questo però, c'è una cosa che voglio sapere. So che mi farà stare male ma ho bisogno di conoscere un pezzo di verità.
«Ha sofferto?»
«Bambi...» cantilena.
Stringo la sua mano guardandolo implorante. «Ti prego, dimmelo», la voce si inclina e ancora una volta mi ricompongo per non crollare.
Travis raccoglie le parole da usare per spiegarmi come sono andate le cose. Ma alla morte non c'è rimedio. Neanche alla sofferenza provata da una persona in un posto lontano, nel bel mezzo di un attacco a sorpresa. Tutti cercano di alleggerire il peso dicendo che la morte sia solo un attimo.
«All'inizio lo hanno colpito alla caviglia... se non sbaglio poi...» si volta.
Giro il suo viso. «Guardami negli occhi e dimmi se ha sofferto», uso un tono deciso.
«Spero di no. Mi ha solo detto...» contrae la mascella. «Mi ha detto "sono come te".»
Trattengo il fiato. «Ecco perché ti sei irrigidito quando ti ho detto questa cosa e quando ti ho spiegato che non puoi salvare tutti...»
Annuisce provando ad allontanarsi. Lo fermo. Finalmente ci guardiamo negli occhi. «Aveva paura?»
Abbassa la testa. «Ne avevo anch'io.»
«Che cosa mi consigli di fare? Io non so più come si spera in una vita migliore.»
«Ti direi che sperare a volte va bene, può essere un modo come tanti per andare avanti. Ma sappiamo che ci illudiamo soltanto.»
«Come hai imparato?»
«A fare che cosa?»
«Ad andare avanti.»
«Ascoltami, tutti perdiamo qualcosa. Io ho perso la mia vita. Ma questo non mi ha fermato. Ho provato ad andare avanti, a consolarmi dicendo che prima o poi tutto sarebbe passato, che sarei stato bene. Facevo finta che non fosse mai successo. E allora mi sono tenuto occupato. Ho ricostruito ogni cosa dalle fondamenta.»
«Ha funzionato?»
«Non ci ho pensato per un po', poi però è tornato. Perché non possiamo dimenticare quello che abbiamo perso. E non possiamo usare per sempre una maschera.»
«Ti senti bene adesso o era solo una brutta illusione?»
«Troviamo molte distrazioni e continuiamo a riempire quel vuoti che rimarranno voragini oscure e silenziose nel cuore. Nessuno sta bene veramente.»
Scivolo verso di lui, ci abbracciamo.
«Credimi, non lo dimenticherò mai.»
Mi bacia la spalla. «Spero vivamente che lui non abbia sofferto come sto soffrendo io.»
Stringo il suo viso tra le mani e lo vedo fragile, con gli occhi colmi di lacrime. Di un'emozione nuova. «Voglio risparmiarti i dettagli quindi ti prego di capire...»
Mi stringo a lui. «Grazie», sussurro ad occhi chiusi. «Finalmente potrà avere riposo.»
Stringo la dita sulle sua spalle che rilassa. «Nic non era un terrorista», mi dice accarezzandomi il viso, guardandomi intensamente. «Era un eroe, ok?»
Singhiozzo ma sto sorridendo per la sua infinita dolcezza.
Come fa a sopportare tutto questo? Come fa a resistere all'impulso di mandarmi a quel paese proprio perché sto piangendo per un altro?
Nego. «No, era uno stronzo a cui piaceva scombussolare tutto.»
Sorride a sua volta baciandomi la fronte poi le labbra tirandosi indietro insicuro dopo il gesto. Lo avvicino.
«Perdonami», sussurra. «Non sono un mostro...»
Muovo subito le labbra sulle sue. «No, non lo sei. E non devi assolutamente pensarlo. Tu... non lo sei. Tu... sei... ah, io ti...»
Veniamo interrotti dall'arrivo di un dottore. Travis si siede sulla poltrona bevendo il suo caffè mentre questi mi si avvicina dopo avere salutato. Legge la mia cartella annotando sulla sua qualcosa. Abbassa gli occhiali concentrandosi su ciò che deve dire.
«Posso parlarle un momento signorina Stevens?»
«Si, dottore», corrugo la fronte. «Va tutto bene?» Domando.
«Signor Williams può uscire dalla stanza?»
«È mia moglie! Può parlare anche con me qui presente.»
Travis appare confuso ma quando il dottore gli schiocca un'occhiata di rimprovero, esce dalla stanza corrugando la fronte, scrutandolo fino a quando non sparisce.
Il dottore è un uomo sulla quarantina, non molto alto e dall'aspetto ordinario. Nessun segno particolare. Sembra avere tanto l'aria anonima.
«Signorina Stevens, le abbiamo fatto delle analisi mentre era incosciente e una risonanza e da queste abbiamo scoperto che lei ha una piccola massa sul seno destro. Possiamo analizzarlo se ce lo permette e...»
Il mondo mi crolla ancora una volta addosso. So cosa significa.
«Si», balbetto.
«Signorina... cioè signora, capisco che deve essere una doccia gelata per lei ma, prima procediamo con i controlli prima potrà tornarsene a casa tranquillamente.»
«Mia zia è ammalata. Abbiamo scoperto così quello che aveva. So cosa significa tutto questo. La ringrazio e possiamo procedere subito con le analisi.»
Non capisco niente. Ai miei occhi appare tutto confuso. Ho bisogno di stendermi. La testa mi gira vorticosamente. E vorrei urlare, dare di matto, comportarmi da pazza contro questo destino che non mi sta dando pace. Invece me ne sto ferma, colpita un'altra volta duramente.
«Bene», finalmente mi sorride.
Mi rassicura in un certo senso, mi fa ben sperare questa sua risposta. Almeno fino a quando non entra Travis. Mi raggiunge preoccupato, notando il mio sguardo improvvisamente spaventato. Perché è così che mi sento: ho paura di dirgli la verità. Conosco gli effetti. Ciò che provoca dentro.
Il dottore ci lascia soli e quando Travis si siede sul bordo del letto, senza indugiare, lo abbraccio cercando le parole giuste per dirgli quello che ho appena scoperto e che mi ha destabilizzata.
«Che succede?»
«Devo fare delle analisi.»
Per lui questa risposta è fin troppo breve. «Analisi? Perché? Di che tipo?»
Scoppio in lacrime. Non voglio ferirlo.
«Ehi, Bi. Calma. Che succede? Spiegami.»
«Dalla lastra hanno notato una macchia sul seno e vogliono controllarla. Ho paura Trav...»
Noto la sua espressione mentre mi abbraccia cercando di darmi forza e contemporaneamente di trattenere per sé ogni altro pensiero.
«Ok, andrà tutto bene.»
Nego. «Certe cose sono genetiche...»
Scrolla immediatamente la testa come se non volesse accettarlo e neanche sentire tutto questo. «No. Tu... non hai niente ok? Tu stai benissimo e quando otterremo i risultati noi due ce ne andremo immediatamente da qualche parte e faremo l'amore e non mi staccherò più da te perché...»
Premo le dita sulle sue labbra prima di abbassare il suo viso per baciarlo.
È nel panico. Lo so. Per certe notizie non c'è un'anteprima disponibile. Non ti danno delle regole da seguire per non fare prendere uno spavento a chi ami.
«Mi starai accanto almeno per le analisi?»
Asciuga le mie lacrime nascondendo le sue tenendomi stretta al petto. «Non mi staccherò un momento da te.»
Tiro su con il naso. «Perché tutte a me? Che cosa ho fatto di male? Che cosa ho di sbagliato?»
Alza gli occhi al cielo per non cedere. «Andrà tutto bene ok? Adesso facciamo le analisi e ci togliamo il pensiero», dice alzandosi e sparendo dalla stanza più che agitato senza neanche darmi una spiegazione.
Asciugo le lacrime e notando il mio telefono sul comodino e accanto ad esso la collana, prendo il primo contattando le mie amiche per avvertirle dell'ennesimo problema piombato nella mia vita. Del caos in cui mi ritrovo costantemente.

Bambi: "Ragazze come state? Non allarmatevi ma sono in ospedale. Ho avuto un attacco di panico dopo avere scoperto che il mio ex non era chi diceva di essere ed è pure morto da eroe. In tutto questo Dan è uno stronzo psicopatico.
Ah, ciliegina sulla torta: dovrò fare degli esami per capire cosa ho nel seno. Incrociate le dita per me ragazze."

Le risposte arrivano immediate.

Emerson: "Tesoro, che cosa? Dove sei adesso?"

Beverly: "Oddio, che è successo?"

Natalie: "Dici sul serio?"

Bambi: "Già, tra poco mi faranno le dovute analisi. Non preoccupatevi, davvero. Grazie perché ci siete sempre."

Emerson: "Possiamo venire a trovarti? Mi sto preoccupando. Non mi aspettavo niente del genere."

Natalie: "Sistemo i bambini e sono pronta."

Beverly: "Io sono fuori con i genitori del mio ragazzo, circondata letteralmente dai suoi parenti, ma sarò lì domani."

Scuoto la testa. Sono meravigliose. In fondo qualcosa di buono in mezzo a tutto ciò che c'è di orribile, l'ho trovato.

Bambi: "Non affannatevi per me. Vi farò sapere quando farò le analisi e avrò i risultati. Per il resto, preparatevi perché ho anche una notizia per voi. Ma questa la terrò per me ancora per qualche ora. Piccolo spoiler: è positiva e mi sta rendendo felice."

Emerson: "Così ci uccidi, lo sai? Dacci i dettagli, adesso! O sarò costretta a contattare chiunque per scovare dove ti trovi."

Natalie: "Non puoi fare uno spoiler a metà. Forza, parla!"

Beverly: "Sei una cattivona, Bi. Anzi una vera stronza! L'ho sempre detto io."

Questi messaggi mi regalano un certo sollievo e un mezzo sorriso tra le lacrime che continuano a sgorgare come se non ne avessi più il controllo.

Bambi: "Ok, ma solo perché sono buona. Io e Travis ci siamo SPO-SA-TI. Non nella classica maniera, ma al dito ho un bellissimo anello. Vi allego la foto così potete vederlo e gioire insieme a me."

Emerson: "COOOSA? Oddio, ma è bellissimo! Ci devi i dettagli signorina. Non puoi sposarti con il tuo uomo misterioso senza di noi."

Natalie: "Che notiziona! Congratulazioni. Finalmente hai legato quel bel maschione! Certo, come dice Emerson dovevamo esserci. Quindi dopo i risultati delle analisi ce ne andremo a cena per sapere tutto quanto."

Beverly: "Ti sei sposata senza di me? Che egoista! Facci almeno sapere com'è messo lì sotto. Non puoi lasciarci con questa enorme curiosità."

Bambi: "È stato improvviso anche per me. Non ho detto di no perché lo amo davvero e adesso il pensiero di deluderlo o distruggerlo con una notizia cattiva da parte dei medici mi fa stare male. Non è successo ancora niente di quel tipo. Ma vi racconterò tutto, promesso. Anche i dettagli più importanti."

Emerson: "Sei sicura di non volerci lì? Posso portarti qualcosa da indossare o da mangiare..."

Beverly: "Si, facci sapere. Stare qui mi fa sentire inutile."

Natalie: "Già, sono in apprensione."

Bambi: "Non disturbatevi. Fate quello che avete in programma. Io, me ne starò qui. Vi farò sapere come vanno le cose. Per il resto: organizzatemi qualcosa perché voglio stare insieme a voi. Pigiama party, serata piena di alcol... non importa. Ho bisogno di vedervi."

Sorrido nel leggere il resto delle loro risposte. Dei loro racconti per aiutarmi ad alleggerire la tensione.
Travis torna nella stanza. I suoi occhi sono agitati e rossi. Poso il telefono e quando è vicino lo tiro a me.
«Sei spaventato?»
«Tu no?»
«Non sto partorendo», sorrido.
«Come fai a sdrammatizzare in un momento del genere?»
Alzo le spalle. «Che cosa dovrei fare esattamente? Piangermi addosso? Sono abituata a queste cose» lo guardo un momento di troppo. «Che cosa ti ha detto il medico?»
«A breve farai le analisi. Mi occuperò io di tutto quindi non preoccuparti», anticipa brevemente strofinandosi la fronte. Sul suo bel volto si forma una smorfia di dolore.
«Quanto ti fa male?»
«Non è niente.»
Corrugo la fronte. «Stenditi un momento», lo obbligo. «Da quanto non dormi?»
«Devo assicurarmi che tu...»
Lo fermo. «Non mi muoverò da questo letto finché non mi diranno di andarmene. Adesso rilassati e dormi un po'. Fallo per me.»
Bacio la sua fronte scendendo sulla cicatrice ed infine sulle sue labbra. Mi trattiene assaporando il gusto di un bacio lento, delicato, a tratti trattenuto e in grado di fare salire addosso una certa voglia.
«Ti amo», sussurra. «Non lasciarmi.»
Mi appoggio al suo petto ascoltando i battiti costanti del suo cuore.
«Sai, mi piacerebbe svegliarmi accanto a te ed essere su un'isola. Lontani dal mondo, dalla gente, dai problemi. Solo io e te. Insieme. Mi piacerebbe non deluderti. Mi piacerebbe non avere niente per non gettarti addosso il peso della malattia. Mi piacerebbero tante cose ma voglio solo stare con te, non importa dove o come.»
Parlo più tra me e me visto che Travis si è addormentato come un ghiro.
Quando il dottore entra in camera, accorgendosi di lui, decide di non essere troppo duro e facendomi cenno di seguirlo indicandomi una sedia a rotelle come da prassi, mi alzo piano mettendomi comoda.
«Si sente nervosa?»
Stringo le dita in grembo mentre percorriamo la lunga corsia. «Si. Ero presente quando hanno dato la notizia a mia zia e non vorrei riprovare la sensazione.»
«Non si è mai preparati», dice confermando quello che ho detto e pensato. «Prima scopriamo il risultato, prima potrà tornare alla sua luna di miele.»
Sorrido arrossendo lievemente. Travis mi sta migliorando la vita dopotutto. Non lo ringrazio mai abbastanza per quello che fa e a dire il vero mi piacerebbe organizzare qualcosa per fargli capire che lo amo alla follia.
«Si nota troppo?»
Mi sorride. «Suo marito ha minacciato l'intero reparto. Dobbiamo trattarla da regina. Se lo lasci dire, uomini come lui ce ne sono ben pochi. È comprensibile inoltre il suo comportamento. La ama e la adora. Notizie del genere distruggono le relazioni.»
Dopo circa tre ore di analisi e una risonanza per non lasciare niente al caso, ritorno dentro la stanza più che stanca. Travis sta ancora dormendo per cui mi stendo accanto osservandolo. I suoi lineamenti, la barba. Poso il palmo sul suo petto accarezzandogli il viso.
Si riscuote immediatamente ed io mentalmente mi sto già rimproverando. «Ehi», alza la testa agitato. Un po' come quando sai di essere in ritardo e cerchi qualcosa che te lo confermi.
«Non dirmi che hai già fatto tutto», stropiccia gli occhi sentendosi in colpa per non avere fatto attenzione.
«Come hai dormito?»
Si lamenta. «Ma che hanno i letti che non va?»
Rido. «Magari sei tu che hai dormito così tanto sulle pietre da non riuscire a riposare su un letto vero.»
La sua bocca si forma ad "o", come per dire: "colpo basso".
Intanto qualcuno bussa prima di entrare. L'infermiera dalla carnagione olivastra, la lunga coda scura e gli occhi come i felini, ci porta la cena che consiste in un piatto di pastina con del brodo e un budino.
Entrambi ci guardiamo tenendo per noi le riflessioni e quando l'infermiera esce dalla stanza con un'andatura abbastanza strana, scoppiamo a ridere. Forse il primo vero momento di allegria e complicità che stiamo avendo dopo giorni e ore difficili.
«Io mangio il budino», lo prendo in giro.
Arriccia il naso. «Prenoto qualcosa?» prova ad alzarsi. Lo fermo.
«No, proviamo a mangiare quello che ci hanno offerto. Magari se chiudiamo gli occhi, tappiamo il naso e immaginiamo che sia... non so un buon brodo di pollo con patate e carote riusciremo a mandarlo giù. Non ti hanno insegnato ad apprezzare il cibo che hai nelle tue missioni?»
Sorride passandomi la prima cucchiaiata. «Mi stai distruggendo. Per questa ragione inaugurerai il nostro piccolo pasto.»
Apro la bocca dopo avere soffiato un paio di volte sul brodo pieno di carote. Assaggio e mi esce un verso di apprezzamento. Dopo qualche istante, scoppio persino a ridere. «Assaggia, è buono!»
Gli passo un cucchiaio imboccandolo. «Lo abbiamo snobbato ed è gustoso», dice incredulo.
Dopo il brodo rinuncio al budino. Non mi fa impazzire. Travis accorgendosene lo mette dubito da parte.
Stesi su un fianco ci guardiamo. Non riuscendo a trattenermi accarezzo la sua cicatrice. «Se dovessero...»
Mi ferma. «No», dice. «Starai bene.»
«Ma se dovessi avere qualcosa io non voglio che ti prendi cura o carico di me. Non voglio farmi vedere come zia Marin.»
Abbassa il viso sotto il mio mento. «Sei tutto per me, non dimenticarlo. Ti ho persino chiesto di essere mia moglie e questo rientra tra le mie mansioni di marito, non credi? Smettila di tenermi lontano da te e adesso abbracciami e facciamo l'amore.»
Sorrido. «L'amore?»
«Uhm, Uhm», conferma sollevando il viso.
Strofino il naso sul suo. «Così?»
Sorride mordendomi il labbro delicatamente e provandoci anche con il naso. «Si», soffia accaldato.
Schiocco un bacio. «Ti amo.»
Chiude gli occhi assaporando ogni singola sillaba e mi ritrovo ad osservarlo ancora, a sentirmi incredibilmente amata e non più sola. In parte so di essere fortunata ad avere lui. È piombato nella mia vita con una semplice e-mail e da allora tutto è cambiato. Mi piace pensare che in qualche modo il destino abbia voluto darmi giusto qualche momento di tregua.
Inoltre, da quando Travis è entrato nella mia vita è come se quel vuoto si fosse in qualche modo colmato anche se non ha sostituito di certo la sensazione di abbandono che mi ha accompagnata in tutti questi anni.
Abbasso gli occhi proprio quando la sua mano mi accarezza lo zigomo, l'orecchio. Il suo tocco è delicato, preciso, non fa un movimento in più. La mia pelle viene percossa da una piacevolissima scarica.
E vorrei davvero abbandonarmi all'amore. Attualmente con questi problemi o pensieri, non credo di potermi lasciare andare completamente. Ho bisogno di fare attenzione, di non perdermi.
«Dormi, piccola.»
Non mi dispiace questo nomignolo così comune. Con un lieve sorriso nascosto mi addormento sognando però ciò che mi fa stare più male, quel senso di perdita che travolge tutto ciò che di buono ho costruito in mezzo al dolore. Mi ritrovo infatti ad urlare, a tremare.
«Ehi, va tutto bene», Travis mi raggiunge dopo avere lanciato sul divano il cappotto che aveva come coperta e il telefono.
Mi lascio abbracciare da lui godendomi il conforto che mi regala il calore del suo corpo insieme al suo profumo.
«Era solo un brutto sogno», mi asciuga sotto le palpebre con entrambi i pollici e con questo gesto mi rendo conto di avere pianto per davvero.
Io mi odio così tanto quando non riesco a controllare le crisi di panico. Mi odio quando non riesco a calmare la mia solitudine. Tutto: il pianto, il senso di vuoto, la disperazione, arrivano spesso, un giorno sì e uno no. Mi travolgono. Mi fanno sentire schiacciata al suolo, senza via di scampo. Allora mi chiedo: che cosa fanno esattamente le persone per non essere così tristi?
Forse ci si rifugia nei sogni per paura di non viverne abbastanza nella realtà. Forse ci si illude. Ci si circonda di gioie effimere per eludere il dolore.
Ma nessuno conosce a fondo la solitudine dell'altro. Nessuno comprende bene il dolore dell'altro. Nessuno sa cosa vuol dire essere fatti a pezzi ed essere costretti a rimettere insieme i cocci senza fare rumore.
«È stato orribile», stringo la presa sulle sue spalle. «Non riuscivo a fermarli.»
«Sssh, guardami.»
«Io non riuscivo a salvarlo.»
«Bi, guardami.»
Mi agito. Facendo uno sforzo poso gli occhi nei suoi che sono attualmente offuscati da emozioni contrastanti. «Sei qui, vedi?» lascia scorrere le dita sulle braccia. «Lo senti?»
Seguo i movimenti rispondendo con un cenno della testa di sì.
«E questo?»
Pizzica lievemente la mia guancia con un buffetto.
«Si», prendo un respiro.
Lui respira con me. «Siamo qui. Non è un sogno questo.»
Circondo la sua schiena con le braccia premendo la guancia contro il tessuto del maglione che indossa. «Lo è se mi fai sentire così bene.»
Abbassa il viso sulla mia spalla. «Davvero?»
Mi stacco per guardarlo. «Perché hai così tanti dubbi?»
Riflette un attimo. «Perché continuo a sbagliare.»
Sto già negando. «No, tu mi fai sentire bene. Mi fai provare emozioni che non credevo fossero possibili da sentire dopo avere vissuto per troppo tempo all'inferno. Tu... mi fai avere speranza.»
Sorride. Finalmente mi regala un altro pezzo della sua dolcezza. Accarezzo la guancia, tocco poi le labbra ancora incurvate avvicinandomi come una falena attirata dalla luce. «Tu sei quanto di più bello sto rischiando di avere nella mia vita.»
Gratta la tempia. «Così mi fai imbarazzare», mi prende un po' in giro spingendomi. Ma so che è sincero. So che non è abituato ai complimenti. Torno ad abbracciarlo. «Voglio uscire da qui e passare qualche minuto tranquillo insieme a te», mugugno.
«Ho parlato con il medico mentre dormivi. Tra qualche ora ci daranno i risultati. Nel frattempo puoi fare una doccia e cambiarti. Quando ti dimetteranno ce ne andiamo dritti a casa.»
«Preferisco andare a casa adesso e poi tornare per i risultati. A volte richiedono parecchio tempo per la diagnosi. Che ne dici? Ti va?»
«Si, ho bisogno anch'io di uscire da questo posto. L'odore di disinfettante mi rievoca strani ricordi. Avviso l'infermiera del cambio di programma e il dottore per vedere se può dimetterti e anche Nan così ti prepara tutto quello che...»
«Trav, non sto morendo. Non in questo momento per lo meno. Posso riempirmi una vasca da sola. Inoltre non puoi avvisare Nan perché voglio farlo insieme a te un bagno.»
Arrossisce lievemente grattandosi la tempia intuendo di essere appena andato nel panico.
«Cazzo!»
Sorrido abbracciandolo. «Sei tenero quando fai così», gli schiocco un bacio sulla guancia. «Adesso fammi togliere questo pigiama rosa di dosso, che per la cronaca è orribile e non è il mio colore, e torniamo a casa.»
«Si, i completi intimi ti stanno meglio in effetti.»
So a cosa sta alludendo e sorrido guardandolo uscire un momento dalla stanza lasciandomi sola.
Ne approfitto per alzarmi, cambiarmi, per prendere un lungo respiro e seguirlo all'uscita dall'ospedale dopo avere firmato per essere dimessa.
A quanto pare i risultati delle analisi mi verranno consegnati domani, non più oggi. Quindi avremo del tempo da passare insieme e magari potremo anche parlare.
«Pronta? Nan mi ha avvisato che siamo circondati dai giornalisti. Possiamo parlare, scappare oppure dare la notizia che sei incinta. Scegli pure», mi prende in giro indossando un paio di occhiali da sole e un cappellino da baseball passandomi le stesse cose.
«In incognito, mi piace», sorrido.
Mi circonda la schiena con un braccio e con molta cautela mi porta verso il parcheggio superando come se niente fosse la sfilza di giornalisti che continuano a fermare chiunque. Lo fa guardandosi ovunque con attenzione quasi maniacale. Mi piace questo istinto di protezione. Anche se in parte so che lo fa anche per se stesso.
«Come hanno fatto a sapere che eravamo qui?» Entro in auto strofinando i palmi dal freddo.
«Non ne ho la più pallida idea. Probabilmente sarà stato qualche bastardo pronto a godersi i soldi per la soffiata. Ma riusciremo a non farci notare», mi rassicura lanciando il borsone sul sedile posteriore.
Allaccio la cintura. «Mi sento seguita e violata. Non so come spiegare», brontolo gesticolando.
«È il prezzo della celebrità», risponde.
Mordo il labbro. «Ma io non ho mai chiesto di essere famosa.»
«Neanche io», mormora d'impulso strofinando il labbro con il polpastrello, fermandosi ad un semaforo.
Appare guardingo, pensieroso, agitato e nervoso. Stringe la presa sul volante imprecando tra i denti quando troviamo davanti a noi una fila di auto o qualcuno che guida peggio di una lumaca. Non è a suo agio, me ne accorgo da come i suoi occhi saettano ovunque, la sua fronte si imperla di sudore e le sue dita stringono la presa.
Poso la mano sul suo braccio. Si volta brevemente come un animale spaventato. «Prendiamo uno yogurt e andiamo a mangiarlo da qualche parte?» propongo su due piedi.
«Non vuoi tornare a casa?»
«Voglio solo non pensare per qualche ora, poi organizzeremo le vacanze natalizie e tutto il resto, persino il nome dei nostri figli. Adesso però... portami in giro. Facciamo qualcosa insieme.»
Valuta la mia proposta un momento. Svolta a sinistra proseguendo lungo l'autostrada per circa cinque minuti fermandosi infine nel nostro locale preferito.
Scende da solo a prendere lo yogurt, senza perdersi in chiacchiere con il proprietario per non dare troppo nell'occhio, con un bellissimo sorriso tornando in auto mi porge il sacchetto che profuma tanto di cioccolato e zucchero. Mi bacia persino.
«A cosa devo questo bacio?»
«Non abbiamo mai avuto un momento di pace e questo mi sembra il giorno adatto e l'attimo così sereno e perfetto in tutta questa imperfezione da volermelo godere pienamente.»
Ha ragione. Sin dall'inizio è sempre successo qualcosa che ci ha fatto allontanare. Mi sto sentendo in bilico. Da una parte sono ancora parecchio scossa per la storia di Nic, se penso alla sua morte mi trema il cuore, mentre dall'altra ho solo bisogno di concedermi una dormita e di svegliarmi possibilmente altrove. Soprattutto sento il bisogno di passare del tempo insieme a lui perché mi sembra di averne perso abbastanza.
«Allora godiamocelo insieme», dico avvicinandomi per baciarlo. Ci ripenso un momento notandolo distratto. «Che ti succede?»
Gira la chiave accendendo il motore dell'auto. «Non voglio perdere tutto questo. Se dovesse succederti qualcosa io...» scuote la testa. «Perderei solo la testa», aggiunge picchiando il pugno sul volante.
Avvicino il suo viso. «Dov'è finito il tuo spirito d'avventura? "Si vive alla giornata". "Si vive adesso"», lo scimmiotto. «Andiamo Trav! Le cose capitano e non possiamo farci niente a volte. Possiamo solo continuare a sopravvivere per un altro giorno», accarezzo le sue labbra. «Non abbiamo festeggiato come si deve il nostro contratto», sorrido cercando di non mostrarmi debole dopo tutto quello che abbiamo passato.
«Giusto», sussurra. «Mettiti comoda, ti porto in un bel posto in cui mangiare lo yogurt.»
Fisso fuori dal finestrino tenendo a freno le lacrime. Oggi in particolare mi sento parecchio fragile. E non è perché ho solo paura, non voglio perdere quello che ho conquistato con enormi sacrifici.
Quando arriviamo in un posteggio sotterraneo Travis mi apre la portiera. Guardo intorno cercando delle risposte che non mi dà di certo tenendomi sulle spine.
In breve ci spostiamo dentro un ascensore e dopo ben cinque minuti di silenzio e circa venti piani o poco più, mi ritrovo sul palazzo in cui vi è un giardino. Un divano al centro di un gazebo di legno su una piattaforma circolare.
Sorrido meravigliata correndo verso la balconata dalla quale si nota tutta New York dall'alto. Inspiro ed espiro a pieni polmoni l'aria fresca.
Travis mi abbraccia da dietro posando un bacio sulla nuca dopo avermi spostato i capelli di lato. «È tutto nostro», guarda anche lui estasiato il panorama.
Sorrido appoggiandomi al suo petto. «Davvero?»
«Si», risponde deciso andandosi a sedere.
Lo raggiungo sul divano bianco pieno di cuscini color panna e con i piedi sotto il sedere dopo avere tolto le scarpe, mi godo lo yogurt in uno dei posti più bizzarri che io abbia mai visto o visitato nell'ultimo periodo.
Attorno, nonostante la brezza fredda dell'inverno, c'è odore insistente di fiori, di erba bagnata. Aiuole piene di boccioli colorati sono state piantate fino a creare un disegno che si dirama praticamente ovunque su questo terrazzo.
Tengo il cucchiaino in bocca osservando il cielo incerto, il riflesso a specchio dei palazzi. La Statua della Libertà in lontananza. Sembra così piccola vista da questo punto.
Travis mi tira il cucchiaino dalla bocca. «A cosa pensi?»
«Siamo così piccoli in un mondo così grande. Eppure a volte basta salire in alto e la prospettiva cambia. È così anche la vita, non credi?»
Non ricevendo risposta mi volto e lui mi sta fissando più che concentrato. Scivolo vicino appoggiando la testa sulla sua spalla. «Se dovessimo lasciarci o dovesse succedere ancora qualcosa, sappi che sei e sarai sempre il primo a cui ho detto ti amo. E sappi che mi sono sentita così piccola nel dirtelo mentre provavo una così grande paura ed emozione. Ti prego di non dimenticarlo, mai.»
Circonda la mia schiena con un braccio. «Mi stai spaventando.»
Alzo la testa e rido. Lui appare confuso dalla mia reazione. «Io sto spaventando te?» scuoto la testa incredula.
«Si, parecchio.»
Continuo a ridere senza riuscire a smettere. Mi sento una stupida. «E pensare che prima le cose erano al contrario», gli lascio un bacio sul collo. «Si ha paura solo di ciò che non si conosce. Non ricordo chi abbia detto una cosa simile ma penso sia vero. Abbiamo paura di affrontare l'ignoto quando contrariamente basta una piccola spinta.»
Mi allontana un momento tenendomi per le braccia. «Bi, che diavolo ti hanno dato in ospedale?»
Rido. «Niente. Sto solo dicendo che sono felice qui accanto a te.»
Inarca un sopracciglio. «Certo che trovi proprio strani modi per dimostrare i tuoi sentimenti.»
«E a te piace», lo punzecchio.
Finalmente sorride. «Molto», rilassa le spalle abbracciandomi. «Sei tutto per me.»
«Ti stai sbilanciando?»
Ride. «Può darsi.»
Mi rilasso. «Puoi farlo ancora mio caro MisterX?»
Accoglie la sfida mostrando quel sorriso sghembo. «Sai, io non sapevo come ci si sentisse ad amare qualcuno e a volerci stare sempre insieme, finché non ho trovato te.»

♥️♥️♥️

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