28
Prima o poi arrivi al punto in cui devi prendere una decisione. Ti trovi davanti un bivio e non hai scorciatoie. Non puoi scappare. Devi solo andare avanti. Scegliere da che parte dirigerti e prendere ogni conseguenza. Nella vita, ho creato muri per non permettere agli altri di annientarmi. Perché in fondo è inutile sprecare il tempo che hai a disposizione di una vita difficile, piena di incognite ed imprevisti per un qualcosa di impossibile. È difficile mettere pezzo dopo pezzo ogni cosa nel suo ordine per tenerti al sicuro. Con il passare dei giorni, puoi solo decidere per chi vale la pena rischiare. Per chi vale la pena creare un varco in mezzo agli innumerevoli mattoni. Per chi lottare. Attualmente ho solo una certezza: sto sprofondando. Lentamente sto annegando in un mare di incertezze che, come sabbie mobili continuano a tirarmi giù. Presto o tardi di me non rimarrà che un mucchio di polvere.
«Ripetimi perché non puoi raggiungermi adesso», la voce di Travis mi riporta al presente. Usa un tono dolce tenendo per sé la voglia di mettersi al volante e raggiungermi. Questo non solo perché è pieno giorno, in più sta lavorando per salvare il mondo.
Attualmente sto visitando i mercatini di Natale per comprare qualche nuovo addobbo, visto che quelli trovati dentro lo scatolone erano rotti e molti di essi, ormai da tempo, fuori moda. Non sono sola, con me c'è Emerson a farmi da guru e da guida.
Non avevo mai visto così tanta gente per accaparrarsi i più svariati oggetti per abbellire le proprie case, ville o appartamenti. Si fa sempre a gara con tutto. Cosa che non rientra tra i miei piani attuali. Ma ho già visto i miei vecchi vicini di casa comprare le luci più assurde. Ovviamente, non parteciperò alla competizione.
Emerson, quando ha saputo quello che mi è successo, si è subito precipitata a casa mia. Da circa una settimana, convivo con le mie guardie del corpo non richieste che, fanno letteralmente di tutto per tenermi al sicuro da un possibile pericolo. Non posso muovermi senza essere seguita. Inizio anche a sentirmi oppressa e ad avere voglia di scappare.
«Sto seguendo a zonzo Emerson. È in una delle sue fasi da shopping compulsivo. Diventa anche una minaccia se qualcuno pensa di soffiarle un oggetto scontato al cinquanta per cento», dico con finto sarcasmo sfiorando una casetta contenente dentro una candela.
«Me lo merito anch'io uno sconto di pena, non credi?», chiede esasperato.
Sorrido mordendomi la guancia. «Ti ho già detto che ho bisogno di stare nel mio ambiente. Poi non è successo niente. Come vedi sono con la mia amica a fare shopping. Cosa che mi distrae da tutto il resto.»
Sospira. «Lo dici di continuo, ma sono comunque preoccupato. Una volta tanto, potresti anche accettare il mio invito e dormire da me per una notte. Sono giorni che rifiuti.»
Emerson sorride indicando una candela dalla forma insolita. «Ti farebbe stare meglio?» passo alla contrattazione intuendo il suo bisogno di stare con me per qualche ora, ignorando le allusioni della mia amica.
Travis trattiene il fiato forse trovando le parole giuste da dire per non lasciare uscire del tutto i suoi pensieri. «Si, mi farebbe sentire tranquillo», dice invece stupendomi. «Parecchio», aggiunge.
Sollevo una candela a forma di orso. «Per una notte?»
«Si, per una notte», conferma rimanendo in trepidante attesa. «O due... ma questo devi deciderlo tu.»
Sorrido. Forse anche lui. «Potresti chiedere a Mitch di passare questo pomeriggio?»
«Certo, sarà fatto. Ma per quale ragione? Se hai bisogno di aggiustare qualcosa posso pensarci io.»
Sto già negando. «Devo trasportare delle cose. Ultimamente non esco mai di casa senza.»
«Quali cose?»
«Tutta la mia attrezzatura da lavoro, qualche indumento...» dico vaga.
«Come mai?»
«Potrei anche rimanere più di un giorno in un posto. Non avere le mie cose a portata di mano non mi fa sentire tranquilla. Per questa ragione preparerò ancora le mie cose e le lascerò a Mitch. Tranquillo non sono molte. Solo due valige e un borsone», organizzo mentalmente questa giornata cercando anche un modo per frenare l'eccitazione di Emerson che sta spendendo già troppo in regali di Natale e addobbi, soprattutto per quelli da usare per il suo set natalizio.
«E tu non vieni con lui?»
«Arriverò dopo cena», rispondo d'impulso.
«Andrai a trovare Dan?»
Sto già negando. Non lo vedo da giorni, ma lui è convinto del contrario. Il fatto è che non ci riesco. Non riesco a guardarlo in faccia. Non riesco a parlare con lui. Gli parlo soltanto al telefono quando chiama per chiedermi notizie su come sto e su zia Marin. Per il resto sono conversazioni brevi.
«No. Andrò a trovare zia Marin. Non sta bene. Lascerò prima a casa, ai suoi addobbi Emerson e dopo la visita tornerò nella mia per farmi una doccia e assicurarmi di non avere dimenticato niente. Poi prenderò un taxi e ti raggiungerò, ok? Ti va bene come piano?»
«Non proprio», dice sincero. Lo immagino imbronciato. Alzo gli occhi al cielo ritrovando il tetto pieno di stelle cadenti di cristallo. Pendono dall'alto mandando bagliori ovunque. È così bello da vedere e da fotografare. Attira parecchia gente e il negozio ne ricava clienti che acquistano qualsiasi cosa proprio perché attratti come mosche.
«Che cosa devo modificare?»
«Verrò a prenderti io e non si discute», replica parlando al contempo forse con Nan mentre lavorano a qualche nuovo progetto.
«Ok, ma non prima delle otto e mezzo perché non so quanto starò con zia Marin e mi servirà per fare una lunga doccia», dico mettendo nel carrello le buste natalizie e delle bellissime candele come regalo.
Sospira. «Puoi farla da me la doccia. Partecipo anch'io.»
Sto negando. «Furbo, ma preferisco farla in casa e mettermi in tiro per vederti.»
Ride. Ricomponendosi risponde a Nan. «Pretendo indumenti di un certo tipo», mi provoca.
«Sei proprio sfacciato!» fingo un tono offeso.
Ride ancora e la sua risata mi riscalda il cuore. Mi piace come esce fuori quel suono. Immagino quella fossetta, il filo di barba ad incresparsi sulle labbra che si incurvano all'insù e quei denti che vedo singolari ma che gli donano sulle labbra carnose che a lungo vorrei baciare senza mai fermarmi o smettere di sognare.
«Ad un uomo è consentito sognare. Ma visto che porterai qui tutti i tuoi attrezzi da lavoro... posso sempre chiederti di indossare uno di quei completi trasparenti e striminziti solo per me...»
Arrossisco. «Trav, ti rendi conto del fatto che sono ad un mercatino, in pieno centro, circondata da persone, con Emerson e tu mi stai provocando?»
Inspira chiudendo un cassetto. «Mi piacerebbe trovarti al mio rientro con quella vestaglia color malva, i piedi nudi, i capelli legati in disordine e gli occhi accesi. Sarebbe un bel saluto.»
Mordo il labbro scegliendo una cravatta. «Potrei anche prendere seriamente le tue richieste, magari filmare qualcosa. Ma dubito che a te farebbe piacere...» stuzzico la sua immaginazione.
Sento il suo sorriso. Beve qualcosa ma è presto per il bourbon. «Basta che non riprendi il mio viso, per il resto puoi fare quello che vuoi con il mio corpo», dice tornando serio. «Possiamo lavorarci su...» aggiunge usando un tono flebile, timido.
Sorrido entrando insieme ad Emerson da Victoria's Secret. «Possiamo. Ad esempio io sono appena entrata in un negozio di lingerie. Proposte? Desideri? Consigli?»
Emerson mi trascina nel reparto con i completi. Sono svariati. Ed è difficile sceglierne uno senza prima averne presi un paio e averci riflettuto per qualche minuto.
Noto dieci paia di mutandine a scelta tra quelle sistemate ordinatamente sugli stand, ad un prezzo stracciato e inizio a sceglierne qualche paio mentre parlo con Travis, apparentemente eccitato e coinvolto dalla conversazione.
«Autoreggenti, niente calze. Hai delle belle gambe slanciate, non hai bisogno di altro», dice deciso.
Sorrido. «Rosso o nero?»
Nel frattempo prendo entrambi i completi che più mi piacciono tra quelli che Emerson mi passa, vedendomi distratta dalla conversazione, selezionando la mia misura.
«Uhm... rosso? È quasi Natale!»
Mi sposto in un altro reparto prima di passare alla cassa decisa mentre Emerson continua a scegliere molteplici completi per le diverse occasioni.
«E rosso sia. Focoso!»
Emette un verso di finta estasi. «Non vedo l'ora di vedere quel colore addosso alla tua pelle bianca come il latte e poi strappartelo di dosso con una scusa», immagino il suo ghigno e l'eccitazione nel suo sguardo.
«Inizia a pensare quale scusa usare perché adesso che conosco il tuo piano non mi farò abbindolare tanto facilmente», esclamo divertita dalla nostra conversazione.
Usciamo dal negozio piene di buste. Emerson mi indica una caffetteria dove ci fermiamo a fare la seconda colazione di questa mattinata frenetica a visitare mostre, negozi e posti stupendi della zona.
Travis si concede un'altra breve risata. «Mi piace quando mi resisti. Questo mi fa trovare molteplici idee su come provocarti e riconquistarti.»
Ordino un caffè e una fetta di crostata sedendomi sullo sgabello con il cuscino in pelle rosso ad un tavolo in acciaio a forma di francobollo. «Riconquistarmi?» Chiedo dubbiosa.
Ordina qualcosa a Nan poi chiude la porta e sento di nuovo avvolgerlo il silenzio. «Si, le cose non sono andate propriamente bene tra di noi in questi giorni. La colpa è un po' mia e intendo farmi perdonare per il comportamento inappropriato che ho avuto. Me ne vergogno», parla pacatamente sfogliando qualcosa. Documenti per uno dei suoi progetti che aiuteranno parecchie famiglie o bambini senza un tetto.
Bevo il caffè mentre Emerson scambia messaggi con Brian continuando a sorridere come un'adolescente. Non oso immaginarne il contenuto della conversazione. Conoscendola, comprendo in fretta.
«Abbiamo passato entrambi un brutto momento. Possiamo trovare un punto di unione, magari questa sera?»
«A cena?»
Mi capisce al volo. «Salterò la cena con zia Marin. Non fare tardi», dico sentendomi già in trepidante eccitazione. Mi è mancato in questa settimana in cui è stato impegnato al lavoro e io a tenermi lontana dal "pericolo". Le ferite stanno già guarendo anche se dentro di me non passeranno mai del tutto.
«Non vedo l'ora. Mi manchi.»
Arrossisco. «Mi manchi», sussurro.
«Adesso ti lascio alle tue cose. Non voglio risultare il ragazzo oppressivo. Ci vediamo stasera. Manderò Mitch intorno alle sei, così poi avrai il tempo di fare la tua doccia prima che io passi a rapirti.»
«Mi piace come idea. Attenderò impaziente il tuo arrivo MisterX», uso un tono sensuale.
Mugola. «Se continuerai così verrò a prenderti adesso. Non so se lo ricordi ma sono bravo a scoprire le cose. Soprattutto dove ti trovi.»
Scuoto la testa ripensando a quei primi messaggi. «Eri inquietante!»
Ride. «Adesso no?»
«No, adesso sei il mio caro MisterX», rispondo. «A dopo», saluto lasciandolo in parte stordito.
Rivolgo la mia attenzione ad Emerson. Appare accaldata e quando mi mostra lo schermo distolgo subito lo sguardo tappandomi gli occhi dall'immagine che con ogni probabilità non riuscirò più a togliere dalla mente. «Ah, perché l'hai fatto? Adesso quando lo guarderò mi verrà in mente il suo... attrezzo!»
Ride di gusto spingendo dietro le spalle la chioma bionda. «Tanto lo so che non ti scandalizzi», alza le sopracciglia ammiccando.
Arrossisco violentemente nascondendo il viso dietro il bicchiere. «Terrò a mente come promemoria di non raccontarti più niente della mia vita privata con... MisterX.»
Mastica la sua fetta di crostata alle ciliegie. «È paragonabile?»
Nego. «Mi dispiace per te...» arrossisco fino all'attaccatura dei capelli continuando a non guardarla negli occhi per non sprofondare nell'imbarazzo.
Emerson spalanca gli occhi. «Sul serio?»
Mordo il labbro boccheggiando. «Si, è molto...» agito le mani.
Si fa sempre più attenta leccandosi le labbra carnose e oggi di un rosso Natale parecchio vistoso. Indossa un pellicciotto rosa, un top bianco e pantaloni a vita alta larghi sulle caviglie. Tacchi alti e capelli in ordine che profumano tanto di zucchero caramellato.
«Molto», ripete sventolandosi, scuotendo le spalle come se stesse ballando. «Chi lo avrebbe mai detto che fosse messo bene anche lì sotto», mi sta decisamente provocando. «Bello, spalle larghe, fisico da paura e...» allarga gli indici dopo averli uniti per indicare le dimensioni
Non cederò alla tentazione. Non le dirò che Travis ha davvero un fisico da modello delle pubblicità dei profumi. Non le dirò che ci sto bene in ogni caso perché sa come prendermi, come tenermi testa e soprattutto come regalarmi un sorriso anche quando non c'è una ragione per essere felici.
Bevo un sorso di caffè. «Tu piuttosto, ti vedo su di giri. A parte lo scambio di messaggi, come vanno le cose?»
Sorride guardandomi come solo una pazza d'amore può fare. «Riassumo tutto in una parola: eccitante!»
Pago il conto prima di lei facendola arrabbiare e lasciandola nel palazzo in cui si trova il suo ufficio, prendo un taxi per andare a trovare zia Marin. Prima però faccio una piccola sosta in casa per posare gli acquisti e preparare una valigia con le cose essenziali da portare da Travis.
In questi ultimi giorni, spaventata da qualcosa che non comprendo, ho iniziato a portarmi dietro tutta la mia attrezzatura. Il mio piccolo studio è diventato mobile.
È tutto quello che ho. Comprato con i sacrifici per riuscire a diventare qualcuno. Sono molto affezionata a queste cose e non intendo lasciarle sole in casa.
Non comprendo la ragione di questa stranissima paura ma attualmente mi fa sentire meglio portare dietro le mie cose.
Ammasso tutto in soggiorno cercando di non dimenticare niente e, quando sono pronta chiamo un altro taxi.
La clinica si sta trasformando velocemente in un posto simile alla ricreazione natalizia dei film che propinano sempre durante il mese di dicembre. Addobbi di angeli, Babbi natale che si arrampicano, alberi e palline colorate ovunque. All'entrata si respira una bellissima aria di festa in un clima poco scherzoso come quello della malattia. Ma ci sono infermieri che tengono compagnia un po' a tutti, persone che stanno cercando nel loro piccolo di salvare delle vite o quanto meno di fare spegnere qualcuno senza fargli avere dei rimpianti, anche se nella vita non sono mai pochi.
Raggiungo zia Marin in camera. La scorsa notte non si è sentita poi così bene. Le hanno aspirato del liquido e adesso se ne sta comodamente sdraiata sul letto. Dorme tranquillamente quando arrivo, per cui mi siedo sulla poltrona accanto a lei sfogliando una rivista che le ho portato insieme ad altre candele e a qualche nuovo addobbo di Natale che di sicuro sistemerà davanti la finestra.
"Cara B,
Pesce o carne? Ho intenzione di cenare come si deve. Ultimamente non ti rifocilli secondo le regole alimentari. Quindi decidi e no, non posso applicare alcun filtro su questo. Non si discute.
- MisterX
Ps: Se proprio devi dissentire, dimmi quello che vuoi mangiare. Purché sia fattibile e di stagione".
"Caro MisterX,
Fammi una sorpresa.
- B"
Tengo l'unghia tra i denti più che divertita, osservando la stella di Natale posta all'angolo nel pieno della vita. Questa dona un tocco di colore alla stanza.
"Cara B,
Non avevi espressamente detto, ehm minacciato, di non farti più alcuna sorpresa? Che cosa è cambiato?
- MisterX".
"Caro MisterX,
Tregua per qualche ora. Quindi sbizzarrisciti pure. Ma, niente di troppo ampolloso e niente sushi.
- B".
"Cara B,
Che cosa ti ha fatto cambiare idea?
- MisterX".
"Caro MisterX,
Abbiamo bisogno di passare del tempo insieme. Anche se non sembra, mi manchi davvero tanto. Ci farà bene mangiare qualcosa, starcene al caldo senza pensieri.
- B".
Guardo fuori dalla finestra. Il cielo è limpido a parte il freddo. Nelle prossime settimane sono previste le prime nevicate e io, non aspetto altro. Mi piace la neve.
"Cara B,
Ti prendo in parola. Sei sorprendente. Grazie.
- MisterX".
Corrugo la fronte, sto per rispondere quando sento il lamento di zia Marin che, aprendo gli occhi guarda tutto come se lo vedesse per la prima volta e si sentisse un'altra persona, completamente estranea ad ogni cosa. I suoi occhi vagano su di me. «Bambi», cantilena con voce tremula provando a mettersi a metà busto. La fermo.
«Sono qui», le sussurro.
«Perché non mi hai svegliata?»
«Dormivi così bene che mi è sembrato brutto svegliarti», ammetto accarezzandole la testa. Le sistemo subito una fascia e si tranquillizza. Non ama farsi vedere così fragile. Lei che generalmente è sempre stata una roccia anche se ha vissuto momenti bui che l'hanno resa piena di crepe.
«Sono davvero stanca», dice con un filo di voce. «Puoi leggermi una poesia?»
Cerco il libro trovandolo dentro il cassetto insieme ad una scatolina con all'interno la sua fede. Mi siedo un po' più vicina e con un tono calmo e caldo le leggo la sua preferita.
Sorride. «Hai sempre avuto una voce meravigliosa. Peccato non avere preso quelle lezioni di pianoforte e canto», dice cercando la mia mano con rammarico. Poso subito la mia sul suo dorso freddo. «Magari un giorno proverò con il karaoke. Vuoi che te ne legga un'altra?»
Annuisce come una bambina dopo essersi fatta avvicinare la cannuccia con l'acqua e mettendosi comoda, ad occhi chiusi, l'aiuto a viaggiare con la fantasia, ad alleviarle un po' di quel dolore che tiene dentro, addosso, senza mai piangere o crollare. Ormai sembra averlo abbracciato come un vecchio amico che, presto o tardi se la trascinerà via.
Mi accorgo che si è addormentata quando la sento russare lievemente. Chiudo il libro riponendolo di nuovo dentro il cassetto poi metto in ordine la stanza. L'infermiere entra a passo felpato controllandole il polso. Le cambia la sacca uscendo in modo discreto dalla stanza.
Conosco già l'esito. Non è positivo. Non lo è più da tempo. Non c'è più niente da fare per lei. Il suo corpo sta crollando. Pezzo dopo pezzo di lei non ne rimarrà niente.
Mi siedo sulla poltrona portando le ginocchia al petto. La osservo sentendomi male. Il destino le ha sferrato durissimi colpi da incassare e lei li ha trattenuti tutti sfaldandosi lentamente sotto agli occhi.
Il mio telefono ronza. Solitamente non rispondo a nessuna chiamata quando mi trovo qui con zia Marin. Controllo però lo stesso lo schermo e notando il numero e la foto che compare sul riquadro non rispondo. Premo velocemente e senza ripensamenti il tasto rosso, rimandando la conversazione a data da destinarsi.
Appoggio la testa sul bordo della poltrona continuando a guardare zia Marin.
Con Dan le cose si stanno lentamente sfaldando. Il nostro rapporto dapprima come una catena solida e resistente si sta spezzando. Raffreddato dalle innumerevoli bugie. Dai gesti. Dalla verità che mi è costata una pugnalata.
Non sono arrabbiata perché mi ha mentito. Non sono arrabbiata perché mi ha usata. Sono arrabbiata perché non riuscirò più a guardarlo dritto negli occhi e a sentirmi a mio agio. Perché non so fingere. Non riesco ad accettare quello che ha fatto per me. Mi sono sentita presa così tanto in giro da non riuscire ad accettare un confronto diretto con lui.
Sapere che i miei sacrifici, ogni mio gesto per tenerlo al sicuro non sia servito a niente, mi ha destabilizzata a tal punto da sentire l'esigenza di un distacco.
In fondo lo sapevo. Da tempo avevo il sospetto che mi tenesse a distanza dalla verità. Così come avevo il sospetto che mi usasse. Mai avrei immaginato la sua malattia morbosa nei miei confronti, proprio come non avrei immaginato i suoi improvvisi cambiamenti in grado di destabilizzarci a tal punto da rischiare la vita.
Dan, era l'ultima persona che avrebbe dovuto ferirmi. Farmi stare così male. Invece non ha esitato. Non ha pensato minimamente al mio bene. Ed è proprio vero che nella vita ti feriscono sempre le persone a cui hai dato una grande importanza. Ora come ora mi piacerebbe farlo soffrire, ferirlo, per fargli capire come ci si sente quando vieni pugnalato dalla persona a cui vuoi un bene incondizionato. Ma non sono e non sarò mai come lui. Preferisco usare il silenzio. A volte è l'unica arma a fare più male di una lama.
Mi sento sopraffatta dagli eventi. Tramortita dalla confusione che mi circonda. E non riesco proprio a trovare una stabilità. Continuo ad annegare in tutto ciò che faccio. Tutto questo perché metto sempre il bene prima di tutto. Dovrei imparare ad essere egoista, a ragionare irrazionalmente e, qualche volta a sapere mandare al diavolo chi mi fa stare male.
La colpa è sempre stata la mia. Perché ci credo. Credo nell'amicizia. Perché nonostante io sappia già come andranno a finire le cose, continuo lo stesso, non mi arrendo. Ci credo così tanto fino ad abbracciare di nuovo il dolore. L'unica cosa certa che ho.
Zia Marin emette un rantolo poi prova a sollevarsi a metà busto. Mi affretto ad aiutarla.
«Che ci fai ancora qui?»
«Mi occupo di te come tu hai fatto con me», dico sistemandole il cuscino dietro la schiena.
Fa una smorfia. «Ma io non te l'ho chiesto. C'è già qualcuno che mi rompe le palle di continuo. Non hai una vita?»
Rifletto sulla sua domanda. «Sto cercando di costruirne una, possibilmente senza drammi.»
Zia Marin mi guarda con i suoi occhi ormai asciutti e piegando la testa mi stringe una mano. «Smettila di rimuginare su tutto. Dan ha sbagliato e ti ha fatto pugnalare non una, non due, ma moltissime volte alle spalle. Non devi necessariamente giustificarlo per ogni sua azione. Quando una persona ti vuole bene non ti mette in pericolo. Non devi neanche perdonarlo. Non è facendolo che riacquisterai la fiducia. Bi, tu non riuscirai mai più a vederlo come l'amico che è sempre stato per te. È normale...»
Rimango attonita. Come fa a capire come mi sento? È così evidente?
«Non lo è per me. Io gli voglio bene e mi fa stare male tutto questo, a tal punto da non riuscire a comportarmi come sempre con lui. C'è qualcosa che mi frena», gesticolo e allontanandomi inizio a camminare avanti e indietro nell'unico spazio libero della stanza, tra il letto e la finestra, guardando di tanto in tanto fuori.
«L'amore che provi per quel ragazzo», risponde senza preamboli.
Mi fermo. «L'ho deluso parecchio», ammetto abbassando la testa, fissando le punte degli stivali imbottiti.
Zia Marin riflette un momento. Beve un sorso d'acqua, avvicina il panino mangiucchiando come un uccellino. «Ma lui non se ne è mai andato», dice biascicando, alzando gli occhi su di me.
Passo la manica sul naso. «È proprio questo che mi fa stare male. Lui c'è per me. C'è da quando l'ho conosciuto mentre io... io non riesco a farne una giusta. Non trovo il modo per ricambiare perché mi sento impantanata altrove. E mi fa soffrire questa cosa.»
Si ferma un attimo e pure io. Trattengo il fiato. Mi piace parlare con lei. Ha esperienza, più di ogni altra persona e sa sempre la cosa giusta da dire. Nonostante gli screzi e qualche errore, mi è sempre stata d'aiuto. Mi ha supportata in tutto, anche quando non avrebbe voluto. Lo so che mi ha sempre vista tra le braccia di Dan ma conoscendo seppur non fisicamente Travis, in qualche modo sta cercando di accettare i miei sentimenti aiutandomi.
«Io non voglio deluderlo. Provo tante cose per lui. Così tante da bloccarmi. Non avevo mai sentito niente del genere e il pensiero di ferirlo o anche solo perderlo mi fa impazzire», gesticolo continuando a camminare nervosamente, cercando una soluzione.
Perché sono io il problema. Mi affeziono, amo a perdifiato ma non riesco a dimostrarlo. Non riesco a sbloccarmi. Ed è così che si perdono le persone.
Frustrata, notando il rimprovero silenzioso di zia Marin al mio tic nervoso, mi lascio cadere sulla poltrona prendendo la testa tra le mani. «Non so che cosa fare. Non so come renderlo felice. Mi sento sempre un passo indietro. Inadatta. Mi fa persino rabbia che lui riesca sempre a dimostrare qualcosa.»
«Lo ami e hai rifiutato di andare a vivere con lui. Perché?»
«Perché ho paura di svegliarmi e capire di avergli rovinato la vita. Ho paura di non renderlo davvero felice per come merita a causa dei miei problemi, del mio carattere...»
«Stronzate! Tu hai solo paura perché in passato hai sofferto. Hai trovato un uomo che ti vuole, che ti cerca e dimostra costantemente di volerti nella tua vita. Ti ha perdonata e continuerà a farlo perché è nella sua natura e tu... tu non riesci a dirgli di si per una piccola richiesta?» mi guarda con rimprovero. «Non ti riconosco più. Che ne hai fatto della ragazza che faceva tutto d'impulso pur mettendoci tanto cuore?»
Io so di essermi illusa troppo a lungo. Non sono mai guarita perché sono rotta. Rotta dentro. E i cocci della mia esistenza saranno sempre un pericolo per la mia fragile anima e per chiunque oserà anche solo avvicinarsi al mio cuore.
La gente non si accorge che stai male se non quando mostri la tua sofferenza all'esterno. Nessuno capisce che puoi morire in molti modi dentro mentre fuori continui a mostrare il sole. Nessuno si accorge che ti sei spenta dentro perché fuori continui a tenere la luce accesa.
Mi alzo di scatto. Non riesco proprio a stare ferma. «È proprio questo il problema. Ho perso tanto. Ho perso pezzi di me fino a ridurmi in cenere. Non sono una fenice. Non posso risorgere da esse. Posso solo lasciarmi trascinare o spazzare via dal vento. Posso solo perdermi nell'aria perché io... non sono più niente», sussurro rendendomi conto di stare piangendo. Le lacrime scorrono sul mio viso senza controllo.
Zia Marin mi fa cenno di avvicinarmi. Posa l'involucro di stagnola vuoto e in breve mi abbraccia seppur malamente e debolmente. «Rischia. Lo ami, fagli capire che pur essendo polvere sai come depositarti ovunque.»
Mi scappa un sorriso tra i singhiozzi. «È un modo carino per dirmi di rompergli le palle?»
Sorride. «Si, direi di sì», mi asciuga le lacrime sollevandomi il viso prima di tenerlo tra i suoi palmi freddi e secchi. «Figlia mia, nessuno ti ha mai amato così tanto e questo ti spaventa. Ma siamo nati per superare certi limiti. Non fermarti alle tue paure.»
Tiro su con il naso. «Che cosa devo fare?» piagnucolo. «Come faccio a fargli capire che lo amo ma che non riesco a dimostrarglielo?»
«Facendo la cosa che più ti spaventa», risponde. Un colpo di tosse la fa piegare lievemente in due e l'aiuto a stendersi. «Non lasciartelo scappare. Nessuno ti ha mai guardata come ha fatto lui mentre dormivi.»
Corrugo la fronte. Lei annuisce alla mia domanda inespressa. «Io l'ho visto», sussurra chiudendo gli occhi. «Ti guardava come uno che vorrebbe farsi carico di ogni tuo fardello. Come uno che vorrebbe farti da scudo o persino beccarsi un proiettile al posto tuo. Una persona che ti guarda con così tanto amore, non puoi lasciarla scappare o svanire. Devi...» tossisce. «Devi smettere di pensare.»
«E la nostra casa?»
Sorride. «Ne hai già una. In cuor tuo sai dove si trova e non hai bisogno di un lungo fisico.»
Le accarezzo la guancia e la testa sentendo il suo debole respiro. «Grazie», le sussurro con il cuore pieno di emozione dandole un bacio sulla fronte. «Buona notte.»
Indosso il cappotto, i guanti, il berretto con il pon pon e la sciarpa per coprirmi dal freddo che rischia di congelare qualsiasi cosa. Tiro la tenda ed esco silenziosamente dalla sua stanza.
L'infermiere sta facendo il giro con il carrello. Mi fermo a pochi passi da lui. Mi sorride. «Sta dormendo. Ha già mangiato», lo informo. Annuisce e chiamo l'ascensore.
"Cara Bi,
A breve Mitch sarà a casa tua. Hai una consegna per lui, no?
Non vedo l'ora di averti con me questa sera. Devo indossare qualcosa di elegante o comodo? Nel dubbio ti raggiungo in boxer, va bene lo stesso? ;)
- MisterX".
"Caro MisterX,
Frena l'entusiasmo. Non vorrei ti scaricassi prima del previsto. Ti voglio energico.
Non costringermi a chiedere a Nan dove nasconde le tue pillole blu.
Elegante ma non troppo direi, per rispondere al tuo dubbio.
- B".
Sorrido stando seduta sul taxi mentre ritorno a casa. Parlare con zia Marin mi ha aiutata. Non pensavo di riuscire a risolvere qualche conflitto interiore semplicemente ammettendo di avere un problema.
La cosa positiva, è che adesso so cosa voglio. O meglio: lo sapevo da tempo, avevo solo bisogno di una piccola spinta. Devo trovare davvero il coraggio di saltare. Devo essere come quella farfalla che esce dal bozzolo.
"Cara B,
Il mio #uccellomessobene è in forma. Più volte ne hai avuto la dimostrazione.
Nan, non tiene nessuna scorta segreta visto che è tutto offerto da madre natura. Piuttosto porta il tuo #culosodo subito da me. Non riesco ad aspettare. Ho bisogno di vederti.
- MisterX".
"Caro MisterX,
Io e il mio #culosodo, abbiamo bisogno di qualche ora di restauro. Puzzo di ospedale e malattia. (Arriccio il naso per te). Ti prometto che non te ne pentirai. Ho anch'io una piccola sorpresa per te. Nessuno ti ha mai detto che: "l'attesa aumenta il desiderio?"
- B".
"Cara B,
Adesso hai stuzzicato troppo la mia curiosità e forse anche la mia immaginazione. #ilmiouccellosistasvegliandodalletargo.
- MisterX
Ps: stronza!".
Sorrido divertita mentre il taxi giallo si ferma davanti la mia piccola casetta che guardo per un momento di troppo dal vetro pieno di piccole goccioline di pioggia mista a neve caduta solo per pochi istanti da un cielo che si prepara alla sua prima importante tempesta di neve dell'anno.
Osservo il portico, il giardino, le finestre. Ogni singola cosa è piena di ricordi.
Prima o poi chiunque si stacca dal nido, mi dico pagando la corsa al tassista più silenzioso incontrato sino a questo momento.
A poca distanza intravedo l'auto di Mitch raggiungermi. Lo aspetto infreddolita sul marciapiede, osservandolo mentre posteggia e con disinvoltura esce fuori lisciando la divisa che indossa con onore.
Chissà se in qualche modo mi sta psicoanalizzando, mi dico. «Buon pomeriggio», saluto con un sorriso facendogli cenno di seguirmi in casa.
«Bambi», saluta sollevando il cappello.
Apro la porta indicando i bagagli già pronti. Mitch non sembra disturbato dalla cosa. Prende le due valige portandole in auto mentre lo seguo con un borsone che sistemo sul sedile.
«È il mio lavoro», mi dice. Il suo non è un rimprovero.
Alzo le spalle. «Abituati», sorrido.
«C'è altro?»
«No, grazie.»
Sorride a sua volta. «Bene, a stasera», saluta.
Rimango leggermente attonita. Travis mi verrà a prendere con lui?
Entro in casa sentendomi stranamente agitata dentro. Non so, da giorni ho questa sensazione che mi spinge a non programmare niente. Mi guardo intorno inspirando l'aria di casa e vado a fare un bagno rigenerante rimanendo dentro la vasca per circa un'ora. Esco solo quando i miei polpastrelli somigliano ad una prugna secca.
In accappatoio scelgo il completo intimo da indossare sotto il vestitino nero con scollo sul davanti in stile Marilyn e bretelle piene di lustrini. Ha un lungo spacco. Tiro su la giarrettiera, asciugo i capelli lisciandoli, tirandoli da un lato. Mi trucco leggermente senza impiastricciarmi troppo il viso e sentendomi pronta scelgo la giacca che dispongo sul materasso.
Apro poi il cassettone trovando la scatolina al centro esatto, dove l'ho riposta in questi giorni. La sfioro e prendendo un lungo respiro, la porto sul comodino sedendomi sul bordo del letto.
Mi volto osservando attentamente la mia stanza. Non so che cosa sto facendo con esattezza. So solo che mi servirà prendere una decisione che faccia cambiare completamente direzione alla mia vita. Anche se mi spaventa, devo rischiare. Non posso perdere ciò che mi fa stare bene.
Sento un'auto fermarsi e con un sorriso corro a piedi scalzi ad aprire a Travis.
Quando spalanco la porta però, ogni mio sorriso si spegne. La paura invade il mio corpo.
♥️🎄
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