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22

Voltandomi indietro mi rendo conto di ciò che è cambiato, di come è cambiato tutto. Mi sento diversa. Nella vita si cambia, ci si rafforza e si va avanti. Si lotta, si cade, ci si rialza. Si piange, si sorride. Ci si arrabbia. Ci si innamora. Amore, odio, delusioni, è tutto in equilibrio. Togli una cosa di queste cose e tutto si travolge, ti sconvolge.
È arrivato il grande giorno, continuo a ripetermi. Un mese di sacrificio, di corse piene di affanno. Oggi riuscirò a pagare la prima rata del debito all'ospedale in cui è stata ricoverata zia Marin tempo fa.
Mi sono svegliata all'alba preparandomi con calma per questo momento. Non me ne rendo ancora conto ma sono sugli ultimi gradini che conducono alla libertà. Mi sembra irreale.
A quanto pare non è possibile fare tutto online perché ci sono un paio di incartamenti e pratiche da chiudere, per questa ragione mi tocca recarmi nell'ufficio da loro indicato che si trova dall'altra parte della città. Un viaggio di circa un'ora in una zona che non conosco e che non ho mai visto.
Quando ho chiamato per richiedere un appuntamento, la segretaria mi ha gentilmente chiesto di raggiungerli il prima possibile. Non so per quale ragione, ma non sembrava poi così arrabbiata o pronta ad intimorirmi.
Ho solo un nome e un indirizzo scritto su un post-it. Il resto mi toccherà scoprirlo quando arriverò a destinazione.
Sono già sul treno. Sono passati dieci minuti da quando sono partita e non ho ancora percepito il cambiamento da un ambiente all'altro. I vagoni sono pieni di pendolari. C'è vocio, musica. Ci sono Io ansiosa, nervosa e ancora del tutto stupita.
Sento il telefono squillare dentro la tasca. Indosso le cuffie prima di rispondere alla chiamata in arrivo.
«Pronto?»
«Bi, che impegni hai per oggi?» chiede Emerson affannata.
Corrugo la fronte. Che ci fa già sveglia? «Che diavolo stai facendo? Non dirmi quello che penso perché è alquanto strano. Comunque oggi sarò fuori per qualche ora non so quando riuscirò a rientrare.»
«Sto correndo. Sono nella mia palestra a fare esercizi. Sei maliziosa, eh? Comunque dove stai andando?»
«A saldare una parte del debito. A chiedere se possono darmi più tempo per il resto del pagamento. Mi sembra impossibile ma ci proverò.»
«Fammi sapere se rientri prima di pranzo. Ho bisogno del tuo aiuto.»
Sento la sua voce sempre più in affanno. In questo modo non rischia di sentirsi male?
«Che cosa devi fare?»
«Sto iniziando a prendere qualche appuntamento nelle varie boutique e locali per organizzare il matrimonio. Io e Brian abbiamo deciso di fare una cena prima del nostro giorno speciale e vogliamo invitare i nostri amici. Io voglio accanto a me le mie damigelle e la mia testimone...» smette di parlare attendendo impaziente.
Inizialmente non capisco, poi poso il palmo sul petto come se potesse vedermi. «Mi stai dicendo...» batto le palpebre ripetutamente guardandomi intorno.
Uno dei pendolari mi scocca un'occhiata per capire se mi sto sentendo male. 'È tutto sotto controllo', mi piacerebbe rispondere ma sono ancora nella stessa posizione.
«Allora, vuoi essere la mia testimone?»
«Si, certo che sì.»
Strilla costringendomi ad allontanare la cuffia dall'orecchio e ad abbassare il volume. «E ti accompagnerò volentieri.»
«Mi hai reso felice. Siii» strilla ancora. «Amore, mi stai tradendo o cosa?» Brian interviene divertito. «Che succede?» le domanda. «Bambi ha detto si!» Emerson lo rende subito partecipe.
«Almeno avremo una testimone normale», replica convinto. Emerson sbuffa forse spingendolo. Lui ride.
Alzo gli occhi al cielo. Poi mi rendo conto che non avrò mai un momento simile e me lo godo per come mi è stato offerto in questa giornata.
«Ciao Bambi e grazie, hai reso la mia donna felice!» urla.
«Brian ti ringrazia e ti saluta. Adesso continuo il mio allenamento prima di andare al lavoro. Se hai bisogno chiamami.»
«Si, passa una buona giornata.»
Riaggancio controllando le e-mail, i messaggi, i social che con il passare del tempo sto accantonando per dedicarmi al lavoro, alla vita, a quei momenti reali vissuti nel bene e nel male.
Dopo circa un'ora di viaggio, finalmente esco dal vagone riprendendo a respirare a pieni polmoni. L'aria all'interno stava diventando calda, carica di odori e soprattutto di puzza di formaggio di qualcuno che, ha pensato bene di aprire il contenitore con un panino pieno di fette di formaggio con i buchi che hanno causato conati di vomito e reazioni svariate all'interno del vagone.
Nascondendo il mento sotto la sciarpa salgo i numerosi gradini grigio antracite uscendo dalla metro. Mi ritrovo in una zona piena di palazzi alti rossi. Mattoni ovunque. Alberi spogli disposti in fila in una strada ampia costellata da pali ricurvi, strisce e auto posteggiate ordinatamente.
Parecchia, la calma presente in questo quartiere. Qualcuno passeggia con il cane ma qui le auto non sembrano interessate a passare.
Aiutata dalla mappa che seguo sullo schermo del telefono, proseguo per un paio di metri in direzione nord, trovando il luogo in cui dovrebbe esserci l'ufficio designato.
Alzo la testa osservando il palazzo pieno di finestre, mattoni rossi e cornici. Davanti, degli arbusti che hanno visto tempi migliori. C'è odore di frittura nell'aria e in lontananza si sente intonare il ritornello di una canzone mentre un gatto continua a miagolare appollaiato davanti una finestra socchiusa.
Salgo i gradini del palazzo fermandomi a leggere i nomi sul citofono. Quando trovo la dicitura dello studio, premo una volta sul pulsante rotondo in oro in netto contrasto con gli altri bianchi opachi.
Il portone enorme si apre con uno scatto metallico rumoroso. Mi ritrovo in un androne spazioso ma un tantino buio. Qui c'è odore di nicotina. Davanti a me una scala larga che conduce ai vari appartamenti che si dividono in due piani. Raggiungo il secondo piano avvicinandomi alla porta con l'insegna attaccata sulla destra. Le pareti sono coperte da uno strato di carta da parati beige chiaro circondati da una cornice in legno. Lampade in alternanza, portaombrelli e tappeti davanti ogni porta. Busso energicamente attendendo impalata, aspettandomi chissà che cosa.
C'è un silenzio inquietante. Non sento urla, non sento voci. È tutto troppo tranquillo.
Ad aprire la porta una segretaria. Occhi a mandorla, una frangia scura a coprirle la fronte e un sorriso dolce. «Buongiorno», mi saluta con una voce da usignolo. Indossa un tailleur elegante scuro ed è truccata lievemente sulle guance con del fard e del mascara sulle ciglia incurvate. «Lei deve essere la signorina Stevens», mi porge la mano. Le unghie sono piccole ma curate e laccate di smalto rosso.
Annuisco stringendole la mano. «Lei deve essere la signorina Lee», replico.
«Esatto, entri pure. La stavo aspettando.»
Faccio un passo avanti. Lei guarda ovunque nel corridoio, persino al piano di sotto sporgendosi lievemente dalla ringhiera poi chiude la porta.
Mi ritrovo in un ufficio spazioso, pieno di carte, cartelle, cassettoni ordinati, blocchi di fatture, giornali ammassati accanto ad una lampada su un mobile antico, gli unici due elementi non in linea con l'ambiente. E poi ancora computer e due scrivanie. Una vetrata. Il vetro di questa sembra sporco, mai pulito. C'è puzza di muffa.
«Mi scusi se ho chiamato così tardi», inizio sentendomi a disagio mente questa mi osserva ad ogni passo con attenzione. Continua a sorridere, a scrutarmi pensando a chissà che cosa.
«No, non si preoccupi. Siamo aperti ventiquattr'ore su ventiquattro. Ha fatto proprio bene a venire. Mi dispiace per il viaggio ma attualmente stiamo cambiando sede e abbiamo trovato solo questo posto disponibile», dice parlando velocemente poco prima di passarmi una busta bianca con un timbro al centro. Noto che non è stata aperta e, anche se dovrei rilassarmi, non lo faccio.
«Si, volevo chiederle se è possibile prolungare di qualche settimana il pagamento finale», la guardo speranzosa. «Oggi posso pagarle la prima metà...»
«Signorina Stevens, non so come dirglielo», inizia schiarendosi la gola.
Trattengo il fiato immaginando svariati scenari.
«Lei ha già estinto il suo debito con l'ospedale.»
Spalanco gli occhi. «Che cosa? È... impossibile», balbetto. «Io sono venuta a posta per...»
Sento il bisogno di sedermi e la donna mi indica una sedia offrendomi subito un bicchiere d'acqua che prende da un distributore.
«Grazie», la guardo tenendo in mano il bicchiere. L'acqua è giallognola per cui non la bevo. «Ma non capisco. Deve esserci un errore. Io non ho pagato ancora niente. Avevo chiesto del tempo...»
«Abbiamo ricevuto circa due giorni fa l'intera cifra. Abbiamo preparato la lettera con tutto il resoconto e stavamo per inviarla quando ha chiamato per un appuntamento. Così abbiamo pensato fosse meglio parlarle di presenza e renderla partecipe dell'accaduto.»
«Ma... non capisco. Io... io non ho pagato e stavo proprio venendo qui per chiederle un altro po' di tempo per raccogliere il resto della somma...» mi sento sempre più confusa. Continuo a farfugliare cercando dentro di me una risposta.
La donna si appoggia alla scrivania davanti a me, rischiando di fare cascare la pila di fogli ordinata. Incrocia le braccia sorridendomi. «Signorina Stevens qualcuno ha pagato la somma. Troverà tutto dentro quella busta. Per il resto, si ritenga libera da ogni vincolo.»
Scuoto la testa. «Non è uno scherzo, vero?»
Nega. «A quanto pare ha un angelo custode.»Mi sorride accompagnandomi alla porta dove mi ritrovo in breve più che stordita. «Passi una buona giornata», mi saluta accogliendo un altro cliente con il viso cereo.
Fisso la busta bianca più che incredula ma non la apro. Voglio essere da sola, a casa. In questo modo potrò avere una reazione, visto che attualmente mi sento come una pietra e sto cercando di mantenere un certo contegno.
Inspiro ed espiro infilando la busta dentro la borsetta e quando mi sento meno sconvolta, sollevo il telefono sbloccando lo schermo controllando i messaggi in arrivo.

"Cara B,
Che fai? Io sono ad una riunione. Stavo pensando, se ti va ovviamente, di passare insieme il weekend. Scegli tu se da me o da te.
- MisterX".

"Caro MisterX,
Sono dall'altra parte di New York, ad un'ora da casa e sono letteralmente sconvolta. Scusa se non ne parlo ora ma lo farò quando sarò di nuovo nel mio ambiente e avrò ogni cosa sotto controllo. Siamo già al weekend? Che giorno è oggi?
- B".

Ritorno verso la metro. Prima però ho bisogno di fermarmi ad una caffetteria. Prendo una cioccolata calda da portare via e una sfoglia per risollevarmi.
È come se mi avessero appena dato una botta in testa. Mi sento frastornata.
Qualcuno ha pagato il conto e io tra poco scoprirò di chi si tratta e mi sentirò in debito a vita, soprattutto se scoprirò che è Emerson il benefattore, visto che ultimamente è stata l'unica a farmi determinate domande sul debito e su quanti soldi sono riuscita a raccogliere in poche settimane con i video e il lavoro.

"Cara B,
Non è che sei scappata e adesso stai solo cercando una scusa per lasciarmi, vero? Sappi che con me non funziona. Quindi torna indietro e affrontami.
- MisterX".

Sorrido aspettando l'arrivo della metro con il mio sacchetto di carta in mano. Nonostante lo stato di shock, inizio a sentirmi leggera. È come se mi fossi tolta un peso dalle spalle troppo pesante. Allo stesso tempo però mi sento in debito con qualcuno che si è preso carico di ogni mio problema prima dello scadere del tempo.
Finalmente la metro arriva e salgo sul vagone trovandone uno silenzioso e semivuoto. Proprio quello che mi ci vuole. Seduta in fondo, apro l'involucro annusando l'odore della sfoglia mentre sorseggio la cioccolata.

"Caro MisterX,
Sto tornando a casa. Niente fughe per oggi, visto il mio stato di shock. Non so cosa succederebbe.
Lasciarti? Non siamo amici. :P
- B".

"Cara B,
Ma se abbiamo fatto pace. Assurdo! Vuoi compagnia? Qualcosa mi dice che sei parecchio sconvolta e non mi piace.
- MisterX".

"Caro MisterX,
Te ne parlerò quando ci vedremo. Prima fammi tornare a casa. Ho bisogno del divano per sedermi comoda. Le gambe mi tremano come il giorno in cui ti ho conosciuto. (Piccola confessione).
- MisterX".

Durante il viaggio continuo a riflettere. Chiunque potrebbe essere stato. Persino Dan. Scuoto la testa. 'No, non farebbe mai una cosa del genere. Non mi nasconderebbe un dettaglio così importante. Siamo sempre stati trasparenti tra di noi'.
Sospiro e dopo ben un'ora e venti minuti di ritardo mi ritrovo a casa. Chiudo la porta come un robot spogliandomi mentre mi siedo sul divano fissando la busta chiusa davanti a me, tenuta sul tavolo basso.
Inspiro ad espiro preparandomi al momento della verità. Quello che con ogni probabilità mi stravolgerà la giornata. Strappo la busta bianca tirando fuori la lettera ripiegata e leggo attentamente.
"Gentile signora Stevens..."
Il mondo vacilla quando giungo alla fine della lettera.
'No, non può essere vero. Non può. Non può avere fatto una cosa del genere. Non può. Non può avere fatto questo per me'.
Come un'indemoniata recupero il telefono.

"Caro MisterX,
Sono furiosa e sconvolta per quello che hai fatto senza neanche consultarmi. Avresti dovuto parlarne con me prima di dilapidare il tuo patrimonio per una sconosciuta ingrata. No, non me lo merito.
Pagare il debito di mia zia all'ospedale, sul serio?
Scordati di vedermi fino a quando non avrò estinto il debito che da oggi avrò nei tuoi confronti. Mi trasferirò seduta stante altrove, in questo modo non ci vedremo perché non riuscirei proprio a guardarti in faccia. Quindi: niente contatti. Nessun messaggio. Nessuna chiamata. Niente di niente. Fine.
Mi sto sentendo una mantenuta. Grazie tante per la non fiducia nelle mie capacità.
- B".

Gli occhi fissi sulla lettera e quel nome che compare come firma sull'assegno troppo caro.
Mi sento male. Così male da sentire il bisogno di una boccata d'aria. Esco in giardino sedendomi sulla poltrona, quella di vimini posta ordinatamente all'angolo sotto la piccola tettoia. I piedi sotto il sedere, la coperta sulle gambe, il berretto, la tazza tra le mani e la sfoglia ancora dentro l'involucro di carta sul tavolo.
Mi viene da piangere e allo stesso tempo da mettermi a urlare. Perché mi fa rabbia. Pensavo di potere riuscire a farcela da sola. Invece lui ancora una volta si è preso tutto. Persino la briga di farmi sentire inutile.
Ricevo una chiamata e rispondo senza dire niente.
«Sapevo che ti saresti arrabbiata. È anche per questo che non ti ho detto niente. Pensavo solo che in fondo avresti accantonato il malcontento e ti saresti sentita più leggera.»
«Se lo sapevi perché l'hai fatto lo stesso?» urlo.
«Perché con i creditori non si scherza. Se ti fa sentire meglio mi restituirai tutto quando vorrai, se proprio ci tieni. Non hai alcun vincolo. Puoi persino farlo a rate. Ma un paio di soldi dati per una buona causa non mi cambiano la giornata o la vita. Posso riprenderli in poco tempo.»
Mi sento presa in giro in questo momento. Colpita nell'orgoglio.
«Forse non la cambiano a te. Ma a me la cambiano eccome. Ho fatto dei sacrifici per riuscire a pagare la prima grossa somma. Ho persino messo in vendita un pezzo di me. E tu... tu in un unico gesto hai vanificato tutto. Hai fatto quello che non dovevi alle mie spalle, senza avvisare, senza rendermi partecipe. Ogni mio sacrificio a causa tua è svanito.»
Mi salgono le lacrime agli occhi. Le mantengo con contegno per non dargli la soddisfazione.
«Stiamo davvero discutendo per questo? Non puoi ringraziare e basta? Senti, lo so che avrei dovuto renderti partecipe del mio piano. Ma volevo solo essere d'aiuto. Scusa se mi sono impicciato nei tuoi affari o problemi. Non era mia intenzione offenderti in alcun modo. Andiamo Bi, lo sai...»
Singhiozzo. «Ringraziare? Credi che sia così facile? Mi ci vorrà una vita per farlo! Mi ci vorrà una vita per ringraziarti. Sei proprio uno stronzo!» riaggancio lanciando il telefono. Accartoccio la lettera lanciandola all'angolo ed esco di casa.
Cammino come una pazza per le strade senza neanche sapere dove sto andando. Mi sento ferita, umiliata, presa in giro.
Ha fatto indubbiamente un bel gesto nei miei confronti e nei confronti di zia Marin, ma lui lo sapeva. Sapeva che per me era una questione di orgoglio. Lo sapeva e l'ha ferito lo stesso. Mi ha fatto sentire inutile. Mi ha fatto sentire una fallita.
Non posso essere felice di ciò che ha fatto perché mi ha schiacciata con la sua autorità, con la sua ricchezza. Ha fatto beneficenza. Ecco cosa.
Scuoto la testa ritrovandomi nelle vicinanze dell'ufficio di Emerson. Giro l'angolo e prima di andare da lei compro una scatola di cioccolatini, due di ciambelle e una bottiglia di vino.
Salgo i gradini davanti al palazzo senza neanche guardarmi in giro. Spingo il portone aperto trovando dentro il portinaio che odora di naftalina. Mi sorride in modo dolce facendomi un cenno con la testa, non una domanda e neanche mi ferma quando mi dirigo verso l'ascensore sicura di me.
Mi sembra di essere stata in questo posto un secolo fa. Invece sono solo passate poche settimane dal nostro primo incontro ed Emerson è diventata la mia amica. Una delle poche che hanno dimostrato di esserlo sin dal primo istante e non per un tornaconto personale.
Le porte scorrevoli si aprono e la segretaria mi indica subito l'ufficio. Le lascio la scatola di ciambelle. «Grazie», sorride prendendone subito una divorandola come se non mangiasse da giorni. Entro in ufficio con il mio carico di doni senza neanche bussare.
Emerson, al telefono, alzandosi mi fa cenno di sedermi nel salotto che ha fatto arredare a poca distanza dalla scrivania. Poso tutto sul tavolo basso dove al centro vi è un vaso pieno di rose rosse e non riuscendo proprio a stare ferma inizio a camminare avanti e indietro strofinando i palmi delle mani tra loro.
«Che succede? Hai una faccia...»
«È stato lui», sbotto guardando fuori dalla finestra per aggrapparmi a qualcosa, per non piangere.
Emerson non comprende subito la ragione della mia voce stridula, dei miei occhi spiritati e del mio stomaco in subbuglio. «Lui chi? Di che cosa stai parlando? Qualcuno ti ha fatto male?» si avvicina ma arretro e lei notando la mia reazione si blocca. «Bambi», dice con molta più calma chiudendo la porta dell'ufficio, intuendo che questa è una questione delicata di cui parlare. «Spiegami quello che è successo?»
Mi sento accaldata e tiro via la sciarpa e il cappotto lasciandolo sul divano. «Sono andata a pagare la prima rata del debito», dico a fatica ripercorrendo con la mente la giornata, ogni sensazione prima del colpo subito. Gli occhi mi si riempiono di lacrime bruciandomi le palpebre. La vista mi si appanna. «Ma lì ho scoperto che non c'è più nessun debito.»
«È una buona notizia, non credi?» non sembra afferrare il concetto.
«No», strillo.
Sussulta. «Perché?»
«Perché ha pagato tutto quanto lui. Perché ha estinto un debito di mia zia che avrei dovuto pagare io in questi giorni.»
Emerson sbianca. Posa la mano sul petto sedendosi sul divano. Chiede silenziosamente un momento per riprendersi dalla notizia. Come se fosse successo a lei tutto questo.
«Mi stai dicendo che... il tizio in tuta, quello sexy e terribilmente arrabbiato con te, quello che ti ha portata via e che ti divorava con gli occhi, ha pagato il debito di tua zia? Ho capito bene?»
Annuisco scoppiando in lacrime. Lei ritornando lucida scatta in piedi, avvicinandosi mi abbraccia. «E perché stai piangendo?»
«Perché non mi ha detto niente. Non mi ha reso partecipe. Perché dovevo pagarlo io...» sussulto singhiozzando. «Perché ha ferito il mio orgoglio. Mi ha fatto sentire inadatta, terribilmente incapace!»
Emerson passa il palmo sulla mia schiena. «Ohhh», emette un verso di compatimento. «Ma è una cosa bella...»
«Si, ma è troppo! Io... io non posso accettarlo. Lui... lui deve capire che io non posso competere, che non so come ringraziarlo. Lui... avrebbe dovuto lasciare tutto così com'è!»
Emerson mi trascina sul divano dove stappando la bottiglia di vino, dopo avere fatto un verso di apprezzamento per l'annata scelta, mi riempie un bicchiere prendendone uno per sé. «Hai già parlato con lui?» annusa il vino assaporandolo.
«Si», tracanno il liquido. Ma quando ripenso a quella notte retrocedo e poso il bicchiere sul tavolo mentre il liquido mi brucia la gola incendiandomi al contempo il petto.
«E che cosa ti ha detto?»
«Che posso restituirgli i soldi in rate se voglio e se proprio ci tengo a farlo. Era indifferente. Mi ha anche detto che li riprende in poco tempo e che ha fatto un'opera di bene. Ti rendi conto? Non si è neanche accorto dei sacrifici che ho dovuto fare in questi mesi per riuscire a...» riprendo il vino sentendo la rabbia montarmi forte nel petto.
Emerson svuota il bicchiere leccandosi le labbra poi apre la scatola di cioccolatini, grata del gesto. «Bi, posso essere sincera? Secondo me lui non si è ancora accorto del piccolo errore che ha commesso. In parte ha fatto un gesto che, nessuno avrebbe mai fatto per una persona conosciuta da così poco tempo. Dall'altra parte però non si è accorto che in questo modo avrebbe ferito il tuo ego, il tuo orgoglio. Ma lo ha fatto con le migliori intenzioni. Non essere così dura con lui.»
Rifletto sulle sue parole. «Io so di avere avuto una brusca reazione ma mi sento in debito con lui già per tutto quello che ha fatto. Non lo sa come mi sento quando mi regala anche solo un minuto del suo tempo, figuriamoci adesso che ha estinto quel dannato debito!» metto la testa tra le mani.
Emerson caccia in bocca un altro cioccolato. La sua mano continua a massaggiarmi la schiena. «Vedila anche da un altro punto di vista», dice tornando seria.
Alzo lo sguardo. «Cioè?» asciugo le lacrime ricomponendomi.
Valuta ogni mia possibile reazione. Ma, so che è sempre molto diretta per sua predisposizione, pertanto mi preparo lo stesso.
«Non hai pensato al fatto che lui potrebbe amarti?»
Spalanco gli occhi. «Oh, no no! Lui non...»
Emerson sospira nascondendo un sorriso. «Bi, quel ragazzo deve amarti proprio tanto. Insomma, pensaci bene: ti ha offerto un lavoro pur non conoscendoti, avete iniziato uno scambio di messaggi e da quando vi siete incontrati non avete fatto altro che vedervi. Magari non te lo dice direttamente perché pensa quelle cose su di lui, ma sa di poterlo fare attraverso i gesti, le attenzioni. Insomma, lui potrebbe essersi affezionato a te e adesso...»
Scuoto la testa. «Lui non può amare una come me!»
«Una come te? Non ti ha mai detto, neanche per gioco di amarti?»
Strabuzzo gli occhi arrossendo. «Si, ma l'ho fatto anch'io...» tappo la bocca. «Oh mio Dio!»
Emerson sorride. «Amica mia, sei nei guai!» cantilena divertita. «A proposito, non dovrebbe nascondersi. È davvero un bel ragazzo.»
«Ah, ma smettila!» La spingo sbuffando e lei ride. «Qui abbiamo un grosso problema.»
Inarca un sopracciglio. «Quale? Vi amate, mi sembra semplice.»
Scrollo la testa. «No, lui... pensi davvero che celi i suoi sentimenti attraverso questi gesti?»
Me lo conferma usando uno sguardo complice. «Mi sembra ovvio», dice biascicando. «Lui ha paura di spaventarti e continua a regalarti dei momenti unici poi però commette un errore perché crede di potere fare tutto e rischia di perderti. Non per allarmarti ma credo sia in pensiero per te adesso, specie se hai reagito male.»
Passo i palmi tra i capelli togliendole il cioccolatino dalle mani. «Ehi», si lamenta.
Lo caccio in bocca. «Perché la mia vita deve essere così complicata?» mastico nervosamente.
Sorride. «Cosa pensi di fare?»
«Ho reagito male ma perché penso di non avere torto. Lui lo sapeva. Sapeva di ferirmi in questo modo eppure lo ha fatto lo stesso. Spero lo capisca. E poi, mi impegnerò a saldare il debito», faccio una smorfia piagnucolando con il viso nascosto contro il suo petto.
Emerson ride dandomi piccole pacche sulla schiena. «Vedrai che ogni cosa andrà per il verso giusto.»
«Ne sei così sicura? A me sembra invece che tutto andrà male!»
Fa una smorfia. «Perché sei troppo negativa. Una volta tanto sorridi alla vita. Ti direi di farti anche una sana scopata ma so già che attualmente non puoi...» ride quando la spingo. «E di te invece che mi dici? A proposito scusami se sono piombata nel tuo ufficio in questo modo.»
Fa un gesto con la mano come per dirmi 'non preoccuparti'. «Io e Brian abbiamo iniziato la nostra vita insieme. È davvero meraviglioso. Mi sento tanto fortunata ad avere lui e anche tutte voi. Il lavoro va più che bene. Non mi serve altro!»
«È bravo a letto. È divertente...», la mia non è una domanda.
Avvampa sventolandosi. Continua a sorridere. «Non immagini quanto!»
Rido alzandomi quando noto il cielo sfumato, prossimo al tramonto. «Devo andare», dico prendendo un lungo respiro. «Ti lascio al tuo lavoro», l'abbraccio.
Lei mi stringe. «Chiamami quando hai messo in riga quel bel fusto!»
Sorrido. «Vedremo come andranno le cose. Prevedo scintille», replico con una smorfia.
«Ah non né dubito. Se ti afferra e ti bacia come in quel video...» mi lascia intendere il resto.
Quando ci penso mi sento ancora come in quel momento. Vengo raggiunta da una piacevole scarica che mi si deposita sul basso ventre facendomi sentire emozionata, agitata e incredibilmente accaldata come una ragazzina alle prime armi. Neanche con Nic mi sentivo così ebbra, in grado di toccare il cielo con un dito. Con lui era più un continuo urlarsi addosso e poi cercarsi. Forse il nostro era solo un rapporto malato. Quello che ho con Travis sembra invece una relazione piacevole, duratura.
Forse è proprio questo il mio male. Penso troppo. Ingigantisco ogni cosa. Ricordo tutto quello che mi ferisce nel profondo. Davanti a me si parano le immagini, le parole i gesti che mi hanno fatto stare male e che non riesco proprio a cancellare. Ho troppe cose in testa. Penso a tutto. Penso così tanto da potere impazzire.
Con la mente piena di pensieri, l'orgoglio ferito e il morale a terra, nonostante io mi senta meno appesantita dopo avere parlato con la mia amica, torno a casa.
Passando davanti uno dei locali più in voga, compro qualcosa da mangiare per cena, visto che ho saltato tutti i pasti della giornata. Con una generosa dose di caffè in mano cammino godendomi il mio giro per il centro. Times Square è come si vede in tv in quei film di Natale. Ormai tutti stanno iniziando ad abbellire i negozi, a colorare di rosso e bianco le vetrine. Ci sono persino gli sconti che, raccolgono parecchia gente nei vari negozi che aderiscono al black friday.
Mentalmente appunto di fare anch'io qualche acquisto. Giusto per prendere qualcosa in sconto anziché a prezzo pieno.
Sono tanto concentrata da non rendermi conto della figura appoggiata all'auto che mi aspetta. Supero il cancello aprendo la porta, poso le buste sul mobile accanto pronta a chiudere l'uscio quando un piede in avanti impedisce il mio gesto.
Alzo gli occhi e lui mi fissa intensamente. Lo fa sempre. Mi spinge a cadere nella sua trappola piena di sensazioni ed emozioni uniche. È una tentazione.
«Dove diavolo hai il telefono? Ti ho chiamato un casino di volte. Mi stavo preoccupando», sbotta incapace di tenere a freno l'istinto, la gelosia e la preoccupazione.
Indossa indumenti casual, niente di troppo elegante, ma allo stesso tempo sotto il cappotto, la camicia con la cravatta allargata lo rende tremendamente sensuale.
Poso la mia cena sull'isola della cucina, nella parte dove si trovano gli sgabelli. Esco in giardino a recuperare il telefono e la lettera accartocciata che gli sbatto sul petto. «Ti restituirò ogni singola moneta», rispondo freddamente. In realtà muoio dalla voglia di abbracciarlo ma mi piace farlo incazzare. Mi piace vederlo nervoso. Infatti, mi dirigo di nuovo fuori.
Mi segue immediatamente. «Dove vai?» chiede mentre supero il cancello. Mi sta guardando con sospetto mentre io ricambio per un secondo e con indifferenza rispondo: «a fare la spesa», incamminandomi lungo il marciapiede.
Sento i suoi passi, la sua mano sfiorarmi il gomito prima di artigliarsi ad esso facendomi voltare. «Posso accompagnarti?» indica l'auto.
«No, vado a piedi. Sono solo due passi e ho bisogno di camminare.»
Lo supero di qualche metro e senza mai distogliere l'attenzione dalla strada lo guardo di sbieco. Se ne sta impalato, a valutare attentamente la situazione. Sto svoltando a destra quando finalmente avanza.
Nascondo un sorriso e una gioia che mi esplode nel petto. «Stai davvero andando a fare la spesa al tramonto?» cammina accanto a me continuando a guardarsi intorno. Il cielo ricoperto da una nuvola rosa, le case simili alla mia invecchiate e ingiallite dal tempo, l'asfalto con qualche buca.
Non deve temere. Il posto in cui mi sto recando è sempre molto tranquillo. I proprietari e i dipendenti inoltre, sono tipi socievoli e allo stesso tempo discreti. Ho calcolato tutto o quanto meno ho calcolato la distanza da percorrere da casa mia al negozio non la sua reazione. Mentalmente però mi do una pacca sulla spalla da sola.
«Si, ho il frigo vuoto.»
Gratta la guancia. «Vuoi parlare...»
«No», lo interrompo bruscamente. «Ti ho già detto che ti restituirò tutto il denaro. La prima parte ti sarà depositata immediatamente. L'altra mi servono pochi giorni. Il tempo di...»
Spalanca impercettibilmente le palpebre fermandomi. «Tu non darai la tua verginità a nessuno!»
Il cuore subisce una spinta. Sento il sangue affluire ovunque a gran velocità. «Ma devo, altrimenti non posso ripagare il mio debito», lo metto alla prova.
«Tu non farai niente del genere. Non darai la tua verginità al primo che capita per... per pagarmi.»
«E allora come farò?» lo guardo con finta indifferenza, con arroganza. Questo sembra colpirlo.
«Lavorerai per me», dice alzando il mento.
Nego. «Non posso più lavorare per te.»
«Perché?» alza il tono.
«Perché sei lo stronzo che ha pagato un enorme somma di denaro a mia insaputa facendomi sentire inutile!» esplodo pestando i piedi sul terreno prima di guardare a destra poi a sinistra aumentando l'andatura sulle strisce per raggiungere il negozio di alimentari, dove entro senza neanche controllare che lui mi segua.
Recupero un cestino rosso indirizzandomi nel primo reparto, quello dei surgelati prendendo del minestrone, la zucca tagliata a cubetti dentro un contenitore di gomma, due confezioni di gelato. Spostandomi nel reparto della carne scelgo del tacchino.
Dentro il cestino viene lanciato un sacchetto di patatine, uno di crocchette. Mi volto venendo avvolta dal suo odore.
Toglie dalle mie mani il cestino. «Sei una stronza anche tu che pur sapendo del mio problema mi spingi a fare queste cose. Ah, accetto la sfida», replica allontanandosi con il cestino.
Alzo il mento cambiando reparto. Tengo in mano una confezione di assorbenti, una di batuffoli di cotone, uno spazzolino e il dentifricio proseguendo imperterrita nel reparto.
Travis mi raggiunge. Senza battere ciglio mi toglie tutto dalle mani. Rigira la confezione di assorbenti. «Hai dimenticato anche questi», sceglie una confezione di preservativi. «Adesso però capisco perché sei nervosa.»
Rido mordendomi il labbro. Senza guardarlo però sollevo il cestino pieno di cibo e scatolette recandomi alla cassa.
«Conto unico?» chiede la cassiera rimanendo per un momento come in trance.
Sto per aprire bocca ma lui mi precede. «Si, mi sembra ovvio», non si lascia guardare in faccia e passando una banconota alla cassiera attende il ragazzo per le buste. «Il resto», dice lei.
«Tienilo pure. Oggi faccio beneficienza.»
Prendendo le buste esce dal supermercato con un'espressione strana.
Rimango impalata. Solo quando la ragazza con la coda alta e due palpebre luccicanti mi passa lo scontrino scoppiando la gomma che tiene in bocca mi riscuoto. Ringrazio ed esco in fretta superando le strisce trovandolo lì, le buste tra le braccia. Mi sorride. «È stato divertente. Hai proprio calcolato tutto, il posto, la tranquillità...»
«No», dico prendendo le buste. «È stato offensivo dire in quel modo. Sei un vero idiota!» girando sui tacchi torno verso casa.
Lo sento imprecare poi seguirmi rimanendo in silenzio. Entrata in casa poso la spesa sul bancone iniziando a sistemare le cose che ho scelto dentro la dispensa e il frigo, portando il resto in bagno. Lascio tutto quello che ha scelto lui sul ripiano. Che ci faccia ciò che vuole, penso.
«Mi spieghi che cosa ti ha dato più fastidio?» sbotta iniziando a sistemare tutto dentro la dispensa.
«Da dove inizio? Ah già, hai pagato il debito all'ospedale e adesso hai anche fatto la spesa. Mi vedi come una poveretta a cui lanciare le monetine. Sei proprio...»
Mi spinge all'angolo della cucina. Afferra i miei fianchi sollevandomi e con concentrazione mi allarga le gambe sistemandosi nel mezzo. «Ecco, adesso hai tutta la mia attenzione. Guardami in faccia e urlamelo addosso quanto sono stronzo e quanto sono stato idiota!»
Abbasso gli occhi di proposito. «Hai finito?»
Sospira. «Bi, io non volevo farti sentire in debito con me.»
Lo spingo. «Ma l'hai fatto. Hai agito alle mie spalle e non puoi capire come mi sento.»
Gira il mio viso. «Spiegamelo», sussurra guardandomi le labbra.
Dilato le narici spingendolo ancora. Non posso cedere. «Non ho niente da spiegare ad uno che ha fatto beneficenza. Siamo troppo diversi. Io...»
«Cosa? Cosa non ti è andato a genio esattamente?» sbotta. «Ho solo fatto qualcosa che per me era fattibile. In un mese ti ho vista dimagrire e preoccuparti così tanto da perdere l'appetito. Non sopportavo di vederti ancora così! Mi fa stare male quando ti vedo agitata o di pessimo umore», toglie il cappotto appendendolo all'entrata poi apre il contenitore. Cosce di pollo al vapore con carote, zucchine e patate, lasciando diffondere in cucina l'odore dopo averlo riscaldato usando il microonde.
Scendo dal ripiano togliendo il cappotto a mia volta. Prendo il piatto che sta servendo spostandomi in soggiorno.
Travis accende il camino e anche la tv comportandosi come se fosse a casa sua. Poi si siede accanto a me con il suo piatto, toglie persino le scarpe mettendole in un angolo.
«Comportati pure come se fossi a casa tua», dico irritata.
«Grazie, lo farò», mostra un sorriso finto assaggiando il pollo, mangiando come me con le mani senza tirarsi indietro.
«Non è male», dice assaporando tutto nel suo insieme.
Aumento il volume della tv ma lui decide bene di tirare la spina spegnendola. «Bi, non puoi continuare ad allontanare tutti. Quando tieni davvero ad una persona, trovi una soluzione. Anche se stai male. Anche senti senti asfissiata. Non puoi buttare all'aria ogni cosa solo perché hai paura. Devi rifletterci bene su. Perché così facendo, perderai chi ami. Inoltre non scapperai, non stavolta», risponde adirato e quando abbiamo finito di cenare porta tutto in cucina.
Mi appresto a lavare i piatti ma con una spinta del fianco lo fa al posto mio togliendosi il guanto, tirando sugli avambracci i polsini della camicia che rigira con calma dopo averli sbottonati.
Sempre più irritata dal suo comportamento che, inaspettatamente è una risposta al mio, me ne vado in camera.
Lui ha capito tutto. Ha capito che gliene sono grata. Ha capito che mi fa sentire in debito. Ha capito persino che ci tengo troppo, che mi sono inaspettatamente innamorata.
Ed è la prima volta che lo ammetto a me stessa. Questo mi fa sentire dannatamente vulnerabile. Persino spaventata.
E poi ti rendi conto che il cuore è un apparecchio difettoso pieno di pieghe, ferite e segni. Pieno di graffi, lividi e buchi neri. Te ne rendi conto quando inizi ad amare e senti dentro l'eco di un battito di ciò che hai vissuto, di ciò che ti ha cambiato, fare ancora male. Non esiste cuore perfetto, perché un cuore distrutto, lesionato, spaccato dall'interno, un cuore con i suoi cocci rotti sa come fare male.
Sentendo il bisogno di girare un video mi metto subito all'opera cambiandomi. Indosso una vestaglia di seta nera e sotto, un corpetto tempestato di lustrini senza bretelle. Mutandine dello stesso tessuto e autoreggenti nere.
Premo il tasto rec nel medesimo istante in cui percepisco la sua fragranza alle mie spalle. La sua mano si posa sulla mia guancia cogliendomi alla sprovvista. Scende lungo la gola, sul petto infilandosi dentro la vestaglia.
Il cuore per poco non mi esce dal petto. «Che cosa fai?» mi volto e mi tira su. Le sue mani si posano sulle mie natiche, le mie sono già sulle sue spalle, per tenermi in equilibrio.
«Facciamo pace?» Abbassa il viso stringendo maggiormente la presa sulle natiche, premendo verso di sé facendomi sentire quanto si sta eccitando.
Boccheggio. «Sai che finirai ancora sul sito?»
Sbircia alle mie spalle e non vedendo il suo viso alza le spalle tirandomi via dallo schermo. Lo spingo quando arriva sul bordo del letto dove si lascia cadere con un sorriso meraviglioso.
Mi occupo della fotocamera stoppando la registrazione. Spengo tutto sedendomi sulla sedia girevole.
Travis mi guarda intensamente e quando si alza io scatto a mia volta in piedi. Sfuggo al suo tocco togliendo i cuscini dal letto con le mani che tremano. Lui, mettendosi dall'altro lato fa lo stesso con i peluche.
«Che cosa fai adesso?»
«Vengo a letto con te», ghigna lasciandomi intendere il doppio senso e con nonchalance, dopo avere scostato la coperta, sfila via gli indumenti. Ma, prima di stendersi, gira intorno al letto avvicinandosi a me.
Ogni singolo muscolo si tende. Ancora una volta mi stringe a sé in quel modo. «Tanto lo so che facciamo pace», dice come un bambino.
Respingo il suo gesto. «Che cosa vuoi da me?» Chiedo esasperata e maggiormente spaventata da ciò che sto provando per lui.
Lo guardo intensamente e vorrei dirgli tutto, urlargli ciò che il mio cuore sta dettando ormai da tempo.
Ma non gli dirò che mi manca. Me ne starò qui, impalata e in silenzio trattenendo l'istinto di farlo. Me ne starò zitta, in un angolo e mi farò male.
Perché ci sono volte in cui bisogna tenere dentro ogni cosa piuttosto che rivelare i propri sentimenti. Perché ce ne sono alcuni che se lasciati uscire sanno fare male.
Travis abbassa le labbra sull'orecchio. «Voglio solo te.»

♥️

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