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18

Brusio, odore di caffè, musica e allegria mi circondano. Me ne sto seduta sullo sgabello della caffetteria universitaria. Il libro aperto, gli appunti davanti.
Il ragazzo dietro il bancone mi porta il caffè e la brioche che ho ordinato cinque minuti fa quando sono arrivata aspettando il mio turno.
«A lei signorina», dice sorridendomi. I denti dritti con uno spazio al centro, alto quanto un giocatore di basket, magro come uno stecco. Un ciuffo biondo sparato sulla fronte. Guance rosse con qualche piccola cicatrice bianca sotto il mento dovuta probabilmente ad una caduta e poi delle lentiggini spruzzate sul naso.
«Grazie», bevo subito un sorso di caffè continuando a leggere, a ripassare per l'esame che tra circa un'ora o due proverò sperando in una promozione che mi farà arrivare sempre più vicina alla laurea.
Mangiucchio distratta dal flusso di gente che entra ed esce dalla caffetteria. File di studenti come me nervosi o ansiosi.
Il locale è un complesso di mattoni rossi. Un enorme bancone dove potere ordinare quando si entra e poi tavoli alti rotondi per una massimo due persone dotati di sgabelli. Di fianco, le vetrate, una soglia di legno con piccole piante. Ci sono delle mensole sospese in alto sulle nostre teste piene di trofei, bottiglie e vecchie foto. L'aria è satura di odori.
Quando ho finito di fare colazione, chiudo tutto e lasciando la mancia dentro il barattolo, esco fuori avvolgendo intorno al collo una sciarpa color senape.
Il cielo grigio ancora una volta minaccia pioggia ma sono positiva. Riuscirò a svolgere l'esame e ad arrivare a casa senza bagnarmi come un pulcino. Ho controllato il meteo prima di convincermi ad uscire presto per arrivare in perfetto orario.
Cammino lungo la strada seguendo alcuni dei miei colleghi in questa avventura. Mentre li osservo, con le cuffie alle orecchie, mi rendo conto del fatto che in questi anni non ho mai cercato nuove amicizie. Tutti in qualche modo hanno sempre cercato di entrare a far parte di qualche gruppo, sorellanza o fratellanza, mentre io mi sono distaccata facendo del mio meglio per completare il mio percorso di studi travagliato, seppur in linea con i miei desideri, con il mio volere.
Ovviamente non mi sono mai tirata indietro quando qualcuno mi si è avvicinato invitandomi ad una festa. Ho rispettato tutti, aiutato quando mi è stato offerto aiuto.
Mi fermo all'entrata, fumo una sigaretta offerta da un collega che conosco ormai da tempo. Uno dei più geniali tra i presenti.
Rigiro la sigaretta tra le dita, rendendomi conto di avere smesso dopo essere stata licenziata. E sono stupita di quante cose siano successe proprio da quel momento in un susseguirsi di azioni, scelte, lacrime.
Aspiro una boccata di fumo lentamente, riempio i polmoni organizzando mentalmente questa nuova giornata che, sarà sicuramente pesante proprio perché dopo l'esame, come ogni altro giorno del resto, andrò a trovare zia Marin.
Continua a fare le cure, è sempre più burbera, sempre più decisa a tormentarmi fino al suo ultimo respiro.
«Hai studiato?»
«Non come avrei dovuto. Tu?»
«Sto solo provando per capire come funziona. Di sicuro andrà male ma almeno la prossima volta non sarò impreparato.»
Getto la cicca dentro l'apposito contenitore pieno di sabbia entrando con lui in aula. Sono già del parere che supererà anche questo esame senza avere studiato. Lo fa sempre ma è troppo modesto per dirlo.
Ci separiamo sedendoci ognuno nel posto scelto. Recupero una penna, tolgo le cuffie attendendo il docente.
In aula arriva un ragazzo. Moro, occhi verdi e abito elegante blu scuro. Montatura da lettore, orologio costoso al polso e sguardo freddo, si sistema dietro la cattedra. «Buongiorno», saluta osservando l'aula reggendosi con i palmi sulla superficie liscia.
Ci guardiamo tutti straniti. Ovviamente non è il vecchio professore che conosciamo. Ha qualcosa di familiare nelle movenze, nei tratti del viso, ma non riesco ad associarlo bene a qualcuno.
«Sono il professore Larson. Per oggi sostituirò il vostro docente. Sosterrete con me l'esame. Domande? Bene, che ne dite di iniziare e toglierci il pensiero?»
In aula si crea un certo brusio mentre lui distribuisce i test. Giunto davanti a me prendo il foglio e mi rivolge un sorriso accattivante. Quando alza il labbro mi viene subito in mentre Travis.
Mi concentro sul test. Non posso pensare proprio a lui nel bel mezzo di un esame importante, solo perché ho visto in quel sorriso un po' del suo.
In questa settimana passata con alti e bassi, ci siamo incontrati poco ma in quei vissuti insieme, abbiamo scritto un nuovo capitolo della nostra stranissima storia nata per caso grazie alla sua e-mail e al mio annuncio.
I lavori alla villa nel frattempo continuano anche se a causa del maltempo non siamo ancora stati in grado di occuparci del giardino, la parte in cui mi piacerebbe sistemare meglio il viale per potermi dedicare all'albero che intendo piantare o alle aiuole da disporre ordinatamente sulla striscia di terreno lungo il bordo del viale.
Mi concentro sul test rispondendo alle domande. In tutto sono dieci ma ben elaborate. Il tempo a disposizione a quanto pare è inferiore rispetto agli altri esami svolti nell'ultimo periodo.
Dopo circa mezz'ora, quando ho finito e ricontrollato per bene ogni risposta, mi avvicino al professore lasciando il compito sulla cattedra.
Ovviamente il risultato lo saprò tramite e-mail e dovrò aspettare qualche giorno o settimana prima di potermi rilassare del tutto.
Non sosto oltre in aula. Esco da questa pescando il telefono dalla tasca interna dello zainetto. Qualcuno mi sta chiamando. Rispondo senza controllare dirigendomi verso la stazione più vicina.
«Pronto?»
«Com'è andata?»
Guardo i palazzi, il cielo che sembra tanto vicino ad essi, tutte le nuvole ammassate. Mi giro e ci sono: persone, cartelloni pubblicitari. Il resto: Colori, suoni, voci. È tutto un caos e io sento il bisogno di mettere ogni cosa in ordine. Non mi sento nel posto giusto.
«Dovrò attendere i risultati», faccio una smorfia.«Tu? Che cosa combini?»
«Riunioni estenuanti dove non si conclude quasi mai niente. Adesso mi sono messo comodo e in questi minuti di pausa ho deciso di farmi vivo.»
«Bene perché non so se ne uscirò viva io dopo un altro incontro con mia zia», brontolo scendendo i gradini per raggiungere la metro. «Quindi hai fatto bene a chiamarmi ora.»
«Starai lì per tutto il pomeriggio?»
Ci rifletto su un momento. «No, non credo. Vado a trovarla per pochi minuti. Devo portarle alcune cose che mi ha scritto su una lista. Non posso reggere altri dei suoi attacchi.»
«Dan?»
«Non si è fatto vivo durante le visite ma potrebbe sempre apparire. Conoscendo mia zia ha ancora in serbo qualcosa per me. Me lo sento.»
«Posso presentarmi?»
Rido. «Ti piacerebbe», scherzo.
«In effetti si, così non dovrei avere il pensiero costante che tu sia con un rivale.»
Attendo l'arrivo della metro. «Rivale? Dove siamo, nel medioevo?»
Sento il suo divertimento. «Sono bravo con le armi.»
«Sei anche molto presuntuoso», rispondo convinta.
Ride. «So cosa voglio e so cosa mi fa ingelosire. Ad esempio sapere che questo Dan ha dormito con te dalle elementari.»
«Dormito è un parolone, caro MisterX. Diciamo che è un amico che conosce bene come dormo, come mi muovo, le cazzate che ho fatto nella vita. Praticamente sa tutto di me.»
Pensare a Dan mi fa intristire. Non ci vediamo ormai da troppo tempo. Nessuno dei due ha ancora fatto il primo passo per riappacificarsi. Ognuno vede le parole dell'altro come coltelli affilati piantati sulla schiena. Soprattutto io.
«E questo adesso mi basta per stare in pensiero. Ti avviso, se non esci da lì entro le sette ti vengo a prendere. Non mi importa se ti imbarazzerai nel trovarmi dietro quel cancello o se ti incazzerai quando continuerò a chiamarti, ma tu dovrai raggiungermi.»
Sorrido entrando sul vagone sistemandomi in un angolo. «Sei parecchio carico oggi. Hai dormito bene?»
Immagino il suo modo di guardarmi alzando il sopracciglio, con quegli occhi sempre attenti anche se così diversi. «Dormo sempre bene quando ci sei tu nel letto accanto a me.»
«Adotta un gatto», lo prendo in giro.
«Ne ho già una e sa anche graffiare forte», risponde a tono.
Sorrido guardando fuori dal finestrino. Di tanto in tanto ci vedo il mio riflesso così sereno. «Ah si? Forse la tua gatta dovrebbe affondare gli artigli qualche volta.»
Emette un verso simile alla negazione. «No, so come coccolarla e farla miagolare», ride e anch'io con lui scuotendo la testa. «Adesso devo andare. Tra poco perderò il segnale.»
«Torno al lavoro. Mangia e porta una spessa armatura da tua zia.»
«Tu non stressarti troppo o le tue prestazioni caleranno.»
Ride di gusto e mi rilasso. «Non contarci. Ciao», saluta.
«Ciao.»
Il viaggio in metro va a rilento. Arrivo a casa con venti minuti di ritardo trovando fuori dal cancello, seduto sul bordo del marciapiede, paziente e distratto dal telefono: il fattorino della pizza.
Vedendomi arrivare si mette subito in piedi. «Bambi Stevens?»
Annuisco guardandomi intorno. «Non ho...» guardo il biglietto che mi sta passando.

"Buon pranzo,
Perché io mi prendo cura di te come tu ti prendi cura di me attraverso le mie rose e ogni cosa che fai.
Spero che la pizza sia di tuo gradimento a pranzo. Mangiala anche per me.
- Il tuo caro MisterX".

Scuoto la testa. «Grazie», dico al ragazzo dai capelli ricci già sulla moto della ditta per cui lavora. «Ecco a te», continuo dandogli una mancia. So che questa è una zona lontana dalla pizzeria e deve essergli costato parecchio per raggiungerla.
Mi sorride. «Buona giornata e buon pranzo.»
Entro in casa con il cartone di pizza. Chiudo la porta con il piede posando tutto sul bancone prima di togliere il cappotto e la sciarpa e, principalmente le scarpe.
Stento le braccia, piego il collo rilassandomi. Apro il cartone lasciando che si sprigioni nell'aria il buonissimo odore della margherita e, con il telefono sul ripiano decido di interrompere di proposito Travis inviandogli un messaggio.

"Caro MisterX,
Era necessario fare arrivare in questo quartiere sperduto un povero ragazzo in moto? (Incosciente!)
Spero tu gli abbia già dato una bella mancia perché ho contribuito anch'io.
Inizio a pensare che a te piaccia farmi sentire in colpa. Sei poco stronzo, eh?
Qui di seguito ti inoltro la foto del mio pranzo come conferma del fatto che sto mangiando. Così terrai meglio d'occhio la mia alimentazione. #furbomanontroppo.
- Contrariata, B".

Addento un pezzo di pizza che è deliziosa, spostandomi in camera dove controllo dal portatile la mia pagina, rispondo a qualche e-mail di lavoro come grafica accettandone qualcuno.
Aperta l'agenda appunto tutto per non dimenticare niente organizzandomi tra lavoro, video e lezioni.

"Cara B,
Ancora una volta mi hai beccato.
Sto monitorando i tuoi pasti perché non mangi, spesso te ne dimentichi. E non dire che non è vero.
Per quanto riguarda quel "poveretto" del fattorino: lo pagano e l'ho pagato a mia volta profumatamente per farlo rischiare, per raggiungere la zona impervia in cui abiti.
Hai mai pensato di trasferirti?
- MisterX".

Pulisco le dita, gli angoli della bocca digitando una risposta dopo avere bevuto un sorso d'acqua.

"Caro MisterX,
Mi stai dicendo di abbandonare il posto della mia adolescenza per trasferirmi in un luogo ampio, freddo e grigio in modo tale che qualcuno (non faccio nomi) possa raggiungermi in fretta?
Preferisco la mia casetta isolata proprio per questo. La solitudine non dispiace neanche a me, a volte.
- B".

Accendo un po' di musica andando in live sul sito mentre mangio e rispondo a qualche domanda. Ovviamente sistemo la fotocamera dalle labbra in giù dopo essermi cambiata indossando una vestaglia color malva nascondendo sotto un completo intimo dello stesso colore.
In qualche modo lo faccio di proposito per inviare a Travis un messaggio nascosto, facendogli capire quello che si sta perdendo.

"Cara B,
Si, esatto. Sto dicendo che potresti cambiare casa, trasferirti in un bellissimo appartamento. In questo modo potrei anche vederti da vicino o a poca distanza quando mangi e vai in live di proposito.
Per ripetere le tue stesse parole: #furbamanontroppo.
- MisterX".

Sorrido leccandomi le labbra mentre finisco un altro trancio di pizza lasciandole qualcuno per cena. Rispondo nel frattempo a qualche domanda da parte dei molti curiosi presenti e connessi. Ci sono persino Emerson e Beverly a scrivere nei commenti sotto cose sconce e oscene. Lo fanno di proposito per invogliare chiunque ad entrare in live.

"Caro MisterX,
Mi stai dicendo di trasferirmi da te per tenermi sotto controllo?
Sai già che non accetterò mai. Adoro la mia casetta tranquilla.
- B
Ps: la pizza è davvero buona. Peccato non condividerla con qualcuno se non virtualmente."

"Cara B,
Io al contrario dico che prima o poi cederai, così potrò tenerti sotto controllo (anche se questo termine non mi piace e non mi si addice). Direi più: viziarti, tenerti compagnia, renderti felice, vederti sorridere.
La pizza la mangeremo insieme stasera, quindi mettine da parte due pezzi. Non essere ingorda. :P
E si, mi sto autoinvitando nella tua piccola casetta accogliente, anche se lontana.
- MisterX".

"Caro MisterX,
Ho già messo da parte la pizza. Porta solo te stesso che al resto penso io. (Risata malefica).
Che cosa ha la mia casetta che non va?
- B".

"Cara B,
Non ne dubito del fatto che ci penserai tu a me.
La tua casetta non ha niente che non va. A parte il bisogno di qualche lavoro. Ti senti sicura lì dentro? #scricchiolatroppo.
-MisterX".

"Caro MisterX,
Hai paura dei rumori inquietanti quando sei tu il primo ad esserlo?
Stalker, Avengers, fantasma dell'opera, Freddy Krueger... devo continuare?
E io ci dormo pure, solo che tu non scricchioli. Non ancora direi.
La mia casetta è bella così com'è. Pensa alla tua, anzi alle tue: troppo ingessate e fredde.
- B".

"Cara B,
Wooo wooo qui c'è qualcuno acidino oggi. Capisco già il motivo ma io non scricchiolo perché sono messo più che bene. Al massimo, cadrò a pezzi come un vecchio rudere.
Vuoi che ti accompagni io da tua zia? Percepisco tensione e non mi va di litigare ancora con te. Sei spaventosa quando urli o mi affronti.
- MisterX".

"Caro MisterX,
Mi regali sempre un nuovo sorriso. Grazie. Hai già fatto il tuo dovere.
Adesso vado a lucidare l'armatura.
A dopo,
- B".

Mi cambio indossando indumenti comodi e poco vistosi. Zia Marin ultimamente è molto attenta anche a questo. Ma non posso farci niente se Emerson mi ha in qualche modo convinta a fare shopping insieme a lei in negozi accessibili e riforniti.
Non sono cambiata, sto solo migliorando il mio stile di vita fino a qualche tempo fa: trascurato e frenetico.
Sentendomi pronta chiamo un taxi raggiungendo così la clinica.
Quando arrivo non ho neanche bisogno di indicazioni. Mi incammino con una coperta, un paio di riviste e delle nuove candele dentro la busta, verso la stanza in cui è tornata zia Marin dopo il malore e la notizia della sua malattia sempre più invasiva.
Vederla sempre più spenta ammetto che mi fa stare male ma questo passa in secondo piano quando litighiamo. Il che avviene spesso, più di prima. Il nostro rapporto si sta inclinando. Mi dispiace tanto per questo, le voglio un gran bene. Non sopporto di vedere nei suoi occhi il riflesso della delusione.
Sto per bussare quando noto la porta socchiusa, il fascio di luce pallido sul pavimento e delle voci al suo interno. Solitamente la trovo ad aspettarmi, da sola.
Sbircio più che silenziosa dopo essermi guardata intorno e avere notato il corridoio vuoto. Dentro trovo Dan seduto accanto a lei. Le sta raccontando qualcosa. Lei ride di gusto poi i suoi occhi scorgono la mia sagoma e sulla sua bocca si forma una smorfia.
Apro la porta facendo il mio ingresso, interrompendoli. Dan si volta seguendo lo sguardo pieno di sorpresa di zia Marin che, non si aspettava una visita da parte mia a quest'ora del giorno. Lui si alza nell'immediato come una molla. Passa i palmi sui jeans stretti aprendo e chiudendo la bocca.
«Bambi», soffia zia Marin avvicinandosi subito con la sedia a rotelle per salutarmi.
I miei occhi però continuano a guardare Dan. Quando finalmente li stacco riprendo a respirare, ignorando la sensazione che mi provoca averlo a pochi passi e non potere essere me stessa con lui. È un fastidio che non riesco a controllare, mi fa prudere la pelle peggio dell'orticaria.
«Sono solo passata per portarti questi. Avevi detto che ti servivano altre coperte e ho anche comprato i giochi di enigmistica per quando non riesci a dormire o ti annoi e io non posso raggiungerti», dico lasciando il sacchetto sul mobile. «Non pensavo di trovarti in compagnia.»
«Pure le candele?»
«Ho trovato quelle mini. Odorano di biscotti, proprio come piacciono a te.»
Sorride voltandosi. Schiocca una breve un'occhiata a Dan che rianimato, facendo un passo avanti mentre esco dalla stanza mi ferma tenendomi per un braccio.
Il suo tocco mi brucia la pelle facendomi scansare. Una reazione che lo coglie impreparato.
«Possiamo parlare?»
«Devo andare. Ci vediamo domani», saluto zia Marin cercando di uscire dalla stanza e non rimanere intrappolata in un possibile attacco a sorpresa da parte loro.
«Bi, per favore», piagnucola.
Mordo il labbro. «Non ci riesco», sussurro guardandomi le punte degli stivali.
Non demorde. «Sono giorni che mi eviti.»
«Chiediti pure il perché», guardo zia Marin torva. «Tu non parli oggi? Di solito hai sempre qualcosa da dire. Le escogiti tutte.»
Arrossisce lievemente. «Non è come pensi. Io questa volta non c'entro niente.»
«Zia Marin non ne sapeva niente. Sono solo venuto a trovarla.» Vedendo che non lo ascolto, irrigidito e innervosito: continua. «Bi, concedimi due minuti», posa la mano sul mio braccio.
«Te ne ho concessi abbastanza, non credi? Così tanti da sentirmi insultare, dare della puttana e dell'ingrata», lo affronto lasciando uscire il risentimento.
Zia Marin appare scossa dalla cosa. Non dovrebbe vivere determinati momenti. Potrebbero causarle una crisi.
Porta la mano sul petto. «Hai detto questo...» guarda intorno smarrita non sapendo cosa fare o dire o pensare.
Dan contrae la mandibola. «Si, l'ho fatto. Ero ubriaco e so che questa non è una giustificazione. Ti ho cercata ovunque mentre te ne stavi a casa tranquilla con uno sconosciuto!»
Ancora una volta decido di tenere per me la presenza di Travis nella mia vita.
«Non hai trovato nessuno in casa perché ero da sola. Hai solo visto due cartoni di pizza perché per abitudine ne ho ordinate due. C'erano delle birre perché anche a me ogni tanto è concesso comportarmi da ragazza della mia età. Hai dato di matto solo perché volevi farlo, perché volevi urlarmi in faccia quanto ci stai male quando ti rifiuto, il che avviene da una vita!» alzo il tono. «Perché io non ti amo Dan. Non ti ho mai amato per come vorresti. Per me sei come un fratello e Dio solo sa quanto ti voglio bene e quello che farei per te. Ma non posso obbligare il mio cuore e il mio corpo a stare con te. Non voglio più essere infelice e tu non puoi vivere in una bolla piena di illusioni solo perché qualcuno ti ha fritto il cervello con idee assurde», mi ricompongo. «È finita! Io me ne vado.»
Giro sui tacchi uscendo dalla stanza. Sento la voce di zia Marin che gli urla qualcosa poi lui esce di corsa raggiungendomi dentro l'ascensore. Premo velocemente e rabbiosamente il pulsante sulla tastiera e in breve le porte si chiudono. Anziché scendere al pian terreno salgo sul terrazzo della clinica. In questo modo Dan non mi troverà, perché so già che raggiungendo il pian terreno si guarderà intorno tornando nella stanza con zia Marin.
Raggiungo l'ultimo piano, accedo alle scale che conducono al terrazzo, dove mi ritrovo uscendo dalla porta. Muovo i piedi sulla superficie piena di sassi avvicinandomi al cornicione. Boccheggio tentando di riprendere fiato, di non piangere e di non disperarmi così tanto per un'amicizia che è destinata ad avere i suoi alti e i suoi bassi.
Dan non comprenderà mai le mie parole perché è troppo accecato dal sentimento che prova nei miei confronti. Non capirà mai la sensazione di disagio che mi provoca per non essere mai riuscita a provare quello che prova lui per me.
I palazzi in lontananza, l'orizzonte, i grattacieli, le strade piene di auto che sfrecciano. Tutto mi sembra così enorme.
Stringo i pugni sulla soglia di cemento lanciando un urlo che si perde nel rumore dei tuoni, della pioggia che mi si abbatte addosso. Barcollo indietro, la mia schiena aderisce al muro accanto alla porta e scivolo a terra con le mani tra i capelli.
Ho sempre cercato di non commettere errori ma non è così che si cresce. Non è così che si va avanti. Non è così che si sta bene.
Sotto attacco di panico affondo le dita sulla ghiaia. Sto respirando a fatica e inizio a vedere punti neri sul mio campo visivo.
Il telefono mi salva da questo momento. Con le mani che tremano come rami di un albero scossi dal vento, rispondo.
«Trav...»
«Che succede?»
«Io...» ansimo. «Non lo so», fatico a parlare e la mia gola secca continua a stringere e a stringere.
«Bi? Dove sei?» Chiede allarmato.
Il frastuono generato da un tuono attutisce il rumore del mio respiro. «Alla clinica. Sul tetto», tossisco alzando il viso. «È così opprimente!»
«Sto arrivando!»
Non riesco a negare, a fermarlo perché sento tutto stretto: il mondo, i vestiti, la mia mente. Ogni cosa mi schiaccia e i miei occhi vedono dapprima appannati poi mi ritrovo nel buio.
«Bambi!»
Sento dei passi sulla ghiaia, l'affanno, poi qualcuno scuotermi mentre la pioggia mi picchia addosso fastidiosamente.
«Bambi, devi svegliarti!»
Ci provo ma sono tanto stanca. Tanto triste.
«Mitch, è qui!» urla.
La sua voce: un ringhio stridulo, una nota piena di paura. Altri passi sulla ghiaia. «Che cosa le è successo?»
«Non lo so. Non riesco a svegliarla», risponde Travis spaventato e agitato.
Vorrei tanto aprire gli occhi e perdermi nei suoi, ma l'attacco di panico ha prosciugato in me ogni energia. Mi sento come se stessi facendo il morto in mezzo al mare. Me ne sto immobile a fissare il cielo mentre le onde mi trascinano altrove.
«Andiamo, portiamola a casa.»
«Lascia, faccio io», mi sento tirare fuori dall'acqua ma questo non mi aiuta. Rimango inerme.
«Come sta?»
«Non lo so, vai più veloce per favore.»
«Si, signore.»
Sento forti le sue labbra premute sulla testa. Qualche scossone ma non riesco ancora a muovermi. Continuo a starmene tranquilla nel mio angolo, al buio, avvolta dal suo calore.
«Aumenta il riscaldamento, è gelata», la sua mano sulla fronte poi le sue braccia attorno, il suo profumo come sfumatura al peperoncino nella mia vita senza sapore.
«Dove devo fermarmi?»
«A casa sua, le prendo dei vestiti e poi andiamo nel mio appartamento.»
Non sento la risposta di Mitch che, credo stia guidando continuando a guardare di tanto in tanto dallo specchietto retrovisore.
«Non avrei mai dovuto lasciarla andare da sola. Deve essere successo qualcosa. Dannazione!»
Sento la forza del suo abbraccio e vorrei chiedergli di non stringermi così forte perché mi fanno male le ossa, il petto, il cuore.
«Non poteva prevederlo, signore. Sono sicuro che starà bene nel giro di qualche ora. Sembra sfinita.»
Non sento altro perché mi raggiunge un fischio alle orecchie cosi fastidioso da farmi perdere coscienza.
«Chi diavolo sei e che cosa stai facendo?»
La voce di Dan mi arriva attutita seppur stridula e forte, agitata e carica di rabbia.
«Non è neanche per me un piacere conoscerti», risponde a tono Travis con astio.
«Chi ti ha dato il permesso di entrare in casa sua e...»
Sento sbattere la portiera dell'auto.
«Io, mi sono preso da solo la briga di racimolare le sue cose.»
«Chi cazzo credi di essere?»
«Nessuno», risponde a tono. «Sono solo colui che la porterà via da questo inferno. Adesso fatti da parte o dovrò usare le maniere forti.»
«Bambi non verrà da nessuna parte con te, mostro!»
La portiera si riapre e il freddo pervade ogni fibra del mio corpo facendomi tremare. La prima reazione che riesco ad avere quando vengo quasi trascinata del tutto fuori.
«Non sarà uno stupido aggettivo a fermarmi! Inoltre ti consiglio vivamente di non avvicinarti a lei e alla mia auto.»
«Ah davvero? Tu non sai con chi hai a che fare. Ti stai mettendo contro la persona sbagliata.»
Sento Travis soffiare dalle narici. «Io davanti a me vedo solo uno stupido moccioso che non riesce ad accettare un rifiuto. Adesso togliti, ho altro a cui pensare. Non ho tempo da perdere.»
Sento il fremito di Dan e riesco ad alzarmi anche se non in tempo per fermarlo. Sbatte Travis contro il paraurti della sua auto, ma questo non gli lascia neanche un attimo di vantaggio perché in poche mosse, come uno spietato pugile, lo manda a terra.
Spalanco gli occhi. Nessuno era mai riuscito a mettere al tappeto Dan, neanche Nic.
Dan si rialza togliendosi il sangue dal labbro e dal naso usando il braccio.
La vista mi si appanna ma vedo chiaramente il suo sorriso. «Adesso capisco quello che vede in te. Sei la copia sfuocata del suo defunto ragazzo», sorride di proposito. Lo fa per provocarlo. Travis però incassa senza lasciarsi distrarre da una simile sciocchezza.
«Adesso capisco perché non ti ha mai amato», replica lui.
Dan scatta in avanti colpendolo al viso. Travis ringhia poi perde il controllo lasciando stordito a terra Dan. «Nessun rancore ma... fai pena come amico!»
Detto ciò gli lancia un fazzoletto. «Pulisci la faccia e la coscienza. Soprattutto le labbra, ti puzzano ancora di latte», dice entrando in auto.
Dan si rialza come un cucciolo ferito. Immagino i suoi pensieri. «Non le permetterò di stare con te. Sei un uomo morto!» minaccia.
Travis gli sorride non accorgendosi che sono sveglia, che sento tutto. «Non puoi farmi niente, sono già morto una volta e non ho paura dell'inferno», replica. Guarda poi Mitch che ha appena assistito alla scena, l'unico ad accorgersi di me immobile e sconvolta.
«Signore...»
«Andiamo all'appartamento. Lasciamo immediatamente questo posto. Quando arriviamo non voglio essere disturbato da nessuno.»
«Si, signore», Mitch parte senza discutere.
Dan rincorre l'auto per qualche metro urlando minaccioso.
Travis si toglie la maschera passando il palmo sul viso. Non appena si rende conto del sangue trattiene il fiato.
Non riesco ancora a muovermi, ad abbracciarlo, a chiedergli scusa, a proteggerlo. Dan non fa mai promesse o minacce a vuoto. Ho letto nei suoi occhi la sorpresa mescolarsi alla furia.
Dopo essere arrivati nel sotterraneo, mi prende di nuovo in braccio. Prima di entrare in ascensore dice qualcosa a Mitch.
Mi perdo di nuovo sentendo la mente confusa. Passano pochi minuti, il mio corpo viene adagiato su una superficie comoda, liscia seppur fredda, la mia testa sopra un cuscino. Il mio corpo coperto da un plaid morbido e così caldo da sentirmi in paradiso.
Le sue dita mi sfiorano la guancia.
«Signore!»
Sento i passi di Nan sul pavimento. «Che cosa le è successo al viso e perché Bambi...»
«Non è niente. Ho solo ricevuto un pugno, tutto qua. Puoi andare, ho dato ordine a tuo marito di non fare entrare nessuno e di non essere disturbato per nessuna ragione.»
«Posso preparare qualcosa per voi prima di andare?»
«No. Va pure.»
«Ne è sicuro?»
Travis prende un lungo respiro concentrandosi un momento, forse per non esplodere. «Si, vai.»
«Non esitare a...»
«Se avrò bisogno chiamerò. Adesso vattene!» dice brusco. «E scusami ma...»
«Non preoccuparti, lo capisco. Allora a domani.»
«Si», dice incurante continuando ad accarezzarmi la guancia.
È la prima volta che parlano in tono confidenziale.
Sento chiudere la porta. Travis si allontana. Percepisco i suoi passi sul pavimento. Sembra un leone braccato. Continua a prendere piccoli respiri.
Quando finalmente il mio corpo ritorna in mio possesso, apro gli occhi. Ci riesco. Seppur infastidita dal fascio di luce della lampada, lo vedo e trattengo il fiato.
Se ne sta appoggiato alla sbarra della vetrata. Fissa qualcosa davanti a sé.
Mi alzo a metà busto indolenzita e come se percepisse ogni mio movimento dall'interno, si volta.
Mi si spezza il fiato quando vedo il taglio sullo zigomo il sangue asciutto ad imbrattargli in lungo la guancia e gli occhi carichi di furia.
Staccandosi dalla vetrata fa una passo incerto verso di me posando il bicchiere sul vassoio.
Mi alzo nel medesimo istante in cui scaglia tutto a terra emettendo un urlo spaventoso, picchia persino il pugno contro il vetro. Lo fa così forte da temere che possa averlo lesionato.
Sussulto ma non mi fermo. Mi avvicino e lui avanza stringendomi al petto. «Non farlo mai più», ringhia. «Non farlo mai più, cazzo!» affonda il viso sulla mia spalla.
Ansimo e lui mi stringe forte il viso baciandomi in un modo che non comprendo perché non mi dà il tempo di razionalizzare. Mi aggrappo a lui sollevata dalle sue mani e dal suo petto che mi spinge verso il muro dove trovo appoggio mentre la sua bocca invade dapprima possessivamente la mia poi spostandosi sul collo.
«Non farmi mai più tutto questo», soffia a fatica.
Riprendo fiato sfiorandogli la ferita aperta e fresca. Stringe la mano sul mio braccio strizzando l'occhio per il dolore. «Una in più non cambia il risultato», esclama.
Chiudo gli occhi abbracciandolo. «Mi dispiace tanto.»
Mi bacia la spalla spostando il colletto. «Adesso te ne vai subito a letto.»
Nego. «Prima fammi pulire questa», faccio una smorfia quando mi morde la pelle emettendo un breve urlo ma non di dolore. «Fila, a letto!» ringhia.
Lo guardo male e lui sostiene il mio sguardo. «Trav, dobbiamo disinfettare questa. Poi andrò a letto e dormirò fino a dopodomani se sarà necessario.»
Contrae la mascella. «Bi, ascoltami.»
Sguscio via da lui e barcollante mi avvio verso il bagno dove cerco il disinfettante. Quando esco mi scontro con lui che mi porta in camera sua tenendomi ferma per un braccio, proprio come un padre arrabbiato.
Posa il mio borsone sulla poltrona. «Ho scelto a caso», dice indicando i miei indumenti al suo interno.
Inarco un sopracciglio. «Per fortuna non hai aperto il cassetto in basso», dico sarcastica.
Mi scocca un'occhiata brutale. «Adesso fai dello spirito? Mi sono beccato un pugno per te. Avrei dovuto portarti direttamente qui e farti stare nuda per tutto il giorno. Adesso che ci penso, sarebbe stato più divertente.»
Trattengo un sorriso dato il momento e quando mi spinge verso il letto scostandomi la coperta mi siedo costringendolo a fare lo stesso. «Pizzicherà», lo avverto disinfettando il taglio dovuto al pugno micidiale di Dan. Ancora una volta non batte ciglio. Sopporta il dolore in modo incredibile.
«Sei fortunato», dico mettendoci sopra un cerotto per chiudere la ferita. «Poteva farti fuori.»
Mi guarda come se lo avessi appena deriso. «In quale mondo vivi? Forse non ti sei accorta che sono riuscito a mandarlo al tappeto prima ancora che mi colpisse. Questo taglio che vedi è voluto. Gli ho solo permesso di colpirmi per avere una ragione in più per non farti tornare a casa.»
Apro e richiudo la bocca incredula. Alzandomi in fretta mi sposto in bagno dove lavo le mani strofinandole così forte da arrossarle.
Travis si appoggia allo stipite. «Non mi scuserò.»
«Non ti ho chiesto di farlo», rispondo acidamente.
«Allora perché non hai risposto facendone una questione di orgoglio?»
«Perché sto per farmi un bagno caldo», rispondo aprendo il getto dell'acqua con nonchalance.
Non so che cosa dire. Non posso schierarmi dalla parte di nessuno. Ancora una volta mi trovo tra due fuochi.
«Stai per fare un bagno... ok, hai preso una botta alla testa o cosa?»
«No, sono solo svenuta a causa di un attacco di panico e tu mi hai portata a casa tua, se non sbaglio dopo avere frugato nei miei cassetti e fatto a botte con il mio migliore amico. Il tutto senza neanche chiedere il mio parere!»
Non so perché gli sto urlando contro ma sento esplodermi nel petto una rabbia mai provata. Quella data dalla stanchezza.
Si avvicina. «Sei arrabbiata e lo capisco. Ma hai bisogno di un posto tranquillo. Per questo ti ho portata qui. Per questo ho fatto superare ogni limite di velocità a Mitch pur di tenerti al sicuro.»
Mi lascio avvolgere dalle sue braccia, attraversare dalla sua calma. «Ti va di fare il bagno con me?»
Cammina in direzione del mobile tenendomi stretta. «Giusto ieri ho fatto scorta di questi», apre l'anta mostrandomi i piccoli pacchetti di carta contenenti le saponette. L'odore che sprigionano è inebriante.
Ne prendo una. Alzandomi sulle punte dei piedi mi tengo in equilibrio avvicinandomi alle sue labbra. «Non mi spogli?»
Mi guarda accaldato. «Se lo chiedi così.»
Mi tiro indietro e mi sfila via il maglione a righe e i jeans. Mi avvicino ma lui mi solleva facendomi entrare nella vasca. Indietreggia appoggiandosi al lavandino.
«Che cosa fai?»
Incrocia le braccia massaggiandosi una guancia. «Ti guardo. Non volevi fare un bagno?»
Apro la saponetta dalla confezione lanciandola in acqua. Il tutto lo faccio guardandolo dritto negli occhi. Mi immergo fino al viso e quando riemergo lui è inginocchiato, vicino. Così vicino al mio viso da pizzicarmi la pelle con il suo calore. «Mi stai chiedendo silenziosamente di unirmi al tuo gioco?»
Poso il palmo sulla sua guancia avvicinandolo ancora di più. «Ti sto chiedendo di fare il bagno con me», dico serena.
«Ok», indietreggia spogliandosi davanti a me. Offrendomi uno spettacolo parecchio sensuale.
Quando entra dentro la vasca l'acqua oscilla rischiando di straboccare. Mi avvicina a sé abbracciandomi da dietro. Mi massaggia le spalle premendo forte con i polpastrelli in quei punti tesi. Mugolo reggendomi al bordo della vasca.
«Come stai adesso?»
Appoggio le spalle sul suo petto avvolgendomi le braccia intorno alla vita. Mi bacia una guancia.
«Mi regali una tranquillità che non avevo mai provato. Mi fai sentire sempre molto eccitata e... ultimo non per ordine di importanza, con te accanto io... mi sento al sicuro.»
Piego la testa sentendo le labbra vicine all'orecchio. «Posso tenerti con me?»
Sorrido. «Casper non è il tuo personaggio ma... per oggi si.»
«Solo per una notte, prossimamente al cinema», esclama pensieroso.
Mi volto a guardarlo. «Dicevi sul serio», affermo guardandolo con gli occhi a fessura.
La sua mano accarezza le mie gambe mentre l'altra risale sul fianco. «Con te non scherzo mai», mormora. «Ma capisco che devi avere vissuto un brutto momento e non posso forzarti quindi, adotterò un filtro: quando vorrai, questa casa sarà anche la tua.»
Sporgendo il braccio cerca qualcosa dentro la tasca dei pantaloni della tuta.
Mi agito sia dentro che fuori sentendo montare nel petto la pressione che si irradia ovunque. Un calore anomalo invade il mio corpo facendomi sentire freddo. Ho i brividi.
In mezzo all'indice un anello che tiene sospesa una chiave. La fa oscillare davanti a me. «Non spaventarti. Prendila solo se vuoi.»
Sento la gola secca. «Trav, tu corri troppo.»
«No, io sono realista. Vuoi una cosa, la prendi. Non devi aspettare perché non c'è tempo. Non puoi rincorrere le cose, i sogni all'infinito. Arriva il giorno in cui cadi e apri gli occhi. Ti rendi conto del fatto che niente dura per sempre e che non puoi continuare a sognare ad occhi aperti. A volte devi prendere quello che vuoi.»
Guardo la chiave, i suoi occhi. «Io non posso accettarla.»
La infila di nuovo dentro la tasca e sorride.
«Adesso mi eviterai?»
Nega continuando a sorridere. «No, ma va bene così. Il fatto è che se ti ho qui io devo dirti tutto quello che penso. Sento proprio il bisogno di essere sincero con te. Ti vedo e ti devo dire tutto.»
«E che cosa vorresti dirmi adesso?»
«Tu... devi stare con me.»
«Ma non siamo ancora amici.»
«Ed è qui che ti sbagli. Non siamo amici, mai lo saremo. Faremo sempre i conti con quello che proviamo. Noi due non siamo compatibili ma allo stesso tempo combaciano come tasselli di un puzzle impossibile da finire. Io te lo devo dire: sei l'unica per me.»
Arrossisco anche se allo stesso tempo non posso non insospettirmi.
«Che cosa hai fatto?»
«Io? Niente», replica facendo il finto tonto nascondendo il divertimento. «Credo che sia importante prendere il meglio finché puoi sentirlo. Finché respiri e vivi.»
«Trav, che cosa hai fatto? Ti ho appena detto che non posso accettarla...»
«Per questo ne hai già una dentro l'ultimo cassetto. I regali si accettano», mostra i denti e lo spingo allontanandomi.
Passano pochi istanti. Mi tira di nuovo a sé. Lo respingo usando tutta la mia forza. «No, sei uno stronzo! Hai calcolato tutto, ammettilo», ringhio spingendolo.
Sorride e non smette neanche di mostrare il divertimento. Questo mi indispettisce. «Sei davvero un...»
Si rialza tirandomi a sé e aprendo il soffione, spingendomi all'angolo, sulle piastrelle fredde dove mi bacia con un trasporto tale da farmi tremare le ginocchia.
«Sono sorprendente, lo so!»
Rido. «Finiscila cretino!»
Tira a sé le mie natiche e la mia vita va a scontrarsi con il cavallo dei suoi boxer. Ansimiamo entrambi mentre la cascata ci scivola addosso.
«E lo so che mi ami anche per questo», sussurra sull'orecchio sollevandomi.
Scuoto la testa. «Ti odio! Ti odio come non ho mai odiato nessuno.»
Rimango ferma con la gola secca, piena di emozione. Ferma a guardarlo. Ferma in questo silenzio pieno di affanno.
E mi viene voglia di prenderlo a morsi. Dapprima piano, poi con più forza fino a perdermi in un bacio. Ma sto ferma a fare l'amore con lui. Lo faccio con gli occhi, con il cuore, senza controllo, senza fretta.

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