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Il viaggio di ritorno con Valentina mi sta lentamente prosciugando. Sono stati dieci giorni belli, nel complesso, anche se un po' stancanti. 

Abbiamo approfittato di tutti i massaggi e i trattamenti possibili e immaginabili; ho immerso il corpo in sostanze giallognole non meglio identificate e mi sono fatta fare uno scrub al viso che, a dire dell'estetista, doveva togliermi almeno cinque anni. 

Posso dire che me ne ha tolti minimo dodici, considerando che la mia pelle sembrava quella affetta da acne nel pieno periodo adolescenziale. 

Ho dovuto coprire il tutto con un'abbondante dose di fondotinta, che mi sono fatta prestare da Valentina -visto che io non lo uso, di norma- che ovviamente non ha assolutamente la mia stessa tonalità di pelle.
Ero arancione come un pomodoro che non ha raggiunto l'apice della sua maturazione. 

Abbiamo camminato in lungo e in largo per tutto il paese cercando i negozietti tipici della zona e chiacchierando con chiunque ci domandava da dove venisse quello strano accento.
Siamo state in tutti i pub del paese e del circondario.
Abbiamo fatto qualche nuova conoscenza, e Valentina ha trovato la sua anima gemella per la quattordicesima volta. 

Quanto invidio questo suo lato romantico e genuino.
Per lei ogni persona nuova è una potenziale storia d'amore, una di quelle che ricorderai per tutta la vita. 

A me, invece, serve solo a ricordare quanto io abbia perso, e quanto sia difficile reggere il confronto con una persona alla quale non dovrei assolutamente pensare. 

Ed ecco perché il viaggio mi sta prosciugano: Vale ha messo su la sua personale playlist di cantanti italiani.
ITALIANI!
Ciò significa che in ogni singola canzone, ritrovo un qualcosa che mi ricorda di me e Giò.
O anche solo di me e di come sto adesso. 

Oltre a sentirmi ancora male si sono aggiunti pure i sensi di colpa.
Così, giusto per non farci mancare niente, non sia mai. 

In queste giornate che dovevano essere di relax e svago, non ho fatto altro che ricevere messaggi da Lorenzo e Gianluca in cui mi ripetevano quanto Giò sembrasse diverso, quanto fosse giù di morale, quanto non sembrasse nemmeno lui, quanto non scherzasse come fa di solito e bla bla bla. 

Come se io invece fossi tutto 'sto carnevale di Rio a confronto.
Ma non lo sanno che vivo costantemente come se avessi una voragine nello stomaco? Il fatto che riesca a nasconderlo meglio di altri non significa che stia bene. Loro più di tutti dovrebbero saperlo. E così mi sono fatta prendere anche dalle paranoie. Allo scoccare della mezzanotte del capodanno ho ricevuto un suo messaggio: "Avrei voluto vederti, perché non sei qui? Buon Anno, Becky".

Non sono riuscita neanche a rispondergli. Mi tornavano in mente tutte le cose che avevano scritto i ragazzi e ogni risposta non sembrava mai quella giusta.

Giò chiede come stai.

Giò è triste perché non riuscirete nemmeno a salutarvi se torni dopo capodanno.

Giò ti saluta.

Giò mi ha chiesto se ti vedi con qualcuno.

Giò ha domandato se ci parli mai di lui.

E certo che parlo di lui.
Ho fatto una testa tanta a tutti ormai. 

Ma cosa pensava?
Che prendere la decisione di non aspettarlo significasse automaticamente eliminarlo dalla mia vita?
Magari fosse così facile! 

La verità è che, se durante le prime settimane ero straconvinta della mia decisione, piano piano col passare del tempo ho iniziato a vacillare. 

Davvero non potevo aspettare un anno? Insomma, ci siamo rincorsi tanto noi, tanto sul serio. Sette anni -ormai otto- non sono pochi e, soprattutto, non sono stati facili se consideriamo che ci siamo dovuti guardare a vicenda crescere, stare con altre persone, prendere percorsi e strade diverse. 

Cosa sarebbero stati altri trecentosessantacinque giorni, in confronto? Ogni volta che la mia testa prende a fare questi ragionamenti mi ritrovo a chiedermi se siano domande logiche, oppure solo il frutto della mancanza che sento di Giò. E puntualmente, ne esco senza una risposta.

"Siamo stati perfetti mio amore, e lo so che lo sai anche tu
Quando è stato più facile andare, che soffrire una volta di più
Ma ho paura che questa fatica, stanotte, sia soltanto la mia
E non certo di chiudere gli occhi, e lasciarti di nuovo andar via.
Siamo stati stupendi mio amore, e stupendi significa mai
A vent'anni ho sentito l'amore, ma a vent'anni che te ne fai?"

La voce esce chiara e limpida dagli altoparlanti; vedo Vale canticchiare con aria serena questa canzone che sembra leggermi dentro, e mi sorge spontanea una domanda:
«Ma chi è 'sto stronzo?»
«Mh? È Niccolò Agliardi! Bello, vero?»

Una meraviglia, Vale. Una meraviglia!

****

Dopo aver disfatto la valigia ed essermi concessa una lunga doccia rigenerante, posso dire: Casa dolce casa, finalmente!

Questo credo sia il primo anno, da quando abito qui, che il mio appartamento sembra così vuoto.
Non so bene perché di preciso, ma il fatto di non averci trascorso nemmeno uno dei giorni di festa lo fa sembrare così triste, che non vedo l'ora di togliere tutte le decorazioni natalizie che avevo messo su con tanta fatica e minuzia.
L'anno prossimo comprerò uno di quegli alberelli cinesi con le fibre ottiche e le palline già attaccate. 

Ci penserò domani a disfarmi di tutte queste cianfrusaglie, non appena rientrerò dal lavoro. Stasera sono troppo stanca, in più mia mamma ha voluto che le lasciassi le chiavi prima di partire, in modo da potermi portare i regali di Natale; quindi ora ci sono quattro pacchettini luccicanti proprio davanti ai miei occhi, e sarei davvero una bruttissima persona se li lasciassi lì, abbandonati a loro stessi, no?

Il primo è avvolto da una carta rossa con tante piccole renne sopra, e il biglietto recita: "Da mamma e papà, alla nostra piccola Becca"; mi sento come una bimba nel giorno del suo compleanno!
Straccio la carta e trovo un meraviglioso portafoglio sui toni del rosa antico e del marrone.
Io e mamma l'avevamo visto insieme un giorno in cui siamo andate a fare un giro al centro commerciale un mesetto fa. Adoro il fatto che abbia ricordato quanto mi fosse piaciuto.

Il secondo pacchetto è verde scuro, decorato da un bellissimo nastro rosso, nel tipico stile natalizio.
Leggo il biglietto: "A quella stronza di nostra nipote". Scoppio a ridere immaginando mia nonna mentre lo scrive, con la sua solita aria di quando è convinta di essere nel pieno della ragione: bocca tirata in una smorfia acida, sopracciglia inarcate dallo sdegno, e petto categoricamente in fuori.
La ragione, per nonna Caterina, non si dimostra che così.
La carta era la confezione ad una piccola scatoletta di velluto blu, che faceva da scrigno ad uno splendido bracciale con un ciondolo a forma di cuore color rame.
È semplicemente bellissimo.
Sotto al bracciale un altro biglietto: "Ti vogliamo bene, anche se sei stronza."
Mi si riempie il petto di felicità. Domani devo assolutamente passare a trovare i miei adorati nonni.

Il terzo regalo è in una busta con scritto sopra: "Alla nostra nipotina preferita, dai tuoi zii", sorvolo sul fatto che sia anche l'unica nipote che hanno, e apro la bustina sorridendo.
Mi ritrovo in mano una sciarpa grigia, morbidissima che sembra essere caldissima.
Okay, dovrò passare anche dagli zii. 

L'ultimo regalo è avvolto da una carta con dei... culi?
Ma dove le trova Lorenzo certe cose? Ogni anno scova qualcosa di peggiore di quello precedente.
È un genio!
Il biglietto dice: "Sorella, amica, cugina... Buon Natale a te che sei tutto questo. P.S. Non fare la stronza però, ce lo guardiamo insieme!"
Sorvolo anche sul fatto che mi abbiano dato della stronza già tre volte, e scarto il regalo, ritrovandomi tra le mani il DVD di Anastasia.
Io adoro Anastasia!
È tra i miei cartoni preferiti in assoluto. 

Bene, domani passo dai nonni, passo dagli zii, passo dai miei, e la sera mi guardo il dvd con Lore, deciso! 

Faccio una mega palletta gigante con tutte le cartacce e mi alzo per andarle a buttare, quando qualcosa attira la mia attenzione. 

Sotto l'albero, vicino alla base e quindi un po' coperto dai rami che scendono, c'è una busta rossa.
Se è nonna che mi insulta di nuovo giuro che la infamo! 

La prendo e la rigiro tra le mani, con una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come una morsa, come se ci fosse qualcosa che tira da dentro. 

La apro e ne estraggo una fotografia. 

Siamo io e Giò, ridiamo come i matti mentre ci facciamo un selfie; io cerco di coprire il volto nell'incavo del suo collo, e lui prova a tirarsi indietro perché gli faccio il solletico.
Dietro di noi, il mare limpido di Tenerife. 

Cerco di fare dei respiri lunghi e regolari per ricacciare indietro le lacrime.
Non voglio piangere, non devo piangere. 

È solo passato; devo imparare a guardarlo senza sentire tutto questo dolore che mi sta invadendo il petto ora. 

Giro la foto e leggo: "Restiamo tra le stelle ancora un po', solo noi due... Buon Natale Becky."

Sorrido appena e asciugo una lacrima che è sfuggita alla mia volontà, e guardo il soffitto. Si fa così per non piangere, no?
Si alza la testa, si punta lo sguardo in alto e si sbattono le palpebre più e più volte, continuando a respirare in modo regolare. 

Non credo che stia funzionando poi tanto, ma probabilmente è la posizione che non aiuta. Dovrei stare stesa, comoda comoda nel mio lettuccio e riprovare. 

Vado in camera e mi raggomitolo sotto le coperte, spengo la luce e riprovo di nuovo.
Okay Becca, ce la puoi fare, su! Inspira con calma, lentamente, e piano piano butta fuori tutta l'aria, e insieme a quella anche i pensieri negativi e le cose che fanno male. Alza gli occhi al soffitto per non fare scendere le lacrime e...

E crack.
Il mio cuore ha fatto di nuovo crack. 

Il soffitto della mia camera da letto è pieno zeppo di piccole stelline adesive, di quelle che si illuminano al buio diventando fosforescenti.
Ancora stelle;
altre stelle;
ancora noi.

Sulla nostra panchina -quella che io chiamo nostra perché è il posto in cui si è dichiarato a me per la prima volta- ce ne stavamo seduti, otto anni fa, con il naso all'insù aspettando di vedere qualche stella cadente. 

Era la notte di San Lorenzo e in piazza avevano spento tutti i lampioni per permettere ai cittadini di poter ammirare meglio il cielo. 

«Ci vorresti essere lassù, Becky?»

«Dove? Tra le stelle?»

«Sì, tra le stelle.»

«Sì. Sarebbe bello farci un giro un giorno.»
Come se fosse una cosa semplicissima andare a farsi una passeggiata nella via lattea.

«Allora ti ci porterò.»
Aveva sorriso e mi aveva guardata, e io avevo pensato che non me ne fregava niente delle stelle, se potevo stare a guardare i suoi occhi così da vicino anche solo un altro minuto. 

E gli avevo sorriso di rimando, perché diceva queste cose con una semplicità così grande da sembrare ancora un piccolo bambino, invece che un giovane uomo. E ci avevo creduto. 

Giò mi ci porterà davvero, un giorno, perché lui mantiene sempre quello che promette.

****

Spalanco la porta con un sorriso a quarantasette denti e lascio entrare Lore con un braccio teso verso l'interno dell'appartamento.

«Signore e signori siamo quasi pronti per la visione. Vi preghiamo di prendere posto e usufruire gratuitamente di tutti gli stuzzichini messi a disposizione da questa meravigliosa padrona di casa, nonché ottima amica e migliore cugina del mondo. Prego!» 

Lore però non sembra affatto divertito da questa mia scenetta. Mi guarda con un'espressione cupa in viso.

«Beh? Che c'è? Se non hai voglia di vedere Anastasia possiamo anche cambiare film.»

Per tutta risposta scuote la testa, come rassegnato.
«Le hai viste?»

Sapevo che me l'avrebbe chiesto. Quasi sicuramente è stato lui a fare entrare Giò qui dentro. Sospiro e abbandono la mia espressione super felice di qualche minuto fa. Tanto mi conosce meglio di chiunque altro, chi pensavo di fregare?

«Prima di risponderti voglio fare una piccola, piccolissima domanda.»

«Vai.»

«C'è la minima possibilità che noi stasera riusciamo ad evitare questo discorso?» domando speranzosa.

«No.»

Molto bene.

Sospiro di nuovo, rassegnata.
«Le ho viste.» dico abbassando gli occhi.

«E...?»

«E cosa? Cosa vuoi sapere?»

«Solo come stai... Becca, tutta questa storia vi sta spegnendo, a tutti e due. Non sembrate neanche voi, non puoi non essertene accorta.»

Mi passo una mano sul viso, come a voler tirare via chissà cosa. Forse la stanchezza, o il dolore.
Lore mi fa una carezza e mi accompagna verso il divano, facendomi sedere e prendendo posto accanto a me.

«Non so cosa risponderti, perché non so come sto. Di sicuro non bene. Alterno giorni in cui penso che dovrei perdonarlo, perché ci lega qualcosa che va al di là di tutto, a momenti nei quali penso che non potrò mai farlo, perché mi ha fatto male. E mi sento in un costante limbo in cui ogni passo che muovo fa male a qualcuno. O anche a tutti e due.»

«Senti, Becca... Io ti voglio un bene dell'anima, tu lo sai. Solo che questa volta mi sembra che tu la stia facendo un pochino più grossa di quello che è... capisci cosa intendo?»
Mi guarda con quei suoi occhioni sinceri e pieni d'amore, e si vede che è dispiaciuto per me e per il suo amico. 

«Non è semplice come la fai tu, Lore.»

«Perché?»

Sbuffo guardandomi attorno, stando attenta a non posare i miei occhi nei suoi; non riuscirei più a parlare sinceramente, altrimenti.
«Perché tu mi conosci come le tue tasche, ma non sai come sono quando sono innamorata. E di lui lo sono, lo sono davvero. Non importa se con le parole faccio schifo e non gliel'ho mai detto. Lui mi conosce e lo sa. Oltre a te, Giò è l'unica persona che riesce a capirmi solo con uno sguardo. Sai che la prima volta che l'ho visto, non è stata la sera in piazzetta, assieme a te e a Gianlu?»

«Ah no?» chiede sorpreso «E quando è stata?»

Sorrido al ricordo. Questa cosa non la sa nessuno, nemmeno Giò. Non ufficialmente, almeno.

«Ero in macchina con Vale, stavamo tornando dalla vacanza in Grecia. Non mangiavamo da non so quanto, così ci siamo fermate all'alimentari, quello di fianco a casa dei nonni di Giordano, e io sono scesa per prendere qualche schifezza perché Vale lo sai come diventa quando ha fame, non poteva aspettare neanche i cinque minuti che mancavano per arrivare. Quando ho attraversato la strada, ho sentito questa musica meravigliosa venire da casa loro, così mi sono incuriosita e ho sbirciato dalla finestra per fare un saluto a Teresa e Carlo, e sapere di chi fosse quella melodia. 

Ero convinta fosse un Cd, o un disco in vinile... quindi mi affaccio al salottino tranquilla, tanto era estate e loro tenevano sempre le imposte aperte, mi conoscono da una vita, non si sarebbero di certo spaventati, e poi era una cosa che facevo spesso quando andavo a far spesa lì, mi piazzavo davanti alla finestra e gli facevo un saluto... insomma mi affaccio, e lo vedo di profilo mentre suona, con quelle mani secche e lunghe che si ritrova. 

Ero rimasta spiazzata dalla sua espressione, sembrava in un altro mondo; gli occhi chiusi e l'espressione concentrata, ma serena allo stesso tempo. E come ho realizzato che era una persona a produrre quella musica meravigliosa, lui all'improvviso ha smesso di suonare. Un secondo, forse due. Si è fermato e ha sorriso, senza aprire mai gli occhi, ma girandosi appena verso la finestra da cui lo spiavo. Poi ha ripreso, come se niente fosse. Era come se mi avesse sentita...»

«Wow...bellissimo, davvero. Ma quindi?»

Mmh, bisogna sempre spiegargli tutto a questo!

«Quindi, la sera sono venuta alla piazzetta e ci siamo presentati. E ti ricordi cosa mi ha chiesto? Quando tu e Gianlu siete scoppiati a ridere?»
Mio cugino spalanca gli occhi e io sorrido.

Esatto Lore. Bingo!

«Ti ha chiesto se ti piaceva come suonava il piano! Ma come faceva a sapere che eri tu?»

Faccio spallucce.
«Non ne ho idea, ma lo sapeva. L'ha sempre saputo. Quando si trattava di me, lui sapeva sempre. Ecco perché per me è così difficile, capisci? Non è solo la questione del perdonare una bugia che ha detto a fin di bene, almeno a detta sua. È che quando avevamo vent'anni, o poco più, mi sembrava di andare a infilarmi in qualcosa di più grande di me. Era un sentimento troppo grosso per dei ragazzini come noi. Il peso dell'amore ti può schiacciare se non sei pronto a riceverlo. E io ho avuto paura, tanta! Lui invece è sempre stato più avanti di me, ha sempre pensato che qualsiasi cosa fosse quella che c'era tra noi, era da vivere. Vivere e basta. Ma io ero così testarda, così fifona, che sono rimasta della mia idea, ovvero che non avrebbe potuto funzionare per via della distanza. Ad oggi lo so che era solo una scusa, ma quella volta avevo assolutamente bisogno di convincere me stessa che era così e basta, perché, come fai a vivere quando sai che hai lasciato andare una cosa così potente?»

«Ma tu oggi non sei più quella ragazzina, Becca.»

Abbasso gli occhi e cerco di mandare giù il nodo che mi si è formato in gola.
«A quanto pare invece sì. Ho ancora quella cazzo di paura, e stavolta anche di più, perché siamo stati insieme. E lo so che chiunque potrebbe pensare: "ma che vuoi che sia, sono stati solo pochi giorni". Ma quei pochi giorni sono quelli che noi aspettavamo da anni. E dopo che ho trovato la forza -e credimi, ce n'è voluta tanta- di lasciarmi andare, di provare, di rischiare, viene fuori che non è ancora il momento adatto. Viene fuori che mi ha nascosto una cosa così grande. E io non credo di farcela.»
Asciugo una lacrima cercando di non farmi vedere, ovviamente senza riuscirci.

«D'accordo cugina. Prenditi tutto il tempo che ti serve, okay? Nel frattempo ci guardiamo Anastasia tutte le volte che vuoi» sorride mentre asciuga un'altra bastarda sfuggita al controllo.
Annuisco cercando di ricambiare il sorriso e mi accoccolo di fianco a lui, mentre fa partire il dvd.

Tutti dovrebbero avere un Lorenzo nella propria vita.

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