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12

Inizio a camminare a falcate talmente lunghe che Naomi Campbell scansati proprio, fermo la prima persona che incrocio in strada per chiedere informazioni. Fortunatamente è una ragazza che ho già visto ieri in spiaggia, e so che è italiana. Il mio già scarso senso dell'orientamento si annullerebbe definitivamente se mi dovessero dare indicazioni in qualche altra lingua.

«Senti scusa, sai per caso dov'è questo ristorante?» e le mostro il messaggio che mi aveva mandato Lorenzo con scritto il nome. Si illumina non appena si accorge di conoscere il posto. La capisco, anch'io mi sento una supereroina quando riesco a dare un'indicazione a qualcuno.
«Sì, sta qua nel villaggio!»

E grazie al cazzo!

«Ehm, sì questo lo immaginavo, ma sai da che parte si trova? Destra, sinistra, dritto?»
«Ah già, sì... Oddio... Allora devi annà avanti pe'... no aspè, quello era l'artro... Pe' questo devi annà a destra, alla mia però!» Evito di farle notare che mi sono messa di fianco a lei per farle vedere il telefono, e che quindi la sua destra è anche la mia. 

«Ottimo, grazie mille! Solo a destra quindi?»

«Ah... no devi anche girà a sinistra dopo.»

«Dopo quando?»

«Dopo la fontana.»

«Okay, quindi vado a destra, e giro a sinistra dopo la fontana.»

«Si, ma a la seconna.»

Cristo santo.

«Perfetto, quindi vado a destra, mi lascio alle spalle la prima fontana e dopo la seconda giro a sinistra, giusto?»

«Sì esatto! E poi ar coso di nuovo a destra. E praticamente to 'o trovi davanti!»

«Quale coso?» chiedo.

«Che coso?» ribadisce guardandomi in maniera confusa.

«Non lo so, tu hai detto che al coso devo andare di nuovo a destra...»

«Ma quale coso? Se nun me dici er nome come faccio a capì?»

«Senti ma me l'hai detto tu!»

«Oh ma allora arrangiate! Ma guarda te oh, vojono le indicazioni e nun sanno manco parlà pe' spiegasse. Sta burina oh!» Gira i tacchi e se ne va, incazzata per di più.

Ma mi ha fatto una supercazzola?

Va beh, inizio andando a destra e vado avanti sperando di avere abbastanza intuito per capire cos'è quel famoso coso di cui parlava. Supero la prima fontana, alla seconda giro a sinistra. Sono in un viale alberato, se per coso intendeva un albero sono fottuta. Ce ne saranno un centinaio. Continuo a camminare e vedo sulla mia destra una specie di chioschetto di gelati e granite. Potrebbe essere questo, no? Provo, tanto ha detto che dopo aver girato sarei praticamente arrivata. Faccio un centinaio di metri e scopro che Gesù è dalla mia parte. 

Una bella insegna luminosa richiama la mia attenzione e sono arrivata al famoso ristorante. Entro dentro salutando la ragazza che accoglie i clienti, e le dico che i miei amici sono già arrivati. Inizio a perlustrare la sala a destra e sinistra, e finalmente intravedo il tavolo che mi interessa. I ragazzi sono già tutti e quattro seduti belli comodi mentre ridono e chiacchierano in tutta tranquillità.

Un momento. Ne avanza uno! Sono sicura che fossero solo tre quando siamo partiti.

Avanzo verso di loro mentre fisso la schiena dell'intruso che, non so perché, ha un'aria vagamente familiare. Lorenzo mi vede e sbianca.

Ma che diavolo succede?

«Bec... Rebecca! Ciao! Che bello che sei riuscita a venire!» Mio cugino ha usato la frase in codice, quella che diciamo quando l'altro deve reggergli il gioco per motivi vari ed eventuali.

Sì, lo so che è una frase demente. Ma avevamo sedici anni quando l'abbiamo studiata, e ha sempre funzionato a meraviglia.

Giò e Gianluca mi guardano, tutti e due con un'espressione strana sul volto. Quella di Gianlu sembra dire "mi dispiace, se avessi potuto avrei evitato". Quella di Giò invece sembra chiedermi come abbia osato mettere piede dentro il locale. Il quarto ragazzo si gira e il respiro si blocca un attimo per il panico.
È il dentista-ginecologo-fedifrago. 

«Rebecca, tesoro, sei un incanto! Come sempre del resto.»

E dopo essersi alzato in piedi da galantuomo qual è, sfodera il suo sorrisone bianco, esente da tartaro o da qualsiasi altra imperfezione. È odioso quel sorriso! Mi fa pensare a tutte le volte che l'ha usato con me per giustificare ritardi che, ad oggi, non credo proprio avessero a che fare con carie e otturazioni. 

Se c'è una cosa che mi è tornata utile dopo la rottura, sono state tutte le ore passate con lui nelle serate importanti, quelle di un certo livello, diciamo, dove era necessario chiacchierare in modo "appropriato" con le mogli e le compagne di altri odontotecnici, mostrando di avere sempre una certa classe, una certa eleganza, una perfetta padronanza di sé in qualsiasi situazione. 

È bello, a volte, far finta che nulla di quello che succede intorno a te sembri toccarti. È rincuorante sapere di avere un certo self control.

«Ma vaffanculo!»

È pur sempre la prima volta che lo rivedo dopo quasi un anno!

Gianlu trattiene una risata, Giò non ci riesce e scoppia, provando a camuffare il tutto con tre o quattro colpi di tosse.
Lore mi guarda con un certo orgoglio negli occhi.
Cerco di ricompormi, non deve pensare di avere ancora un certo ascendente su di me o sul mio umore, anche perché davvero non è così, ma si sa... un vaffanculo non si nega a nessuno. Tanto meno a lui! 

Gli mostro uno dei miei sorrisi migliori, falso come la minaccia di chiamare l'uomo nero di mia madre quando ero piccola. Il traditore bastardo mi guarda divertito, come se avessi fatto la battuta dell'anno.

«Oh, dolcezza, non sei cambiata per niente... sei sempre la solita forza della natura.» e mi guarda come se fosse sollevato dal non trovarmi diversa.

Ma cosa pensava? Che avrei cambiato il mio modo di essere e di parlare? Non sono certo io a dover cambiare, bello!

«Non chiamarmi dolcezza, né tesoro. Lo sai che non lo sopporto.»

«Ops, piccolo lapsus, perdonami.» si porta una mano al petto come a fare il mea culpa. Continuo a sorridere come se fosse normale aver trovato il mio ex al tavolo con mio cugino e i miei amici a non so quanti chilometri da casa, in un paese che avrà probabilmente un centinaio di villaggi turistici, nello stesso periodo dell'anno. 

«Signorina, aggiungo una sedia?» Mi volto e vedo un cameriere in attesa della mia risposta. Sono arrivata vestita di tutto punto, che scusa potrei prendere per andare via subito? E poi perché mai dovrei andarmene, in effetti? Lo sanno tutti qui che è lui a fare schifo, dunque...

«Sì grazie, molto gentile.» Non faccio in tempo a voltarmi di nuovo verso il tavolo, che il ragazzo è dietro di me munito di sedia.

Ma dove la teneva? Nel taschino?

«Allora Valerio, che coincidenza trovarti nello stesso villaggio!»

«Beh, non è proprio una coincidenza a dire il vero.»
Rischio di strozzarmi con la mia stessa saliva. Cosa vorrebbe dire che non è una coincidenza? Guardo Lorenzo che si era appena ripreso dallo sbiancamento iniziale, ed ha di nuovo assunto l'aspetto di un fantasma. 

Non poteva saperne niente, anzi, credo fosse proprio questo il motivo per cui ha cercato di non farmi venire qui, stasera. Gianlu lo guarda curioso, e Giò si è irrigidito non poco, si muove sulla sedia come se avesse le formiche nelle mutande. È divertente quest'ultima cosa in effetti.

«Ho chiamato i tuoi genitori perché volevo scusarmi con loro per tutto il caos che ho causato, in più volevo anche vedere te e parlarti a quattr'occhi, ma non sapevo bene come chiedere informazioni proprio a loro... beh non ce n'è stato bisogno, dopo aver parlato un po' con tua mamma, mi ha detto tutta fiera che stavi benissimo, che eri in un villaggio a cinque stelle con tuo cugino e i ragazzi e che te la stavi spassando! Mi è bastato fare i vostri nomi con un amico che ha conoscenze un po' ovunque per scoprire dove stavi alloggiando.» 

Sorride soddisfatto dopo aver bevuto un lungo sorso di vino. Spero ardentemente che gli vada di traverso.
Inizio a sfogliare il menù come se la cosa non mi avesse minimamente toccata, e faccio un cenno al cameriere per farlo avvicinare e poter ordinare. Non sono brava a pronunciare parole che non conosco bene, quindi mi limito ad indicare due foto di piatti che dovrebbero avere a che fare uno con dei ceci, e l'altro con dei gamberetti. 

Porto di nuovo la mia attenzione su Valerio e cerco di mantenere un'espressione più neutrale possibile.
«Di cosa dovevi parlarmi? Hai trovato qualcosa di mio a casa tua? Credo mi mancassero dei libri, in effetti.»

«Già, c'è qualcosa che ti appartiene che è ancora nel mio appartamento.»

«Cosa?»

«Io!»

Ditemi che non l'ha detto davvero.

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