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Merry Xmas

26

Merry Xmas

Per non essere nessuno, sei davvero una persona speciale, Charlie Brown.

(Peanuts–  Charles M. Shulz)

Holden e Phoebe sono in ritardo.

Sfrego i palmi delle mani, poi le chiudo a coppa e le porto vicino alla bocca per soffiarci su e provare a riscaldarle. Ho dimenticato i guanti e le ho praticamente congelate, con tanto di unghie viola e compagnia bella.

Per un momento mi incanto a guardare un venditore ambulante che vende cioccolata calda in dei bicchieri di carta. Anche da qui posso vedere il fumo che si disperde da ogni bicchiere venduto. Se mi concentro, posso sentire anche il gradevole profumo del cacao.

La pancia gorgoglia dalla fame, avendo fatto colazione ore fa. Oggi mi sono svegliata molto presto, essendo iniziate le vacanze natalizie. Ho voluto approfittarne per alzarmi presto, prendere l'autobus ad un orario in cui non assomigliasse ad un'asfissiante scatola di sardine, e fare un po' di shopping natalizio.

Su Pam, Chas, la mamma e la nonna, sono andata sul sicuro. Ho comprato la nuova tinta labbra della collezione natalizia di Chanel di cui Pam ha mandato mille foto sul gruppo whatsapp "giusto così, perché vi rifacciate gli occhi con la bellezza del packaging", un paio di orecchini a forma di farfalla, simbolo di trasformazione e cambiamento, per Chas, un libro di ricette per quella pasticciona della mia mamma, e una collana dallo stile indiano con un ciondolo a forma di chiave, così che la nonna possa essere sempre custode fedele dei segreti che condividiamo.

Ho pensato anche a Phoebe. Le ho comprato un peluche a forma di coniglietto. Non sarà il suo Bunny, ma potrebbero essere amici. Magari questo lo chiameremo George e gli daremo il ruolo di lord di qualche contea di cui Bunny è signore assoluto. Oppure sarà Georgina, la sua consorte.

Quando è arrivato il turno di Holden, dopo essere uscita da sei negozi, delusa dalla banalità degli articoli in vendita, è successo qualcosa di magico, o giù di lì. Ho sentito d'improvviso una campanella, che mi ha guidato dritto dritto verso un negozietto in cui non ero mai stata. Una sorta di bazar alla Nonna May, ma più chic.

È stato proprio qui che ho scovato il regalo giusto per lui. Quando l'ho visto, ho provato la stessa sensazione che immagino proverò un giorno davanti all'abito da sposa perfetto. Insomma, quando le labbra si piegano in un sorriso involontario e provi lungo il corpo uno strano formicolio di gioia mista ad euforia.

Certo, ho poi scoperto che la campanella era suonata da un ubriacone vestito da Babbo Natale alla ricerca di denaro facile, ma non è questo l'importante.

Per non pensare troppo alla cioccolata, sfilo il cellulare dalla tasca e navigo sui vari social per far passare il tempo più velocemente.

Quando il ritardo supera i venti minuti, mi preoccupo. Da un tipo come lui, così preciso e fissato con i numeri, un ritardo del genere è strano.

Sto per mandargli un messaggio, quando sento la sua voce.

– Kathleen.

Non appena ascolto il mio nome, le mie labbra si piegano in un sorriso e nel petto sento un lieve sussulto.

Sono così felice che lui e Phoebe siano finalmente arrivati.

Rimetto il cellulare in tasca e mi volto nella direzione della sua voce.

Tuttavia, non appena vedo che loro due non sono soli, il sorriso mi muore sulle labbra e gli angoli della bocca tornano all'ingiù.

– Ciao...–  biascico.

La piccola Phoebe mi viene incontro correndo; quando mi raggiunge, mi prende la mano.

– Ciao, Kat.

Ha nella manina destra una busta.

– Ehi, tesoro.–  le sorrido, dandole una carezza.–  Cosa hai qui?–  indico con il dito la sua busta.

– Sono giocattoli! Alcuni li ho comprati con Olly questa mattina, altri sono giochi che non uso da un po'. Voglio regalarli agli altri bambini. Sai, io e Olly abbiamo fatto anche alcuni pupazzi con i calzini. – si mette a ridere.

– Che brava!–  mi abbasso per lasciarle un bacio sulla guancia.

– Ciao Kathleen! Scusami per l'intrusione...

Mi rimetto dritta.

Malia fa un passo in avanti e mi guarda con un sorriso raggiante stampato sulle belle labbra, così rassicurante che per un momento dimentico persino il mio nome. Indossa lo stesso basco verde bottiglia che le ho visto l'altra volta, posato delicatamente sui capelli scuri legati in delle lunghe trecce; lo ha abbinato ad una sciarpona colorata che le sfiora il mento e ad un cappotto blu lungo fino ai polpacci. Se avessi provato io a miscelare questi colori, sarei sembrata un pagliaccio. Lei invece potrebbe benissimo fare la modella per qualche multinazionale che vende vestiti.

– Ciao Malia. No... figurati. –  accenno un sorriso.

– Scusami per il ritardo e se non ti ho avvertita prima, io...–  comincia Holden.

Malia lo ferma, posandogli una mano sulla spalla.

– Non tocca a te scusarti, Ciuffetto! Ho insistito io per venire oggi. Sai, Kathleen, Holden mi ha parlato di questa bellissima giornata che si è organizzata in questa casa– famiglia, e... non ho potuto resistere. Oggi io e lui avevamo un appuntamento e quindi è stato costretto a spiegarmi il motivo per il quale mi dava buca! –  si mette a ridere.–  Ci ho messo un po' a prepararmi e allora si è fatto tardi. Adoro il Natale e stare con i bambini, quindi... sarebbe un problema se fossi dei vostri?–  mi guarda in attesa.

Abbasso lo sguardo, poi lo fisso su Holden.

È il primo a distoglierlo. Sbatte le palpebre velocemente, poi punta i suoi occhi sulle sue scarpe.

– Certo, non ci sono problemi! –  torno a guardare Malia.

– Grandioso!–  esulta.–  Allora andiamo! È da queste parti, giusto?

– Sì, in questa strada. Quattro portoni più avanti. C'è anche un'insegna fuori.

Annuisce, poi prende Holden per mano e lo trascina con sé, iniziando a camminare. Lui si volta nella mia direzione, ma lei gli fa una domanda che lo costringe a distogliere lo sguardo da me.

Rimango ferma sul posto per qualche secondo.

La felicità che sentivo di provare fino a qualche minuto fa è stata risucchiata via e sostituita da sensazioni più sgradevoli.

So che è sbagliato, egoista, insensato, idiota e assurdo che mi senta così... spenta e delusa, perché Malia è stata una figura così importante nella vita di Holden e dovrei essere solo felice che passino quanto più tempo insieme per recuperare tutto quello che hanno perso, però mi chiedo se almeno oggi avremmo potuto passare del tempo insieme, magari senza pensare solo allo studio... da soli. Solo io, lui, sua sorella e gli altri bambini.

È Phoebe a prendermi per mano e a distrarmi.

– Andiamo, Kat? Voglio conoscere Babbo Natale.

– Giusto! Andiamo.–  le stringo la manina. – A proposito, cosa gli hai scritto nella letterina? Che regalo desideri?

Anche quando riprendiamo a camminare, però, non posso fare a meno di puntare i miei occhi su di loro e sulle loro mani intrecciate, sulle loro dita magre che toccano le pelli dei loro dorsi, sui loro palmi che combaciano. Per un solo momento chiudo gli occhi, sperando di non sentirmi così seccata e infastidita, come se avessi un forte prurito da qualsiasi parte, di quelli che anche se gratti non se ne vanno via, quando li riaprirò. Quando lo faccio, però, la sensazione c'è ancora.

– Una bambola dai capelli blu e un cavallino a dondolo. A che ora verrà Babbo Natale?–  mi chiede.

– Verrà più tardi, tesoro. Prima dobbiamo fargli trovare tutto pronto: il salone, l'albero, e i biscotti. Sai fare i biscotti?

– No! Li so mangiare, però!

Mi viene da ridere.

– Anch'io, sai? In quello sono bravissima.

Smetto di ridere, quando sento la risatina, perfetta anche quella, di Malia disperdersi nell'aria. Con la mano libera dà una leggera spinta a Holden, poi ride ancora.

Sono così perfetti insieme.

– Kat.–  bisbiglia Phoebe.

– Ehi.–  piego la testa per sentire meglio la sua vocina.

– Ma Malia è la fidanzata di Olly? – mantiene un tono di voce basso.

Anche una bambina di sette anni ha notato che Holden e Malia si comportano da fidanzatini.

– Non lo so, piccola! Chiedilo a loro.–  rispondo un po' stizzita.

– Olly! Olly!–  alza la voce.

Holden si volta nella nostra direzione.

– Kat mi ha detto di chiedervi...

Mi affretto a coprirle la bocca con la mano, impedendole così di farmi fare una figuraccia.

Malia e Holden corrucciano le fronti, mentre io mi limito a fare un patetico sorrisetto.–  Le ho detto di chiedervi se ci darete una mano a preparare i biscotti...–  mi affretto ad aggiungere.

– Certo che sì, Kathleen.–  mi risponde Malia.

Holden rimane in silenzio, invece.

– Phoebe!–  la riprendo, quando entrambi hanno ripreso a guardare di fronte a sé.–  Certe cose... –  farfuglio.–  non si chiedono.

– Ma tu mi hai chiesto di chiederglielo...–  arriccia la boccuccia.

Scuoto la testa, e sospiro.–  Ma io dicevo così per dire... la prossima volta chiedimi conferma prima di chiedere qualsiasi cosa a tuo fratello, okay?

– Anche se devo chiedergli un fazzoletto?

– Ma no, per quello no.–  ridacchio.

Annuisce con la testolina.

Le sorrido in risposta.

– Kat.–  bisbiglia ancora.

– Sì?

– Malia non mi sta molto simpatica. Sta sempre con Olly e Olly non gioca più tanto con me. L'altro giorno stavamo giocando con Bunny, ma Malia se n'è andata via perché è allergica ai coniglietti, e ha voluto che anche Holden la seguisse. Non ha voluto neanche presentarsi a Dotty e a Mary. Io voglio stare con te, non con lei.

Allargo gli occhi, sorpresa.

– È questo il portone? Dall'insegna deduco di sì...– fa Malia l'attimo dopo, distraendomi.

Li raggiungiamo in pochi secondi. Mi accorgo che finalmente hanno sciolto la stretta delle loro mani.

– Sì, siamo arrivati! Dopo di voi...– li invito con un gesto della mano a precedermi.

Malia è la prima ad entrare. Holden, invece, rimane dietro di noi.

Sto per avanzare, quando sento le sue dita stringersi con delicatezza attorno al mio gomito.

Mi volto a guardarlo.

– Kathleen... sicura che non sia un problema che oggi ci sia anche Malia? – mi guarda negli occhi.–  Lo so che...

– Perché dovrebbe essere un problema?–  mi affretto a divincolarmi dalla sua stretta. – Più siamo, meglio è, no? Siamo qui per fare volontariato, non era mica un appuntamento tra me e te, questo.

Appuntamento. Certo che non è appuntamento. Perché ho usato la parola appuntamento?

Abbassa lo sguardo, rimanendo in silenzio.

– Comunque... – riprendo subito.– grazie per i giocattoli. È stato un pensiero molto dolce.

Solleva lo sguardo su di me. –  Non c'è di che.

Annuisco, poi lo supero, entrando nell'edificio.

Quando anche io e Phoebe siamo dentro, non posso fare a meno di sorridere, sentendomi subito a casa.

Ci sono ambienti con cui sin dal primo istante si crea un legame, in un modo o in altro. Che fanno scattare immediatamente tutti i sensi. L'olfatto. Hanno quell'odore che magari non è neanche dei migliori, ma che ti fa un certo effetto perché appena ti inonda le narici ti fa fare un viaggio dritto dritto nei ricordi. La vista. Hanno delle forme e dei colori che riesci ad immaginare perfettamente anche quando chiudi gli occhi e sei lontano mille miglia. Il tatto. I polpastrelli che fotografano contorni di ogni tipo, pareti, oggetti, il ruvido, il liscio, il duro, il morbido. L'udito. Sono riempiti da suoni e da silenzi che si infiltrano nelle orecchie, rilegandosi in un angolino della mente a cui rimarranno sempre incollati.

Gli odori che impregnano le pareti della casa–famiglia sono quelli della plastilina, della pastina al formaggino e della cioccolata. Ha pareti dipinte da colori pastello; un pavimento di legno, scricchiolante qua e là; mobili semplici, colorati, a misura di bambino; finestre da cui i raggi di sole bagnano gli angoli.

Sin da subito vengo travolti da gridolini, bambini che corrono a destra e a manca, scatoloni qua e là, palline che rotolano sul tappeto, e dall'abbaiare di Whisky che, giocherellona come sempre, insegue il piccolo Peter, con una ciabatta che le ciondola dalla bocca.

– Kathleen!

Jeremiah, ciuffo rosso in bella vista, mi viene incontro, allargando le braccia nella mia direzione.

– Non sai cos'è successo ieri quando te ne sei andata! –  mi stringe al suo petto, con fare affettuoso.

– Cosa è successo? –  ridacchio. –  Non dirmi che avete fatto davvero lo scherzo a Miss Lewis...– piego la testa di lato.

Rimane in silenzio, mordendosi le labbra. Poi non ce la fa più e scoppia a ridere. –  È stato troppo divertente, ti giuro!

Scuoto la testa, divertita. –  Novità sulla piccola Joy?

Annuisce, sorridendo. –  Oh sì! Stamattina sono venuti i signori McFly e hanno passato un bel po' di tempo insieme...– mi dà una gomitata, complice.

– Sono così felice per lei! – trillo, entusiasta. – Comunque... oggi ho portato quegli amici di cui ti ho parlato.

Ommetto di dirgli che una dei tre non era stata invitata.

– Ah sì? –  sposta gli occhi castani verso i miei accompagnatori.

– Ciao, sono Malia! –  è la prima a presentarsi.

– Incantato. –  le dice lui, facendole un occhiolino.–  Io sono Jeremiah, ma puoi chiamarmi come vuoi.–  fa il cascamorto.

Malia piega le labbra in un sorriso divertito.

Gli do una gomitata nelle costole. – Alfred fa bene a fare il geloso! – gli bisbiglio all'orecchio.

Lui si mette a ridere, cingendomi le spalle.

Holden si schiarisce la voce.

– Io sono Holden e lei è mia sorella, Phoebe.

– Ciao belli.

Phoebe si nasconde dietro le mie gambe.

– Oh, ma chi abbiamo qui?–  Jeremiah si scosta da me, poi si abbassa sulle ginocchia.–  Una puffetta dai capelli biondi.

Phoebe continua a guardarlo, in silenzio.

– Hai qualche barretta KitKat, Jeremy? –  gli domando.

Lui inarca un sopracciglio nella mia direzione. –  Perché dovrei averla?

– È l'unico modo per conquistare questa principessa. –  gli faccio un occhiolino.

– Ah! –  mi sorride. –  Ho capito, abbiamo una golosona qui! I KitKat non ce li ho, ma in compenso ho fatto una crostata al cioccolato davvero meravigliosa! –  fa incontrare le punte del pollice e dell'indice per scioccare loro un bacio, in un gesto di auto apprezzamento. –  Però devi sbrigarti, Peter ne ha già mangiate tre fette.

– Chi... chi è Peter?–  domanda Phoebe.

– Quel bimbetto laggiù. – Jeremy punta l'indice alle sue spalle. – Quello che si sta facendo rincorrere da Whisky, quel bestione che chiamano cane San Bernardo.

Phoebe si scosta da dietro le mie gambe, puntando i suoi occhi grigi verso la direzione che le sta indicando.

– PETER! – urla Jeremy.

Il piccolo Peter arresta la sua corsa, puntando i suoi occhioni tondi verso di noi.

– Kathleen. – dice, non appena mi vede.

Allargo le braccia e gli vado incontro. Quando lo stringo tra le mie braccia, lo sollevo da terra e gli riempio di baci le guance paffutelle. Ha un angolo della bocca sporco di cioccolata e profuma di biscotti.

–Quante volte devo dirti che fa male mangiare tanti dolci? – gli do un colpetto sul naso con la punta dell'indice.

Lo arriccia in risposta, facendomi poi una linguaccia.

–Mi hai portato qualche giocattolo? – allarga gli occhi scuri.

–Potrei averlo fatto...– faccio la vaga. – Ma comunque non puoi aprire nessun regalo prima del venticinque!

– Mi annoio ad aspettare il venticinque! Ci vogliono troppi giorni!

– Non fare i capricci, ne mancano solo quattro! Comunque, oggi voglio farti conoscere la mia amica Phoebe. – lo rimetto a terra.

Peter e Phoebe rimangono a guardarsi negli occhi per qualche istante.

Poi Peter le tende la manina. – Sono Peter James Arthur Bryan Jones. Piacere di conoscerti.

–Non ascoltarlo, Phoebe, è un bugiardo! Si chiama solo Peter. Peter Jones. – scuoto la testa.

Phoebe rimane in silenzio. Lo guarda nello stesso modo in cui guardò me quando la conobbi la prima volta, con uno di quei suoi sguardi indagatori che metterebbe a disagio chiunque.

Peter, tuttavia, non si lascia scomporre, continuando a guardarla e a tenerle la mano tesa.

Alla fine, Phoebe gliela stringe. – Mi chiamo Phoebe.– gli risponde.

Lui le sorride, mostrando tre vuoti lasciati dai dentini da latte caduti, poi la tiene per la mano e la guida verso Whisky e gli altri bambini.

–Venite, vi faccio conoscere il resto della ciurma. – mi volto verso Holden e Malia.

Entrambi si limitano ad annuire, venendomi incontro.

–In cosa consiste il tuo volontariato, Kathleen? – mi domanda Malia dopo qualche istante.

Non posso fare a meno di notare, ad ogni suo movimento, come anche il suo profumo sia gradevole.

–Do una mano con i bambini. – le rispondo. – Preparo attività ludiche per farli divertire. Giochi, canti, disegni... queste cose qua. A volte non è nemmeno necessario che prepari qualcosa. È sufficiente leggere loro qualche storia o ascoltare ciò che vogliono dirmi.

– Da quel po' che ho visto, mi sembri molto brava. I bambini ti sono affezionati. Per quanto mi piacciano, io non sono molto brava con loro.

– Perché dici questo? – mi interesso.

– Non so. Non riesco a catturare il loro interesse. Forse sono troppo noiosa!

Ripenso alle parole di Phoebe.

– Come potresti essere noiosa, Nanerottola. –  Holden le si fa vicino, tirandole una treccia.

Lei gli fa una linguaccia, mettendosi a ridere.

Distolgo lo sguardo da loro due, sentendo infittirsi il buco allo stomaco di poco fa. Solo che adesso non ho più fame.

– Probabilmente ti poni troppe domande quando sei con loro. –  aggiungo. –  I bambini non chiedono tanto, vogliono solo qualcuno che li ascolti e che non dia per scontato i loro pensieri. Per quanto mi riguarda, la loro compagnia sa essere mille volte meglio di quella degli adulti, il più delle volte.

– Sei una ragazza d'oro, Kathleen.

Per un momento ho l'impressione che nel suo tono di voce si nasconda una punta di ironia, ma poi noto il suo ampio sorriso e non posso fare a meno di dirmi che sono io paranoica.

Qualche secondo più tardi, i diversi bambini prendono a circondarmi e a stringere le mie mani, confermando l'impressione di Malia circa il fatto che riesca a conquistarmi il loro affetto. Sorrido nella loro direzione, provando, come ogni volta che sono in loro compagnia, un piacevole calore all'altezza del petto. Questi piccoletti mi conoscono poco, eppure ogni volta che ci passo del tempo insieme mi fanno sentire tremendamente speciale, come se fossi una supereroina che ha il potere di farli divertire e distrarre da una quotidianità in cui l'affetto famigliare è assente.

Scoprii questa casa–famiglia grazie a mia mamma. Dopo il divorzio con papà, vissi una sorta di fase della negazione, una fase che mi colpiva specialmente in alcuni momenti della giornata. Per quanto mio padre mi trattasse come se fossi una noiosa seccatura, era pur sempre una figura a cui mi sentivo legata, per forza di cose. Quindi, sparandomi la musica a palla nelle orecchie e rifugiandomi a casa di nonna o sotto la doccia, facevo finta che tutto questo non stesse succedendo a me. Che in realtà mio padre fosse amorevole e che la tipa con cui se la spassava fosse solo una stupida collega. D'altronde sono sempre stata brava ad immaginarmi le cose, ad inventarmi storie di fantasia. Quando la mamma mi parlò di questa associazione, mi sembrò un bel modo per distrarmi. Giocare con dei bambini, simpatizzare soprattutto con quelli che un papà non ce l'avevano, proprio come me.

Non appena ci raggiunge anche Miss Lewis, la direttrice della struttura, e Mary e Tobias, altri due volontari rispettivamente di sedici e ventitré anni, mi trovo ad abbracciarli.

–Certo che potevate lasciare lo scherzo fatto a Miss Lewis ad oggi. Mi avete fatto perdere tutto il divertimento! – li prendo in giro.

Loro ridacchiano, dicendo che faranno in modo di prepararne altri con la complicità dei bambini.

Dopo avere sistemato i cappotti, e nel mio caso anche la busta dei miei giocattoli e di quelli di Phoebe, mi do da fare per organizzare le attività della giornata.

Partiamo con una sessione di balli a tema natalizio, che viene condotta da me e Jeremy; mentre Mary e Tobias si occupano di addobbare l'albero. Holden e Malia, più Malia a dir la verità, esprimono il desiderio di preparare le vagonate di biscotti che contiamo di far mangiare ai bambini nel pomeriggio. Provo un ulteriore senso di malessere quando mi accorgo che loro due passeranno gran parte del tempo da soli. Mi domando perché Holden abbia accettato il mio invito quando non mi sta calcolando nemmeno per un minuto. È frustrante questo suo comportamento.

Jeremy mi distrae, ricordandomi la scenografia che ha tenuto ad inviarmi via mail in questi giorni, mentre mi costringe ad indossare una parrucca rosa e un cappellino da elfo.

Whisky rischia di rovinare tutto ogni due per tre. Ogni qual volta facciamo fare ai bambini dei saltelli, lui abbaia, rincorrendone qualcuno. Le risate, tuttavia, sono assicurate. Ci sono volte in cui sono costretta a mettermi la mano sulla pancia per il troppo ridere. Soprattutto grazie alle espressioni che fa Jeremy. Ha una faccia di gomma, quel ragazzo.

Anche Phoebe appare divertita. Alcune ciocche di capelli biondi le sono sfuggite dalla treccia e le piccole guance sono diventate rosse come fragole. E ride. Non c'è momento in cui non la veda ridere, soprattutto grazie a quella peste di Peter.

Quando i bambini sono stanchi, decidiamo di farli riposare, gonfiando palloncini e facendo assistere loro ad uno spettacolo con i burattini che manda la sorella di Holden letteralmente in visibilio.

Mi allontano da loro, preferendo avviarmi in cucina, non appena Jeremy inizia a stampare tatuaggi temporanei, dalle forme più buffe, sulle loro braccia o sulle loro manine.

Nel corridoio adiacente, però, trovo la piccola Birdy da sola, seduta sulla panchina di plastica che fronteggia la piccola libreria. Ha una smorfia di disappunto sul faccino costellato di lentiggini.

– Ehi, tesoro. Tutto okay?–  mi siedo al suo fianco.

– Volevo un biscotto.–  mi risponde.

– Uno di quelli che stanno preparando in cucina?

Annuisce con la testolina.

– E... non te l'hanno dato?–  mi informo.

– No. La ragazza ha detto che non era il momento giusto per averlo. Però io ho visto che tanti biscotti erano già pronti...– gli angoli della boccuccia le si piegano all'ingiù.

– Forse erano ancora caldi!–  le do un pizzico sulla guancia.–  Andiamo a chiedergliene un altro?

Annuisce, tendendomi la manina.

Stretta nella mia, ci affacciamo alla porta della cucina. Holden e Malia stanno ridendo, lanciandosi della farina addosso. Neanche fossimo in un asilo nido e loro fossero dei bambini piccoli.

Mi schiarisco la voce, attirando le loro attenzioni.

–Scusate per il disturbo...– bofonchio.

Una grande teglia è riempita di biscotti dalle varie forme. Hanno un aspetto delizioso, ma in questo momento non ho voglia di fare loro i miei complimenti.

Holden si limita a guardarmi.

–Nessun disturbo, Kathleen. Questo mascalzone mi fa tornare bambina, c'è poco da fare.– ridacchia Malia.

– Birdy mi ha detto che non le è stato dato un biscotto. Sono ancora caldi?

Holden corruccia la fronte, confuso. Malia invece fa una risatina.

– Sì, certo. Non volevo che questa principessa si scottasse. – Malia le dà un colpetto sulla testa.

– Ma quando è successo? Quando sono andato in bagno? Piccolina, se vuoi ci sono quelli. – Holden punta il suo indice verso un cestino colmo di biscotti. – Sono pronti da un po'. Malia perché non gliene hai dato uno da lì?

– Oh... mi ero dimenticata di quel cestino. – fa lei, mostrandosi imbarazzata.

– Non fa niente! – intervengo. – Birdy prendi pure il biscotto.

La piccola torna sorridente.

– Carino il tuo cappello.– continua Malia nella mia direzione.

Si sfrega i palmi delle mani contro il grembiule da cucina che le fascia il corpo snello e si porta un biscotto alle labbra. Holden, d'altra parte, si affretta a togliersi la farina dalla camicia. Ne ha un po' anche nei capelli neri.

Porto velocemente una mano sulla testa accorgendomi di avere ancora quella roba che mi ha costretto ad indossare Jeremy. Maledizione.

–Stanno venendo bene i biscotti?– chiedo.

–Ottimi! Sono molto brava a cucinare, Kathleen.

– Dato il loro aspetto meraviglioso, non avevo dubbi. Piuttosto, Holden, spero avrai aiutato la tua amica... mi auguro non le avrai fatto fare gran parte del lavoro da sola. Anche se bella com'è, potresti esserti distratto.–  gli faccio un occhiolino.

Mi accorgo solo quando ho finito di parlare di aver usato un tonto alquanto antipatico. La situazione con Malia deve starmi sfuggendo un po' di mano.

Lui corruccia la fronte.

– In realtà, io...

– Non dire sciocchezze, Kathleen.–  ridacchia Malia, interrompendolo.–  Se vogliamo dirla tutta, è più lui a distrarre me che il contrario.–  è il suo turno di farmi l'occhiolino.

Non posso fare a meno di notare che da quando siamo qui, Malia non fa altro che interromperlo, parlando al suo posto.

Mi limito ad annuire.

– Oh, sei qui!–  dice Jeremy, raggiungendoci.–  Tesoro, mi daresti una mano con l'albero? Ho alzato un attimo lo sguardo e ho notato che Mary e Tobias stanno facendo un disastro! Hanno messo le palline verdi abbinate a quelle viola. Uno scempio, in pratica. –  fa una faccia inorridita.–  Ma perché abbiamo accettato di far fare a loro l'albero?

– Perché noi dovevamo fare ballare i bambini!–  mi metto a ridere.–  Vuoi che venga a farlo io?

– Ti sposerei se lo facessi.–  congiunge i palmi delle mani.

– Accetto, ho proprio bisogno di un marito!

Do un'ultima carezza a Birdy e mi avvio.

Non mi volto nemmeno una volta.

***

– Jeremy, mi passeresti la pallina turchese, quella che dipinse tua madre?–  alzo la voce.–  Credo starebbe benissimo se la mettessi qui, su questo ramo! Ho notato che con le palline dorate sta proprio bene questo colore.

Tendo la mano per ricevere la pallina, ma quando mi accingo ad appenderla ad un ramo, mi accorgo che non è quella che gli avevo richiesto.

– Ma questa non è la...– mi volto.

– Scusami, non sono Jeremy!

Holden fa un piccolo sorrisetto.

– Sei tu. –  gli dico.

– Sono io.

– Jeremy dov'è?

Scrolla le spalle. –  Ho notato che si è allontanato e allora ho pensato di raggiungerti.

– Deve averlo fatto mentre sistemavo queste lucine...

Annuisce, rimanendo a guardarmi.

– Malia? Non avete più niente da fare insieme? –  dico.

Poi prendo altre palline e le appendo. Adesso, però, ho perso tutta la concentrazione iniziale. Averlo qua vicino, mi fa sentire nervosa e arrabbiata. E questo non va bene. Non basta che di punto in bianco sia diventato attraente ai miei occhi, adesso è sufficiente la sua sola presenza perché il mio umore ne venga influenzato. Posso sorridere, e arrabbiarmi l'istante successivo.

– Sta dando una mano a Mary e Tobias. Stanno impacchettando i regali.

– Ah, ecco perché sei qui, allora! – mi scappa.

– No, certo che no. Perché pensi questo?

– Dici davvero, Holden? Perché penso questo?–  inarco un sopracciglio.–  Vai pure, non ho bisogno del tuo aiuto! Dovresti passare il tempo a corteggiare la tua Malia, invece di stare qui.

È come se la mia stupida boccaccia parlasse da sola, senza che possa fare niente per bloccarla.

– Sei strana, Kathleen.

– Non sono strana.

– Sei acida come un limone avariato!

Sgrano gli occhi e gli lancio un'occhiata torva.

– E tu sei... sei...

– Anche prima,–  mi interrompe.–  volevi mettermi in ridicolo con Malia?

In ridicolo con Malia.–  ripeto.–  Non potrei mai metterti in ridicolo con lei, neanche volendo.

– Se non ti conoscessi, direi che sei gelosa.

Schiudo le labbra e corruccio la fronte.

– Che hai detto?

– Che mi sembri gelosa.–  fa un passo nella mia direzione.

Deglutisco.

– E di cosa dovrei essere gelosa?–  ribatto.

– È quello che mi chiedo anch'io! Di cosa dovresti essere gelosa?–  assottiglia lo sguardo.

– Io non...

Faccio un passo all'indietro, accorgendomi troppo tardi di alcuni fili di lucine che si impigliano alla mia scarpa.

Holden mi prende in tempo, stringendo le sue dita al mio braccio.

– Ultimamente rischi di farti male troppo spesso!

– Sempre per colpa tua, se ci pensi.

– Ah sì?

– Sì. – confermo.

– Allora vorrà dire che dovrò starti più vicino, che dici?–  ha uno sguardo divertito.

– Non ho bisogno di un babysitter!

– Forse sì.–  mi lascia un pizzico sulla guancia.

– Smettila di toccarmi le guance, non sono una bambina!–  faccio una smorfia.

– A volte lo sembri!

– Allora dovresti passare più tempo con la tua Malia, te l'ho già detto, invece che con una bambina come me!–  borbotto.

– Kathleen, hai finito? Presto, sta per venire Jerry!–  ci interrompe Miss Lewis.

– Sì, certo!–  punto i miei occhi su di lei.–  Metto la stella sul puntale e arrivo.–  mi scosto da lui, spostandomi dalle lucine.

Miss Lewis annuisce.–  Comunque hai fatto un lavoro bellissimo, Kat. Ho sempre adorato le lucine sugli alberi, soprattutto quelle ad intermittenza.

"Come se il mio cuore fosse un albero di Natale con luci ad intermittenza che si accendono non appena i miei occhi si posano su di te."

Io e Holden ci voltiamo nello stesso momento, prede dello stesso ricordo. Sono la prima a distogliere lo sguardo.

– Grazie, Miss Lewis.

Lei annuisce di nuovo, invitando alcuni bambini ad avvicinarsi al tavolo del salotto. I biscotti e il bicchiere di latte sono pronti.

– Mi daresti una mano a mettere la stella lassù?–  cambio in fretta argomento.–  Altrimenti chiedo a Jeremy se...

– Ci sono io, perché vuoi chiamare Jeremy?–  scuote la testa. Poi si inginocchia ed estrae la stella dal cartone.

Mi affretto a mettere negli scatoloni le ultime palline e le lucine che hanno attentato alla mia vita, mentre lui sistema la stella in pochi istanti.

– Un po' più a destra.–  lo istruisco.–  Anzi no, più a sinistra... anzi...

– Kathleen...– sospira. – Deciditi!

– A destra. Va bene a destra.

Annuisce e fa come gli dico.

Istanti dopo, fa il suo ingresso trionfale il signor Jerry, il nostro Babbo Natale di fiducia. Il fisico rotondo, i ricciolini bianchi e la barba morbida gli fanno avere molta credibilità nel suo ruolo.

Jeremy sbuca dopo poco, seguito da tutti gli altri. Mary e Tobias si affrettano a sistemare i diversi pacchetti regalo ai piedi dell'abete. I bambini, invece, corrono entusiasti nella direzione di Jerry, stringendo il suo pancione con le loro braccine.

– Hai fatto un ottimo lavoro, tesoro. – Jeremy mi dà un bacio sulla guancia.

Holden si limita a gettarci un'occhiata, poi si allontana verso Malia.

Phoebe è l'unica che rimane ferma a guardare la scena.

– Tutto okay? –  le chiedo, avvicinandomi e abbassandomi alla sua altezza.

Non risponde.

– Ehi. – le do un pizzico sulla guancia.

– Devo abbracciare anch'io Babbo Natale?–  mi domanda.

– Oh beh... solo se vuoi! Non ti va?

Fa spallucce.

– Se non ti va, puoi limitarti a salutarlo da lontano. Vuoi che ti accompagni da lui?

– Che succede?–  ci raggiunge Holden.

– Phoebe mi ha chiesto se è necessario che dia anche lei un abbraccio a Babbo Natale.

Ci lanciamo un'occhiata, poi si concentra su sua sorella.

– Pesciolino, se non te la senti non è un problema, sai? Se vuoi posso dire a Babbo Natale che tu...

– Ma Peter lo sta abbracciando. Voglio anch'io provare ad abbracciarlo.–  lo ferma.

– Vogliamo provare, tesoro?–  mi rimetto in piedi, tendendola la mano.–  Ci sono anch'io, okay? Se poi arrivi lì e non ti va più, non fa nulla.

Phoebe annuisce, stringendomi le dita della mano.

Holden fa un piccolo sorriso nella mia direzione, poi le prende l'altra manina e insieme ci avviamo.

Il signor Jerry si mostra affettuoso come ricordavo. Quando vede la piccola Phoebe, le fa un sorriso gigante, uno di quelli che fanno spuntare due simpatiche fossette sulle sue guance rotonde. Poi le chiede se voglia dargli un abbraccio o se preferisca andare a prendere un biscotto con lui, dato che ha molta fame. Gli è bastato poco per capirla, abituato a lavorare da anni, anche in ospedale, con bambini diversi, ognuno con possibili problematiche.

Phoebe gli risponde facendo dei passettini nella sua direzione; scioglie la presa delle nostre mani e gli dà un abbraccio, così tanto veloce da non permettere a Jerry di ricambiare la stretta.

Poi si avvicina al tavolo dove sono i biscotti e gliene porge uno, venendo imitata da tutti i bambini che iniziano ad urlare di voler dargliene uno anche loro.

Sorrido, intenerita. Un paio di istanti e retrocedo fino ad appoggiarmi ad una delle pareti, per godermi meglio la scena.

Babbo Natale accetta almeno la metà dei biscotti che gli vengono offerti, poi si lascia cadere sulla poltrona del salotto. Poggia a terra un sacco pieno di regali e posiziona al suo fianco una piccola cassetta delle lettere nella quale i piccoli dovranno inserire le loro letterine. Quando chiede se ci sia qualche volontario per fargli da elfo, Mary e, con mia sorpresa, Holden si offrono volontari.

Dal modo in cui fissa sua sorella, capisco che l'abbia fatto per essere più vicino a Phoebe, dandole un appoggio di cui chiaramente la piccola mostra di avere bisogno, ogni tanto.

Entrambi si siedono sul tappeto, ai lati della poltrona, con le gambe incrociate. Poi vengono costretti ad indossare quei cappellini orribili che Jeremiah ha fatto mettere anche a me, prima.

Mi trovo a ridacchiare nel vedere Holden con quel buffo cappello a punta. La sua altezza lo fa svettare su tutti, anche sul signor Jerry, e la cosa mi diverte.

Mentre i bambini, una alla volta, si apprestano a salire sulle ginocchia di Babbo Natale per chiedergli dei regali, i miei occhi finisco su Peter. Si fa vicino a Holden e gli bisbiglia qualcosa all'orecchio; Holden si mette a ridere, dandogli un pizzico sulla guancia. Poi gli sussurra a sua volta qualcosa, facendo ridacchiare anche il bambino.

La scena mi fa provare un calore all'altezza del petto. È bravo anche con i bambini. Lo avevo notato già con sua sorella, ma vederlo adesso, circondato da così tanti piccolini, mi fa un certo effetto. Sorride loro con fare gentile e rassicurante, facendo delle linguacce quando il signor Jerry è distratto con qualche bambino.

I piccoli che fanno la fila ridacchiano davanti alle sue espressioni buffe. Sembrano tutti calamitati da lui. Anche Birdy, con il ritrovato sorriso, va in brodo di giuggiole quando lui le fa un occhiolino. D'improvviso gli manda dei bacetti volanti. Lui finge di acchiapparli e di portarli al suo petto, facendola sorridere e arrossire.

Sorrido di rimando, sentendo crescere in me la consapevolezza, sorta già da diverso tempo, di voler conoscere ogni aspetto che lo riguarda. Non credo mi basti più conoscere l'Holden a cui piace tanto chiacchierare, bravo con i numeri e nel ricordare a memoria i versi di John Keats. Quello che sorride anche quando qualcun altro farebbe tutt'altro. L'Holden che è sempre gentile e che ha trovato sin dall'inizio il modo di sorprendermi, stregandomi e rendendosi dal giorno alla notte interessante e attraente. Vorrei che mi facesse sbirciare anche nei cassetti dove ripone i calzini più brutti, che fanno male. Vorrei solo imparare a distinguere i sorrisi sinceri, da quelli che sono solo uno scudo per mascherare quelle crepe interiori che temo percorrano la sua anima come spaccature su una lastra di vetro.

– Kathleen.

Mi volto in fretta, come se all'improvviso qualcuno mi avesse svegliato da un sogno ad occhi aperti.

– Malia.

– Ti fa se ci facciamo due chiacchiere? Ci fumiamo una sigaretta.

Due chiacchiere? Con me?

– Non fumo.

– Oh beh, vorrà dire che fumerò da sola. –  mi sorride.

Dal modo insistente con cui mi guarda, capisco che non abbia molte alternative.

Mi limito ad annuire, prendendo il mio cappotto e seguendola fuori.

Socchiude la porta di ingresso, bloccandola con un ombrello che estrae dal vaso che la affianca, così da non farci rimanere chiuse fuori.

Poi si appoggia al muretto e sfila dalla tasca dei suoi jeans attillati un pacchetto di sigarette.

– Sicura di non volerne una?–  mi domanda, infilandosene una tra le labbra.

– Sicura, grazie.

Annuisce, rimettendosi il pacchetto in tasca.

Accende la sua, facendo un tiro.

Passano alcuni istanti, in cui mi limito a far vagare il mio sguardo dalla punta delle mie Converse al suo profilo bellissimo.

– Cristo, deve essere davvero una fogna la vostra scuola.–  dice all'improvviso.

– Cosa?–  vengo colta di sorpresa.

– Dico, il vostro liceo deve fare proprio schifo! Holden mi ha raccontato dei bulletti e dei vari fessacchiotti che lo infastidiscono. –  si morde le labbra, tenendo la sigaretta tra l'indice e il medio. Mi accorgo che ha le unghie dipinte di nero.

– Già...–  abbasso lo sguardo.–  Sa essere un brutto posto, il liceo.

– Per fortuna che c'è sempre stato Taylor. Holden mi ha detto che è l'unico a salvarsi in quel manicomio.

Torno a guardarla.–  L'unico?

– L'unico.–  ripete.–  Cristo, povero il mio Ciuffetto! Potessi, verrei alla vostra scuola solo per spaccare la faccia a quei bastardi.–  si rimette la sigaretta tra le labbra.–  Comunque, Kathleen, da quando vi conoscete tu e lui?

Metto le mani in tasca, sentendole diventare di nuovo fredde.

– Da un po'. – rimango sul vago.

– Infatti, lo immaginavo.

– Che intendi?

Scrolla le spalle.–  Non so, si vede che...–  prende a gesticolare.–  Che non vi conoscete da tantissimo tempo tu e lui.

– Si vede?

– Già. Trovi piacevole la sua compagnia?

– Certo! Perché non dovrebbe? – prendo ad osservare ogni suo movimento.

Scrolla di nuovo le spalle.–  Dicevo così, per dire. Sai... lui è una persona difficile.

– Difficile?–  inarco un sopracciglio.

– Sì, difficile.–  dà un calcio ad un sassolino con la punta dei suoi anfibi.–  Non è per niente facile avere a che fare con un tipo come lui. Troppo intelligente, poco appariscente, così poco consapevole del suo infinito splendore. Decisamente un tipo difficile, sì.–  ripete, come se stesse parlando a se stessa.

Resto in silenzio.

– Fin da quando ero piccola,–  riprende subito.–  Holden è sempre stato un tipo fuori dall'ordinario. La prima volta che gli parlai mi inondò di parole, come se mi conoscesse da una vita. Quando gli altri maschietti passavano il tempo tra di loro a fare giochi stupidi, come tagliare le code alle lucertole, lui se ne stava con me e Taylor. Si inventava un sacco di giochi divertenti...–  aspira un altro tiro, rilascia il fumo, poi sorride.

Mi immagino la scena, sentendomi d'improvviso gelosa dei suoi ricordi.

Annuisco.–  Posso immaginare. Holden è una persona molto creativa.

– È molto di più di questo!–  si mette una ciocca di capelli dietro l'orecchio.–  Non tutti capiscono quanto sia straordinario. Staordinario, ma anche solo. Più solo di quanto potrà mai ammettere. Questa solitudine lo porta a fare un sacco di cavolate.

– Perché dici così?–  corruccio la fronte.

– Beh... una cavolata è stata dichiararsi ad una ragazza che conosceva da poco, dicendole che era bella e tutte queste smancerie. Ovviamente non l'ha fatto per reale interesse, ma solo per colmare quei vuoti lasciati da alcuni eventi del suo passato.

Sussulto, sentendomi chiamata in causa.

Prima che possa farmi qualsiasi domanda, riprende a parlare.

– Era una ragazzina che veniva in classe con noi, alle medie.–  si mette a ridere. – Lei lo rifiutò, però. Ma era prevedibile! – scuote la testa, divertita. – Immagino tu non sappia tante cose di lui, vero, Kathleen?

Vorrei dirle che si sbaglia, che anche se lei ha vissuto con lui tanti momenti per tanti anni, questo non significa che io non sappia tante cose di lui. La verità è, però, che ha ragione. Di Holden conosco meno di quanto possa illudermi di conoscere.

Per esempio, non sapevo che si fosse dichiarato ad una sua compagna di scuola, durante le medie. Avevo capito che Malia fosse stato il suo primo e unico amore, anche durante quegli anni. Forse lo fece per farla ingelosire. Forse perché temeva che lei non lo ricambiasse. O chissà per quale altra ragione.

– Non fare quella faccia triste! Certe cose le dice solo a chi si fida. – soffia un'altra nuvola di fumo.–  Con questo non voglio dire che lui non si fidi di te, eh!–  mi guarda.–  È che ci sono tante cose che Holden preferisce tenere per sé. Quando eravamo piccoli certe cose le raccontava solo a me, pensa un po'.

– Prima che tu te ne andassi...–  dico.

– Già, prima che me ne andassi. I miei vecchi mi hanno fatto fare le valigie e tanti saluti! Tuttavia, ciò non significa che questa volta permetterò di nuovo che qualcuno me lo porti via. Lui ha bisogno di me.

Corruccio la fronte.

– Holden è una persona forte.–  ribatto.–  Non ha bisogno di nessuno.

– Neanche di te, Kathleen?–  mi fa un sorrisetto.

Adesso non mi sembra più così rassicurante.

– Neanche di me.–  rispondo con fermezza.

Non riesco a capire dove voglia andare a parare con questo discorso.

– Ho visto una vostra foto nella sua camera.

– Sei stata nella sua camera?

Nel chiederglielo, ritorna a farsi strada in me quella fastidiosa sensazione di malessere. Fino a poco tempo era io l'unica ragazza ad essere entrata nella sua camera.

– Certo! Pensi che mi lasci sul portico quando vado a trovarlo?–  si mette a ridere.

– No... non volevo dire questo.–  biascico.

Per un momento immagino loro due seduti sul suo letto. Lei che gli tocca i capelli e lui che le fissa le labbra. La scena mi inorridisce al punto che potrei vomitare.

– Deduco che ogni tanto usciate insieme...–  dice. – Non me ne volere per tutte queste domande, ma purtroppo lui mi ha parlato davvero poco di te e quindi... vorrei conoscerti un po'. Ti spiace?

Abbasso lo sguardo. Non capisco come le domande che mi stia facendo possano aiutarla a conoscermi.

– Sì, siamo usciti insieme qualche volta.  – mormoro. – Siamo amici, anche se non ci conosciamo da anni.–  mi sento in dovere di sottolineare.

Se mi fossi legata al collo un cartellone con la scritta al neon: "Holden e io siamo amici, anche se non ci conosciamo da tanto!" avrei fatto una figura meno patetica.

Annuisce, facendo un sorriso. Quasi di compassione.

– Il mondo è pieno di gente insulsa, non credi, Kathleen?–  si volta a guardarmi.

Fisso i miei occhi nei suoi.

– Perché me lo chiedi?

– Così.

Fa un ultimo tiro alla sua sigaretta, poi la butta per terra, spegnandola con la punta del suo anfibio.

– Holden non se ne rende conto, però! Pensa che tutti siano alla sua altezza! È sempre stato alquanto ingenuo.

– A me sembra una persona che sa benissimo a chi dare la sua fiducia e a chi no.–  ribatto.

– Si vede che lo conosci poco! Ma, tranquilla... farò di tutto per far capire al nostro amico che non tutti possono avere il privilegio di essergli accanto. – mi fa un occhiolino. –  Rientriamo? Fa un freddo!–  prende a sfregarsi le braccia con i palmi della mani.

Rimango ferma sul posto, sentendo d'improvviso un peso all'altezza del petto.

– Entri, o no?–  sfila l'ombrello e mantiene la porta.–  Potrei lasciarti fuori, se non ti sbrighi. – ridacchia.

Chissà perché, temo che con questa frase intenda molto di più.

***

– Vuoi un passaggio?

Holden mi guarda in attesa. Phoebe sonnecchia sulla sua spalla. Sulla manina destra, posata sul suo petto, spicca il tatuaggio di un pinguino con un berretto rosso.

Chiaramente me lo sta chiedendo perché Malia se n'è andata prima e quindi può dedicarmi un po' delle sue attenzioni.

– No, grazie! Mi faccio accompagnare da Jeremy.

– Eccomi! Chi mi ha chiamato?

Jeremy mi raggiunge, imbardato con sciarpone e cappello di lana.

– Io! Mi puoi accompagnare a casa?

– Mi spiace, tesoro, non posso. Oggi vado a cena con Alfred.–  mi lancia uno sguardo malizioso.

– Oh... va bene.–  gli faccio un occhiolino.–  Allora vedo di raggiungere il negozio di mia madre e di tornare a casa con lei.

– Ti posso accompagnare io.–  insiste Holden.

– Perfetto, allora ti lascio in buone mani!–  Jeremy mi dà una pacca sulla spalla e mi sorride.

Poi si allontana.

– Non ce n'è bisogno, davvero...– mi sistemo la sciarpa e faccio un passo indietro.

– Andiamo! –  mi cinge le spalle con il braccio che non sorregge sua sorella e mi conduce all'aperto.

– Ma io non... – inizio.

– Non vedo perché non debba accompagnarti. Non abbiamo mica litigato, no?

Annuisco, arrendendomi.

Quando arriviamo alla sua macchina, sistema sua sorella sui sedili posteriori, sfilandosi il cappotto e poggiandolo sul suo corpo, a mo' di coperta. Io mi accomodo sul sedile anteriore, poggiando il mio zaino tra le mie caviglie.

Non appena si siede al posto del guidatore, accende il riscaldamento e mette in moto.

– Spero che l'impianto del riscaldamento funzioni. L'ho portato a riparare qualche giorno fa. Cindy stava diventando troppo fredda e il cioccolato temo non fosse sufficiente.–  fa un mezzo sorriso.

– Non preoccuparti.–  non ricambio il sorriso.–  Comunque, puoi lasciare prima Phoebe a casa, se ti va.

– Sicura? Non arriverai tardi per cena?

– Mia madre torna tardi da lavoro...–  mantengo lo sguardo fisso sul finestrino.

– Va bene.

Rimango in silenzio e così fa lui.

Non posso fare a meno di pensare alle parole che mi ha rivolto Malia. La sicurezza nel tono della sua voce, quelle frasi dall'apparenza casuali, ma nel profondo così amare. Potevamo parlare di tante cose, poteva informarsi sulla vita di Holden a scuola, su qualsiasi cosa le avesse permesso di conoscermi meglio. E invece... mi ha parlato di persone insulse, di una presunta cotta che Holden ha avuto durante la scuola media, sottolineando che non fosse una cosa seria, e della sua ingenuità.

Mi ha detto che Holden non le ha raccontato molto di me, eppure quando mi ha parlato della ragazzina della scuola media, mi sono sentita attaccata.

In questi giorni avranno parlato di tante cose. Lui le avrà forse detto che sono stata una stronza con lui, in più di un'occasione.

Lo guardo con la coda nell'occhio e mi dico che avrebbe avuto tutto il diritto di parlare male di me a quella che è stata la sua amica più cara sin dall'infanzia. Eppure, una parte di me, spera che non l'abbia fatto. Che magari lei mi abbia rivolto quelle parole solo per... per... non lo so nemmeno io.

Holden sa essere una scatola chiusa il più delle volte. Sono sempre più frequenti i momenti in cui mi sembra un dipinto vuoto, uno di quelli che a volte ti dicono tutto, che ti danno l'illusione di poter essere capiti ad un solo sguardo, ma che in altri non ti dicono niente, che ti fanno venir voglia di squarciarne la tela con una lama per vederne il fondo e provare, così, a cercare di carpirne il significato più profondo.

Quando arriviamo a casa sua, si affretta a prendere in braccio sua sorella, posandole un braccio sotto le ginocchia e uno attorno alle spalle. Le dà un bacio sulla fronte, prima di suonare il campanello e farsi aprire dalla signora Juliet. Lei mi vede, e mi saluta con la mano, lanciandomi uno dei suoi sorrisi amorevoli, tanto simili a quelli di suo figlio.

Pochi minuti dopo, è di ritorno.

– Posso accendere la radio?–  gli domando.

– Certo.

Lo faccio, allora. Cambio stazione più volte, finché non sento una musica suonata al pianoforte e così mi fermo.

­­­– Claire de Lune. – dice.

– Cosa?

– È il nome di questa suonata. È una composizione di Debussy. – mantiene lo sguardo fisso sulla strada. – Sai che quando ero piccolo volevo imparare a suonare il pianoforte?

–E come dovrei fare a saperlo? – faccio brusca.

Non risponde, e non mi volto a guardarlo. Immagino che stia stringendo le labbra, ferito dall'acidità della mia risposta.

Non mi sento più arrabbiata per il fatto che Holden abbia portato con sé Malia, e quindi che la giornata non sia andata come avevo previsto. Adesso mi sento solo confusa, e anche un po' triste. Un po' tanto triste. Consapevole che lui mi nasconda altri frammenti della sua persona perché forse non si fida abbastanza di me. Se persino a Taylor non riusciva a raccontare tutto, preferendo farlo solo con Malia, chi sono io per pretendere che si apra con me? Forse la sua cotta per me non è stata nemmeno una cosa molto seria, come erroneamente si è convinto. Deve essere andata che mi ha visto, mi ha trovato carina per chissà quale ragione e poi boom... deve essere nato tutto nella sua testa, con la storia dell'alberello che si illumina, eccetera, eccetera. Deve essere stata solo una mera illusione o qualcosa del genere. Un modo per sopperire a quei momenti di solitudine di cui mi ha parlato la sua amica. D'altronde, è finita anche piuttosto in fretta, se ci penso.

Dovrei esserne felice, avendo fatto tutto con le mie mani, eppure non lo sono.

– Eccoci qui!–  dice, dopo poco.

Sbatto le palpebre, guardandomi attorno. Non mi ero accorta che fossimo già arrivati.

– Grazie per quello che hai fatto per mia sorella oggi... e sempre. È molto più felice da quando sei entrata nella sua vita. – parte in quarta.

– È stato un piacere! Anch'io sono più felice da quando è entrata nella mia vita!– gli getto un'occhiata.

Annuisce, sollevando timidamente un angolo delle labbra.

– Bene.–  mi sfilo la cintura di sicurezza.–  Grazie per il passaggio. – prendo il mio zainetto.–  Ti ho comprato un regalino per Natale. L'ho preso anche a Phoebe, a dir la verità. Posso darteli?–  mi volto a guardarlo.

– Tutto qui quello che vuoi dirmi? – spegne il motore e incrocia le braccia sul petto.

– Cosa vuoi che ti dica? – abbasso lo sguardo. – Scusami, ma mi sento molto stanca. Mi piacerebbe che il tuo regalo lo aprissi già adesso, così che possa andare a cambiarlo se così non dovesse essere. – appoggio lo zaino sulle gambe.

– Mi vuoi dire cosa succede?–  mi domanda, dopo un po'.

– Niente. Cosa deve essere successo? – mormoro, puntando lo sguardo verso le luci dei lampioni che si trovano ai lati della strada. Sembrano palline infuocate in sospeso nell'aria.

– Sei strana, Kathleen.

– Me l'hai già detto.

– Lo so.

– Potrei dirti lo stesso.

– Che vuoi dire?–  accartoccia la fronte.

Non riesco a trattenermi.

– Mi dici che non sono un fastidio per te, che sono stata... speciale per te... –  deglutisco, sentendomi un improvviso groppo in gola. – Poi però... non mi dici tante cose di te e non passi nemmeno un pomeriggio solo in mia compagnia da tanto tempo. L'ultima volta abbiamo fatto inglese e... basta.

– Sei tu che mi hai chiesto una pausa, ricordi?

–Quindi la colpa è della pausa?

Non risponde.

– Sei tu che hai detto che potevamo romperla e tornare a parlarci, – riprendo allora. –  ma... chiaramente non è più come prima. –  torno a guardarlo.–  Era necessario che oggi venisse Malia? – mi inumidisco le labbra, sentendole d'improvviso molto secche.

Sospira, passandosi una mano nei capelli. – Non era necessario...–  biascica.

– E allora perché è venuta anche lei?

– Hai detto che non era un problema...–  uno scintillio percorre i suoi occhi.

– Rispondimi.

– Perché ha insistito.

– Potevi insistere anche tu nel dirle che oggi dovevi passare la giornata con me.–  incrocio le braccia al petto.

– Stiamo litigando? – sembra esasperato.

– Non so, dimmelo tu.

Sospira.–  Senti... –  fa una piccola pausa. –  Mi spiace che oggi siamo stati poco insieme...

– Sei stato con il tuo primo amore, sono contenta per te. Per la cronaca, penso tu le piaccia.

–Vedi! Prima dici che non è un problema la sua presenza, poi che lo è, poi che non lo è di nuovo! Mi fai venire mal di testa, Kathleen, lo giuro. Hai degli sbalzi di umore incredibili.–  si prende il labbro inferiore tra i denti.

Rimango in silenzio.

È lui che mi fa venire il mal di testa. Si è insinuato nella mia vita, diventandone pensiero fisso senza che nessuno glielo avesse chiesto.

– Per quanto ami la compagnia di Malia, – riprende.–  oggi avrei voluto stare insieme a te.

– Perché non lo hai fatto, allora? – lo guardo.

– Ogni volta che ci provavo, Malia aveva bisogno di me, oppure tu eri impegnata con il tuo amico Jeremiah. – percepisco una punta di fastidio nel momento in cui pronuncia il suo nome.

– Pazienza! È andata così.

– Mi piacerebbe rimediare.

– Ah sì?–  mi volto completamente per guardarlo.

– Sì.–  mi guarda negli occhi.

– Allora vieni a casa mia, adesso.

Di nuovo la bocca ha parlato prima di ricevere l'ok dal cervello.

–Cosa?

–Vieni a casa mia. – ripeto.

– A casa tua...? – allarga gli occhi.

– Già! Non è poi così tardi e mia madre non c'è, quindi... potremmo mangiarci una pizza, vedere un film e potrei darti il mio regalo.

Smette di guardarmi, rimanendo in silenzio per qualche istante.

Poi si schiarisce la voce e torna a posare i suoi occhi su di me.

– Va bene. – dice. – Anch'io ho un regalo per te.

Mi scappa un sorriso.

– Va bene. – ripeto.

Sorride anche lui.

Quando usciamo dalla macchina, siamo entrambi impacciati. Neanche stessimo entrando per fare chissà cosa.

–Kathleen?

–Sì? – mi volto a guardarlo.

–Abbiamo... fatto... sì, insomma... abbiamo fatto pace, o qualcosa del genere?

Le mie labbra si piegano in un altro piccolo sorriso.

–Solo perché hai detto di voler rimediare.  – lo canzono.

Sorride.

– Sei il primo ragazzo che faccio entrare in casa.–  dico, sbloccando la serratura.

– Dici davvero?

Gli do le spalle, eppure posso benissimo immaginare l'espressione che sta facendo.

– Dico davvero.–  accendo le luci all'entrata.–  Puoi dare a me il cappotto e lo zaino.

– Figurati, faccio da me! Dove posso appoggiarli?

– Anche sul divano, se ti va.–  glielo indico.

Annuisce, facendo come gli ho detto, e poggiando il tutto alquanto distrattamente.

Poi sentiamo un miagolio infastidito.

– Oddio, credo di aver spiaccicato il tuo gatto! –  si mette in allarme, spostando subito il tutto.

Scoppio a ridere.

– Ma va, è più probabile che lui ti abbia spiaccicato lo zaino e il suo contenuto. Vero, palla di pelo?

Il ciccione balza dal divano, soffiando contro Holden e iniziando a lisciarmi con le sue fusa.

– Scusami, Wolverine. Non volevo, giuro.–  dice Holden. Poi si inginocchia e prova con titubanza ad avvicinare la sua mano alla sua testolina.

– Sì, bravo, spupazzalo un po'. Vado a prendergli da mangiare.

Annuisce, così faccio come gli dico.

Quando esco dalla cucina, li trovo a fare comunella.

Holden gli accarezza la testolina, immergendo le sue lunghe dita nel pelo morbido e rossiccio del mio amico a quattro zampe. Wolverine gli fa gli occhi dolci in risposta.

– Ci sai fare con i bambini e con gli animali.–  fischietto.–  Sei proprio un uomo da sposare, Holden Morris.

Solleva lo sguardo su di me.

– Peccato che tu abbia già Jeremy come marito.–  mi fa un occhiolino.

– Temo che potrei fargli solo da damigella.–  ridacchio.–  Alfred mi ucciderebbe se provassi a portarglielo via.

– Alfred?

– Il suo ragazzo.–  spiego.

– Ah... il suo ragazzo.–  fa un sorrisetto strano.

– Che c'è?

– Oh, niente, niente! Questa pizza?–  si rimette in piedi.

– Ti va bene una margherita?

– La mia preferita!

– Anche la mia! – gli sorrido.

***

– Vuoi un po' di cola o va bene l'acqua?

– Ti pare che possa rifiutare la bevanda più zuccherosa della storia?

– Troppi zuccheri non fanno male al cervello?–  parlo con la bocca piena, versandogli la cola in un bicchiere di carta.

– Il mio cervello è già fin troppo potenziato. – mi dà una spallata.

Mi metto a ridere, mandando giù il boccone di pizza.

– Ho scelto il film.–  dice, incrociando le caviglie davanti a sé.–  La vita è meravigliosa. Frank Capra, 1946; James Stewart e Donna Reed. Tratto dal racconto di Philip Van Doren Stern, fu...

– Vuoi vendermi il film o vogliamo vederlo? – trattengo una risata.

– Scusami, deformazione professionale.–  solleva le spalle.

– Hai detto James Stewart?

– Ah, ha! Il caro James Stewart. Sei pronta?–  mi lancia un'occhiata.

– Prontissima! –  pulisco le mani con un tovagliolino, sposto il cartone ormai vuoto della pizza e mi sistemo per stare più comoda.

Alla fine, abbiamo optato per sistemarci sul tappeto di fronte al mio letto. Le gambe stese di fronte a noi, le braccia che si sfiorano e i mignoli delle mani terribilmente vicini.

Spalla contro spalla, riesco a sentire il suo profumo con maggiore intensità.

–Ti spiego velocemente la trama, okay?

–Hai una voce così bella che potresti leggermi anche l'elenco telefonico.

È solo quando lo vedo fermarsi e schiudere le labbra che mi rendo conta di cosa gli abbia detto.

– Cosa hai detto? – domanda infatti, stranito.

Ormai mi sono esposta.

– Hai una voce bellissima, Holden. – confesso, allora.

–Mi sa che hai ragione: la coca cola ti ha dato al cervello.

Gli lascio un pizzico sul dorso della mano, facendolo sussultare. – Non dire sciocchezze. Per me hai una voce... molto bella. –  abbasso lo sguardo.

– E da quando questa cosa?–  inarca un sopracciglio.

– Da... da sempre.–  mantengo lo sguardo basso.

–Tu guarda! Okay, allora non parlo più. Adesso mi hai messo in imbarazzo.

Ridacchio e mi faccio più vicina al suo braccio.

–No, adesso me la racconti. – mi impunto.

È così piacevole la sua compagnia da avermi fatto dimenticare tutta quella tristezza, quella confusione, quella rabbia che ho provato fino a poco fa. Non sento più le parole di Malia nella testa, né mi immagino più scene con loro due appiccicati.

Forse non si fida abbastanza di me, forse la sua cotta per me è stato solo un colpo di testa dovuto alla sua solitudine, forse non riusciremo mai a creare un legame inossidabile come quello che hanno lui e Malia, però... adesso siamo insieme, vicini, senza ragazze del passato pronte a scombussolare tutto. E a me va bene così.

–Va bene. – sorride. –  Per farla breve...– comincia.

– Holden Morris che vuole farla breve, – lo interrompo.–  quale magia è mai questa! – lo prendo in giro.

– Ah ha, che simpatica! – è il suo momento di lasciarmi un pizzico. – Posso riprendere, o Miss Foster vuole continuare a fare sarcasmo non richiesto?

Miss Foster. Mi mancava essere chiamata così da lui.

– Te lo concedo: puoi continuare! – mi metto a ridere.

–Dunque, – si schiarisce la voce. – la storia racconta di un uomo buono e gentile che rinuncia a tutti i suoi sogni pur di aiutare il prossimo, finché non si trova un giorno così tanto incasinato da desiderare di non essere mai nato. Della serie, più fai del bene e più la sfiga ti perseguita. Sarà un angelo, uno di quelli veri, con tanto di ali e compagnia bella, ad accontentarlo. Gli mostrerà come sarebbe stata la vita delle persone a lui care se veramente non fosse mai nato e ad insegnargli, così, che la vita sa essere meravigliosa, malgrado tutti gli ostacoli che si possano incontrare.

– E tu ci credi? – gli domando.

– A cosa?

– Che la vita sa essere meravigliosa, nonostante tutto.

Prende a guardarmi, facendo vagare le sue pupille sulle mie.

– Ci credo.

Faccio un piccolo sorriso.

Decidiamo di smettere di parlare e di guardare finalmente il film. La mamma tornerà tra poco e non vorrei che iniziasse a farsi strane idee. Non che stia succedendo chissà cosa tra me e lui, ma temo che se non fossimo più soli si romperebbe questa bolla che, chissà come, siamo riusciti a creare attorno a noi.

Ci siamo solo io e lui, e un film in bianco e nero con degli attori bellissimi.

Più guardo James Stewart, alto come uno spaventapasseri, dinoccolato ed elegante, più capisco perché mia nonna lo paragonò a Holden.

– Perché mi guardi? – mantiene lo sguardo incollato sullo schermo del pc.

– Non ti sto guardando. – mento spudoratamente, continuando ad osservarlo.

– Sì, invece.–  solleva un angolo della bocca.

– Assomigli a James Stewart.

Cosa?–  si volta un attimo a guardarmi.–  Ma l'hai visto? E hai visto me?

– Non sei stato proprio tu, un giorno, a dirmi che avrei dovuto accorgermi che sei un gran figo?

– Perché adesso sono un gran figo per te? – si mette a ridere.

– Può darsi...

Torna a far scontrare i nostri occhi.

– Smettila, dai. Stasera stai esagerando! – la butta sul ridere, riprendendo a guardare il film.

E la smetto. Più perché mi sento d'improvviso in imbarazzo, che per altro.

Mi impongo di tornare a guardare il film, trovandomi a commuovermi per alcune scene, soprattutto per il finale.

Mi accorgo solo quando scorrono i titoli di coda di aver appoggiato la testa sulla sua spalla.

– Comoda? – mi prende in giro.

– Decisamente. – sto al gioco.

– Hai mai pensato a come sarebbe stata la vita di chi conosci se non fossi mai nata? –  mi domanda.

Rimango a pensarci. – No.– ammetto. –  Tu?

– Sì.

– E cosa ti dici? Che sarebbe stata migliore o peggiore?

– Non lo so. Ci penso, ma non so mai darmi una risposta.

Per un momento mi trovo a pensare a come in poco tempo lui sia riuscito a stravolgermi la vita e a come sarebbe stata, quindi, adesso se lui non ci fosse stato. Non avrei mai inspirato un profumo buono come il suo, non avrei mai ascoltato il suono della sua voce, non avrei provato mai certe sensazioni.

– Se non ci fossi stato non avrei mai preso una C in matematica. – scherzo.

– Giusto! Come ho fatto a non pensarci? Allora Dio ha fatto proprio un grande affare a buttarmi sulla Terra. – si mette a ridere.

– Decisamente un grande affare! – gli sorrido.

Sono sempre stata così... dura, acida, stupida... nei suoi confronti. Eppure lui è sempre stato lì, pronto a sorridermi, e a essere la persona meravigliosa che è. D'improvviso sento il cuore farsi più pesante. Si insinua nelle mie ossa la consapevolezza che anche poco fa io sia stata troppo dura. Lui non ha fatto niente. Niente di sbagliato. Sono io che, come sempre, ho esagerato. Malia è una sua cara amica, forse anche di più, e il nostro non era davvero un appuntamento. 

– Holden?

–Sì? –  si sistema gli occhialoni sul naso.

–Scusami per prima. Hai ragione, sono stata acida come un limone avariato. Mi dispiace, non volevo.

Non risponde.

–Tranquilla! – fa dopo un po'. – Te la sei presa perché volevi passare del tempo... con me. È una cosa molto dolce, sai?

Abbasso lo sguardo. – Mi dispiace. – gli ripeto.

–Smettila! Abbiamo fatto pace... o qualcosa del genere, no?

Annuisco, mandando giù un groppo invisibile.

Mi guarda di sottecchi per qualche secondo, poi si schiarisce la voce.–  Questi regali, allora?

– Già! – mi allontano dalla sua spalla.–  Prima il mio, okay?

Annuisce.

Mi alzo in piedi, mi avvicino al mio letto e apro lo zaino, estraendone il mio pacchetto regalo.

– Buon Natale, Holden.–  gli dico, porgendoglielo.

Mi sembra di vederlo arrossire quando lo stringe tra le sue mani.

– Grazie, Kathleen.

– Non ringraziarmi, potrebbe non piacerti. Avanti, aprilo! – lo invito con un gesto delle mani ad affrettarsi.

Mi lancia un altro sorriso, poi strappa il fiocco e la carta. Quando si trova davanti la scatola bianca che chiude il regalo, la guarda per qualche secondo. Poi sospira e solleva con lentezza il coperchio.

Mantiene lo sguardo fisso verso il basso per diversi istanti, senza dirmi niente. Noto a malapena le sue labbra tremare leggermente.

Poi lo sento tirare su con il naso.

– Ma piangi? – mi preoccupo. –  Ti fa così schifo? Guarda che posso andare a cambiarlo. Da qualche parte dovrei avere ancora lo scontrino.

Faccio per alzarmi, ma mi impedisce di farlo, prendendomi per il polso e tirandomi a sé, facendomi scontrare contro il suo petto.

Arrossisco, presa alla sprovvista.

– È il regalo più bello che abbia mai ricevuto. –  sussurra al mio orecchio.–  Io non so come tu ci riesca, ma...–  tira di nuovo su con il naso, sospirando.–  Grazie, Kathleen.

– Addirittura? – mi metto a ridere, ricambiando l'abbraccio.

– Sì, perché mia mamma mi regala sempre libri su John Keats, che mi piacciono tanto, per carità, ma ne ho tantissimi, mentre Taylor si ostinava a regalarmi dei vestiti che non sono il mio genere. Mentre questo è... semplicemente... wow.

– Ti ci rivedi in Holden Caulfield, no? Quindi, quale migliore regalo di un berretto rosso con la visiera e il paraorecchie?

È bello sentire il calore del suo petto e la forza delle sue braccia.

È bello che in questo momento abbracciarmi non sembri un sacrificio per lui.

– Lo indosserò tutti i giorni, lo giuro. È un regalo così originale! – mi allontana leggermente da sé, per asciugarsi una lacrima dalla coda dell'occhio destro.

– Sei una persona speciale, Holden. Meritavi un regalo speciale. –  gli faccio un occhiolino.

–Non ho niente di speciale...

–Tutto di te è speciale.

Rimane a guardarmi per lunghi istanti, mettendomi a disagio. I suoi occhi grigi che provano ad affondare nei miei. Poi il suo sopracciglio destro ha un guizzo verso l'alto, quasi impercettibile, che gli dona un'aria confusa, a tratti sconvolta. Come se non si aspettasse di ascoltare certe parole.

– Ora basta, – tira di nuovo su con il naso. – altrimenti perdo tutta la mia credibilità da ragazzo alfa! – si mette a ridere.–  Ora è il tuo turno. Chiudi gli occhi, però. Okay?

– Io non ti ho fatto chiudere gli occhi–  sbuffo.

– Fallo!

Borbotto un altro po', ma poi faccio ciò che mi chiede.

Con gli occhi chiusi lo sento armeggiare con qualcosa, poi avverto le sue dita sfiorarmi il polso.

Qualche secondo dopo, percepisco qualcosa di freddo a contatto con la mia pelle.

– Buon Natale, Kathleen.

– Posso aprirli?

– Sì.

Sollevo con lentezza le palpebre, abbassando lo sguardo sul mio polso, e trovandomi così a posare gli occhi su un braccialetto argentato. Tre ciondoli sono agganciati ai piccoli anelli che formano la catenella; dondolano tra di loro, illuminati dalle luci dello schermo del pc.

Uno rappresenta un omino dall'aria impettita, un altro una donnina con un abito antico, di quelli con il corsetto e le gonne lunghe, e quello centrale, il più grande, è il ciondolo di un libro. Aguzzo la vista e noto che sulla piccola copertina è inciso qualcosa.

Leen...–  mormoro.

Sento i miei occhi inumidirsi.

– Sono Darcy, Elizabeth e, ovviamente, un libro. Cioè sì, è ovvio, lo vedi anche tu. –   ridacchia. –  Ho pensato che fosse figo regalarti qualcosa a tema 'Orgoglio e pregiudizio' dato che in qualche modo ci ha unito. Li ho ordinati da un mese, pensa un po', perché, accidenti, in negozio si trovavano solo ciondoli scontati. – scuote la testa. – E poi il libro perché a te piace tanto leggere e sei così brava in letteratura. Per il Leen... beh, è stata una mia aggiunta. Così ti ricorderai per sempre di me e del mio modo di chiamarti. Certo ti chiama anche tua nonna così, ma...

Ecco qui, l'Holden che ho imparato a conoscere; quello chiacchierone, con gli occhi grigi pieni di luce e il volto sereno, senza alcuna traccia di esitazione stampata nei lineamenti.

Gli metto un dito sulle labbra, per fargli fare silenzio.

Da un mese. Non eravamo tornati ancora a parlarci, ma stava già pensando al mio regalo di Natale.

– Non mi chiami Leen da un po'.–  deglutisco, per trattenere le lacrime.

– Non lo faccio più?–  sgrana gli occhi.

Scuoto la testa.

– Oh...–  abbassa lo sguardo. – So che ti dava fastidio che ti chiamassi così.

– Tante cose mi davano fastidio prima. Adesso, invece...

– Invece?–  rialza i suoi occhi su di me.

– Non potrei più farne a meno.–  confesso.

Poi gli salto addosso, reclamando un altro abbraccio.

La verità è che mi ricorderò per sempre di Holden Morris, a prescindere da qualsiasi braccialetto.

–Deduco che il mio regalo ti piaccia. – mi stringe con forza.

–Tantissimo. Mi piace tantissimo.

E in quel momento realizzo che non parlo solo del suo regalo.

Chissà a cos'altro sta facendo riferimento... le piacerà tantissimo anche lo zaino di Holden?

Okay la smetto di fare la scema! Ce l'abbiamo fatta!!!

È stato un percorso lunghissimo, ma la nostra Kat sta proprio diventando grande, che ne dite?

Prima di tutto, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e non abbia deluso nessuna aspettativa! Io vi confesso di averlo vissuto con molta... intensità. Non so dirvi neanche il perché, forse la colpa è di Debussy e della sua Clair de Lune che ho ascoltato davvero per la parte finale, ma certe scene mi hanno commosso. Sono una piagnucolona, questo è anche vero!

Comunque * colpo di tosse teatrale * parliamo brevissimamente del capitolo: abbiamo visto una giornata tipo nella casa–famiglia dove Kat fa volontariato, abbiamo conosciuto il piccolo Peter e Jeremy. D'altra parte, abbiamo visto anche che Holden ha pensato bene di cedere alle insistenze del suo caro, vecchio, primo amore, Malia. L'abbiamo conosciuta nello scorso capitolo e, da quel che ho capito, non ha fatto una buona impressione proprio a tutte! Ora, invece? La odiate, oppure un po' la capite, in quanto amica di infanzia di Holden? Pensate sia gelosa di Kat o che ci sia dell'altro verso il suo comportamento... poco amorevole?

Come sempre, sono curiosa di ascoltare le vostre opinioni! Sappiate che mi diverte molto leggere le vostre ipotesi e tutte le vostre osservazioni ❤️

Volevo inoltre informarvi sul fatto che sto lavorando anche sul capitolo speciale, quello dal punto di vista di Holden. Nelle storie sul mio profilo Instagram avete apprezzato l'idea di leggere del momento in cui è nata la sua cotta per Kat; tuttavia so che vi piacerebbero anche altri momenti dal suo punto di vista, quindi farò di tutto per accontentarvi, università permettendo 😭,  e provare a scriverne più di uno. Pensavo di aggiungerli poco prima del capitolo finale.

A proposito di capitolo finale, è triste ma... non siamo lontani dalla fine L

Vi ringrazio per ogni singola stellina, ogni singolo commento, ogni singolo messaggio su Instagram e per l'affetto che state dimostrando al mio Holden e alla mia storia. Per me vale tantissimo questo supporto ❤️

Ci sentiamo presto e per ogni cosa sappiate che sono attiva su Instagram!

Un bacione,

Rob

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