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Luce artificiale

28

Luce artificiale

Quando non ricevi mai lettere d'amore, devi far finta che qualsiasi cosa sia una lettera d'amore.

(Peanuts–  Charles M. Shulz)

"Si può sapere dove diavolo sei finita?"

"Kat, vuoi rispondere?! Ti stiamo cercando dappertutto!!"

"Ti prego, non farci preoccupare..."

Sto per spegnere il cellulare e gettarlo nella borsetta, quando la voce di Bob mi fa sussultare.

–Dovresti rispondere alle tue amiche e dire loro che sei al sicuro. – mantiene lo sguardo fisso sulla strada.

Nel cielo, tutto è un tripudio di colori. Fuochi d'artificio spettacolari trapassano le nuvole, fondendosi con coriandoli e festoni colorati.

Sono contenta che alla fine sia venuto a prendermi lui e non la mamma. A quest'ora lei probabilmente sarebbe intenta nel farmi qualche scenata, sapendo che sono uscita tutta sola dal locale, e che un barbone mi ha vomitato vicino alle scarpe. In più, Bob mi ha ricordato che sono una persona dotata di un lato razionale, e non solo di quello emotivo.

"Scusatemi, ho avuto un improvviso bruciore di stomaco dovuto probabilmente a quel bicchiere di aranciata che ho bevuto prima di uscire. Sto bene, tranquille. Sto tornando a casa con Bob. Divertitevi anche per me, mi raccomando! Ci sentiamo domani e... tanti auguri!" – digito in fretta.

Non mi va di rovinare anche la loro serata con i miei stupidi piagnistei. Quando arriverà il momento, mi prometto di raccontar loro ogni cosa.

Poi, quando sto per spegnere davvero il cellulare, si illumina di nuovo tra le mie mani.

"Leen, che succede? Stai bene?"

Lo spengo, premendo con forza il tasto di spegnimento.

Non so nemmeno io se dovrei essere arrabbiata con lui. Cioè, no. Per cosa dovrei essere arrabbiata con lui? Non siamo fidanzati. Non stiamo insieme. Non gli piaccio più. Non sono Malia. Eppure, in questo momento mi sento anche arrabbiata, oltre a tutte le altre cose.

Ma forse sono solo arrabbiata con me stessa.

Getto il cellulare nella borsa, sperando che ne venga inghiottito e che non lo ritrovi più. Non voglio sentire nessuno. Non voglio vedere nessuno. Voglio solo stare da sola, in silenzio.

–Ti va di raccontarmi cosa è successo? – mi domanda Robert.

Raccolgo un po' di coraggio prima di rispondergli. In questo momento anche solo aprir bocca mi costa fatica.

–Te l'ho detto... non mi sono sentita tanto bene, ho avuto un forte mal di pancia, e ...– deglutisco, recitando la mia parte. – sono uscita fuori per prendere un po' d'aria. Poi un barbone mi si è avvicinato e ha vomitato vicino alle mie scarpe. Insomma... non è stata proprio la mia serata fortunata. – provo a sorridere, ma non ci riesco.

Sento le guance secche e dure, come se fossero diventate di plastica. Il trucco colato si è asciugato, dandomi l'aspetto di un pagliaccio gotico.

–Quindi hai pianto per il dolore alla pancia?

–Sì. – mi impongo di non guardarlo negli occhi.

–Mi era sembrato di capire che fossimo diventati amici, Kat. – ha un tono di voce tranquillo.

Dovrebbe essere nervoso, invece. Dovrebbe urlarmi contro perché gli ho rovinato la serata con la mamma, con la donna che gli piace. Probabilmente mio padre lo avrebbe fatto. Probabilmente, però, lui non sarebbe venuto neanche a prendermi.

Ma Bob non è lui.

Bob è arrivato alla velocità della luce non appena ho telefonato a casa per dire che non stavo bene. Ha fatto così in fretta che mi ha detto di aver piazzato la sirena per farsi largo tra il traffico notturno.

–Lo siamo. – prendo a fissare alcuni fuochi d'artificio.

Sarebbe stato bello guardarli... in compagnia, adesso. E non intendo quella di Bob, per quanto mi piaccia anche la sua.

–Allora perché non mi dici la verità?

Mi mordo le labbra, fino a quando non mi fanno male.

–Non c'è molto da dire, Bob. Le solite cavolate di noi adolescenti, hai presente? Non voglio rovinare l'ultimo dell'anno anche a te. – minimizzo.

–Perché le chiami cavolate?

–Perché lo sono. Alla nostra età una goccia d'acqua si trasforma in un oceano.

È il mio momento di pronunciare una di quelle frasi da biscotto cinese.

–Non sottovalutare quello che senti, Kat. Ogni età porta con sé percezioni diverse di ciò che ci circonda. Ciò non deve indurti a pensare che quello che per un adulto sia una cosa di poco conto, lo sia sul serio.

Sospiro, sentendo gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime.

–Ho visto il ragazzo che mi piace baciare un'altra ragazza. – butto fuori, dopo un po'.

Dal finestrino scorgo una coppia stringersi e baciarsi. Lui solleva lei da terra, poi gira su sé stesso, tenendola tra le braccia. Distolgo lo sguardo, sentendo una fitta al petto.

Bob rimane in silenzio per qualche secondo. Poi si schiarisce la voce.

–Non dovresti starci così male, sai? So che è più facile a dirsi che a farsi, ma... sei la ragazza più carina, dolce, simpatica e intelligente che conosca, Kat. È lui il cretino che ci perde.

Deve conoscerne davvero poche di ragazze per pensare tutte queste cose belle su di me. Non penso di essere la più carina, dolce, simpatica e intelligente. Sono solo patetica, superficiale, e melodrammatica.  Tuttavia, le sue parole riescono a rendere meno amaro il mio dolore; allo stesso tempo, il "cretino" rivolto a Holden fa scattare qualcosa dentro di me.

–Holden non è un cretino. Lo sono io. – tiro su con il naso.

Poi prendo il decimo fazzoletto della serata e mi asciugo altre lacrime.

–Perché dici questo?

–Perché sono io che l'ho spinto nelle braccia di questa ragazza. Non direttamente, si intende, ma... – mi tremano le labbra. – Io a lui piacevo, diverso... – deglutisco. – diverso tempo fa. Ma io non ricambiavo e allora... poi ci siamo baciati... e allora... è tutto un casino. – taglio corto, coprendomi la faccia con le mani.

–Sembra una storia complicata. – dice.

–Lo è. Però... sai qual è la cosa peggiore?

D'improvviso mi sento un fiume in piena. Il bisogno di sfogarmi con qualcuno prende il posto della voglia di tenermi tutto dentro.

–Quale?

–Che... non ho nemmeno il diritto di essere triste. È colpa mia se le cose sono andate così. Tutta colpa mia.

Vorrei sbattere ripetutamente la testa contro il finestrino.

–Non sapevo che provare tristezza fosse una questione di diritti o di doveri.– osserva.

–Lo è, invece. Per esempio, quando si va a un funerale si ha il dovere di essere triste, non trovi?

Bob si mette a ridere.

–Che c'è? – tiro di nuovo su con il naso.

–Sei davvero divertente, Kathleen. E sei proprio come la tua bellissima mamma: severa con te stessa. Troppo severa. Hai tutto il diritto di essere triste tutte le volte che ti gira, e hai tutto il diritto di fare tutti gli sbagli di questo mondo, perché hai solo diciassette anni e non esiste età migliore per sbagliare e capire dai propri errori.

Soffio il naso, guardandolo da dietro gli occhi appannati.

Bob è davvero un grande. Mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se lo avessi avuto sempre al mio fianco, se fosse stato... mio padre.

–Pensi che il bacio che si sono cambiati sia... sincero? – domanda. – Pensi che a lui tu non piaccia davvero più?

Rivedo davanti agli occhi lo sguardo di Malia, le sue mani affusolate strette alle sue braccia e poi al suo collo, come muoveva il capo per baciare ogni centimetro della sua bocca. Chissà chi ha iniziato questo bacio. Chissà se a lui è venuto in mente il nostro primo bacio mentre le sue labbra si fondevano con quelle del suo primo amore. Chissà se adesso si stanno ancora baciando. Magari avranno fatto una pausa solo per accorgersi che io non c'ero più. Avrò fatto perdere loro del tempo prezioso.

–Penso che non gli piaccia più. – confermo.

–Beh... allora non era una cosa molto seria quella che provava per te.

–Non dare la colpa a lui. – mi trovo di nuovo a difenderlo. – Sono io che gli ho chiesto di dimenticarmi. – una lacrima salata mi sfiora le labbra.

–Puoi anche averglielo chiesto. Sta tutto nel capire se lui lo abbia fatto davvero. Lui ti ha detto chiaramente "tu non mi piaci più"? – chiede.

–Beh... queste parole esatte no, ma ne ha dette altre che me l'hanno fatto capire. D'altronde, te l'ho detto, gliel'ho chiesto io di smettere di avere una cotta per me.

–Allora nulla è ancora perduto.

–Ma ti ho detto che...

–Non vale. – mi interrompe.

–Sì, che vale. – per un momento la tristezza lascia il posto all'ostinazione. – Bob, Holden ha baciato un'altra ragazza. Non c'è bisogno di molto altro per capirle certe cose. – abbasso lo sguardo.

–Magari è lei che ha baciato lui.

La sua tranquillità mi innervosisce.

–Beh... non credo che lui non abbia risposto. Era lì, fermo come uno stoccafisso, imbambolato, beato... – sento le unghie sfiorarmi i palmi delle mani.

–Devi farci una bella chiacchierata con questo giovanotto, Kat.

–Non voglio parlargli. Non ne ho la forza.

–Sbagli. Parlare vi farebbe bene. Lui lo sa?

–Cosa?

–Che adesso ti piace.

–No...

–E perché?

–Perché non ho avuto il coraggio di dirglielo. È già difficile dirlo ad un ragazzo che ti piace in generale, ma dirlo a uno che hai rifiutato in malo modo e a cui hai detto che è brutto, è anche peggio.

–L'hai combinata grossa con questo ragazzo, eh?

–Puoi dirlo forte.

Sospira.

–Pensi che sia una perdente, è vero?

Si ferma ad un semaforo rosso.

–Kat, – si volta a guardarmi. –se non lo sapessi... io sono Bob il bradipo. – fa un mezzo sorriso. – La gente mi prende in giro, circolano chissà quali sciocchezze sul mio conto, sono lento e... sono... il re dei perdenti. Di conseguenza non ho alcun diritto nel pensare che tu lo sia. Penso solo che sia un gran peccato che spesso la paura ci impedisca di fare cose semplicissime, rovinandoci la vita.

Per un momento le sue parole mi ricordano quelle di Holden. Quando mi disse che era l'ultima ruota del carro, considerato da tutti niente di più che uno sfigato.

–Non credevo che pensare di qualcuno che sia un perdente fosse una questione di diritti o di doveri. – lo prendo in giro.

Si mette a ridere.

–Pensaci, okay? – riprende. – Se questo ragazzo ti piace tanto e ti sei pentita di alcuni tuoi atteggiamenti... diglielo, a gran voce, urlaglielo, fai in modo che le tue parole gli entrino nelle ossa e capisca che tu sei la persona giusta per lui. A meno che lui non ne valga la pena. Ne vale la pena?

Lo dice con così tanto ardore da mettermi in imbarazzo.

–Holden ne vale la pena. – confermo.

Lui risponde con un sorriso, poi riparte.

–Robert?

–Sì?

–C'è un modo per non soffrire così tanto? Mi fa troppo male il petto. – confesso.

–Temo di no, Kat. – un angolo della bocca gli si piega all'ingiù. – Ci sono passato anch'io. Anche con tua madre... all'inizio credevo di non piacerle, sai?

–Non ho difficoltà a crederti. – asciugo un'altra lacrima. Scorrono senza che abbia il potere di controllarle. – Mamma ha avuto un sacco di difficoltà a convincersi che sei quello giusto per lei. E non perché in fondo non sentisse che questa è la verità, ma perché si fa troppe pare mentali.

Sorride di nuovo.

–Vi somigliate, te l'ho detto.

Riesce a strappare un sorrisino anche a me.

–Mi spiace avervi rovinato la serata. – continuo. – Mi spiace davvero tanto. Non ne faccio una giusta, ultimamente. Forse non ne ho mai fatta una giusta. – abbasso lo sguardo.

–Avevi proprio ragione quando hai detto che voi adolescenti avente lo straordinario talento di trasformare una goccia d'acqua in un oceano. – fa un altro risolino. – Per tua madre sei la cosa più importante al mondo e anch'io sono ormai affezionato a te. L'importante è che tu sia felice. Chissenefrega della serata di Capodanno.

Gli poggio timidamente una mano sulla spalla, grata del suo affetto. È davvero un uomo meraviglioso.

Si volta un attimo, lanciandomi un altro sorriso.

– Bob. – riprendo.

–Sì?

Ormai la conversazione procede a colpi di "Bob" e "Sì".

–Potresti non dire alla mamma di ciò che ti ho raccontato? Del bacio e... di tutto il resto?

–Perché, invece, non glielo dici direttamente tu?

–Tu hai mai detto a tua mamma del tuo primo bacio?

Scuote la testa. – Ero troppo imbarazzato! Però mia mamma non è come la tua. Lei mi ha sempre tenuto sotto una campana di vetro. Un bacio era qualcosa di troppo... audace. E comunque l'ho dato a una ragazza del campeggio. Un bacio alquanto brutto. C'era poco da raccontare. Il tuo... è stato bello?

–Sì, lo è stato. – gli confido. – Comunque... ci sarebbe troppo imbarazzo anche per me. Temo che inizierà a chiedermi certi dettagli e allora... – prendo a giochicchiare con un lembo di uno dei tanti fazzolettini che ho posato sulla borsetta, ormai fradici.

–Come desideri. Però, in cambio voglio qualcosa.

–E cosa? – sgrano gli occhi, sorpresa da questa sua risposta.

–Voglio che mi insegni a fare l'occhiolino. Io proprio non ci riesco.

Senza che me ne accorga, mi metto a ridere.

–È un sì?

–Andata! – tiro su con il naso.

–Kat, ti va una ciambella? Una volta ho letto che mangiare dolci aiuti in certe circostanze. Tanto non hai davvero mal di pancia, no?

Da qualche parte ho letto che il cioccolato aiuti a riscaldarsi.

Porca vacca! Ormai qualsiasi cosa senta la associo a Holden. Holden. Holden. Holden. Si è intrufolato in ogni angolo della mia testa.

–Ho lo stomaco chiuso, Bob.

–Dai, solo un boccone! E poi potremmo comprarne alcune per la colazione di domani, così che tu e tua madre possiate iniziare il nuovo anno con dolcezza, dato che non l'abbiamo proprio concluso nel migliore dei modi. – sorride.

–Mi hai convinto.

La mamma è stata molto fortunata.

***

Quando richiudo la porta della mia camera alle spalle, schiaccio per sbaglio la coda di Wolverine, facendolo arrabbiare.

Gli chiedo scusa mille volte e questo, unito ai miei occhi che riprendono a riempirsi di lacrime, lo fa calmare.

Con la mamma ho mostrato il più falso dei sorrisi e ho giocato sul fatto che un bicchiere di spumante bevuto prima del concerto mi abbia regalato il luccichio agli occhi che mi porto dietro da un po'. Poi ho finto qualche crampo allo stomaco e si è decisa a lasciarmi andare, non prima di avermi preparato una camomilla e di avermi messo a bollire dell'acqua per preparare degli impacchi da mettere sulla pancia.

La verità è che ho pianto così tanto, e ho ancora così tanta voglia di farlo, che un po' mi fa davvero male lo stomaco. E mi fa male anche la testa. Come se potesse scoppiarmi da un minuto all'altro. Come se un anello di ferro mi stringesse le meningi.

Altre lacrime tornano a rigarmi le guance quando noto l'anello giocattolo sulla scrivania. È rotto a metà e parte del cuore che lo adornava è ridotto in mille pezzi.

Mi fa così tanto male vederlo.

In queste settimane è sempre stato lì, fermo, immobile. Non gli ho mai prestato molta attenzione. Proprio come ho fatto con Holden. Lui ci è sempre stato, sin dagli inizi. Gli ho rivolto parole terribili sin dal primo giorno, facendolo sentire brutto, anonimo e insignificante. Lui, però, non mi ha mai lasciato perdere. Abbiamo avuto qualche bisticcio, ma ha sempre dato più di una possibilità a quel legame tra noi in cui lui ha creduto sin dal primo istante. Sin da quanto, con tutta la sicurezza del mondo, insistette affinché lo chiamassi solo per nome.

E ora non c'è più.

Lo dicevo io che innamorarsi di lui era la cosa più stupida che potessi fare.

Mi tolgo le scarpe, mi metto il pigiama e mi infilo a letto, mentre Wolverine si acciambella ai miei piedi.

La mamma ci raggiunge dopo poco, portando con sé una bacinella piena d'acqua calda e una salvietta di stoffa.

Mentre mi massaggia la pancia e mi riempie la fronte di baci, stringo nel palmo della mano il mio anellino. Voglio provare a ripararlo con del nastro adesivo e metterlo al dito per non toglierlo più. Mai più. Anche a costo di sembrare più ridicola e patetica.

–Ma tu stai piangendo, tesoro... – mi dice, mentre mi toglie dei capelli dalla fronte.

Tiro su con il naso.

–Ma no, è solo lo spumante. – chiudo gli occhi così che non possa vedere quanto sono arrossati.

–È successo qualcosa al concerto?

Scuoto la testa.

–Allora è la storia dell'anellino? Ci eri affezionata?

Annuisco.

–Non lo avevo capito nemmeno io, ma sì, ci sono affezionata. Ora è rotto, mamma. È tutto rotto. – un'altra lacrima sfugge dal mio controllo.

–Mi spiace tanto, tesoro. Tanto, tanto.

–Non è colpa tua.

Sospira.

–Te ne comprerò un altro, va bene?

–Non ce n'è bisogno, mamma. Davvero, non fa niente. Ormai è andata.

Riapro gli occhi.

Annuisce, poco convinta.

Poi mi dà la buonanotte e mi saluta con un bacio sulla guancia. Chiudo di nuovo gli occhi, sentendoli bruciare. Bruciano così tanto che per un momento mi domando se qualcuno non stia avvicinando una fiamma di una candela alle mie palpebre abbassate.

Le restanti ore le passo a piangere e a smettere di farlo, per poi ricominciare. Vedo Holden e Malia baciarsi. Piango. Mi dico che è colpa mia. Smetto di piangere. Rivedo il luccichio negli occhi di lei. Piango di nuovo. Mi dico che non ho il diritto di essere triste. Smetto di piangere. Tutto così fino a che il sonno non fa da padrone.

Ho perso Holden. L'ho perso.

***

–Ma tu scotti, tesoro. – è il buongiorno della mamma. – Si può sapere cosa hai combinato ieri sera? Hai bevuto qualcos'altro oltre allo spumante?

Non ho bevuto neanche un bicchiere d'acqua.

–No, mamma, nient'altro. – mi passo una mano sugli occhi, appicciati per via del trucco che non ho tolto, quando un raggio di sole mi colpisce dritto in faccia.

La mia voce è simile a quella di uno zombie, roca e sporca, come se le mie corde vocali si fossero arrugginite durante la notte.

Poi provo a sollevarmi, ma un capogiro mi costringe a tenere la testa incollata al cuscino. Ad essere arrugginite sono anche le articolazioni, le ossa, i muscoli. Forse mi sto trasformando nell'omino di latta.

–Può darsi che tu abbia preso freddo o che quel barbone ti abbia passato chissà cosa.–  fa una faccia preoccupata. – Tu rimani a letto. Ti vado a fare del latte caldo.

Provo a protestare, ma alza la mano, uscendo dalla mia stanza.

Come festeggiare il Capodanno nel migliore dei modi: un manuale a cura di Kathleen Foster.

Prima regola: Vestirsi nel migliore dei modi e sentirsi dire da Miss Tailandia che almeno quella sera non siete male.

Seconda regola: Rifiutare la compagnia del ragazzo che vi piace e lasciarlo, così, da solo con il nemico. Il nemico è Miss Tailandia.

Terza regola: Tornare in sala e vederlo sbaciucchiare il nemico, nonché suo primo amore.

Quarta regola: Sapere che l'anellino che vi aveva regalato il ragazzo di cui siete innamorate si è rotto in mille pezzi, come il vostro cuore.

Quinta regola: Uscire all'aperto e aspettare che un barbone ubriaco vi vomiti vicino alle scarpe e che poi vi scocchi un'occhiataccia come se fosse colpa vostra.

Sesta regola: Beccarvi la febbre dopo anni di salute di ferro.

È garantito che si festeggerà alla grandissima.

Rimango immobile sul letto, sentendomi una mummia in decomposizione. L'unico movimento proviene dal mio stomaco che brontola ogni due per tre e dal miagolio di Wolverine.

Lui percepisce sempre quando qualcosa non funziona. Difatti ora mi si fa vicino, leccandomi le dita della mano, posata sul piumone. O forse ha solo fame, come al suo solito, ma il mio patetismo mi spinge a vedere del romanticismo in questo gesto.

Gli accarezzo distrattamente il capino, mentre quella scena torna a farsi strada nella mia testa altre dieci, cento, mille volte.

Chissà come si è conclusa la serata per loro due. Magari lui l'ha riaccompagnata a casa e poi le ha dato altri baci sulla bocca. Un bacio. Due baci. Tre baci. Magari hanno... no, non voglio pensarci. No, no, no. Loro non possono essere andati oltre i baci. No, non possono.

Il mio gatto miagola infastidito quando gli tiro inavvertitamente qualche pelo.

La mamma mi ficca il termometro in bocca, poi posa il vassoio sul comodino al mio fianco. Sopra vi sono una tazza di latte caldo e alcuni biscotti.

–Trentotto e mezzo. – fa una smorfia.

–Ma la ciambella?

–Niente ciambella. Ti potrebbe fare male.

Sbuffo.

–Oggi te ne stai tutto il giorno a letto. – mi punta il dito contro.

–Domani c'è scuola. – le dico.

–Domani è un altro giorno. Se dovessi stare ancora male, ti prenderai qualche giorno di pausa.

Qualche giorno di pausa. Qualche giorno in cui non vedrò Holden.

D'un tratto non mi sembra una cattiva cosa avere la febbre.

Dopo poco, mi aiuta a mettermi seduta e prende ad imboccarmi come se fossi tornata ad avere dieci anni. Ma non mi lamento. Mi sento senza forze... stanca. Avere il cuore spezzato risucchia ogni energia. In più la testa mi scoppia così tanto che sento il cuore pulsarmi nel cervello.

–Prima hanno telefonato Pam e Chas, ma stavi ancora dormendo. Avete litigato ieri sera? È per questo che piangevi? – mi asciuga la bocca. – Non ci credo che tu lo abbia fatto solo per quell'anello.

Mi ero dimenticata di aver spento il cellulare.

–No, è solo che... ieri sera ho spento il cellulare. – ammetto.

–Ti conviene accenderlo, allora. Sembravano molto preoccupate.

Annuisco.

Dopo un po' mi aiuta a lavarmi e a cambiarmi.

–Grazie. – le dico, mentre mi lega i capelli in una treccia.

–Per cosa?

–Per tutto.

–Sono tua madre, tesoro. – mi sorride.

–Lo so. Ma non do niente per scontato.

–Io ci sarò sempre per te, piccoletta. – mi abbraccia forte.

Le stringo le mani tra le mie.

–Dopo chiamiamo il dottor Thomas, okay? – si rialza in piedi. – Vuoi che oggi stia con te?

Diniego con la testa. – Sto bene, mamma. Ho quasi diciotto anni, non sono più una bambina.

–Che c'entra, sei pur sempre la mia piccolina e hai la febbre.

–Sto bene, tranquilla. Avrò preso un po' di freddo. Guarderò Il mio grosso grasso matrimonio Gipsy e leggerò qualche libro. – le sorrido. – La Parker ci ha dato da analizzare Jane Eyre per le vacanze.

–Cos'è che vuoi guardare tu?

Il mio grosso grasso matrimonio Gipsy. – trattengo una risata.

–Sarà meglio che rimanga allora!

–Mamma!

Scappa un sorriso anche a lei.

***

Quando riaccendo il cellulare, per poco non mi scoppia tra le mani. Sembra una bomba ad orologeria, con mille notifiche che lo fanno tremare in continuazione tra le mie dita deboli.

Parecchi messaggi sono di Pam e di Chas, parecchie sono le loro chiamate perse, una è una chiamata persa della mamma, e cinque sono le chiamate perse di Holden.

Una chiamata risale a mezzanotte e cinque minuti.

Un'altra a mezzanotte e dieci minuti.

Poi a mezzanotte e quindici minuti.

E le ultime due risalgono alle tre di notte.

Poi si è arreso.

Chissà cosa sarà successo nell'intervallo tra mezzanotte e quindici minuti e le tre di notte.

Immagino che sarà stata una seccatura per Malia vedere il ragazzo che tanto le piace perdere del tempo per chiamare una persona insipida come me.

Ignoro i suoi messaggi e tutto ciò che ha a che fare con lui, perché non ho la forza di parlargli. Non ho la forza di ascoltare la sua voce tanto bella. Non ho voglia di sentirlo rivolgersi a me. So che dovrei cogliere il consiglio di Bob, ma ora il cuore mi fa troppo male e preferisco cedere alla codardia.

La verità è che questa è la prima volta che qualcuno sia riuscito a sconvolgermi così tanto. Con Adam è stato tutto diverso. Conoscere la sua vera personalità mi ha sconvolto, mi ha confuso, mi ha deluso. Tuttavia, non mi ha fatto così male come sapere Holden lontano da me. Perché dopo questo bacio, lo sento così: lontano, lontanissimo. La sua vicinanza, il suo tornare a chiamarmi con quel nomignolo a cui è sempre stato tanto affezionato, il suo vederlo sorridermi... costituiscono una vicinanza che forse è solo apparente. Io non sono Malia, me lo ha detto.

Io e le ragazze ci videochiamiamo, rimanendo a chiacchierare per almeno un'ora. I primi cinque minuti sono stati dedicati ai loro rimproveri per essermi allontanata all'improvviso, per aver mentito dicendo loro che avevo mal di pancia, per aver spento il cellulare, e per sommergermi di domande che ho rimandato alla fine. Insomma, è stato tutto un tirarmi le orecchie; poi siamo passate a parlare dei loro primi baci e delle loro emozioni super mega extra belle e infine, ma solo perché ho insistito io nel lasciare l'argomento per ultimo, abbiamo parlato di quella scena. Per la prima volta sono state poche le loro parole di conforto, perché non hanno assistito al momento, per ovvie ragioni, e perché, malgrado insistano nel dire che a lui io piaccia ancora, sanno che a un bacio possono essere attribuiti diversi significati. Pam ci tiene ad elargire una perla di saggezza, per la quale viene rimproverata da Chas, nel momento in cui dice che Holden è come Tata Matilda: quando non lo vuoi, c'è; quando lo vuoi, non c'è più. Insomma, una massima che le sfugge data la sua impulsività, molto simile alla mia, che mi fa cadere ancora di più in uno stato di tristezza.

–Oggi vediamo un film insieme. Quale ti va? – domando alla mia unica compagnia, dopo aver messo giù la chiamata.

Wolverine muove la zampetta in direzione di Garfield, ma diniego con la testa.

–Nuovo anno, nuovi film. A dicembre l'hai visto almeno venti volte.

Mi soffia contro, poi la sua attenzione si rivolge a un altro film.

La verità è che non gli piaci abbastanza.

Stupido gatto, vuol farmi proprio piangere.

***

La mattina dopo la febbre non mi è ancora passata. Il dottore mi ha prescritto del paracetamolo e del riposo.

Pam e Chas vengono a trovarmi dopo la giornata di scuola. Portano con sé un pacco di cioccolatini e delle caramelle gommose.

Mi raccontano di un episodio che, mi dicono, sarà sicuramente sulla prima pagina del giornalino scolastico. Chas, difatti, ha versato la pasta al formaggio della mensa sulla chioma corvina di Priyanka, scatenando la sua ira e un'ilarità diffusa all'interno della scuola.

–E poi le ha detto... – Pam si interrompe, scoppiando a ridere. – Le ha detto... – si interrompe di nuovo.

–Oh, e smettila! Le ho recitato una frase della Bibbia. – Chas solleva il mento, orgogliosa di sé.

–Ah sì?  – mi sfugge una risatina. – E quale sarebbe?

–Quella che ho messo su Instagram, la sera di Halloween. Fa così: – si schiarisce la voce. – "Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco sono diventate nuove." Direttamente dai Corinzi, baby. – mi fa l'occhiolino. – PriPri ha sgranato totalmente gli occhi che per un momento ho pensato le sarebbero usciti fuori dalle orbite. Credo che abbia pensato che fossi pazza o qualcosa del genere, ma non le ho dato modo di aprire bocca che le ho gettato la pasta sui capelli.

Schiudo le labbra per qualche secondo, quasi sconvolta. Poi scoppio a ridere.

–Ma cosa è successo esattamente? Perché le cose sono finite così?

–La gorgone ha pensato bene di tornare all'attacco dopo settimane di indifferenza. È così idiota che probabilmente non si era neanche accorta del mio cambio di look. Oggi è entrata in mensa, ed è venuta dritta nella mia direzione sperando di fare la bulletta, come suo solito. Ha iniziato ad offendermi, a dirmi che devo aver venduto l'anima al diavolo perché non è possibile che una "racchia" – mima le virgolette. – come me possa piacere ad uno come il suo Adam. – pronuncia il suo nome, sbattendo le ciglia.

–Quindi è tornata all'attacco perché qualcuno deve averle riferito che Adam ti fa gli occhi dolci? – mi sistemo meglio su cuscino.

–Penso di sì. – scrolla le spalle. – Ormai quel cretino ci prova in modo ancora più spudorato. Oggi si è fatto vicino al mio armadietto e mi ha chiesto un'altra uscita. – solleva gli occhi al cielo.

Scuoto la testa, sempre più inorridita dai comportamenti di PriPri e di Adam.

–Mi sono persa una scena con i fiocchi, vero?

Pam annuisce. – Puoi dirlo forte. Stavo per intervenire, ma questa bambina è stata una grande. Lo avevo detto che il momento in cui il suo scudo sarebbe stato così forte da non farsi scalfire da nessuna iena sarebbe arrivato presto. – le cinge le spalle con un braccio.

Sorrido, felice.

Poi il sorriso si smorza.

–E... Holden? È venuto a scuola? Che faccia aveva? Di uno che ha ricevuto il bacio più bello della storia? – mi inumidisco le labbra.

Entrambe mi guardano senza dire niente.

–Lo abbiamo visto, – fa Chas, dopo un po'. –  ma no, non aveva nessuna faccia in particolare. Ha fatto due interventi durante la lezione di Mr. Calcolatrice e poi... – si ferma.

–E poi? – pendo dalle sue labbra.

–E poi ci ha chiesto come mai non fossi venuta a scuola. Sembrava piuttosto giù quando ce lo ha chiesto. Dovresti davvero parlargli, bellezza.

–Per dirgli cosa? Per fargli i complimenti per aver ricevuto un bacio dal suo primo amore? No, grazie! – bofonchio.

–Senti un po', Kathleen Foster. – Chas si alza in piedi e prende a guardarmi con aria minacciosa. – Se continui ad ignorarlo, la gatta morta avrà il sopravvento. Lo capisci o no? – mi punta il dito contro.

–Ma Chas...

–Niente ma. Queste cose vanno affrontate di petto, parola mia. Hai visto Holden slinguazzare quella vipera?

–Beh, sì...– tentenno.

–No, invece! Hai visto lei fare il Boa constrictor. Lui ti dava le spalle, non l'hai visto! – alza la voce.

–Bimba, stai calma. – Pam la tira per la manica della maglietta.

–Non voglio stare calma! – si libera dalla sua presa. – Avanti, scrivigli che non deve preoccuparsi, che lo ami e la facciamo finita.

–Non... non ci riesco.– mugugno.

–Non fare la bambina! Gliene hai combinate di cotte e di crude a quel poveretto. Ora che hai capito che lo ami, vuoi lasciare che le cose rimangano come sono?

Mi copro la faccia con le mani.

–Sono stanca, ragazze. Stanca di capirle sempre troppo tardi certe cose.

–Sei ancora in tempo. – fa un colpo di tosse, come se si fosse accorta solo in quel momento di aver acceso i toni. Poi si risiede.

Nel primo pomeriggio telefono alla signora Juliet per informarla dal mio stato di salute. Mi dice di non preoccuparmi, che chiederà alla sua vicina che ascolta la Traviata di occuparsi della piccola, e mi augura una pronta guarigione. Poi ascolto la voce di Phoebe, che mi viene passata dopo poco.

–Kat, non vieni domani? – ha la vocetta triste.

–Purtroppo no, tesoro. Ho la febbre e devo stare a casa. Però prometto di tornare presto. Dobbiamo giocare con Georgina e con Bunny.

–Li faremo sposare?

Mi sfugge una risatina.

–Certo che sì. Ovviamente saranno tutti invitati alle nozze.

–E mangeremo dei KitKat per l'occasione?

–Mi sembra una buona idea!

–E quando torni?

–Presto, piccola. Il tempo di guarire e torno subito da te.

Poi sento un'altra voce.

–Okay, tesoro. Adesso devo veramente andare...– mi affretto a dire.

La voce di Holden si fa sempre più vicina.

–No, aspetta. C'è Olly. Te lo passo, okay? – dice Phoebe.

Non mi dà il tempo di protestare che dei rumori mi fanno capire che abbia passato il telefono a qualcuno.

–Pronto? Kathleen?

Quanto fa male sentire la sua voce adesso.

Chiudo gli occhi, trattenendo un sospiro.

–Ehi. – biascico.

–Non sei venuta a scuola oggi, e poi... – si ferma.

Sento il suo respiro infrangersi contro la cornetta.

–Non sto bene, Holden. – sento un nodo in gola. – Ho la febbre.

E magari avessi solo quella.

–Cos'è successo l'altra sera? All'improvviso non ti ho vista più tornare. Mi sono preoccupato a morte, lo sai? In più non hai risposto a nessuna mia chiamata, a nessun mio messaggio. Io...– sbuffa. – posso venire a trovarti? Voglio parlarti, Kathleen.

–NO! – inavvertitamente alzo la voce. –  Non sto bene, te l'ho detto. – abbasso i toni. – Mi spiace averti fatto preoccupare, sul serio.

Lo sento sospirare.

Quando sento gli occhi pizzicarmi, mi schiarisco la voce.

–Scusami, adesso devo andare a riposare. Tornerò presto a scuola. Ci sentiamo, okay?

–Sei ancora arrabbiata con me per quella frase? – risponde. Ha la voce stanca.

Per un momento vorrei metterlo in difficoltà chiedendogli di quella frase stia parlando, ma mi accorgo che metterebbe in difficoltà anche a me, e non lo faccio.

–No, Holden. Non sono arrabbiata con te. Ora, scusami, ma devo...

–Devi andare a riposare.– finisce per me.

–Già. – chiudo gli occhi.

–Okay.

***

D'improvviso qualcosa mi fa solletico all'altezza dell'anulare, dove ho l'anello giocattolo, riattaccato alle bell'e meglio con del nastro adesivo.

Mugugno infastidita, rifiutandomi di aprire gli occhi. La febbre mi mette più sonno del voluto. Almeno, però, dormire mi impedisce di pensare troppo.

Il formicolio passa subito, però i miei sensi sono ormai svegli.

Percepisco un profumo che conosco fin troppo bene, ma mi impongo di ignorarlo, pensando di star sognando.

Quando sento un rumore, però, l'ultimo briciolo di sonno scompare.

Apro le palpebre lentamente, faticando a mettere a fuoco. Non appena sono aperte, tuttavia, mi domando se per caso non stia ancora sognando.

Holden è seduto alla mia scrivana e mi dà le spalle.

Riconoscerei la linea delle sue spalle e la zazzera di capelli neri tra mille persone.

Sbatto gli occhi più volte, chiedendomi che razza di sogno, o incubo, lucido sia mai questo, poi però si gira e mi sembra così... reale.

Il cuore prende a battermi al ritmo di un tamburo durante una parata.

–Scusami, non volevo svegliarti. – dice.

Ha tra le dita il mio anello. Wolverine è beatamente appollaiato sulle sue cosce. Sulla scrivania c'è il cappello alla Holden Caulfield che gli ho regalato.

Che la febbre mi stia giocando un brutto tiro?

–Sei un sogno? – gli chiedo.

Fa un sorriso imbarazzato, poi scuote la testa.

Non porta gli occhiali, i capelli sono pettinati con una riga laterale e indossa la camicia azzurrina che comprammo insieme. È davvero bello e soprattutto, me lo dimostrano i due pizzichi che mi do sulle guance, è reale, è davvero qui.

Mi ha fregata.

Lo ha fatto perché mi ero illusa che questa situazione avrei potuto gestirla da sola e che avrei evitato per un tempo non precisato di vederlo e di farmi vedere così vulnerabile. Non mi piace sentirmi così, né tantomeno farmici vedere. Non sono abituata a piangere così tanto, né a piangere in generale. Sono sempre stata brava a stringere i denti e a farmi scivolare tutto addosso, ma con lui... è diverso. Holden mi è entrato così dentro che capisco cosa intenda Mr. Rochester quando dice a Jane Eyre che il suo cuore è stretto da una corda invisibile legata ad un'altra simile, collocata nella stessa posizione del petto di lei.

E invece eccolo qui.

–Non lo sono, però credo di essermi catapultato nei tuoi sogni, sì. Hai fatto il mio nome mentre dormivi. – punta i suoi occhi nei miei. Dall'alone scuro che li contorna, sembrerebbe aver dormito poco.

Istintivamente mi porto le mani alla bocca.

–Che cosa ho detto? – mi metto in allarme.

Non solo mi sta vedendo nel peggior stato in cui potesse mai vedermi: pallida più del solito, senza crema colorata a coprire i brufoli, con le labbra secche, gli occhi umidi, e il pigiamone di Topolino. Deve pure sentirmi mentre lo invoco nel sonno. Che ho fatto di male per meritarmi tutto questo?

Un luccichio gli attraversa le iridi grigie.

–Mah... nulla di che. Solo che mi ami alla follia.

Boccheggio e allargo gli occhi.

Porca vacca. Cosa ho fatto?

–Scherzo! – scoppia a ridere. – Avresti dovuto vedere la tua faccia! – trattiene una risata. – Ma poi, anche tu... come avresti potuto sognare una cosa del genere?

Che stupido.

–Da quanto tempo sei qui? Mia madre lo sa? Perché sei venuto? Ti avevo detto... – mi blocco, quando mi accorgo di aver cominciato a straparlare.

–Lo so cosa mi hai detto. – sospira. – Ma mi hai detto anche che gli amici ci sono sia nei momenti belli che in quelli meno belli. Chiaramente tu non te la stai passando benissimo in questo momento, e allora...– scrolla le spalle. – Sono qui da meno di cinque minuti e poi sì, tua madre è di sotto. Mi ha detto lei di salire nella tua camera. Appena ho detto il mio nome, mi ha accolto con tutte le cerimonie possibili e immaginabili. Poi le è sfuggito una frase, "il ragazzo della doccia", ma non so cosa intendesse. – fa una risatina. – Le hai detto per caso che ho un brutto odore? Guarda che io sono profumatissimo. Ah, e ti ho portato dei biscotti al cioccolato. Li abbiamo fatti io e Phoebe. Tua madre li ha messi nel microonde. – straparla.  – Spero ti piacciano! Quelli fatti da Phoebe hanno anche alcuni smarties.

Mi chiedo come faccia a starsene qui, con nonchalance, senza sapere nemmeno un po' quale effetto faccia la sua presenza al mio cuore.

Osservo attentamente il suo viso, provando a capire se dietro il suo sorriso si nasconda qualcos'altro.

–Non sto bene, Holden. – biascico. –Te l'ho detto. Potresti andare? – gli chiedo, con un filo di voce.

–Che è successo a questo anello? – ignora la mia richiesta.

–Si è rotto. Si è rotto in mille pezzi. Lascialo lì, non si può aggiustare. – abbasso lo sguardo.

–C'è dello scotch. Significa che hai provato a ripararlo, no?

–Ci ho provato. Ma solo perché sono patetica. Non si può fare più niente, è chiaro.

–Io credo di sì, invece. – lo osserva più da vicino. – Ho una colla super potente a casa. Dammi un giorno e te lo riporto come nuovo. Se vuoi te ne posso comprare un altro, però. Io so dove...

–Voglio questo. Solo questo. – lo interrompo.

–Okay. Non pensavo che ti piacesse così tanto. – il suo pomo d'Adamo fa su e giù. – Ricordo bene quando te lo diedi. – lo rigira tra le dita.

–Lo ricordo anch'io.

Mi getta un'altra occhiata, poi lo posa sulla scrivania.

Sento la gola secca, per cui mi tiro su per riempirmi il bicchiere.

–Faccio io, non affaticarti. – mi precede.

Si alza in piedi e si affretta a riempire il bicchiere posato sul mio comodino.

Poi me lo passa. Nel farlo, le nostre dita si sfiorano per qualche istante.

Ignoro il mio imbarazzo e prendo a bere a piccoli sorsi la mia acqua.

Quando finisco, riposa il bicchiere e poi si risiede.

–Che ore sono? Non dovresti essere al lavoro adesso? – domando.

–Sono le otto e mezza. Sono uscito da lavoro, e sono venuto qui. Oggi c'è stata una mega svendita di inizio anno e il mio collega ha pensato bene di prendersi un giorno libero. Scusami se è tardi, ma sentivo il bisogno di parlarti.

Vorrei piangere per la centesima volta solo perché mi ha preparato dei biscotti, ed è venuto apposta per parlarmi, dopo che la giornata a lavoro lo ha evidentemente stancato. Ma vorrei anche farlo perché chiaramente il suo bisogno è legato alla sua voglia di raccontare alla sua amica Kathleen ciò che di bello gli è capitato.

–Ne... sentivi il bisogno?

–Già. Ti ho portato gli appunti di matematica di oggi. Abbiamo fatto le funzioni logaritmiche. Sono un mezzo casino, ma non impossibili! – mi fa l'occhiolino.

–Quindi il tuo bisogno era... portarmi i compiti? – aggrotto la fronte.

–No...– scuote la testa, abbassando lo sguardo. – Cioè sì, ma non sono qui solo per i compiti.

–E per cosa? – lo guardo.

Avanti, dillo. Dimmi quanto sia stato bello ricevere un bacio da Malia.

–Per telefono ti ho sentita triste e anche se mi hai detto che non è così, so che è quella stupida frase che ti ho detto alla gelateria il problema. Io... – sospira. – non ti ho chiesto ancora scusa.

Okay, sta chiaramente prendendo tempo.

–Non ce n'è bisogno. – scuoto la testa. – Te l'ho detto, io...

–Voglio farlo, okay? – si schiarisce la voce. – Perciò, scusami. Sono stato brusco e sgarbato.

La spontaneità di Holden mi disarma.

Io me ne sto qui, a piagnucolarmi addosso, ad essere quasi contenta di avere avuto la febbre perché così ho potuto evitarlo, da brava codarda; mentre lui è a pochi centimetri da me, a chiedermi scusa senza che occorra, perché ha tutto il diritto di tenere per sé ciò che vuole, straboccante di quello stesso coraggio con cui mi disse che ero bella e che gli piacevo; quel coraggio che gli invidio.

–Scusami tu se sono stata invadente.

–Non sei stata invadente. – è il suo turno di scuotere testa. – Non lo sei stata per niente. Anzi, a proposito di questo... – si ferma.

Lo guardo, in attesa.

–In questi giorni ho pensato intensamente alle parole che mi hai rivolto; sai, il concetto di luce e oscurità, il fatto che il nostro rapporto potrebbe consolidarsi se mi aprissi con te... – gesticola. – e allora, dato che sono un fifone, ma voglio farti entrare nel mio cassetto dei ricordi, perché ho capito che con i miei atteggiamenti ti stavo allontanando da me, ho pensato a una cosa.

–A... cosa?

–Ho pensato che per farti sapere di Adam avrei potuto usare lo stesso mezzo che Mr. Darcy usò per far sapere la verità su Wickam a Elizabeth.

–Con una lettera...– dico, esitante.

Annuisce.– Già... con una lettera. Te ne ho scritta una. – si tocca la nuca, imbarazzato. – te la lascio sulla scrivania, va bene? Leggila quando me ne sarò andato.

Mi ha scritto una lettera.

Se non avessi il cuore già spezzato, queste sue attenzioni provocherebbero altre crepe sulla sua superficie.

–Non sei... costretto, Holden. Se non ti va, lo capisco. – lo guardo negli occhi.

–Voglio farlo. Ho capito che con il mio atteggiamento di chiusura ti ho ferita e voglio rimediare. Ti ho raccontato solo di Adam, però. Di mio padre, l'altro tasto dolente della mia vita... ne parleremo un altro giorno. – mi fa un occhiolino.

Se non fosse per alcuni suoi modi di fare, come il gesticolare, o l'eludere il mio sguardo in alcuni momenti, avrei detto che d'un tratto mi sembra un'altra persona rispetto all'Holden dell'altro giorno, spaventato all'idea di aprirsi con me.

Rimango a guardarlo in silenzio, trattenendo altre lacrime.

–Va bene. – la voce mi esce flebile.

Annuisce di nuovo. Poi prende il suo zaino e ne tira fuori una lettera chiusa da una busta verde acqua, che ripone sulla scrivania.

–Adesso che abbiamo parlato di questo, tornerai a rispondere ai miei messaggi? Smetterai di essere triste?

Dal modo in cui mi guarda capisco che lui sia davvero convinto che sia quella stupida frase il problema. Ma, d'altronde, come può sapere che ci sia, in realtà, dell'altro?

–Sto bene, davvero. – rispondo in modo evasivo. – Tornerò a risponderti.

Continua a guardarmi. Adesso, però, i suoi occhi grigi, lasciati liberi da qualsiasi montatura, mi scrutano indagatori. Hanno una tale profondità da farmi chiedere come avessi avuto il coraggio di definirli insipidi. Sono così... vivi, ardenti e vivaci.

Abbasso lo sguardo quando il loro peso si fa troppo forte.

Non riesco a credere di averlo perso davvero.

–Allora... – riprende. – mi vuoi dire cosa è successo l'altra sera? Non sei più tornata dal bagno... – lascia una carezza sul dorso di Wolverine.

–Mal di pancia. Ho avuto dei forti dolori e me ne sono andata. – liquido la faccenda.

–E perché non hai mai risposto alle mie chiamate o ai miei messaggi? – ha un'espressione ferita.

–Quando non sto bene tendo ad usare poco il cellulare. Mi dispiace. – mi impongo di mantenere la voce ferma.

–Temo che tu sottovaluti una cosa. – prende a guardarmi.

–Cosa? – lo guardo, inumidendomi le labbra secche.

–Tu sottovaluti quanto io tenga a te e al nostro legame. Pensi che... sia stato bello non trovarti più, non vederti tornare dal bagno in un locale di gente brilla e poi... vedere ignorato ogni mio messaggio e ogni mia chiamata? – aggrotta le sopracciglia.

Abbasso gli occhi, non sapendo come rispondergli. Vorrei così tanto dirgli che è lui che sottovaluta quanto sia diventato forte il mio attaccamento per lui. E vorrei anche dirgli che sta esagerando perché alla fine della mia presenza non se ne faceva un bel cavolo. Era impegnato in tutt'altro.

–Mi dispiace. – ripeto.

La paura di espormi troppo, di sbagliare, di essere inopportuna hanno la meglio.

Rimane in silenzio per qualche istante.

Poi si avvicina al mio letto, lasciando andare Wolverine.

–Che fai? – domando preoccupata.

Si siede. La gamba che sfiora la mia mano.

–Posso stendermi al tuo fianco? – chiede, ruotando il busto verso di me.

Allargo gli occhi.

E se stessi sognando davvero?

–Non preoccuparti, mi stendo solo per metà. Le gambe le lascio fuori. Il tuo letto è troppo piccolo per uno spaventapasseri come me.

Poi si issa sul braccio e fa per avvicinarsi.

–Ho la febbre. – deglutisco, sentendo le guance farsi ancora più bollenti. – Sai che potrei mischiarti, vero?

–Con una sorella piccola che si ammala di continuo ho maturato un sacco di anticorpi. – dice. – Allora, posso?

–Non puoi rimanere seduto?

–Voglio sentirti vicina. – dice.

Sbatto le palpebre per qualche secondo, poi gli faccio spazio, spostandomi verso sinistra.

È chiaro che voglia vedermi morta. Ma è anche chiaro che io gli dia l'adito di farlo.

Quando è sistemato, i miei occhi finiscono sul frammento di pelle chiara che spunta oltre un lembo della camicia, leggermente sollevata per via della sua posizione. 

Mi costringo a concentrarmi su altro.

–Ho sempre desiderato farlo. – dice, con la testa sul cuscino, accanto alla mia.

Così vicini riesco a sentire meglio il suo profumo, a vedere la leggera ricrescita della sua barba sulle sue guance magre. È la prima volta che la noto. Ha sempre la pelle liscia come quelle di un bambino. È fortunato lui. Non ha brufoli o rossori.

–Cosa?

–Stare su un letto insieme a te.

Cosa?– sento il cuore schizzarmi nel petto.

–Cioè... – si schiarisce la voce. – ... nel senso, stare disteso al tuo fianco, su di un letto, guardare il soffitto e lasciare che tutti i pensieri scivolino via. Una volta ho pensato anche alla canzone che avremmo potuto avere come sottofondo.

È tutto così surreale che magari è vero che non stia sognando, perché potrei essere finita direttamente in una realtà parallela.

–E quale?

–Se non ricordo male credo di aver pensato a qualche canzone anni '50, una di quelle che devi ascoltare per forza al giradischi. – inizia a scoccare le dita.

–Che fai? – inarco un sopracciglio.

–Ho il cellulare scarico, per cui te la canticchio io la canzone a cui pensavo. – si schiarisce la voce. – I've got so much honey the bees envy me. I've got a sweeter song than the birds in the trees. Well I guess you'd say, what can make me feel this way?– canticchia.

Malgrado la sua voce sia bellissima quando parla normalmente, Holden non sa cantare. È stonato, e qualcosa mi dice che in alcuni punti lo faccia di proposito per farmi sorridere.

E ci riesce.

Gli angoli della mia bocca si tirano su in maniera involontaria, dandomi un'altra conferma, se ne avessi bisogno, di quanto Holden mi piaccia.

Mi piace tantissimo. Troppo, forse.

–Okay, ho capito. Basta così. – lo fermo.

–Ma come! Non ti piace il mio modo di cantare?

–Decisamente... no. – mi scappa una risata.

–Hai pessimi gusti. – arriccia le labbra.

Poi fa un piccolo sorriso.

–Ti va di parlare di cose senza senso? – chiede.

Strabuzzo gli occhi, confusa.

–Cose senza senso?

–Sì. – si porta il braccio destro dietro la testa. – Cose senza senso. – conferma. – Tipo, ho visto che le tue pantofole sono a forma di orsetto. Sono adorabili. – sorride.

Quanto vorrei che fosse tutto come un tempo tra me e lui, che potessimo parlare di cose senza senso senza l'ombra di una ragazza del passato pronta a portarmelo via, a gravare sulle nostre teste.

–Dovresti indossare un maglioncino sopra la camicia. Non siamo in estate e non devi andare a nessun altro concerto, per quel che so. – dico la prima cosa che mi passa per la testa.

–Senti chi parla! Guarda che sei tu ad esserti beccata la febbre.

–Che c'entra! Mica me la sono beccata perché ero vestita in modo leggero. La mia è febbre nervosa.

–Sei nervosa? – si volta a guardarmi.

–Un po'.

Sospira.

Lo guardo, rendendomi conto che per quanto non vedergli e non parlargli mi fosse sembrata fino a pochi secondi fa la cosa migliore, quella più facile, quella meno dolorosa, adesso vorrei solo che mi rimanesse accanto e che non se ne andasse. Lui, in questo momento, è veleno e antidoto.

–Jane Birkin e Jack Dawson.– fissa lo sguardo sui miei poster.

Lo imito.

–Lei è tutto quello che vorrei essere io; bella, con la frangetta e lo sguardo sexy! Lui è tutto...

–... quello che vorrei essere io. – continua lui. – Bello, con i capelli color del sole e la faccia di Leonardo Di Caprio a vent'anni. Ma... si è preso tutto Taylor.

Sorride. Eppure, percepisco una nota di amarezza nella sua voce.

In effetti non mi sono mai chiesta come sia per Holden avere un amico come Taylor, bello e popolare. Se magari ogni tanto non voglia essere al suo posto.

–Che hai contro i capelli color inchiostro? – gli do una gomitata. O qualcosa del genere, data la nostra posizione.

–Non trovi che quelli biondi siano più belli?

–Adam ha i capelli biondi. – gli ricordo.

–Era questo che ti piaceva di lui?

–Era... tutto. È oggettivamente bello, per quanto sia un idiota.

–È sopravalutato. – fa una smorfia.

–Non mi piace più, in ogni caso. – sento il bisogno di dirgli.

–Lo so. – sorride.

Rimaniamo qualche attimo in silenzio.

Poi si fa di colpo serio.

–Ho bisogno di dirti una cosa.

–Okay. – deglutisco.

–È come se mille spilli mi pungessero il petto e... non posso più aspettare. – aggiunge.

Per un momento, uno solo, piccolissimo, mi ero dimenticata del vero motivo per cui lui è qui. Di come probabilmente stia fremendo dentro di sé per confidare a me, la sua amica, la sua ex cotta, come finalmente ci sia un'altra ragazza ad occupare ogni centimetro del suo cuore. Probabilmente ha voluto preparare il terreno, con battute e cose insensate, per il timore che ce l'avessi con lui per quella frase. Ha così tanta voglia di parlarmene che non ha potuto aspettare il mio rientro a scuola.

Percepisco ogni arto irrigidirsi di nuovo. Ma questa volta non c'entra la febbre. C'entra la paura di potergli scoppiare a piangere in faccia. Di non riuscire più a trattenerle queste stupide lacrime.

–Spara.

Ho usato l'espressione giusta perché sento che quello che vuole dirmi mi ferirà come una pallottola nel petto.

–Io e Malia ci siamo baciati. – dice secco.

Bang.

Ecco.

È fatta.

L'ha detto.

–Ah. – avverto il gelo nella mia voce.

Rimane in silenzio.

Con la coda dell'occhio prendo ad osservare i suoi movimenti. Ha chiuso gli occhi e con l'indice sta provando a strappare una pellicina dal pollice.

–Ci siamo baciati. – ci tiene a ripetere, dandomi un altro colpo, come se il primo non fosse stato sufficiente.

Bang.

–Okay. – dico di nuovo.

Non aggiunge altro.

–È stato bello? – mi sforzo di chiedere.

Sono una masochista. La più grande masochista della storia.

Deve esserci qualcosa che non va in me, perché altrimenti non si spiega come fino a un'ora fa volessi evitare anche solo di sentirlo, e di come ora sia qui a domandargli se il bacio con la sua bella Malia gli sia piaciuto.

Cosa mi aspetta mi dica?

Ovvio che gli è piaciuto. Sarebbe da pazzi se fosse il contrario.

E Holden non è un pazzo. Holden sa che Malia è bella. Holden sa che lei ha delle labbra pazzesche. Holden sa che nessun'altra è e sarà mai come la sua piccola Nanerettola con cui ha condiviso la sua infanzia, i suoi momenti di luce e quelli bui. Holden sa che un bacio ricevuto dal proprio primo amore è per forza splendido, bellissimo, meraviglioso. Sa che quello che gli fa provare quella ragazza dalla pelle perfetta è qualcosa di indescrivibile. Qualcosa che ti fa provare mille brividi.

–No.

–Capisco. – mando giù un groppo invisibile. – Beh, in effetti è normale che ti sia piaciuto, cioè...

–Hai sentito cosa ti ho detto?

–Certo.

–E cosa ho detto?

–Che ti è piaciuto. Ma, ripeto, è ovvio, lo so che...

–La febbre ti dà problemi anche alle orecchie?

Mi volto a guardarlo.

–Perché?

–Ho detto di no. Enne O. Negativo. – non c'è esitazione nella sua voce.

Per un momento tutto si ferma.

–Aspetta, forse non hai capito la domanda. Te la riformulo: ti è piaciuto il bacio con Malia, con il tuo primo amore, con la ragazza bellissima che potrebbe stare sulla copertina di Vogue Tailandia?

–No. – risponde ancora.

–Come, no? – lascio trasparire la mia sorpresa.

–Perché avrebbe dovuto piacermi?

–Perché Malia ti piace, no?

–No. – dice con fermezza. – Ti sei convinta tu, chissà per quale ragione, che lei mi piaccia.

–In realtà ho solo fatto una costatazione. Quando vi vedo insieme, vedo un legame ben più forte di una semplice amicizia.

–Perché il nostro legame è più forte dell'amicizia. – mi dà ragione. – Te l'ho già detto. Abbiamo condiviso così tanto che è naturale che sia così. Tuttavia, ciò non significa che io e lei ci piacciamo o che siamo innamorati.

–Ma... lei è il tuo primo amore. Ti piaceva... – mi ostino.

–Vero, mi piaceva! E mi piace ancora, ma... non come a un ragazzo può piacere una ragazza. L'altro giorno mi hai chiesto se l'avessi vista cambiata e ricordi cosa ti ho risposto?

–Che in lei hai visto solo dei cambiamenti naturali dovuti all'età.

–Mi sono illuso.

Lo guardo, confusa.

–Sai che ci sono dei fiori che cambiano colore nel corso del tempo? Lo fanno per adattarsi al livello di Ph del terreno o per attrarre gli insetti impollinatori. In pratica si adeguano al contesto, ai cambiamenti, a chi li circonda. Sono sempre gli stessi fiori, la loro essenza non cambia, ma una parte di loro lo fa, rendendoli inevitabilmente diversi.

–Non lo sapevo... – biascico.

–Credo che l'altro giorno non avessi capito neanche io la portata reale dei suoi cambiamenti. – continua. –Vederla così grande, cosi sicura di sé, così ambiziosa, così splendente mi ha riportato alla mente la bambina che non aveva paura di mettersi davanti a me quando qualcuno provava ad offendermi. Quella che adorava vestirsi come un maschietto e che poteva togliermi la parola per almeno una settimana se litigavamo. Ma è stato un attimo, un tocco di labbra, e ho realizzato che la sua essenza è sempre la stessa, ma che allo stesso tempo non è più la stessa persona, la stessa ragazzina che ho conosciuto, e che... non lo sono più nemmeno io. Non c'entra solo l'età... è tutta una serie di cose. Ci siamo entrambi illusi che la nostra amicizia si fosse congelata, che fossimo una versione più grande del piccolo Holden e della piccola Malia. Ma non lo siamo. Alla Malia di dodici anni avrei dato volentieri un bacio sulle labbra, a quella di adesso... no.

Mantiene gli occhi chiusi.

–Allora... – deglutisco. – Perché l'hai baciata?

–È lei che ha baciato me, anche se... per un momento ho ricambiato.

Mi prendo il labbro inferiore tra i denti, reprimendo l'impulso di piangere di nuovo.

–È stato tutto... confuso.

–Confuso?

–Confuso. – ripete. – Me ne stavo per i cavoli miei ad ascoltare il concerto e ad aspettare impaziente che tu tornassi da quei bagni schifosi, quando è partita Heroes, la mia canzone preferita di Bowie, per inciso. Tutti hanno iniziato a baciarsi, e poi, proprio quando stavo per venire a cercarti, mi sono sentito tirare da quella che è la stata la mia amica più cara sin da quando andavo all'asilo. All'inizio sono stato... immobile. Giuro, non riuscivo a muovere un muscolo. Poi... ho voluto provare a capire cosa avrei provato se avessi risposto. Una mossa stupida, lo so. Così ho mosso le mie labbra sulle sue, ma quando lei ha provato ad approfondire il contatto, mi sono allontanato e ho realizzato che... non era giusto questo bacio.

–Non era giusto?

–È stata la cosa più strana che abbia mai... sentito. È come se avessi baciato... mia sorella. – piega le labbra in una smorfia.

Aggrotto la fronte, stordita.

–Quindi... com'è stato? – insisto.

–Non è stato né bello, né brutto. È stato, punto.

–Non ci credo. – gli dico.

Non riesco a credergli, a capacitarmi di come sia stata lei a dare il via a questo bacio, che sia stato lui il primo ad allontanarsi, di come per lui baciarla sia stato come baciare sua sorella, che lei non gli piaccia. È stupido perché dovrei esserne solo contenta, ma mi sono convinta così tanto che le cose fossero andate in un certo modo che sentirmi dire che in realtà sia successo tutto solo nella mia testa mi disorienta, mi turba, mi sconvolge.

Cosa? – si volta a guardarmi, inarcando un sopracciglio. – E perché no?

–Perché... è il tuo primo amore, è bellissima, adori passare del tempo con lei. – mi impunto, sentendomi una cretina.

–Ti ho già dato una spiegazione su questa osservazione.

Non rispondo.

–Il fatto che sia stato il mio primo amore e che la ritenga bella deve farmi per forza apprezzare il nostro bacio? – insiste, allora.

–Quindi non ti è piaciuto? – chiedo ancora.

–No.

–Quindi... non l'hai baciata tu per primo? Non ti piace? – domando ancora, per accertarmi di aver capito bene.

Torna a guardarmi. – No, e... no.

–Okay. – è la mia risposta laconica.

Dentro sento qualcosa di diverso, però. Una pallina incandescente divampa in un fuoco che brucia ogni angolo della mia pancia, a partire dall'ombelico.

Ad Holden non piace Malia.

Ad Holden non piace Malia.

Ad Holden non piace Malia.

Dio, si può morire di felicità?

–Immagino ti dispiaccia.

–Cosa?

–Che lei non mi piaccia. Nella tua testa ci avevi immaginato già all'altare.

Boccheggio, presa alla sprovvista.

Che scemo! Non ha capito davvero niente.

–Quello che provavo per lei è stato più un qualcosa... da ragazzini. – riprende, senza darmi modo di rispondere. – Per me baciare qualcuno ha un certo significato, per lei... non è così. Io non le piaccio... lei lo ha fatto credendo di... farmi del bene, o qualcosa del genere. – sospira. – In più... abbiamo litigato.

–Avete litigato? – sollevo le sopracciglia.

Annuisce.

–Lei pensa che sia ancora il ragazzino che si rifugiava a casa sua quando... – chiude gli occhi, fermandosi. – quello che aveva paura di avvicinarsi a chiunque, quello fragile, senza spina dorsale. Pensa che non sia in grado di... vivere da solo, con la mia testa, di fare le mie scelte, di circondarmi di persone di cui fidarmi. Credo che mi veda ancora come un bambino. Mi ha baciato anche se non le piaccio... capisci? – percepisco la frustrazione nella sua voce.

–Beh... anche noi due ci siamo baciati, – mi è impossibile non osservare. – anche se... – mi blocco.

–Anche se la cotta era unidirezionale, lo so. – continua al posto mio. – Ma era diverso, Kathleen. Non trovi?

Faccio spallucce.

–Perché mi baciasti?

–Perché stavi avendo un attacco di panico. Perché stavi tanto male e... volevo che ti distraessi e che quelle idiote avessero una bella lezione.

–Ecco. Dunque, il nostro bacio, quello tra me e te, è stato diverso da quello tra me e lei. Sono imparagonabili. – sospira.

Sapere che abbia messo i nostri baci su piani diversi mi fa gongolare.

–Avete litigato per il bacio, quindi?

–Per il bacio e per tutto ciò che ne è conseguito. Quando mi sono allontanato da lei, mi sono accorto che non eri ancora arrivata. La prima cosa a cui ho pensato è stata quella di... venire a cercarti. A Malia non è piaciuto che io ti dedicassi delle attenzioni. Credo che... – sbuffa. – nella sua testa si fosse messa in competizione con te, o qualcosa del genere. Come se il mio status di amico dell'infanzia mi avesse reso in automatico una sua proprietà.

–In competizione con me. – ripeto, meccanica.

–Proprio così. Durante una delle nostre prime chiacchierate, le ho raccontato di te, di quello che... è successo tra noi, del fatto che tu sia stata la prima a cui io mi sia dichiarato, del fatto che... non sia riuscito a conquistarti. Non ti ho mai messa in cattiva luce, eppure credo che nella sua testa si fosse creata un'immagine di te del tutto errata, come se tu fossi cattiva e volessi solo farmi soffrire, come se mi fossi vicina solo per illudermi e per prendermi in giro. Non me n'ero mai accorto fino... all'altra sera. 

Abbasso gli occhi.

Malia mi aveva detto che lui non le aveva parlato molto di me.

–Le hai raccontato dei... nostri primi incontri? Delle parole che... ti ho rivolto i primi tempi? – domando, titubante.

–No. – scuote la testa. – Le ho semplicemente detto che all'inizio mi era stato difficile avvicinarmi a te perché non mi conoscevi e con i miei atteggiamenti avevo favorito la costruzione di un'immagine di me piuttosto piatta. Purtroppo, però, ha così tanta stima in me che crede impossibile che non possa piacere a qualche ragazza.

Come sempre, è stato troppo buono con me. Avrebbe potuto dirle che i primi tempi ero stata un'autentica deficiente con lui; che gli avevo detto che era attraente come un cactus lo è per un palloncino, che lo vedevo come un topo di biblioteca, che pensavo fosse arrogante, che un semplice tocco da parte sua mi faceva quasi schifo, che gli avevo dato dell'egoista il giorno in cui mi disse che ero molto bella e che gli piacevo come a un ragazzo può piacere una ragazza. Invece... si è dato la colpa. Ha detto che sono stati i suoi atteggiamenti ad aver favorito una costruzione di sé piatta, e che ciò è stata la causa della sua difficoltà nell'approcciarmi.

Holden è decisamente la persona migliore che potessi avere la fortuna di conoscere.

–Avresti dovuto, invece. Avresti dovuto dirle che razza di idiota io sia stata per troppo tempo. Sai... Malia ha fatto bene a trattarmi in un certo modo. Non credo di meritarmi una persona come te nella mia vita.

Sento i suoi occhi posarsi su di me, mentre i miei tornano a riempirsi di lacrime.

–Ma... cosa dici? In che modo ti ha trattato? Che intendi?

–Lascia perdere. Sappi solo che lei ti vuole bene e che dovete risolvere il vostro litigio. Magari lei non ti piace, ma non essere così sicuro che per lei sia lo stesso. – tiro su con il naso.

–Non dire sciocchezze. A lei piace un ragazzo, un suo compagno di scuola.

Sgrano gli occhi, sorpresa ai massimi livelli.

–Le piace un ragazzo?

–Qualcosa del genere. Ma non è solo questo; lei sa quanto me che noi due non potremo mai essere più di quanto siamo.

–E allora... perché ti ha baciato?

–Ci si bacia per tante ragione. Un bacio può voler dire tutto e può voler dire niente.

–E il suo cosa voleva dire?

–Che anche se non piaccio a qualcuna, lei c'è e che in qualche modo ci apparteniamo.

Abbasso lo sguardo.

–Ora è tornata in Inghilterra.

–Oh.

Malia non c'è più.

–Non voglio che tra noi rimangano così le cose. So che mi vuole bene e anch'io gliene voglio. – percepisco tutta la sua tristezza.

–Non mi hai detto che adesso che vi siete ritrovati, avresti comprato tutte le diavolerie tecnologiche in circolazione per non perderla più di vista?

–Sì, ma... non so se adesso sia una buona idea. Sono una schiappa in certe cose.

–Allora scrivile una lettera. Tanto sei pratico, no? Questa volta vedi di non sbagliare l'indirizzo, però. – gli dico.

Fa un piccolo sorriso.

Non mi sarei mai aspettata di prendere le difese di Malia, di una ragazza che conosco così poco ma che è riuscita dal primo istante a diventare un pensiero fisso, a mettermi in soggezione, a farmi sentirmi piccola piccola. La verità è che non le sono mai piaciuta, e che con me ha fatto decisamente la stronza, eppure... al suo posto forse avrei fatto lo stesso. Malia conosce Holden, sa cose di lui che mi sono ancora sconosciute, e chiaramente non può tollerare che qualcuno gli provochi anche il minimo dolore. Io gliene ho procurato e lei deve averlo capito.

–Perché hai sentito il bisogno di raccontarmi tutto questo? – gli chiedo.

–Avresti preferito che non lo avessi fatto?

–Rispondi prima tu.

Sospira.– È stato un impulso. Sentivo qualcosa pungermi da dentro, te l'ho detto.

–Spiegami un po' questa cosa dell'impulso.

Sento gli angoli della bocca tendersi verso l'alto.

È decisamente difficile evitare che una piccola fiamma di speranza si accenda dentro di me.

Holden solleva un sopracciglio. Chiaramente non si aspettava che gli dicessi una cosa del genere.

–Oh... beh... non lo so. – sembra d'improvviso imbarazzato.

Di slancio mi avvicino e poso la testa sul suo petto.

–Che... fai? – domanda.

–Voglio sentirti vicino anch'io.

–Non mi hai ancora risposto. – osserva, accarezzandomi la testa.

–Io... lo sapevo già, Holden. Del bacio tra te e Malia. – deglutisco.

Cosa? – smette di accarezzarmi, senza però allontanare la sua mano. – Sono state le tue amiche? È stato Taylor? Eppure, gli avevo detto...

Scuoto la testa. – Vi ho visto con i miei occhi. – confesso. – Sono stata pochi minuti in bagno. Poi sono tornata in sala e... – lascio cadere la frase.

–E... perché non me l'hai detto?

–Avevo paura.

–Di cosa? – sembra confuso.

–Paura di farti vedere quanto ciò che ho visto mi abbia fatto stare male, forse. Paura di farti capire che avevi ragione, perché sono molto gelosa di Malia e che non mi dispiace affatto che a te non piaccia. Anzi, sono tanto felice che non sia così. – butto fuori.

Rimane in silenzio per un po'.

–Non capisco... – dice poi. 

Sospiro.

Vuole che gli dica proprio tutto.

Mi sollevo per guardarlo negli occhi.

Faccio per aprir bocca, quando la mamma entra in camera con un vassoio di biscotti.

Holden mi scosta delicatamente da sé, poi si alza in pochi secondi, passandosi i palmi delle mani sulla camicia.

–Disturbo?

No, mamma. Mi stavo solo dichiarando al ragazzo che mi piace.

–No, si figuri. Sarà meglio che vada adesso. – sembra avere fretta.

–Ma come, non resti a cena con noi? – la mamma fa una faccia dispiaciuta.

–No, grazie. Mia madre e mia sorella mi aspettano.

–Oh, va bene.

–Allora... buona guarigione, Kathleen. Ci vediamo a scuola? – si rivolge a me.

–Certo. – mormoro.

Lui annuisce, lasciandomi degli appunti sulla scrivania.

Poi da un'ultima carezza a Wolverine e se ne va.

–Ma che gli hai fatto? – mi domanda la mamma.

–In che senso?

–Aveva le orecchie tutte rosse e ha fatto tutto così di fretta che sembrava una bomba gli stesse per scoppiare tra le mani.

–Non lo so, mamma. – stringo gli occhi.

–È lui il ragazzo per cui hai pianto, vero? Holden, il caro Holden. Il famoso ragazzo a cui piace la mia bambina.

–Mamma...– soffio disperata.

–È lui, lo sapevo! – trilla, emozionata. – Ti ha fatto qualcosa? Perché piangevi per lui?

–Non ti ho detto che ho pianto per lui.

–Non ce n'è bisogno. Sono chiare certe cose.

–Perché lo hai fatto entrare in camera? – le punto il dito contro. – Fai entrare tutti i ragazzi che suonano a questa casa nella stanza di tua figlia, malata, pallida e brutta?

–Tutti i ragazzi, no. Il ragazzo della doccia, sì. – fa un sorrisetto che ricorda molto quella di nonna Cecily. – E poi sei bellissima anche con la febbre! – fa una linguaccia.

Sospiro.

–Allora, posso sapere o no cosa ha combinato? O cosa gli hai combinato?

–Ha baciato un'altra ragazza. – mi decido a spiegarle. –Cioè, lei ha baciato lui, lui ha risposto per qualche secondo, poi si è allontanato, e hanno litigato.

Corruccia la fronte.

–Ma... non gli piacevi tu?

–Non lo so più, mamma. In ogni caso, è una storia lunga. Io non sono stata carina con lui.

–Che gli hai fatto?

–Storia lunga, te l'ho detto. – muovo la mano come per scacciare via la cosa.

–Mhm. – arriccia le labbra. – Comunque, a lui piaci ancora, è sicuro. Hai visto che faccia ha quando ti guarda? E poi... è davvero carino. – mi fa un occhiolino. – Ha gli occhi grigi e le ciglia lunghe lunghe. – sospira.

Sorrido.

–È carino, hai ragione.

–Ti piace, vero?

Annuisco.

–Bene. – mi si avvicina per darmi un bacio sulla fronte. –Credo che la febbre sia scesa. – aggiunge, sorridente.

Lo dicevo io che era una febbre nervosa.

La mamma decide di passare il resto della serata con me. Mangiamo insieme i biscotti di Holden, o meglio, li mangia lei mentre a me ne tocca solo uno dopo la pastina, mentre vediamo un film dal mio computer portatile.

Quando il film finisce, mi dà altri baci e poi se ne va.

La prima cosa che faccio non appena la porta della mia camera si richiude è prendere la lettera di Holden.

La porto al petto e inspiro l'odore della carta, prima di aprire la busta su cui è scritto con una calligrafia elegante "A Miss Foster".

Sorrido come una scema, poi mi decido a leggerla.

Non temete, signorina, che con questa lettera, voglia ripetervi quei sentimenti...

Cosa? Come dici? Questo è l'incipit della lettera di Mr. Darcy ad Elizabeth e non posso copiarla?

Giusto, hai ragione!

Ma... sai com'è, ho bisogno di fare un po' lo scemo prima di parlarti ci ciò che mi appresto a raccontarti. Funziona, sai? Prima di affrontare qualcosa di difficile, distrarsi con scemenze e cose senza senso, aiuta. Provaci!

Dunque (immagina che mi stia schiarendo la voce), sei pronta? Ti sei messa comoda? Sì? Bene, allora cominciamo!

Mi sfugge un altro sorriso.

Come avrai avuto modo di notare tu stessa, non sono proprio quel tipo di persona che definiresti l'anima della festa, il ragazzo popolare circondato di tante persone, quello accerchiato da mille amici... capisci che intendo, no? Sono una persona riservata, mi apro solo con poche persone, e sono tremendamente noioso. Sì, lo sono. No, non provare a negarlo! No, no... okay, non lo sono, hai ragione! Sono noioso solo per chi non è abbastanza intelligente da andare oltre il mio aspetto da secchione, vero? Scommetto che tu ne sai qualcosa! (immagina che ti stia facendo un occhiolino!).

Bene, tutto questo per dirti che mi accingevo ad iniziare il mio primo anno di liceo con l'unica compagnia di Taylor.

Non mi è mai stato facile fare amicizia con altre persone. A quattordici anni tutto mi sembrava molto più grande di quanto mi appaia adesso. Eppure, chissà come, mi ci vollero pochi giorni per conquistare l'amicizia di quello che da lì a poco sarebbe diventato il ragazzo più popolare del liceo: Adam Johnson, signori! Un ragazzone dagli occhi blu, dai capelli dorati, pregno di dopobarba anche quando di barba non ne aveva neanche un pelo!

Andò così: un giorno io e Taylor uscimmo dall'aula di biologia e ce lo trovammo davanti, in compagnia di altri ragazzi belli e prestanti, come lui. Si presentò, fece qualche battuta (a cui finsi di ridere) e si mostrò come un ragazzo gentile e simpatico. Lo stesso Taylor ne aveva avuta una bella impressione! Mi diceva che potevamo farci inserire nel suo gruppo di amici, così da iniziare la scuola superiore con i "grandi" della scuola, quelli che sono sulla bocca di tutti, che fanno feste da sballo, che hanno liste infinite di ragazze carine eccetera, eccetera. Chissà perché, soprattutto a una certa età, si crede che un certo stile di vita ti renda migliore. Come se uscire con delle estranee che scaricherai in tempo zero, o essere circondato da persone che ti sono dietro solo perché hai un bel faccino, ti renda una persona degna di maggiori attenzioni. Ma vabbè!

I primi tempi, non ci crederai, mi lasciai convincere da Taylor e partecipai anche a delle feste. Io, Holden, a delle feste scolastiche, con i ragazzi "in", il primo anno.

Insomma, all'inizio fu tutta una pacchia! Feste, pacche sulle spalle, sorrisi, battute e queste cose qua.

Ma... dovevo capire che c'era qualcosa che non andava nel momento in cui ogni qual volta gli chiedevamo di sederci al suo tavolo, Adam trovava delle scuse a cui accompagnava espressioni rammaricate (Un tipo davvero teatrale. Da non crederci.). Avrei dovuto farlo anche quando un giorno facemmo una foto di gruppo, ad una festa, ma sui social, chissà perché, comparve solo quella porzione che raffigurava me e Adam vicini.

In parole povere: davanti a tutti eravamo amici, da dietro ero Holden lo zimbello, il giullare, il pagliaccio. Perché ero io il loro interesse; Taylor aveva l'unica colpa di essermi amico. 

Quando io e Taylor iniziammo a capire che qualcosa non andava, il nostro prode Mr Wickam calò la maschera e iniziò a renderci la vita più complicata di quanto già non fosse. Le prese in giro e gli scherzi erano all'ordine del giorno.

Tuttavia, finché il tutto era limitato a me, alla mia sola persona, era sopportabile. Ero abituato ad essere deriso, ad essere preso di mira semplicemente perché... diverso. Ma ad Adam e ai suoi amici non bastava.

Ci fu un periodo in cui, di ritorno da scuola, da lavoro, quando uscivo con mia madre, dappertutto, mi sentivo osservato, sentivo su di me gli occhi di qualcuno. Ogni qual volta mi giravo, però, non c'era nessuno. Mi convinsi, perciò, che ero solo paranoico.

Ma era solo un'illusione!

Un giorno, quando andai a prendere Phoebe dall'asilo (aveva quattro anni ai tempi!), la trovai in una valle di lacrime, con un foglio tra le mani su cui era scritto con un pennarello rosso: "La sorella dello sfigato". Gli idioti avevano approfittato del momento di pausa, quando i bambini erano portati in cortile per fare la merenda, per prenderla di mira e dirle cose brutte. Lo avevano fatto da lontano, cogliendo i momenti di distrazione della maestra. Venni a sapere solo quando le cambiammo scuola che avevano dato il foglio a una compagna di Phoebe, dandole delle caramelle in cambio, affinché glielo attaccasse sulla schiena.

Ora immaginati la scena, Kathleen: una bambina di solo quattro anni, cresciuta in un clima famigliare molto difficile (perché sì, io e lei abbiamo vissuto una situazione famigliare tremendamente brutta), con difficoltà a relazionarsi con gli altri, sentirsi d'improvviso mira di ragazzi più grandi, alti e robusti. Ragazzi che la offendevano, che le chiedevano se fosse la sorella dell'idiota quattr'occhi, che la trattavano come un giocattolo da deridere, che le piazzarono un foglio sulla schiena affinché anche gli altri bambini si prendessero gioco di lei.

Mi fermo quando delle lacrime prendono a bagnare il foglio di carta.

Il giorno dopo, a scuola, non ci vidi dalla rabbia. Ero così arrabbiato, che non raccontai nulla nemmeno a Taylor. Avrei voluto così tanto spaccare la faccia a quella feccia, ma... non lo feci.

Sono un fifone, te lo dissi quando mi dichiarai a te. Probabilmente, se non lo fossi stato, ti avrei detto che mi piacevi sin dal primo anno. Probabilmente quel giorno avrei davvero spaccato la faccia ad Adam Johnson. A mia discolpa, però, posso dire che ero ancora più magro di quanto sia ora, non avevo neanche mezzo muscolo e non ci tenevo a vedere rotta la montatura dei miei occhiali. Mia madre ha sempre faticato tanto per pagare ogni spesa. Non volevo darle altri fardelli.

Alla fine, riuscii solo a ricevere altre risate alle spalle.

Il tutto è durato fino a quando una denuncia al preside da parte di un'altra ragazza, vittima come me dei suoi screzi, non gli fece prendere uno spavento. Uno di quelli belli grossi. Solo i soldi di Priyanka lo aiutarono a tirarsi fuori dai guai!

E... questo è quanto.

Quando penso ad Adam penso alla sua faccia distorta in risate grottesche, a risate suscitate dal piacere di prendere in giro un'altra persona, un suo coetaneo, e una bambina piccola. Penso alle lacrime di mia sorella, a come si sia chiusa ancora di più da quel giorno, rifugiandosi in un mondo fatto di soli amici immaginari e di soli giocattoli. Penso a come mi sentii inerme, piccolo, e codardo quando lasciai correre l'intera vicenda, senza avere il coraggio di denunciare il bullismo di quei scarafaggi.

Sono contento, perciò, che tu abbia aperto gli occhi su Adam Johnson. Ha una bella faccia, dei modi apparentemente gentili, ma... è vuoto, tanto vuoto. E niente è peggiore di una persona che all'apparenza ha la luminosità del sole, ma che in realtà splende di luce artificiale, di quelle a interruttore.

Non avrei voluto condividere questo calzino brutto con te, e perciò anche se so che mi hai chiesto tu di farlo, dolce Kathleen, ti chiedo scusa per averlo fatto.

Fitzwilliam Darcy

Holden Morris

Solo Holden

Ciao girasoli, come state? ❤️🌻

Non ci sentiamo da un po', avete ragione! Ma, se mi seguite su Instagram, saprete che in questo periodo sto vivendo quella terribile malattia che colpisce gli studenti universitari: la sessione estiva. Fa paura anche solo a pronunciarla, vero?

Comunque, finalmente eccoci qui! Questo capitolo avrebbe dovuto prevedere anche un'altra scena, ma notando la sua corposità ( è lunghissimo questo capitolo!!!!) e trovando un escamotage che mi ha permesso di farvi conoscere un altro tassello della vita di Holden, ho potuto pubblicarlo oggi!

Ma... partiamo dall'inizio.

Quanto vogliamo bene a Bob e alla mamma di Kat? Come dite? Alla mamma di Kat un po' meno perché ha interrotto la sua dichiarazione? Beh sì, avete ragione! Però è comunque una mamma dolcissima, ammettiamolo!

Poi... la nostra balda protagonista si è beccata la febbre, perché no... non ci facciamo mancare niente! (perdonami Kat, sai quanto ti amo!) Ma è proprio in questo stato febbricitante che ha avuto la possibilità di condividere il letto con Holden (via quelle facce maliziose!) e di sentirsi dire che No, Enne O, negativo, non gli è piaciuto il bacio con Malia. Adesso... ci credete o no che si sono baciati? So che alcune di voi si rifiutavano di vedere questa realtà 😂😂

E infine la lettera. L'idea mi è venuta qualche mattina fa. Mi son detta " e se... le scrivesse una lettera in stile Mr. Darcy?"  Vi è piaciuta? Vi aspettavate che fosse successo qualcosa di diverso tra Adam, Holden e Phoebe? Sono tutta orecchie!

Secondo i miei calcoli, il prossimo dovrebbe essere l'ultimo capitolo prima dell'epilogo finale. Prima dell'epilogo, però, vorrei pubblicare i due capitoli speciali, dal punto di vista di Holden, di cui vi avevo parlato.

Spero di non aver deluso nessuna aspettativa! Sapete che per ogni commento, domanda, dubbio o curiosità io ci sono.

Grazie di cuore, come sempre, per le vostre attenzioni nei confronti della mia storia. Per ogni stellina, ogni lettura e ogni parola spesa. Sappiate che mi rendete molto felice!❤️⭐️

Mi rimane ancora un esame per concludere questa sessione, ma spero di farvi leggere il prossimo capitolo con maggiore velocità!

Un abbraccio,

Rob

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