KitKat
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kitKat
La vita è più facile se si teme soltanto un giorno alla volta.
(Peanuts- Charles M. Shulz)
Conosco la zona dove abita la signora Juliet.
Da queste parti abita mia nonna.
Oggi mi sembra strano essere qui non per lei, ma per conquistare un posto di lavoro.
Se non fosse in vacanza con le sue amiche, sarei andata a trovarla. Riesce sempre a trovare il modo di darmi quella fiducia e quella calma che a volte vacillano.
Riconosco un negozio di antiquariato, un fast-food, il parrucchiere dove vanno di solito lei e la mamma e una serie di casette dai giardini in fiore, ben curati.
La casa dove mi piacerebbe lavorare è a due piani, bianca, dal tetto verde, con un piccolo terrazzo. Uno steccato dipinto di azzurro circonda un giardino ben curato.
Intravedo, da lontano, persino un canestro e una palla da basket ai suoi piedi.
Mi avvicino lentamente, con le mani che mi tremano un po'.
Sono in ansia. Non ho idea di chi mi troverò davanti una volta che suonerò il campanello all'entrata. Dal modo in cui erano scritti i messaggi, la signora Juliet mi è sembrata una persona gentile, ma virtualmente tutto sembra migliore. E poi non è detto mi accolga lei; potrebbe benissimo aprirmi suo marito. Credo che anche lui sappia che sono venuta per il posto da babysitter, no?
Rallento il passo, provando a pensare a come possa presentarmi.
"Buonasera! Sono Kathleen, Kathleen Foster"... Ma cosa? Non mi sarò fatta contagiare da Morris, spero.
"Buondì, sono Kathleen, la ragazza giusta al posto giusto!"- ammicco verso il vuoto, facendo anche un occhiolino.
"Buon pomeriggio, sono Kathleen, una babysitter così brava che Mary Poppins chi? Ma chi sei? C'è Kat, qui."
Sbuffo.
Ma che sto combinando?
Okay, stop.
Dico il mio nome e basta! Tutto verrà da sé.
Faccio per avvicinarmi, quando la porta di casa si apre e una signora dai lunghi capelli neri vi esce, con un innaffiatoio tra le mani.
Alza per un momento gli occhi e quando lo fa i nostri guardi si scontrano.
-Ciao.- mi dice sorridente.
Cavoli. Cavoli. Cavoli.
Mantieni la calma. Mantieni la calma. Mantieni la calma.
Mi schiarisco la voce.- Oh... salve!
-Sei qui per vendere biscotti?
Diniego con il capo.- No, non voglio venderle nulla.- mi scappa una risata.- È lei la signora Juliet?
Annuisce con ancora il sorriso sulle labbra.- Sono io! Se non vuoi vendermi biscotti allora o vuoi convincermi a convertirmi a qualche religione oppure sei... Kathleen, la figlia della signora Jane, non è vero?
-Nessuna conversione a nessuna religione!- sorrido.- Sono Kathleen.- confermo.
Sono Kathleen. Oh, è stato facile, no?
Mi sento improvvisamente la persona più timida del mondo.
-Ma che ci fai lì impalata? Su, vieni, non ti mangio mica.- con un gesto della mano mi invita ad avvicinarmi.
Faccio come dice, mentre lei poggia l'innaffiatoio su un tavolino di legno alle sue spalle.
Dopo esserci strette la mano, mi invita dentro la sua casa.
Vengo subito accolta da un profumo di pulito e di mele.
-Posso offrirti qualcosa da bere? Un succo di frutta, magari?
-Accetto volentieri!- le sorrido.
Poi, non posso farne a meno, mi do un'occhiata attorno.
Il salotto si presenta come una stanza non molto grande, con un divano, una poltrona, una TV a schermo piatto di medie dimensioni, un tavolino con affianco una lampada e un tappetto in stile persiano a coprire il pavimento dalle mattonelle color crema, lucide.
Alcuni dipinti che ricordano lo stile di Renoir sono appesi qua e là.
Quando entriamo in cucina, mi accorgo che sul tavolo c'è una torta di mele, appena sfornata, e una tovaglietta su cui vi è un piattino riempito da una fetta di dolce e un bicchiere di latte.
-Di solito a quest'ora la mia Phoebe scende in cucina per fare uno spuntino. Adesso si sta vestendo perché le ho detto che questo pomeriggio ci sarai anche tu. Di solito, quando è in casa, preferisce stare con il pigiamino.- dice.
Prende dal frigo una bottiglia di succo di frutta, per avvicinarsi poi alla credenza da cui prende un bicchiere di vetro.
-In effetti è più comodo.- rispondo.
Prendo il bicchiere, ringraziandola, e poi ne bevo un sorso. È all'arancia. Ha un buon sapore.
-Posso offrirti una fetta di torta?- continua, con il sorriso sulle labbra.
-La ringrazio, ma meglio di no! Alla mensa ci danno il polpettone da giorni e mi rimane sempre sullo stomaco.- confesso.
Si mette a ridere.- Deve essere un'abitudine delle mense scolastiche, allora. Anche mio figlio mi dice la stessa cosa.
Rido anch'io.
-Mi dicevi nel messaggio che hai diciassette anni...
Si appoggia con il fianco al bordo del tavolo e mi guarda.
È alta e magra. Ha gli occhi grigi, le labbra sottili e dei lineamenti aggraziati ed eleganti. Nell'insieme mi ricorda qualcuno. Ma non saprei proprio dire chi.
-Esatto! Frequento l'ultimo anno di liceo.
-Hai la stessa età di mio figlio.- fa un piccolo sorriso.
Annuisco, prendendo il mio curriculum dallo zaino. In realtà non c'è scritto quasi niente, ma mia mamma mi ha consigliato di portarlo. Avrei voluto arricchirlo con cose tipo "dispensatrice di perle di saggezza e di momenti esilaranti" e "pasticciona a tempo perso", dato che sono entrambe due qualità difficilmente trovabili, ma la mamma mi ha guardato torva quando l'ho proposto.
Vorrei chiederle come si chiama suo figlio dato che abbiamo già due cose in comune e potrei conoscerlo, ma per il momento preferisco che sia lei a farmi delle domande.
In fondo sarebbe anche ridicolo chiederle come si chiami suo figlio dopo solo due informazioni. Immagino che in tutta Portland di diciasettenni che mangino polpettoni orribili alla mensa scolastica, ce ne siano a quantità industriali.
Le do il curriculum, ma lei gli dà solo un'occhiata veloce.
-Allora, Kathleen, come mai sei in cerca di lavoro?
Mi aspettavo una domanda del genere.
-Voglio aiutare mia madre con le spese! I miei sono divorziati ed io e lei viviamo da sole. Dato tutto quello che fa per me, mi sembra il minimo aiutarla economicamente.- spiego, con sincerità.
Annuisce con il capo.- Tua madre deve essere fiera di te, e in effetti ieri al parrucchiere non ha fatto altro che tessere le tue lodi! Hai già lavorato con bambini?
Ti voglio bene, mamma.
-No! – scuoto la testa.- Ma ogni anno, sotto Natale, faccio volontariato con i bambini di una casa famiglia. In più ho dei cuginetti con cui passo le vacanze natalizie e pasquali. Mi trovo bene con loro e loro si trovano bene con me. Credo di sapermi relazionare piuttosto bene con i più piccoli e ciò è dovuto al fatto che un po' mi ci sento ancora, bambina.- le sorrido.- Pur avendo la maturità di una ragazza della mia età.- preciso, per sicurezza.
Non sia mai pensi che mi piacciono i bambini perché sono una persona infantile e immatura.
Annuisce, mantenendo un sorriso dolce sulle labbra.
-Come diceva lo scrittore de Il Piccolo principe: "Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano". È importante dunque non smettere mai di sentirsi un po' bambini.– mi poggia una mano sulla spalla.- Ma perché siamo ancora in piedi? Prego, siediti pure.
Ci sediamo sulle sedie del tavolo; i sedili sono coperti da cuscinetti sottili decorati con dei fiori rosa.
È tutto molto femminile in questa casa.
-Dunque, non voglio farti perdere tempo dato che ti avevo detto che mi sarebbe piaciuto che tu passassi un po' di tempo di "prova" con mia figlia, per cui andrò dritta al sodo.
Annuisco. Per quanto mi sia tranquillizzata, dati i modi gentili con cui questa donna mi sta trattando, non posso fare a meno di sentirmi ancora in ansia.
-Prima di parlarti dei giorni e degli orari in cui avrei bisogno di qualcuno che badi a mia figlia, mi sembra una buona idea parlarti proprio di lei.- mi lancia un'occhiata.
Annuisco in risposta.
-La mia piccolina si chiama Phoebe, ha sette anni ed è una bambina straordinaria, a cui vogliamo molto bene. È in grado di dare amore incondizionato, ma conquistarsi la sua fiducia non è facile. Le precedenti babysitter hanno mollato la spugna dopo poche settimane, perché spesso all'apparenza dà l'idea di essere una bambina quasi... anaffettiva. Ci sono giorni in cui preferisce starsene sola, in camera sua, in silenzio.
I suoi occhi si fanno per un momento tristi. Come se dire a voce alta ciò che ha appena detto la facesse stare male.
-Ha difficolta a socializzare con altre persone, con i suoi coetanei o con persone più grandi. Anche a scuola... non riesce a farsi molti amici. Preferisce parlare con i suoi amici immaginari e con i suoi peluches.- sospira.- Non è semplice avere a che fare con lei, ma una mia amica psicologa dice che è solo un suo blocco momentaneo e che ha solo bisogno di tempo. Ha paura di affezionarsi alle persone e allora preferisce starsene per le sue.- si ferma.
Wow, c'è una bella gatta da pelare qui.
-Non voglio spaventarti facendoti immaginare mia figlia come una sorta di... cubo di Rubik difficile da sistemare.- mi sorride.- Voglio solo metterti al corrente che dovrai guadagnarti la sua fiducia. So che sei una ragazza molto giovane, ma so anche che mia figlia non è un mostro strano, ma ha solo bisogno di qualcuno di cui possa fidarsi. Credi di poter essere pronta per un compito del genere?
Bella domanda. Quando la mamma mi aveva parlato di questo lavoro e di come questa signora avesse definito sua figlia una "bambina particolare" non ci avevo fatto troppo caso. Mi ero figurata semplicemente una piccola peste che si diverte a fare guai e a dare filo da torcere a qualsiasi bambinaia. Ma adesso, sapere che in realtà la bimba è un tipetto chiuso che ama starsene per le sue, mi spaventa un po'.
Non vorrei che accettare questo lavoro significasse darmi la zappa sui piedi.
Sto per risponderle, quando con la coda dell'occhio vedo un occhietto e alcune ciocche bionde fare capolino dalla porta.
Mi volto, ma non c'è più nessuno.
-Phoebe, avanti, non ti nascondere. Ti ho visto, sai?
Juliet si alza in piedi e si gira verso la porta, dandomi le spalle.
Dopo qualche secondo una bambina dai lunghi capelli biondi entra in stanza.
Indossa dei jeans, una maglietta a maniche corte rosa e delle scarpette da ginnastica.
Rimane sull'uscio della porta per qualche secondo, fissando prima me e poi sua mamma.
Poi si avvicina a quest'ultima. Le cinge i fianchi in una specie di abbraccio, ma a Juliet non basta, perché la solleva tra le sue braccia, dandole un sonoro bacio sulla guancia.
Davanti alla scena, mi intenerisco.
Quando la rimette giù, Phoebe si siede al tavolo per fare il suo spuntino.
Per quanto mi riguarda, mi ha ignorato completamente.
-Tesoro, lei si chiama Kathleen e potrebbe diventare la tua nuova babysitter. Ti va di presentarti?
Juliet poggia le mani sulle spalle di sua figlia.
La piccola, di risposta, si volta a guardarmi.
Ha gli occhi grigi, come sua madre, e una piccola voglia che assomiglia ad un cuoricino sopra lo zigomo destro. Noto subito la bellezza del suo visino.
-Sono Phoebe.- mi tende la manina.
Rimango un attimo interdetta. Mi aspettavo che mi avrebbe continuato ad ignorare.
-Kathleen.- ricambio in fretta la stretta, coprendo interamente la sua manina piccola e tiepida.- Ma puoi chiamarmi Kat. Come il KitKat, il dolcetto.- le sorrido.
Parlare di dolci è sempre una buona cosa quando si parla con dei bambini.
A meno che siano diabetici.
Oh cavolo e se lei fosse diabetica?
No, no, sta mangiando una fetta di torta!
-Come il dolcetto.- ripete, allontanando la mano dalla mia.
Okay, meglio non pensare al diabete e a tutte queste cose adesso.
-Va bene, tesoro. Ti lasciamo fare il tuo spuntino. Io e Kat andiamo a parlare di là, va bene?
La bimba annuisce appena. Torna poi alla sua torta di mele.
Mi alzo, rimetto la sedia a posto e poi seguo Juliet in soggiorno. Con un gesto della mano mi invita a sedermi sul divano.
-Posso parlarti dei giorni e degli orari o hai già deciso che è meglio lasciar perdere?- stringe la labbra.
Sembra davvero preoccupata che possa dirle che non me la sento.
Dal mio canto, mi è bastato poco per prendere la mia decisione.
-Non so se sia meglio lasciar perdere, però so che sono una persona determinata e che prima di arrendersi bisogna almeno provarci. Me l'ha insegnato mia madre.- sorrido.- Quindi voglio darmi una possibilità. Non le prometto che magari non getterò la spugna come le altre babysitter , ma le prometto che ce la metterò tutta per guadagnarmi la fiducia di Phoebe.
Ecco, l'ho detto. Magari ho appena commesso la cavolata più grande della mia vita, ma penso sul serio che debba almeno provarci.
Perché dovrei lasciarmi condizionare dal fatto che altre persone prima di me non ce l'abbiano fatta? Stiamo parlando pur sempre di una bambina e magari le precedenti babysitter erano semplicemente alla ricerca della pappa pronta. Io, invece, sono abituata agli imprevisti.
Juliet mi fa un grande sorriso, poi mi stringe le mani nelle sue.
-Io lavoro tutti i giorni, ma ho bisogno di qualcuno che badi a mia figlia solo tre volte la settimana, dal martedì al giovedì, di pomeriggio. Ti vanno bene come giorni? Dovresti iniziare la settimana prossima, dato che per questa ci sono ancora io.
Non ho bisogno di pensarci.
-Sì, vanno benissimo! E mi sta bene iniziare la prossima settimana!
Fortuna vuole che solo il lunedì faccia la raccattapalle.
Passa poi a parlarmi degli orari: dalle quattro alle sette, e della paga: dieci dollari all'ora.
Ho fatto qualche ricerca prima di venire qui e ho letto di babysitter che ricevono una somma maggiore, ma è il mio primo lavoro, ho solo diciassette anni e quindi dalla mia prospettiva trenta dollari al giorno sono perfetti. In più sono brava a conservare i miei risparmi.
-Bene! Direi allora che puoi considerarti ufficialmente la nostra nuova babysitter.- fa un sorriso a trentadue denti.
Wow, davvero? Oddio!
Sorrido, contenta.- Spero di non deluderla.
Annuisce. – Mi trasmetti sensazioni positive, quindi spero anch'io che vada tutto bene. Il fatto che tu abbia la stessa età di mio figlio, a cui Phoebe è tanto legata, è una cosa che mi piace molto. Trovo che spesso i ragazzi ci sappiano fare meglio di tanti adulti brontoloni.- sorride. - Adesso vado a fare la spesa al supermercato qui di fronte. Starò via per poco tempo, ma vorrei che tu provassi ad approcciarti a mia figlia. Ti va?
Annuisco di nuovo.
Fa un ultimo sorriso, prima di rimettersi in piedi.
Torniamo in cucina.
-Phoebe, io vado a comprare qualcosa per cena. Starò via per poco tempo, nel frattempo ti lascio qui con Kat. Va bene?
La bimba si limita a guardarla per qualche istante. Poi annuisce.
Noto che sia il piatto che il bicchiere sono adesso vuoti.
La signora Juliet esce di casa dopo pochi minuti, mentre io e Phoebe rimaniamo in cucina.
Non mi guarda.
Dai Kat, fai la grande e pensa a qualcosa per rompere il ghiaccio.
-Allora...- inizio, un po' tesa.
Poi mi schiarisco la voce un paio di volte.
Non si vede che sono tesa? No, vero?
-La mamma mi diceva che hai degli amici con cui ti piace passare del tempo. Vuoi presentarmeli?- parlo velocemente.
Prende a guardarmi.
Ha degli occhi così grandi ed espressivi da mettermi in soggezione.
Passa qualche secondo di troppo in cui le sue pupille si fissano nelle mie. Mi sembra lei la ragazza e io la bambina. È come se mi studiasse e volesse capire che tipo sono e se posso piacerle.
Sentendomi così osservata, mi chiedo se non fosse stato il caso che coprissi meglio il brufolo che mi è comparso questa mattina sulla fronte a causa dell'ansia, o che mi mettessi un po' di ombretto e lucidalabbra. Magari avrei dato una parvenza più da bambolina e avrei potuto conquistare più facilmente la sua attenzione.
-Intendi Dotty e Mary? Oppure Jimmy, Anne e Peggy?
Bene. Benissimo. Yuppie! Mi sta rispondendo. Dovrebbe essere una cosa positiva.
-Tutti! – dico in fretta. -Se è possibile, vorrei conoscerli tutti.
Phoebe annuisce. Poi prende il piattino e il bicchiere e li mette nel lavandino. Piega il tovagliolino di stoffa e rimette la sedia a posto.
Rimango incantata a guardarla. Che bimba educata!
-Andiamo! Vedo se Dotty e Mary vogliono conoscerti.
-Lo spero!
Mi guida verso delle scale, al termine delle quali ci troviamo in un breve corridoio.
Un passo alla volta mi guardo attorno. C'è qualche quadretto appeso qua e là e giusto qualche foto che riesco solo a intravedere di sfuggita.
-Aspettami qui!- mi dice, fermandosi di fonte ad una porta.
Delle lettere in legno che compongono il suo nome vi sono appese sopra.
Annuisco, sorridendole.
Poi entra in quella che presumo essere la sua stanza, lasciandola socchiusa.
Oltre la sua, ci sono altre tre porte. Solo una è chiusa e dato l'arredamento delle altre due, uno da bagno e uno da camera da letto, suppongo che sia di suo fratello.
Mentre aspetto che "parli" con i suoi amici, mi avvicino alla libreria del corridoio.
Riconosco vari romanzi famosi; devono essere dei buoni lettori in questa casa.
Quando il mio occhio cade su Orgoglio e Pregiudizio, mi scappa un sospiro.
Non voglio credere che dovrò fare un lavoro di inglese con Holden Morris. Temo che ne verrà fuori un disastro. Anzi, cosa temo, è sicuro che ne verrà fuori un disastro.
Io che non voglio stargli accanto e lui che sembra un vulcano di chiacchiere pronto ad esplodermi in faccia non appena sono nel suo stesso raggio visivo. Che bella accoppiata!
Oltretutto devo anche contattarlo per informarlo che il venerdì sono libera e che quindi possiamo vederci per lavorare insieme.
Vederci il venerdì... wow, che bella prospettiva!
Chissà quanto sarà bacchettone! Me lo immagino già a dirmi, mentre si sistema quella montatura troppo larga per il suo viso magrolino, ogni due per tre, la derivazione latina di ogni parola che penserà non sia in grado di capire da sola.
Uno che ha la nomea di essere un genio dei numeri, lo deve essere per forza, bacchettone!
La verità è che questa mattina mi ha spiazzata. Tutte quelle parole, tutto quel gesticolare, tutti quegli sguardi curiosi e confusi... io mi aspettavo tutt'altro.
Il fatto è che non so se mi piaccia essermi scontrata con una personalità totalmente diversa da quella che mi ero immaginata.
Non so cosa mi prenda. Di solito sono una persona accomodante verso il prossimo, mi piace fare battute e fare amicizia, ma quel tizio mi irrita.
Mi dà forse fastidio il modo in cui mi si è approcciato.
Sembra che voglia infiltrarsi nella mia vita e che voglia farlo con nonchalance. Come se fosse normale che l'ultimo anno di liceo lui mi si avvicini e inizi a chiamarmi con un nomignolo o a propormi idee.
Ma, ora che unisco un po' i pezzi, forse ho capito.
Magari ha deciso di fare il chiacchierone con me perché ha notato che sono un fallimento nelle materie in cui lui è un Einstein.
Forse vuole sentirsi... superiore o qualcosa del genere. Lui e il suo latinorum ieri me l'hanno dimostrato.
Anche lunedì, agli allenamenti, quando mi ha accusato di non essermi accorta che la palla fosse uscita dalla palestra.
Ma sì, molto semplicemente pensa di aver trovato una stupida su cui sentirsi superiore, dato che tutti a scuola lo ignorano.
Ma si sbaglia di grosso.
Sarò pure una frana in tutto ciò che abbia a che fare con formule e numeri, ma non ho bisogno di un so-tutto-io come lui a ricordarmi la mia inettitudine in certe materie.
Poi mi accorgo di una fotografia. Mi distrae dai miei cattivi pensieri.
C'è Phoebe in braccio ad un ragazzo dai capelli neri che dà le spalle all'obiettivo. La piccola ride, tenendo le braccine legate al collo di quello che credo sia suo fratello. Dal modo in cui è vestito, con pantaloncini, scarpe sportive e una maglietta, mi sembra troppo giovane per essere suo padre.
-Hanno detto che puoi conoscerli. Ma solo perché ti chiami come il nostro dolcetto preferito.
Sussulto, colta di sorpresa.
Phoebe mi si avvicina. Mi arriva, più o meno, all'altezza dei fianchi.
Qualche lentiggine le colora il nasino all'insù e le guance pallide.
Averla così vicina mi permette di sentire il suo profumo: sa di ciliegia.
-Oh, quindi ti piace il KitKat?
Annuisce.
Che sollievo!
-Allora la prossima volta te ne porto una barretta, va bene?
Annuisce ancora.
Non mi ha ancora fatto nemmeno un sorriso, però qualcosa mi dice che possiamo lavorarci sopra.
Entro nella sua stanza dopo qualche secondo.
Mi si presenta come una comune cameretta da bambina, con le pareti verde acqua, il parquet, e tanti giocattoli. Un letto coperto da una copertina di Biancaneve è poggiato alla parete, accanto ad una piccola finestra. Un comodino con una lampada a forma di tartaruga lo affianca.
Su una scrivania sono sparsi dei fogli e colori a cera e a pastello. Un gigantografia di lei, di qualche anno più piccola, spicca su una delle pareti laterali. Ha le manine sporche di tempera e sorride felice.
Non me ne intendo di pedagogia o di psicologia, ma suppongo ci debba essere qualche motivo per cui una bambina di soli sette anni abbia quasi il timore di aprirsi con gli altri.
Spero non sia nulla di grave.
In ogni caso sono questioni famigliari di cui è bene non mi immischi. Farò il mio lavoro e mi impegnerò al massimo per fare amicizia con questa bella biondina. Nulla di più.
Quando mi presenta Dotty e Mary, capisco che sono le sue amiche immaginarie.
Le avevo anch'io da piccola, si chiamavano Caroline e Robin. Ricordo come se fosse ieri i momenti in cui parlavo con loro, magari aprendo le ante dell'armadio e facendo finta che queste aprissero una finestra e non un porta vestiti, una finestra che portava alle loro case.
Non mi faccio dunque alcun tipo di problema nel fingere di fare loro amicizia.
Tendo la mano di fronte a me e mi presento. Proprio come se fossero reali.
Poi è il turno di Jimmy, un bambolotto pacioccone, Anne, una bambola di pezza con due belle trecce di tessuto rosso, e Peggy, una mucca vestita da cuoca.
Mi presento a tutti e comincio a fare loro delle domande, annuendo ogni tanto e fingendo che mi stiano rispondendo.
-Ma non mi dire! Ti dicono di metterti a dieta? A te?- domando a Peggy, accompagnando il tutto con delle espressioni teatrali.- Ma se hai un fisico da urlo!
Con la coda dell'occhio noto Phoebe. Mi osserva, attenta ad ogni mio piccolo gesto.
Per un momento la sento ridere.
-Okay, adesso facciamo il tè. – dice.
Si avvicina ad una piccola cucina giocattolo e armeggia con stoviglie di plastica.
Quando offre anche a me una tazzina, ovviamente vuota, la ringrazio e continuo a giocare.
-Ottimo! Io ci avrei messo anche un po' di latte, in vero stile inglese- modifico un po' il mio accento per farla ridere.-, ma anche così è delizioso.- sorseggio il mio finto tè.
-A me piace senza latte.- dice Phoebe.
Faccio spallucce, sorridendole.
Il tempo passa così.
Più velocemente del previsto.
Solo quando scopro la signora Juliet guardarci appoggiata allo stipite della porta, mi fermo e le sorrido.
Pensavo peggio!
Se le cose tra me e la piccola Phoebe continueranno così, sono certa di potercela fare!
E noi te lo auguriamo, cara Kat! 🤗
Buonsalve a tutti! Come state? Spero benissimo!
In questo quintocapitolo incontriamo un nuovo personaggio, anzi due: la signora Juliet e la piccola Phoebe.
Kat si è guadagnata il posto da babysitter ma le cose non sembrano facili dato che questa piccolina ha paura nel fare amicizie con grandi e piccini e a volte preferisce la solitudine alla compagnia.
Vi siete fatti delle ipotesi sul perché potrebbe comportarsi così?
Io dal mio canto, mi sono già affezionata a lei. Contrariamente a Kat qualcosa di pedagogia io la conosco e due anni di tirocinio qualcosa dei bambini me l'hanno insegnata. Per cui, spero di fare un buon lavoro ❤️
Avevo deciso di pubblicare il capitolo 6 la prossima settimana, ma mi piace troppo per cui ve lo beccate domani.
Qui un piccolo spoiler:
Il fatto che tu non mi abbia mai visto, non significa che io non abbia mai visto te!
Mhm... chissà, chissà!
Intanto grazie alle ragazze che stanno leggendo questa storia, votando i capitoli e magari facendomi sapere anche la loro. Siamo ancora agli inizi, ma proprio per questo ricevere vostri feedback è stimolante e importante! ❤️
Buon tutto e a domani,
Rob
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