Capitolo 68 - Ultimo addio
Quanto può essere denso il tempo? Quanto può far parlare di sé? Quanto si può sentire, percepire e toccare?
Si ricordò quando l'aveva paragonato all'acqua, quando l'aveva pensato come un fiume.
Eppure quel fiume l'aveva portata lontana dal suo punto di origine. L'aveva portata dove non pensava o dove non avrebbe mai osato pensare di poter arrivare. Perché come si può prevedere una cosa del genere? Come si può anche solo concepire minimamente che, quando tutto sta volgendo al bello, quando quel fiume scorre per il meglio, una roccia, un masso, devii quel fiume. Ed ecco che sì, in quel momento, il fiume si trasforma in cascate rovinose, burrascose, fumose cascate che inghiottono tutto, inghiottono anche il tempo stesso.
Cercare e non trovare, si era già detto. Se lo era ripetuto quelle volte che la sua mente vagava a ritroso cercando di remare controcorrente lungo quel fiume per cercare una risposta, uno sbaglio, un appiglio al quale potersi finalmente ormeggiare. Invece no. Lei era ancora lì e forse lo sarebbe stata ancora per tanto, troppo tempo.
Ferma eppure in movimento, seduta in sala d'attesa, circondata da persone che soffrono per la sofferenza di un altro. Ed è un soffrire due volte, è un ferirsi due volte. Essere soli perché tutti attorno a te ti hanno tradita, perché nessuno capisce quanto quella sofferenza possa ferire, possa lacerare quei tanti o pochi ricordi che hai collezionato lungo il viaggio e li sostituisce con uno solo. Un solo ricordo, un solo colore: il nero del dolore, del buio, della non conoscenza, della paura e infine del cancro.
Ed eccoli che arrivavano uno ad uno, alla spicciolata, ed uno ad uno guardarono Brianna non rispondere al loro sguardo. La guardavano come per dire... come per dire niente, perché non c'era niente da dire o forse c'era tanto ancora da dire e da rinfacciare loro. Ma a che pro? Perché continuare a scavare nella ferita quando il foro aveva già attraversato tutto il corpo, quando scorgi che non c'è più niente da ferire e la rabbia è solo un danno collaterale? Solo un ammettere di essere impotenti e di esserlo stato in passato mentre tutti la guardavano piangere da sola.
Il reverendo e Toby si erano avvicinati. La scusa migliore che avevano saputo trovare era stata: "Lo abbiamo fatto solo per il tuo bene, per ciò che credevamo essere il tuo bene!".
Brianna non rispose neppure. Si limitò ad urlare, un grido acuto e strozzato, abbastanza alto da far sussultare i medici, gli infermieri e tutti i presenti in sala d'aspetto spingendoli a guardare quella ragazza di cui poco era rimasto se non un grande buco, dentro e fuori.
La lasciarono da sola, sedendosi tutti, per una volta, insieme in un angolo.
Forse fu il reverendo a fare il primo passo o forse fu Trevor Mcloud a guardarlo ed a supplicare per un conforto. Si sedettero vicini, parlavano qualche dozzina di minuti, infine si strinsero la mano e tornarono ai propri posti.
Un bel quadretto, un bel quadretto davvero...
Ma in Brianna, l'unico ricordo che riusciva a sovvenire erano quei giorni, quei mesi, quei quindici anni in cui quella stretta di mano era mancata, in cui a stringersi erano stati i pugni e l'unico obiettivo da colpire erano Brianna e Luke che si frapponevano come meglio potevano, interessati di più al quieto vivere dei genitori che a loro vivere l'uno per l'altro.
Toby stringeva la mano di Beverly. Alla fine qualcuno sembrava averci guadagnato. Lui che l'aveva sempre guardata con ammirazione, che l'aveva spiata oltre quel muro di casa Mcloud e che Brianna sapeva essere la sua seconda scelta in coda dopo lei stessa. Quando la prima era venuta meno, rabbia e risentimento avevano avuto la meglio sulla ragione. Non gliene faceva una colpa, non più di tutti gli altri. Non più dell'ipocrisia di loro padri, della falsità dei loro atteggiamenti nel negare qualsiasi problema. Infine anche la sua di colpa.
Arrivò all'accettazione in un vortice gli stati emotivi che solo la morte riusciva a far provare.
Perché lei era morta. Era morta dentro quando il viso di Luke era affondato nel pavimento del faro, quando la parola cancro era uscita dalla bocca del padre, quando lo sguardo della dottoressa voleva dire di aver fatto tutto il possibile e che non rimaneva che sperare.
Erano tutti lì in attesa del verdetto, coscienti di sperare in una possibilità su un milione, in quella remota ed unica eventualità che voleva dire vita.
Tre ore.
Questa la misura del verdetto. Questo il tempo in cui quindici anni furono sviscerati in un concerto di: "Avrei potuto..." e "Sarebbe stato meglio...". Quando un dottore in camice bianco aprì la porta a vetri opachi, quando la sua attenzione venne combattuta tra il folto gruppo tra cui sapeva esserci il padre e l'unica giovane rimasta in disparte con il trucco rigato che continuava a piangere, fu allora che, infine, il buon senso di una persona si fece prevalere su ciò che sarebbe stato dato fare.
Si avvicinò a Brianna e le si inginocchiò di fronte.
« Tu sei Breanna, vero? »
« Sì. »
« Ne ero certo. Sai, quel ragazzo ti conosce proprio bene. Mi aveva detto che ci sarebbe stata una ragazza in disparte che piangeva. Mi ha detto di dirti che sta bene per il momento e che presto vi parlerete. »
« Sta... sta bene? Dottore, si riprenderà? Si riprenderà completamente? »
« Vedi Brianna... questo è quello che mi ha detto di dirti. Ora c'è quello che devo dire io alla famiglia, ma voglio dirlo prima a te. La verità è che non sta bene... non sta bene affatto. Il glioblastoma ha ormai passato la corteccia cerebrale e quando ciò avviene... sono rare le possibilità di cura, sono molto rare e, ammesso che esistano, il cammino può essere una vana speranza. Impossibile dire quanto resisterà, potrebbe resistere altre due ore come potrebbe resistere altri dieci anni ma francamente non saprei cosa augurargli. »
« Quindi c'è una possibilità? »
« Questo te lo dirà lui... adesso vai! La stanza è la numero trentatré. È stabile e vigile, ma cerca di non stancarlo troppo e soprattutto... non avere troppe aspettative. »
Chi se ne frega di ciò che diceva il medico. Chi se ne fregava di tutto e di tutti. Una speranza se pure labile c'era ed ogni passo di corsa era ammettere a se stessa che tutta quella situazione le aveva fatto capire molte cose.
Ma forse la più importante ancora le sfuggiva. Le sfuggivano le parole del dottore, quelle parole che l'amore non le aveva fatto sentire, che la speranza aveva negato fossero state pronunciate.
Continuò a correre contando a ritroso quelle stanze che partivano dalla numero cinquanta. Si guardava a destra e sinistra.
Trentanove.
Trentotto.
Il cuore salì in gola. Un conto alla rovescia che Brianna era felice di contare.
Una speranza! Una speranza!
Quante volte il cuore ha la meglio sulla mente?
Nella sala d'aspetto, Trevor Mcloud era stato raggiunto dalla moglie. Lo aveva riconosciuto subito: era quello che piangeva, disperato, che prendeva a pugni il muro tentando di trasferire il dolore emotivo in quello fisico e, nonostante tutti i trascorsi, la moglie lo stava consolando.
Ma Breanna se ne fregava.
Se ne fregava di tutto, dalle parole del dottore, di quei lamenti. Lei correva, correva lontano da loro ma verso qualcosa che neppure lei era sicura di conoscere.
Stanza trentatré!
Entrò sbattendo la porta contro il muro.
In fondo nell'angolo più lontano, un letto aveva la testiera reclinata a quarantacinque gradi. Il suono sincopato del cardiografo, la puzza di disinfettante, macchinari, attrezzature, tubi, aghi, sacche di soluzione, schermi che lampeggiavano, numeri indecifrabili.
Poi, sotto una mascherina per l'ossigeno, Luke si voltò lentamente scostandosela dal volto.
« Luke... » chiamò con voce tremante correndo gli ultimi metri verso quel letto. « No, Brianna! Fermati! Ti prego! Non avvicinarti! »
« Luke, hai parlato con il dottore? Te l'ha detto? C'è una speranza! »
« La solita Brianna, sempre positiva. Ascolti solo quello che ti va di sentire! » disse sorridente con un filo di voce.
« Lo sai che sono fatta così! Ma è così! È questa la realtà, vero? » disse facendo un altro passo verso quel letto
« No, Brianna. Fermati là! Fermati lontana da me altrimenti non riuscirò a dirti quello che devo dirti. »
« Ma che dici? Ti prego fatti abbracciare! Ce la faremo insieme! »
« Smettila! Smettila di fare la bambina! » urlò quando le prime lacrime iniziarono a riflettere le luci al neon del soffitto « Devi andartene! Devi allontanarti da qui... da me soprattutto! Non sapevi del cancro e continui a non sapere che per me non c'è più speranza! Non capisci che per me la vita è finita? Non vedi come sto? Non vedi che questi tubi, questi cazzo di tubi saranno la mia vita finché mi resterà da vivere? Non capisci che tu... io... »
« Smettila... lo so che sei arrabbiato col mondo, con la vita, lo so... »
« No, non sai niente. Non sai nulla! Non sai cosa si prova! Non sai cosa voglia dire vedere quelli attorno a te che soffrono! Vederli morire piano piano un po' come sto facendo io! Sono condannato, Brianna! Prima lo capisci è meglio sarà per tutti! »
« Ma io voglio stare con te! »
« Io no invece! »
« N... no? »
« No perché... »
« Perché? »
« Perché ti ho detto che devi andartene da qua! Perché la verità è che tu non sei stata la prima! Va bene? Sei arrivata tardi Brianna! Ieri sera, in hotel, sei arrivata tardi! La donna di quell'anello è stata Beverly e tu sei solo la seconda! »
« Mi hai mentito... »
« Si! Ci sei arrivata! Ti ho sempre mentito! Sempre! »
« Cazzate, Luke! Cazzate! Perché mi dici questo adesso? »
« Perché io non ti merito e neppure tu mi meriti! Perché io non sono diverso da tutti quelli che hai conosciuto, da tutti quelli che ti hanno tradita! Forse ti ho dato l'impressione di essere diverso ma sono come tutti gli altri: debole e stronzo con l'unica differenza che io sto morendo e... »
« Smettila cazzo! Smettila Luke! »
« No! Non la smetto perché meriti di sapere la verità! Meriti di scappare da qui, da tutti noi. So che la verità fa male! So che non l'ha mai voluta sentire ed è questo il tuo problema più grande! Sempre quel dannato ottimismo nelle persone, nelle cose, nel futuro. Guardami! Guardami ora! Qua! Come posso provare ottimismo adesso! Ho un vuoto che il cancro sta piano piano scavando, si è aggrappato a me con tutta la sua forza e se tolgo lui, tolgo anche me stesso! Questa volta nessuna preghiera scritta nel faro ci salverà! Questa volta è la vita vera! »
Brianna scosse la testa come per liberarsi di una ragnatela.
« Perché continui? Perché non ti arrendi? » le chiese.
« Perché ti amo! Perché tu non lo capisci? »
« Forse non so di cosa tu stia parlando... »
« Cosa ho fatto per meritarmi questo? Perché mi hai fatto questo? Perché mi hai detto di essere stata la prima? »
« Perché era quello che volevi sentire e perché... te l'ho detto: io sono come tutti gli altri! Ora, ti prego, vai! »
« Luke... »
« Vattene! » sbraitò.
Il volto che ruota nascondendosi verso il muro. La maschera dell'ossigeno rimessa al proprio posto. La condensa sulla sua plastica di un "ti amo" pregato ed inascoltato.
Un ultimo sguardo a quel corpo sdraiato. Un ultimo addio.
© Giulio Cerruti (The_last_romantic)
Angolo dell'autore:
Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!
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