1 - Innocua chiamata
La luce del pomeriggio filtrava dai colli del sud Italia e illuminava il volto della giovane.
Desiderata era affacciata alla finestra spalancata, col viso rivolto al sole alto, travolta dal malumore.
Rimase a lungo con i gomiti poggiati al davanzale, i pugni a sorreggere gli zigomi e con gli occhi chiusi, per accogliere la serotonina e scacciar via la malinconia che una chiamata poco prima aveva portato.
L'inquietudine ebbe la meglio.
Desiderata aprì gli occhi, si raddrizzò, spense il mozzicone di sigaretta nel posacenere, spolverò il suo lungo vestito verde con le mani e chiuse le persiane, ma non fitte: il sole filtrava dai buchi lasciati apposta per far entrare aria.
Il suo paesino non lo pensava quasi più. Tuttavia la sua mente volò lì. Colpa di un'apparente innocua chiamata.
La linea telefonica si era interrotta e Desiderata poteva finalmente buttare fuori l'aria che aveva trattenuto per la durata di quella chiacchiera.
Un po' il petto le faceva male così come il palmo della mano sinistra escoriato dalle unghie che erano affondate nella pelle.
La voce dall'altro lato della cornetta fece affiorare emozioni che la inquietarono, appannandole la vista da un pianto che cercava di uscire.
«Perché piangi? Non ne hai motivo» la mente le diceva.
«Fatti i fatti tuoi», rispondeva il cuore.
«Stupidi sentimenti», si ripeteva. Se lo diceva quasi con rabbia, a occhi chiusi, scuotendo il capo col volere di scacciarli via.
Desiderata poggiò il telefono sul davanzale della finestra, diede le spalle al paesaggio e sospirò. Si leccò le labbra che, mangiucchiate dalla tensione, bruciavano. Incrociò poi le caviglie nude e chiuse gli occhi. Pensò che tentare di rilassare il suo corpo con ampi respiri avrebbe aiutato, ma ciò non accadde.
Li riaprì.
La stanza era grande, bella, con mobili in legno e tappeti all'apparenza costosi. Probabilmente non lo erano, tuttavia avevano assistito a tante storie, quindi non potevano che valer tanto, per lei.
Chinandosi sulla specchiera, afferrò il pacchetto bianco di sigarette quasi terminato con l'intento di prenderne una. Lo fece; poi lo ripose sul mobile in legno, afferrando questa volta il pacchetto di fiammiferi. Ne estrasse uno e lo strofinò violentemente nella parte rustica del pacco. Il fiammifero si accese, illuminò il volto della giovane, già fulgido dalla luce solare, e infiammò la sigaretta. Desiderata se la portò alla bocca e inspirò il fumo che lesto arrivò ai polmoni. Finalmente provò sollievo nel percepire la nicotina mangiarle gli organi.
Fumava e un po' si rilassava, i nervi si scioglievano, la testa si faceva leggera e lei ne approfittava; tuttavia quel benessere durava poco e a lei, di certo, non bastava. Solo il piacere che la nicotina le procurava poteva essere sostituito dalla scrittura solo che, dannata, non riusciva a mettere giù tutti i pensieri che piano la uccidevano.
Fumando al davanzale, decise che sarebbe tornata ugualmente in paese. Non sarebbe tornata per Veronica, sarebbe tornata per dare una svolta a quella vita che stava diventando monotona.
E lei la monotonia la odiava eccome.
Si guardò allo specchio prima di partire. Nella penombra della stanza, osservò la sua figura avvolta nel vestito verde scuro che indossava e che lento le scivolava sul corpo, poi seguì i capelli castani che lo imitavano lungo schiena. Si prese del tempo per scrutare il suo viso stravolto, toccò quel grande specchio tentando di carezzare i suoi occhi che un po' tristi erano diventati. Non riuscì a sfiorare il vetro. Non ci riuscì. Si era sempre negata il tocco di una carezza: poi fanno male, si diceva.
Si voltò, prese la sua borsa contenente lo stretto necessario e chiuse la porta dell'abitazione che si era presa cura di lei.
"Ti saluto. Prima o poi torno a farti visita" furono le parole che rivolse col pensiero all'appartamento antico. Baciò le sue dita, posò quel bacio sulla serratura della porta, poi si voltò e andò via.
Quel venerdì afoso di luglio, Desiderata salì sul primo treno, decisa a tornare in paese.
Compose il numero della madre mentre il mezzo andava spedito.
«Pronto?» la voce di Maria sostituì gli squilli.
«Pronto? Mamma sono io».
«Desiderata come stai? Cos'è questo rumore di sottofondo? Dove sei?»
«Mamma sono sul treno, sono a tre fermate prima della mia. Torno in paese per un po'», disse incerta. Guardò fuori dal finestrino e riconobbe il territorio siculo. Abbassò la tendina.
«Torni? E Per quanto resti?» chiese la donna contenta.
«Non lo so mamma», sospirò.
«Va bene, va bene, non è importante adesso! Tra quanto arrivi, lo sai? Ti preparo il pranzo? Hai pranzato?»
«Tra circa quaranta minuti dovrei essere lì».
«Desiderata, ti preparo il pranzo?» insistette la donna.
«Mamma ho già mangiato e sono le sei del pomeriggio...» strinse la pancia con il braccio e si chinò piano poggiando il capo al sedile di fronte.
«Tutto apposto?» chiese ancora la donna.
«Sì ma', tutto bene», rispose quasi sconsolata.
«Va bene, ci vediamo a casa allora. Fai attenzione sui mezzi».
«Sì mamma, a dopo» sentì solo la linea cadere e il proprio sospiro lasciare la bocca.
Dieci minuti più tardi, scese alla stazione del paese, ma si pentì: non le era mancato affatto quel posto.
Lo spazio di Cenere:
Grazie per aver letto il primo capitolo di Come Matriosca!
Questa è la seconda pubblicazione, nonché riscrittura, del capitolo. Sarà dura la stesura di questo racconto!
Ti chiedo di lasciare una stella di supporto se il capitolo ti è piaciuto e un commento se cambieresti qualcosa o se hai da farmi qualche critica costruttiva: sono desideroso e aperto a uno scambio di opinioni ;)
Ti prego anche di condividere la storia con più persone possibili, il passaparola è essenziale. Confido in te! Grazie!
Prossimo aggiornamento: giorno 28 maggio 2022
- Cenere
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