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4 ~ Gente strana

La giornata trascorse lenta, noiosa, priva di suoni, di voci. Neanche un visitatore fino all'ora di pranzo. Sergio aveva staccato da lavoro per una mezz'oretta, mangiato un panino e poi era tornato di nuovo al lavoro. Durante il pomeriggio erano stati sorpresi dalla visita di due ragazze e subito Filippo si era proposto di accompagnarle. Lo aveva osservato mentre spiegava loro cos'era il Nocturama, invitandole a entrare nello stanzino dalle pareti nere che si trovava al centro della sala, al primo piano. E quelle, fiduciose, vi erano entrate.

Sergio aveva sorriso con un pizzico di amarezza, rendendosi conto con quanta fiducia le due avevano seguito le indicazioni di Filippo. Forse era il contesto, forse era la faccia pulita di Filippo, il suo aspetto un po' da nerd, ma innocente. I suoi occhi azzurri, i capelli biondi, gli occhiali dalle lenti rettangolari. Non che ci fosse nulla di male nel Nocturama, né in Filippo, ma lui si domandò se le due avrebbero manifestato altrettanta fiducia se, invece di trovarsi dentro un museo, si fossero trovate da qualsiasi altra parte. Ogni cosa poteva celare un pericolo e Sergio lo sapeva bene. Anche il sorriso del ragazzo dall'aspetto più innocente poteva diventare cattivo.

«Appena finisci qui,» disse Filippo, avvicinandosi a lui e interrompendo i suoi pensieri. «Vedi se puoi spolverare un po' dentro.» aggiunse, indicando con un pollice proprio il Nocturama, mentre le visitatrici uscivano da lì.

«Ma è bellissimo!» disse una delle due e Filippo sorrise con orgoglio, tornando da loro.

«Voi siete tedesche?» lo sentì chiedere e le ragazze risero e scossero la testa.

«Di Palermo.»

«Ah! Bella, Palermo.»

Sergio scosse la testa e smise di ascoltare. Aveva già intuito dove quella conversazione sarebbe andata a parere e il suo interesse era venuto totalmente meno.

Entrò dentro la stanza del Nocturama e venne sopraffatto dall'odore di alberi, di foglie, di campagna. All'interno era stato riprodotto una specie di sentiero boschivo, con diversi animali robotici che si azionavano in piccoli movimenti, con tanto di luci e sottofondo musicale che emulava i suoni della natura, illuminando il percorso poco per volta. Spolverò alla meno peggio quella specie di pupazzi un po' inquietanti, aspettando il momento in cui venivano illuminati, cercando di sbrigarsi.

Non gli piacevano gli animali impagliati e nemmeno quelli che non lo erano, ma lo sembravano. Preferiva le altre riproduzioni di animali sparse per il museo, meno realistiche, ma ugualmente esaustive. I resti reali di ossa, i fossili. Le testimonianze di vite passate che si erano esaurite da sole, per un motivo o per un altro, in modo del tutto naturale.

Uscì da lì tirando un sospiro di sollievo. Si sbrigò a terminare di pulire, sentendosi irritato. Scese al piano inferiore e passò per il corridoio dedicato ai Carretti siciliani, arrivando nella sala in cui erano conservati e messi in mostra tutti gli attrezzi da pesca, le riproduzioni in legno di pescherecci, velieri, altri oggetti curiosi, e le tartarughe.

E Marco. Non in mostra, ma seduto al solito posto, davanti le Caretta Caretta. Si vedeva che gli animali erano pupazzi realizzati apposta, ma a Sergio piaceva così. Così come gli piacevano le foto degli animali reali, testimonianza di quelli che erano stati salvati dall'associazione che in paese si prendeva cura della fauna e dalla flora, della riserva naturale di Capo Rama. Delle tartarughe che, stando ai cartelloni di testo posti ai lati delle teche, per colpa dell'uomo, avevano finito per perdere la rotta, per restare impigliate nelle reti, in buste di plastica, salvate da altri uomini.

«Evita

Sì, Antonia era strana.

Come Marco, come Luca.

«Il pazzo

Come Tommaso e Carla.

«Siete tedesche?»

Come Filippo che usava modi squallidi e ridicoli per rimorchiare.

Come lui che aveva lasciato la sua città per trasferirsi in un altro posto che lo faceva sentire indesiderato.

«Ciao.» disse e sedette sulla stessa panchina di Marco. Il giovane si scostò subito, scivolando sulla seduta, e Sergio temette di avere commesso un errore.

«Ciao.» rispose Marco e quell'unica parola fu in grado di sciogliere i nervi tesi di Sergio. Forse non aveva sbagliato.

«Posso stare qui?»

«Puoi stare lì, sì.»

Era un modo buono come un altro per intimargli di non avvicinarsi di più a lui?

«Alla fine, sei venuto.»

«Come ieri e il giorno prima. Come tutti i giorni, te l'ho detto.»

Sì, era vero, glielo aveva detto, proprio quella mattina. Non lo aveva dimenticato, ma aveva dimenticato le sensazioni che la sua visione gli aveva scaturito fino al giorno prima.

Era tutto diverso, in quel momento.

Non era più il visitatore assiduo, ma Marco.

E aveva una sua voce, un suo modo di non guardarti in faccia. Le sue mani tremavano un po'. Doveva essersi accorto che Sergio le stava guardando, perché le contrasse a pugno e poi iniziò a rigirarsi i pollici con un certo nervosismo.

«Sono belle le tartarughe.» disse per tentare di spezzare la tensione.

Marco lo incuriosiva e Sergio sapeva di essere abbastanza strano da decidere di ignorare i suggerimenti di Antonia.

Antonia non lo conosceva, non immaginava neppure quanto lui potesse farsi deviare dal proprio cammino soltanto per inseguire una sensazione.

Sesto senso, lo avrebbe definito sua madre. Perché suo figlio era una persona tanto sensibile, perfetta pure da quel punto di vista.

Sergio preferiva definirla "folle curiosità", perché tutta quella curiosità non sempre lo conduceva su sentieri sicuri. Molti si erano rivelati, in passato, pericolosi. Alcuni persino terribili, altri no. Altri erano stati belli, si erano scoperti viali alberati pieni di fiori sparsi, come piccole gioie, pieni di luce.

«Non mi piacciono i rettili.» disse Marco e lui aggrottò la fronte, fissandolo in tralice.

«Le tartarughe sono rettili.»

«Lo so.»

«E non ti piacciono.»

«No.»

Sergio rimase in silenzio e tornò a fissare le tartarughe. «Allora... perché?» chiese ed era certo che non fossero necessari ulteriori dettagli per rendere quella sua domanda comprensibile dall'altro. Era bello sapere di stare avendo una conversazione con lui così "esclusiva". Se fosse arrivato qualcuno in quel preciso istante, non avrebbe capito il senso della sua domanda, ed era doppiamente bello che fosse così.

Così, solo di loro due.

«Non mi piacciono i rettili.» ripeté Marco. «Ma le tartarughe sono quelle più sopportabili alla vista.»

«E quindi?»

«Sei curioso.»

Non era una domanda, ma lui sorrise e decise di rispondere lo stesso. «Sì, sono un tipo curioso.»

«Non mi piace che le persone siano così curiose su di me.»

«Perché?»

«Certe cose... è meglio tenerle per sé.»

Vero, pensò. Forse era esattamente quello che aveva sempre sbagliato: non aveva mai avuto segreti per nessuno. Nessuna maschera, nessuna costruzione. Era sempre stato se stesso, nel bene e nel male, e troppo spesso era stato qualcosa che gli si era ritorto contro. Le persone tendono a individuare subito le debolezze degli altri. Alla minima occasione sanno come ferirti. Gli animali no. Se hanno paura attaccano, ti uccidono, non ti lasciano ad agonizzare in preda a ferite invisibili all'occhio.

Forse era per questo che preferiva gli animali alle persone. E detestava gli animali imbalsamati, imprigionati in corpi destinati a restare inalterati nel tempo, vuoti dentro, distrutti, uccisi da troppe ferite invisibili all'occhio.

«Perché non ti piacciono i rettili?»

Marco sospirò e scrollò le spalle. «Mi fanno paura. Paura davvero.» Eccola la debolezza, all'interno di una conversazione innocente. «I rettili hanno tutti la faccia simile. Le tartarughe mi fanno meno paura.»

«Speri di guarire dalla tua paura?»

«Spero di riuscire a controllarla. Non mi piace avere a che fare con cose che sono fuori dal mio controllo.»

«Capisco.»

Rimasero in silenzio per un po', poi Marco si alzò e fece per andarsene. All'ultimo istante parve ripensarci e tornò sui propri passi.

«E tu?» chiese e Sergio sollevò le sopracciglia, abbastanza stupito da quella domanda.

«Cosa?»

«Perché mi fai tante domande e poi non rispondi alle mie?»

Sergio sorrise. «Sono un tipo curioso, te l'ho detto. Quello che non sai ancora è che... sono anche un tipo noioso.»

«E allora?»

«Allora non penso proprio che ti interessi ricevere risposte da me.»

Marco aggrottò la fronte e rimase in silenzio per qualche istante, come se stesse riflettendo.

«Come l'hai capito?» gli chiese dopo un po'.

«Cosa?»

«Che non sono un tipo curioso.»

«Ah. Questo. Beh. Non hai la faccia di uno che si aspetta delle risposte, solo la faccia di uno che ti fa domande perché pensa che l'altro si aspetti di vedersi ricambiato il proprio interesse.»

«Per cortesia.»

«Cortesia, sì.»

«Sono gentile.»

«Sì, ma non c'è bisog–.»

«Menomale.» lo interruppe Marco e tirò un sospiro di sollievo. «Devo andare,» aggiunse subito dopo. «Stanotte lavoro.»

«Che lavoro fai?»

«Sono un pescatore.»

Sergio si stupì ancora. Era quasi scontato incontrare un pescatore in un paese di pescatori, ma Marco non aveva la faccia da pescatore.

«Ciao.» disse il giovane, strappandolo dai suoi pensieri. «Ah. E comunque questa è la mia faccia. Tutto quello che hai detto ce lo vedi tu.» e se ne andò senza dargli il tempo di rispondergli, né, soprattutto, di scusarsi.



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