Capitolo 2: Incontri...
Quella notte non dormii. Continuavo a rigirarmi nel letto ripensando che, a qualche corridoio di distanza c'era James. Come era possibile che le cose fossero cambiate in quel modo per noi?
Ripensai a quando, sotto la neve, la notte di capodanno, mi aveva chiesto di passare il resto della vita con lui. Mio padre aveva già dato il suo consenso ed io non potevo essere più felice di poter sposare l'uomo che amavo.
Quanto ero stata fortunata a trovarlo, solo allora me ne rendevo conto. I matrimoni dell'aristocrazia inglese erano per la maggior parte combinati. Soldi, titoli, proprietà, conti in sospeso, ambizione, queste erano le ragioni per mettere l'anello al dito e dare alla luce tanti eredi. Per me e James era stato diverso: eravamo cresciuti praticamente insieme e riuscivamo a capirci con un solo sguardo. Eravamo perfetti, meravigliosi e ricchi. Niente avrebbe potuto turbare la nostra quiete, il nostro piccolo paradiso in terra. Niente, eccetto la catastrofe che era piombata su di me la stessa notte in cui avrei potuto coronare la mia felicità.
Strinsi i pugni e soffocai un urlo nel cuscino. Tuttavia, non avrei pianto, non quella volta. Avevo promesso a me stessa che non avrei versato più lacrime, sarei andata avanti, a testa alta, fiera come ero stata educata ad essere.
Quando mi alzai era ancora buio, ma un leggero rossore sembrava attentare all'oscurità della notte appena trascorsa. Non avevo chiuso occhio ed ero distrutta.
Mi vestii, acconciai i capelli in una crocchia e misi la cuffia per poi legare ben stretto il grembiule.
«Buongiorno Napoleone!» esclamai cercando di sembrare entusiasta una volta davanti al recinto dei maiali. Quando mi videro portare il secchio con gli scarti e gli avanzi della sera prima si ammassarono davanti allo steccato. Napoleone fu il più veloce e cercò perfino di salirvi sopra. Per fortuna la sua stazza non glielo permise ed io potei limitarmi a rovesciare il pastone nella mangiatoia poco distante. Gli animali si fiondarono a mangiare, come belve sulla preda.
Poi vennero le galline e le oche, tutte starnazzi e pigolii. Mentre beccavano contente raccolsi le uova e le portai in cucina riponendole con cura dove mi aveva spiegato la signorina Murray.
Infine, prima di andare a rassettare le stanze, dovevo accendere i fuochi al pian terreno. Presi la paletta di metallo, scopa ed il secchio per la fuliggine e mi avviai cercando di non inciampare o fare baccano. Quando arrivai però allo scalone principale, di fronte a cui sarei dovuta passare per compiere il mio lavoro e raggiungere le sale di mia competenza, mi bloccai: James stava scendendo i gradini a passo veloce, già vestito e pronto per andare.
Cercai di fare dietrofront e di dileguarmi prima che mi vedesse, ma la zavorra che portavo era troppo pesante e non me lo permise, rendendo la mia camminata goffa e instabile.
«Signorina?» lo sentii chiamare alle mie spalle. Non mi voltai ed eccellerai il passo. Avevo il cuore a mille e speravo desistesse.
«Signorina!?» chiamò ancora e sentii che era a pochi passi da me. Non potei non fermarmi, ma non mi voltai.
«Rose, Rose... signore» mormorai sperando che non riconoscesse la mia voce.
«Ehm, Rose» ripeté lui stupito forse dalla mia precisazione.
«Sapete se il mio cavallo è pronto?» chiese poi garbatamente.
Il mio James era sempre gentile, pacato ed incredibilmente dolce con tutti e mi trovai inevitabilmente a sorridere.
«Mi dispiace signore, io pulisco solo i caminetti» risposi aggiungendo un colpo di tosse alla fine.
Speravo davvero che non mi riconoscesse, l'umiliazione di vedermi così sarebbe stata una ferita troppo grande. D'altro canto però mi sentivo stupida a rimanere di spalle. Che domestica come si deve l'avrebbe fatto? Avrei dovuto voltarmi, fare un leggero inchino e guardarlo sottomessa. Il mio comportamento doveva essergli sembrato parecchio strano.
«Con chi stai parlando Seymour?» una voce, proveniente alla cima delle scale, si aggiunse alla prima. Distinsi chiaramente il tono morbido del padrone di casa che avevo sentito nel buio del corridoio la sera prima. Era una voce strana, aveva un che di avvolgente, come un mantello di morbido velluto.
Approfittai del momento e della disattenzione di James per riprendere la marcia e nascondermi dietro alla porta da cui ero venuta.
«Con la signorina Rose che pulisce i camini e a cui piace svignarsela senza dare spiegazioni, a quanto pare» rispose lui a voce tanto alta che potei sentirlo.
«Non farci caso, deve essere quella nuova che la signorina Murray mi ha scongiurato di assumere al posto di Mary» disse la voce del padrone di casa «a quanto dice lei non durerà molto, ma è il meglio che ha trovato, quindi... per quello che importa a me delle cameriere, ovviamente» concluse Lord Stuart.
«Bè, non l'ho nemmeno vista in faccia» aggiunse James ridacchiando «dii alla signorina Murray di assicurarsi che siano educate la prossima volta» concluse, ma senza troppo rimprovero nel tono di voce.
«Non ti saresti perso niente, mi ha assicurato che non si tratta di una creatura tanto piacevole alla vista» disse il secondo uomo riprendendo mentre i passi rimbombavano nell'atrio.
Il mio orgoglio fu ancora una volta ferito da quelle parole. Quando ero ricca tenevo molto al mio aspetto, forse anche troppo. Usavo unguenti costosi per far splendere incarnato e capelli, adoravo gli oli profumati e vestivo cercando di seguire le mode del momento. Tanto sforzo per nulla...
Al momento comunque era vero quello che Lord Stuart aveva appena detto: la mia persona, la mia pelle ed i miei capelli non erano più quelli di un tempo. Anche i miei occhi, color miele e pieni di luce erano spenti e contornati da occhiaie. Avevo cominciato ad odiare la mia immagine allo specchio, come il mio incarnato che, dal suo pallore etereo, era passato ad un colore più olivastro a causa delle numerose giornate passate all'aperto per guadagnare qualche soldo. James un tempo mi chiamava "il suo cigno", quel giorno probabilmente non mi avrebbe nemmeno riconosciuta.
«Per te nessuna sarà mai all'altezza, Henry» la voce di James mi scosse dai miei pensieri. Il suo tono aveva una punta di rimprovero misto a tristezza.
Lui non rispose e sentii solo un paio di stivali pesanti avviarsi fuori. Il resto della conversazione non lo udii perché richiusero la porta alle loro spalle.
Quando fui certa che se ne fossero andati, in fretta mi misi a spazzare per bene i camini del pian terreno. Volevo finire il prima possibile e potermi rifugiare al piano interrato senza dover vedere anima viva.
Non era fra le mie mansioni, ma pulii anche quello in cucina e poi lo accesi. Quando il fuoco cominciò a scoppiettare sedetti sul sedile di pietra vicino al grande caminetto. Era caldo e piacevole ed il torpore mi cullò per un poco. Ero già esausta e la giornata non era nemmeno a metà.
«Lady Hampton è furiosa» disse Judith entrando in cucina con il vassoio della colazione della contessa. Lo aveva appena portato in camera sua ed era tornata con i piatti praticamente intatti.
«Mangiate, se avete fame, qui non si butta via nulla!» esclamò la signora Perkins indicando quello che Judith aveva posato sul tavolo centrale, dove venivano preparate le portate.
«Lord Stuart è uscito presto e ha lasciato qui i suoi ospiti senza dare spiegazioni. Soprattutto Lady Edwards...» lanciò un'occhiata eloquente alla signora Perkins.
«Quindi non ha ancora rinunciato?» chiese la signora Perkins continuando a mescolare il composto nella terrina.
Erano quasi le dieci ed io stavo già pelando patate. Non avrei più mangiato patate per il resto della mia vita se ogni giorno fosse stato così. La cuoca, però, era rimasta stupita quando aveva visto il fuoco scoppiettare nel camino e mi aveva rivolto un sorriso grato. Speravo che, con il passare del tempo, mi avrebbe premiata con qualcosa che non fosse da sbucciare. Tuttavia, non avrei mai dato a vedere il mio fastidio, volevo che mi trattassero come loro pari e non come una ragazzina viziata che ha avuto tutto, compresa troppa sfortuna.
«A quanto pare no» rispose Judith prendendo la fetta di torta ancora intatta ed addentandola. la signorina Murray si fiondò invece sul porridge e, nonostante la stazza non fosse la stessa, mi ricordò molto Napoleone. Trattenni un sorriso. Io ringraziai, ma declinai l'offerta quando la signora Perkins mi disse di approfittare del lauto banchetto.
«Tu conosci Lady Edwards, Freya?» chiese Judith voltandosi verso di me, con la bocca ancora mezza piena e la voce impastata. Alzai un attimo il viso dal secchio delle patate per poterle rispondere e ovviamente smisi anche di usare il coltello.
«Sì, non bene, ma sì» risposi. Judith, la signorina Murray e la signora Perkins si voltarono verso di me con improvviso interesse.
«E' vero quello che si dice, che sia molto ricca?» chiese ancora Judith. La rimproverai con lo sguardo e lei capii il mio monito. Dopo la conversazione della sera prima non mi aspettavo quella domanda.
«Sì, viene da una famiglia molto in vista a Londra e a corte» risposi.
Avevo incontrato Lady Eleanor Edwards solo un paio di volte poiché era più piccola di me al tempo e non era ancora stata presentata in società. Mi era sembrata subito una bambina viziata, ma chi di noi ragazze non lo era? C'era da ammettere però che era abilissima con il pianoforte ed aveva una voce invidiabile. Io ero un'oca starnazzante a confronto.
«Con noi non è molto gentile...» disse la signorina Murray dopo aver finito di divorare il suo piatto di porridge.
«Comunque non vedo l'ora che se ne vada, che se ne vadano tutti!» esclamò la signora Perkins. La sua espressione mi fece quasi sorridere: aveva alzato le mani e imprecato il silenzio per poi farsi il segno della croce come a chiedere perdono.
Era la prima volta che sorridevo davvero da quando avevo perso tutto.
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