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Sos Abyss


Compresi parecchie cose quel pomeriggio.

Cantilenanti e colme d'informazioni sonore furono le parole di Sun durante quella giornata. Abbracciai lievi sfumature dello squalo che, all'apparenza, non avevo affatto notato.

Avevo già appreso da Dora che Dion, insieme alla sua famiglia, abitava nella villa situata di fronte al giardino dell'abitazione nella quale soggiornavo io. Tuttavia, non avevo mai osato chiedere informazioni a riguardo proprio ai suoi zii - non ne avevo il coraggio.

Orfano di madre, un povero rapace marino solitario e burbero galleggiava ombroso e quasi inavvertibile nelle acque celesti, dove vi erano tante prede e pochi simili.

Ma analoga era la mia situazione.

Senza madre e cresciuta da un padre gentile e cordiale - però, la mia vitalità non era foderata da pezze di arcigni, neri come la fuliggine.

E scivolai nella consapevolezza che non eravamo due esseri compatibili, che lui, nel mio profondo, avrebbe solo germogliato tanta collera, aggressiva da graffiarmi i pendii delle arterie, da cristallizzare il sangue in particelle di impeto ombroso.

Il resto della giornata scivolò via in un istante infinitesimale, portandosi con sé qualche bruciatura magenta e ardente sulle mie guance dipinte.

La pelle cominciava a divenire arida, lucrosa di esantemi da sole. Fortunatamente quelle dune microscopiche si confondevano precisamente tra le lentiggini cioccolato e con una buona crema la mia pelle avrebbe riacquisito la tonalità lattea e candida da nord-europea.

Avevo trascorso il mio primo giorno di scuola con l'unica persona che si avvicinasse al sostantivo "amica".

Sun era cordiale, affabile, ospitale. Un garbuglio di vitalità prorompente pronta a bombardare chiunque con raffiche di parole echeggianti e policrome: mi aveva inondata di informazioni sui professori... cose che voi comuni mortali non potete neanche lontanamente sognare.

Conosceva le materie di tutti i corsi presenti all'interno dell'istituto e le aveva categorizzate e classificate in ordine alfabetico, dal nome più corto a quello più lungo.

Ogni sfaccettatura di qualsiasi studente o studentessa, a lei non poteva certo rimaner recondita.

Nulla sfuggiva a quel prezzemolino raggiante.

Mi aveva persino invitato ad iscrivermi ad uno dei corsi extracurriculari che trovava grandiosi e interessanti.
Avevo dato un'occhiata fugace al programma e, con profondo interesse vivace e il cuore cosparso d'un emozione velata, avevo deciso di prender parte al gruppo di volontariato S.O.S Abyss, il quale si occupava della cura di animali marini in difficoltà.

Il centro si trovava a pochi isolati dall'istituto, e riuscivo perfettamente a far combaciare le ore di lezioni con quell'impiego tanto acquietante ma sicuramente molto dinamico.

Ero una ragazza di cuore, dai sorrisi vaghi e plasmata da voragini emotive nascoste. Sicuramente mi sarei portata a letto, la sera, tormenti frastornanti di povere creature in difficoltà che mi avrebbero reso inabile il sonno, tuttavia avrei dedicato l'anima per un'attività così vitale.

Si, il giorno successivo mi sarei recata in segreteria a fare richiesta, sperando ci fosse ancora un posticino per la nuova ragazza pel di carota, allampanata e vulnerabile come una stella marina, ma dal fegato ferreo come un pescecane.

«Cosa fai, Maui?» pigolò Dora, arrestando la mia osservazione mentale mentre giocherellavo negligentemente con l'angolo del foglio intarsiato riposto sul tavolo di fronte a me.

«Oh, pensavo di far richiesta per questa attività extrascolastica... che ne pensi?» la guardai dritta negli occhi, ricercando dietro le sue iridi brune un segnale d'approvazione, che mi diede nell'immediato.

«Lo sapevo... lo sapevo!» strillò con il suo solito canovaccio lilla tra le dita della mano, sventolando con baldoria ed esultanza. La stranezza che bagnò il mio sguardo, in quell'istante fugace, fu rapida.

«Lo... lo sapevi?» domandai con visibile estraneità. I miei occhi scivolarono fulminei sul tavolo alla quale ero seduta e le mie dita si ritrassero dal piano liscio e delicato, lasciando un sottile e fioco alone dove il mio palmo era adagiato da diversi minuti.

«Ormai son passati circa vent'anni da quando mio fratello ha aperto il suo centro di soccorso marino» affermò beata mentre rovistava concentrata tra un groviglio di rotocalchi presenti su un mobile laccato nel salotto, «Oh, eccolo qui», parlottò infine stringendo tra le mani un opuscolo.

Lo depose sopra i miei moduli lattei, mentre la seguivo dilettata con lo sguardo.

«Quel centro appartiene a Eden... e a Dalia», miagolò con la commozione che si disperdeva come vapore nell'etere profumato «Saranno contenti di averti con loro, bambina» terminò cingendo il mio capo e poggiandolo delicatamente al suo petto.

Ondeggiai sulla sedia, come se fossi in procinto di perdere l'equilibrio da un momento all'altro, ma con brillante estrosità mi sciolsi oculatamente dalla stretta della donna.

Sentii il calore formicolarmi sul collo, giungendo le gote «Non.. non so se c'è ancora disponibilità per quell'attività».

Il canovaccio atterrò rapido sulla sedia accanto alla mia «Non scherzare, Maui!» esclamò briosa, «Per te ci sarà posto dove vorrai», e in un battito di ciglia scivolai nella consapevolezza che, se avessi realmente voluto un posto all'interno di quell'istituto, avrei solo dovuto chiedere a lei.

«Domani farò richiesta alla segreteria studenti».

«Bene, bene, bene!» sospirò, «Ahh... quanto son contenta. Ormai, sei di famiglia», cinguettò rapida dileguandosi dietro la porta che conduceva in cucina.

E nel baleno solerte nel quale raccolsi le pagine intrise di china, mi giunse di nuovo la sua voce.

«Oh, Maui» mi richiamò ululante tornando in salotto, «Stasera ceneremo con Eden. Potrai dargli tu stessa questa splendida notizia».


*


Quella sera adornai il mio corpo con molta attenzione, con una cura limpida, quasi estranea alla persona che ero.

L'adrenalina per la cena imminente lasciava strascichi sul mio volto, ben visibili nel riflesso ormai bronzeo che intravedevo nello specchio.

I fili arancioni che ricoprivano il capo ondeggiavano in una cascata morbida lungo le spalle; solo il ciuffo, asimmetrico rispetto al resto della chioma, l'avevo racchiuso in un piccolo chignon con delle fastidiosissime forcine.

Mi sfiorò una vaga idea di togliere i pochi cosmetici che avevo portato dal beautycase, riposto ancora nell'angolo inferiore della valigia, esattamente dove l'avevo lasciato qualche giorno prima.

Indugiai nel vedere tutte quelle lentiggini dipingermi il volto sempre più insistentemente, sempre più lampanti e innegabili, ma decisi di non acquarellare il viso per un appagamento altrui.

E quello fu il primo passo verso l'accettazione delle mie minuscole crusche.

Nell'ombra delle mie immaginazioni, Dion avrebbe appreso che la scortesia e l'indelicatezza nei miei confronti non valicavano neanche scarsamente il mio onore, o la mia dignità.

O probabilmente era quello a cui io volevo prestar fede, ciò a cui avrei voluto veramente credere.

Una pennellata tenue di burro cacao, un'innaffiata dal profumo fruttato, e arrivò lestamente l'ora del pasto serale.

Toccai nuovamente i capelli, increspandoli con le dita, raggrinzendoli sulle punte carota, e uscii dalla mia camera sfrontatamente, pronta a spiattellare una sfrontatezza che germogliava come un fiore primaverile nel mio corpo, in un terreno arido all'odio, inadatto a quel sentimento.

Mentre varcavo l'uscio della mia camera, sentii la porta d'ingresso chiudersi in un suono volitivo, fermo. Poi, solo lo schiamazzo degli ospiti che salutavano con chiara gaiezza Dora e Jonah, mentre mi avvicinavo alle scale.

Affiorò al mio udito la vibrazione grave della voce di Dion, e appresi con chiarezza distinta ed anche una curiosità intrigata la domanda che rivolse «Lei dov'è?».

Non ricevette alcuna risposta... feci sentire la mia presenza incombente scendendo il primo gradino, con una determinazione lampante, sbattendo la pianta del piede sul legno lucente.

Mi sentì - e si accorse della mia esistenza, con la quale doveva convivere, mentre io, cercavo di sopravvivere.

«Ciao, tesoro» pigolò Dalia venendomi in contro, mentre il mio sguardo era rivolto ai fili di seta corvino dello squalo.

Ricambiai l'abbraccio nel quale mi strinse, e affiorò al mio olfatto il medesimo profumo della sera precedente. Avrei voluto tanto chiederle di quale fragranza si trattasse, un nettare seducente, incantevole.

Scorsi il volto simpatico dei due fratelli minori, ed Hadley mi propose esaltante i suoi bolidi «Maui... Ho portato delle macchinine, giochiamo?».

«Certo, piccolo».

Dopo aver salutato anche Jade ed Eden, tornai ad orientare la mia attenzione su Dion, attendendo diligentemente un saluto da parte sua... mi sembrava assolutamente doveroso.

Ma lui, ruotando il viso di 180 gradi, distolse l'interesse dalla mia figura, mitragliandomi silenziosamente con un disinteresse invadente.

«Che ne dite di sedervi a tavola?» propose Jonah graffiando quel mutismo scomodo.

Rimasi spiacevolmente sorpresa dalla presenza che Dion ci donò a stenti quella sera e, seguendo gli altri verso il banchetto accuratamente preparato nel giardino posteriore all'abitazione, posai la mia ombra a pochi centimetri da quella dello squalo.

Senza che gli altri potessero percepire la sua voce sussurrata, il ragazzo grattò il mio udito a breve distanza «Ed io che pensavo di potermi godermi la cena senza averti di fronte».

«Ti è andata male, mi dispiace», sfoderai un sorriso che neanche un boy-scout dopo aver montato impeccabilmente la sua tenda, per la prima volta, avrebbe fatto.

«Ricordati, lentiggini» accerchiò celermente la mia arroganza, facendola sfiorire sul nascere «Tu, qui, non sei nessuno».

Sentii avvizzire il mio contegno, mentre innaffiava accuratamente il rovello che s'ingrandiva gradualmente sotto ogni lembo di pelle.

Digrignai canini, molari e pure premolari, domando l'ira tra i denti stretti e deglutendo la bile del disgusto che inondava il palato, vestendolo d'amarezza.

Facendo appiglio al barlume di impassibilità che intravedevo infondo alla mente, mi sedetti al tavolo, di nuovo vicino a Dalia - nell'unico e ultimo posto rimasto.

Una raffica di correnti discrepanti che si facevano strada tra scogli rocciosi e taglienti mi attraversavano i pensieri quando cercavo di comprendere le grinze che si piegavano sul volto di quel ragazzo.

«Eden», cinguettò Dora richiamando l'attenzione del fratello, «Maui vorrebbe dirti qualcosa».

«Beh, ecco» iniziai a balbettare qualcosa con cautela, «Sai, io pensavo...» deglutii.

«Hai bisogno di una vocale?» ironizzò tagliente lo squalo.

Graffiai il suo sguardo arrogante, aprendo un sorriso a mezza luna «A dire il vero no. Volevo dirti, Eden, che mi piacerebbe molto iniziare l'attività extra curricolare presso il tuo centro marino... ecco, se a te fa piacere, ovviamente».

Scoccai un ventaglio di sorriso a Dion, soddisfatta della mia risposta.

«Non volevo chiederti di unirti a noi per non sembrare troppo insistente, Maui» sospirò, e poi bevve un sorso di rosso dal suo calice immacolato «Ma non potrei essere più entusiasta di così. Benvenuta in famiglia, tesoro».

Si sollevò dalla sua postazione, avvicinandosi e porgendo le sue labbra calde sulla mia fronte. Successivamente, anche Dalia poggiò la sua bocca ruvida sulle mie guance, scoccando due baci caldi, forti, vigorosi.

«Beh, a dire il vero non ho ancora fatto domanda in segreteria» affermai con la certezza della risposta che mi sarebbe arrivata da parte di Eden «Se non c'è più disponibilità, dovrò cercare qualcos'altro di altrettanto interessante».

«Non scherzare, ritieniti già parte della squadra. Dalia ti darà tutte le informazioni necessarie, puoi cominciare quando vuoi, Maui».

E dopo aver ricevuto quell'inaspettata proposta, le persone al tavolo iniziarono a mangiare... tutte tranne me e Dion, che ci squadrammo perfidamente con brezza di sfida ed intimazione.

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