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Shark




Durante il corso dell'intera cena il mio stomaco brulicava ogni qualvolta ingerissi una patata arrosto, calda e morbida come quelle che mi cucinava attentamente il mio babbo.

Jace punzecchiava le diverse portate, lasciando ogni volta un angolino di cibo nel suo piatto: mosaico su ceramica, pensai.

Dalia aveva deciso di sedersi accanto a me, avvolgendomi nel suo profumo dolce e fruttato «Tesoro, non sai quanto io sia contenta di conoscerti...». Malinconica era la sua voce delicata, come se vi fosse qualcosa nei miei lineamenti che la commuovesse a tal punto da farle scivolare gli occhi in una lucidità emotiva considerevole.

«Ho sempre desiderato per i miei bimbi una sorella maggiore» saldò il volto verso il minore e continuò con voce cospicua «Tu sei perfetta». E si incantò nel mio sguardo che assunse pieghe indecifrabili dinanzi a quelle affermazioni ricche di lodi.

«Grazie» arrossii, «Ma...ma loro hanno Dion, no?» non capii se stessi pronunciando una domanda oppure un'affermazione, o forse era un groviglio d'entrambe.

«Oh, Dion. Lui è figlio di Eden, non mio. Ma è come se lo fosse» dilatò un sorriso materno che mi fece intenerire anche la parte più recondita del mio cuore articolato, un lato nebbioso che i miei sentimenti non avevano mai svestito.

«Comunque, è diverso. Tu sei donna».

«Eh si sa, siamo arte, cara Maui», intervenne Dora acuminando il pensiero della cognata.

Rimasi silenziosa al cospetto di questo discorso: nell'arco della mia vita non ero mai stata omaggiata dalla presenza di una figura femminile che mi facesse da strada maestra nei periodi foschi... e neanche in quelli candidi.

Mia madre era deceduta dandomi alla luce, e di lei non mi rimase altro che una placca di marmo livido con un vaso di rame arrugginito, nel cimitero di paese. Non una foto, non un ricordo, non una poesia. Un'immagine astratta che mi plasmavo nella mente ogni qualvolta qualcuno nominasse il sostantivo intoccabile e a me lontano di mamma.

Ed io ero l'unica donna, per me stessa e per mio padre.

Ero una ragazza molto modesta, una di quelle che condividevano il proprio corpo con l'eterna bambina che vi è dentro. Che poi, probabilmente, il divenire matura era per me un traguardo ancora lontano, così intangibile, quasi immateriale.

Ero nella fase della giovinezza, talvolta incastrata tra i grovigli di una adolescenza fragile, che mi rese costretta a crescere troppo in fretta mentre restavo la piccola di papà.
Una di quelle che si emozionavano ancora per un cono di gelato e ci si sporcavano pure la maglietta, cercando insistentemente rimedi per togliere la chiazza caparbia che rimaneva immutata per giorni, addirittura mesi. Che poi, gli indumenti si ricomprano, ed è meglio una patacca di gelato che una camicia pulita intrisa di tristezza e solitudine.
Una tipa così, un po' trasognante, a cui piaceva fantasticare tra i versi di poesie e romanzi rosa. Tra Jane Austen e Shakespeare, sulle spiagge delle cartoline e nella notte di Van Gogh.

«Non la penserai come loro, vero?» mi chiese Eden rallegrato e sarcastico.

«Credo che, noi, siamo uniche nel nostro genere» osai rispondere con convinzione.

Mi guardarono ammutoliti, scossi probabilmente per la mia risposta determinata, mentre Dalia cinse il suo braccio intorno alle mie spalle «Mai stata più d'accordo».

Prima che Dora potesse servire il dolce che sua cognata aveva gentilmente portato in onore mio, passai qualche decina di minuti sul tappeto insieme ad Hadley.

Le macchinine sfrecciavano con rapidità sul pavimento fresco, mentre si catapultavano in tripli giri mortali senza sgomento o angoscia. Una di loro perse un fanale, mentre la Ferrari che impugnavo tra le mani aveva già smarrito le ruote anteriori. Nell'istante in cui raccolsi la carica giusta per il volo dell'angelo del mio piccolo bolide, suonò il campanello.

«È arrivato Dion» si alzò Dora dal tavolo, dirigendosi verso la porta d'ingresso. La aprì con grinta evidente e invitò il nipote, nascosto nella penombra, ad entrare.

Sotto il bagliore del lucernario, brillò una bellezza maschile che prima di quel palpito singolare non avevo mai scorto.

Due iridi plumbee, di un grigio incantato, oserei dire raro. Solo in vicinanza si potevano scorgere dei lievi punti luce tendenti all'argento. Dietro due occhi così profondi, a sentimento, avrei pensato di trovare una sensibilità importante. La sottile linea di confine tra la pupilla e l'iride richiamava molto un color petrolio, rifletteva un abisso.

Il naso cadeva in una fine punta rosea in mezzo al viso immacolato e i capelli bruni scivolavano in boccoli abbozzati lasciando intravedere a malapena la fronte.

Ma lì, sul viso, notai immediatamente due zigomi taglienti, acuminati. Scolpiti nella pelle rosata come fossero scalpellati in una lastra di marmo pregiato.

E le labbra. Santo cielo, che labbra.  Rigonfie sulla parte inferiore del viso, color cardinale, si piegavano vanitose in un leggero ricciolo verso le guance. Un ineguagliabile fascino straordinario, mai scorto prima di quell'istante.

Distogli lo sguardo Maui, imposi a me stessa quando m'accorsi che lo stavo fissando così intensamente da scalfire la sua bellezza proibita.

Ma nel secondo in cui raccolsi la mia flebile volontà per voltare l'attenzione verso un altro membro che vi fosse nell'abitacolo, lui incrociò i miei occhi.

Le mie umili pupille, che in confronto alle sue non erano altro che dei pesci rossi, rimasero impietrite. Dei maledettissimi e comunissimi pesci rossi.

I suoi invece, i suoi erano coralli. Lui era una Symphyllia ed io la Dory di circostanza che ammirava la sua bellezza e la sua luminosità nelle acque intime del mare.

Cessai il contatto visivo all'istante, percependo un calore carminio in ogni singola parte del mio corpo. In quel preciso attimo avrei voluto maledirmi per averlo fissato così a lungo, e pregai che lui non facesse lo stesso con me. Avrei provato un irrespirabile imbarazzo.

Dora si posizionò a ridosso del mio corpo, posizionando dolcemente le sue mani sulle mie spalle snelle «Lei è Maui».

Eden fissò il figlio maggiore negli occhi, cercando un'impronta d'approvazione sul suo viso inamovibile. Aveva conservato la medesima espressione sin dal momento in cui varcò la porta d'ingresso ed io mi sentivo inesatta in quel posto, con la sua presenza quasi soffocante.

«Si, ciao» furono le uniche due parole, inerti e disinteressate, che uscirono dalle sue labbra aride.

Si, ciao.

Si, ciao.

Si, ciao.

«Ciao», bisbigliai a denti stretti con una lieve nota acerba di seccatura.

Avrei voluto prenderlo per il colletto della camicia, che indossava divinamente e ricopriva i suoi muscoli taglienti, insegnandogli face to face cosa fosse l'educazione.

«Dion, siediti», disse Dalia con un sorriso appena abbozzato che si apriva a mezza luna sul volto «E' avanzato del tacchino». Indicò con il suo dito elegante il vassoio che conteneva gli avanzi della prelibata cena, invitando con lo sguardo il ragazzo ad accomodarsi con noi al tavolo.

«Ho già cenato, Dalia», mugolò lui «Me ne vado subito».

Io e Hadley tornammo al tavolo, sedendoci con il resto della famiglia. Cercai di tenere le iridi fisse sulla tovaglia ricamata mentre trastullavo un povero orlo sgualcito. Non mi sembrava che il nipote di Dora avesse intenzione di restare con noi, né tantomeno era nei suoi lineari piani di conoscermi quella sera.

«Resta ancora un po', dai», lo pregò Jonah con un lieve tono acre di voce «Non vediamo l'ora di farti conoscere Maui».

Le mie orecchie ovattate dai pensieri si dischiusero nel momento in cui affiorò al timpano il mio nome. Quindi, scostai lo sguardo dai ricami elaborati rivolgendo un'occhiata titubante al ragazzo che si stava già dirigendo verso l'uscita.

Valicando le mie pupille opache stridulò tra i denti stretti «Magari un'altra volta».

I canini pungenti si intravedevano all'interno della bocca e sentivo pungere astrattamente la mia cute, infastidita dall'arroganza scarlatta che esalava ad ogni respiro, aguzzo come le spine minute di una rosa, che varcavano il mio animo, violandolo intimamente.

Suo padre si alzò cortesemente dal tavolo rivolgendomi un sorriso forzato, di plastica, non degno delle scuse che pensava di porgermi successivamente a causa del figlio.

Eden gli bisbigliò qualcosa, ravvicinando il suo volto a quello di Dion, che pareva un lenzuolo spento, spoglio di qualsiasi comunicazione non verbale, disadorno d'espressione, così imperturbabile da graffiare il mio disagio di quell'istante.

In un lampo di silenzio, dove l'unico suono che percepiva il mio timpano acuminato erano i rintocchi uniformati del mio cuore che pompava pioggia di onta ametista, il figlio oltrepassò il padre, dirigendosi negligentemente verso il tavolo al quale eravamo seduti.

L'attenzione che mi riservò, lo sguardo che mi rivolse una volta preso posto di fronte a me, fu turpe, color bistro, iniquo, con quegli occhi cenerei che mi fissarono nelle pupille per dei secondi interminabili, sconfinati.

Quando lasciò la presa, il mio volto continuò a respirare, incassando rapidamente ossigeno pulito che irrorò le vene, le arterie, gli organi, liberandoli da un'anidride d'imbarazzo e disdegno.

Presumibilmente una ragazza meno orgogliosa e sdegnosa di me non si sarebbe posta dilemmi di fronte ad un grattacapo tanto esecrabile e fastidioso, ma io, Maui, non avrei permesso a nessun essere di rovinarmi l'esperienza che la vita mi aveva riservato accuratamente... ed io, quel disprezzo, non lo meritavo.

Nessuno impose al ragazzo di rivolgermi la parola, di presentarsi, di far conoscenza con la nuova arrivata. Ed io, una maleducazione così naturale non l'avevo mai scorta.

«Maui, giochiamo ancora?» mi chiese Hadley, interrompendo la mia meditazione ombrosa.

«Ma certo, piccolo».

Come vapore tenue e inafferrabile, Dion si dileguò in un attimo fugace, senza lasciare una parola, un fonema, una sillaba... sbattendo la porta si dissolse nell'aria, come fumo di sigaretta.

Il disagio urlava nelle mie vene, e la disapprovazione latrava all'interno del mio corpo, urtando l'aria circostante, ed il mio silenzio abbaiava con giudizio sfavorevole verso quel ragazzaccio zotico ed arrogante che si era appena dileguato oltre l'ingresso.  

«Perdonalo, Maui. Lui non è fatto per le persone», asserì sconsolatamente Dalia, con gli occhi che trasparivano un'angoscia ed un dispiacere aggrottato, grigio, offuscato.

E quella sera mi coricai con una lieve nota di disprezzo che foderava la mia mente. I miei timpani una voce così grave e disprezzante non l'avevano udita neanche nei miglior film drammatici.

Un disdegno così amaro. Un'indifferenza così bruciante. Un disinteresse così ombroso. Un ragazzo così affascinante ma dall'anima fosca.

Mi addormentai con la mente ovattata da pensieri che riconducevano tutti a quell'individuo ambiguo.

Incantevole come un corallo ma caliginoso come uno squalo.

















Fuoco🔥

Ciao miei piccoli lettori!

Finalmente, dalle acque più profonde del pacifico, iniziamo ad intravedere lo squalo. Un arrogante, antipatico ed enigmatico animalaccio marino!

Che impressione vi ha fatto?

Tanti baci e tanti muffin per voi, che siete arrivati fino a qui 💗

Stige 💌

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