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ERIN

Non sempre le cose vanno come programmi o come speri. È assurdo come in un attimo tutto quanto possa essere spazzato via lasciandoti tra le mani solo un pugno di polvere, pronta a volare e a perdersi nel vento in un soffio.
Parlano tutti del primo amore ma non parlano mai del secondo o del terzo quando arriva, ti travolge e poi svanisce di punto in bianco. Non parlano delle volte in cui si perde un amore, del dolore che ti rimane addosso per giorni, mesi e forse anche anni. Un dolore che non dà spazio ad altro.
Da quel giorno, quello in cui mi ha lasciato andare, per me è stato un supplizio. Non dormo bene e se devo proprio chiudere gli occhi lo faccio sul divano perché il letto è vuoto senza di lui. E quando dormo per più di un'ora mi sveglio di scatto con il sorriso che presto muore sulle labbra, perché penso subito a quello che è successo e mi si stringe il cuore così tanto da fare male. Lo rivivo tutte le volte che chiudo gli occhi o mi fermo a pensare, l'istante in cui il mio cuore ha fatto un rumore atroce. E ogni singola volta, è sempre peggio. Non mangio più come si deve perché lo stomaco si rifiuta di tenere dentro qualcosa di solido. Mento sui miei rari spostamenti che, quasi sempre sono in direzione del parco o della spiaggia. Non rido. Parlo poco. Me ne sto in silenzio e da sola perché non sono di compagnia.
Non faccio altro che contare i minuti che separano il giorno dalla notte e perdermi nell'incessante ticchettio dell'orologio che distrugge la mia mente nell'attesa che lui ritorni da me. Ma più il tempo passa, più perdo la speranza. Perché forse lui non tornerà più.
Nessuno ti insegna a sopravvivere all'amore. Non esiste una guida, un foglietto con le istruzioni. Devi farlo da sola accettando le cadute, le ferite, le sconfitte. Ti tocca andare avanti con la paura e la speranza nel petto, i pugni stretti in vita e i denti serrati. Ti tocca andare avanti da sola, in compagnia della tua anima rotta e triste. Ma non si muore, o almeno lo spero, perché il dolore che continuo a sentire non fa altro che crescere.
E vorrei spegnermi, premere un interruttore e svanire. Vorrei cambiare tutto, magari tornare indietro. Ma non posso farlo. Non posso rimediare o ricucire lo strappo nel cuore di Bradley, non se non è lui a volerlo. Posso solo continuare ad aspettarlo e nel frattempo tentare di andare avanti.
Nella vita si impara a soffrire. La verità è che diamo tutto per scontato fino a quando quel tutto che abbiamo non si trasforma in un niente sotto gli occhi.
Stavo iniziando a crederci, a credere nel per sempre. Stavo iniziando a sciogliermi, a liberarmi dalla paura. Sapevo che prima o poi qualcosa sarebbe arrivato e avrebbe spezzato ogni equilibrio. Lo sapevo. Eppure non ho fatto niente per proteggermi e mi sono spezzata un'altra volta.
Bussano alla porta. Un colpetto innocuo, quasi attutito dal rumore proveniente dal giardino dei vicini.
Poso il sudoku che ho iniziato circa un'ora fa, abbasso il volume della tv a farmi compagnia e vado ad aprire trascinandomi dietro il plaid come se fosse un mantello, con addosso il mio pigiama a tuta della Disney e le ciabatte pelose grigie.
Apro l'uscio e notando Sammy la faccio entrare tornando a sedermi sul divano.
Incurante del caos che non ha mai trovato in casa mia, ma che da giorni fa parte della mia vita, fa un po' di spazio sul tavolo basso dove si sono accumulati giornali, libri e petali appassiti che, non ho avuto il coraggio di gettare perché mi ricordano ancora un pezzo di felicità che ho sfiorato per un soffio prima di perdere tutto e piombare nella tristezza.
Sammy posa sulla superficie la borsa con il pranzo, iniziando a sistemare sul tavolo i vari contenitori di carta bianchi con il logo di un'aragosta con un tovagliolo attorno al collo con la scritta del locale al centro e tra le chele una forchetta e un coltello.
Da quanto non mangio? Da ieri o forse da due giorni?
La vista degli involtini di pesce mi fa torcere le viscere quando apre il primo coperchio.
«Non ti dispiacerà mangiare con la tua amica», dice senza guardarmi.
Per fortuna non nota la mia faccia allarmata dal quantitativo di cibo che sta mettendo nei piatti.
«No», replico prendendo il mio quando me lo porge distratta da qualcosa.
Sammy mangia in silenzio per qualche minuto. Io, non riesco nemmeno ad iniziare, pertanto rigiro la forchetta nel riso facendo finta di mangiare.
«Stan, vuole andare a Parigi, io a Vienna», brontola di punto in bianco. «Non riusciamo a trovare un accordo. Però mi ha dato il potere di decidere su tutto il resto riguardo il ricevimento, i fiori... che strano, perché penso di avere dimenticato qualcosa...»
Poso il piatto allontanando un po' l'odore del cibo dalle mie narici sensibili, per bere un sorso d'acqua. «Andate in agenzia e richiedete un itinerario per visitare sia Parigi che Vienna. In questo modo sarete contenti entrambi.»
Non sono poi così interessata e anzi, il fatto che lei stia organizzando il matrimonio senza neanche accorgersi di come mi sento, mi fa stare peggio, perché mi fa ripensare a tutte le volte in cui io e Bradley ne abbiamo parlato e, quasi sempre abbiamo discusso a causa della mia posizione inamovibile. Forse avrei dovuto accettare, ma ho solo avuto paura di perderlo. E, alla fine non l'ho perso lo stesso?
Pertanto sto zitta, incasso e aiuto la mia amica, mi comporto da adulta, proprio come ho fatto per un mese da quando non sto più con Bradley, l'uomo che amo e che mi manca.
Sammy azzanna un pezzo di salmone voracemente. «Hai proprio ragione», biascica. «Come ho fatto a non pensarci anch'io? Gliene parlerò quando torna questa sera. Sono sicura che accetterà il compromesso come quello per la band.»
Riprendo il piatto per non farla preoccupare, e per non destare sospetti infilzo un involtino di salmone e avocado.
Sammy beve gli ultimi rimasugli della bibita creando con la cannuccia un rumore snervante.
Mugola. «Meglio rose o tulipani?»
Allontano la forchetta con il cibo dalle labbra sentendo la nausea raggiungermi. Prendo un breve respiro. «Tu che cosa preferisci?»
Mastica lentamente per un lungo momento. «Rose rosse», posa il piatto voltandosi e io poso in riflesso il mio prendendo il bicchiere pieno di Coca-Cola che, alle mie papille gustative intorpidite ha un sapore troppo dolce, ma mi terrà sveglia.
Sammy si accorge distrattamente che non ho mangiato, ma attualmente ha altro a cui pensare ed è così altrove da non commentare.
«Tulle rosso o raso rosso?», chiede sollevando due pezzi di stoffa dalla borsa per mostrarmeli. «Oppure rosa? No, non sarebbe da me il rosa.»
«Preferisci il tulle o il raso?»
Fa una smorfia. Fruga ancora dentro la borsa e pescando un taccuino annota tutto senza più farmi delle domande sulla scelta della carta, della disposizione dei tavoli. In fondo, non è il mio matrimonio.
Ormai va avanti così. Non sa niente di me perché troppo impegnata ad organizzare il suo grande giorno. Come posso pensare male di lei o essere arrabbiata, se sono felice che almeno una delle due sta andando avanti?
Sospiro e alzandomi tolgo tutto dal tavolo basso per distrarmi, mentre lei parla da sola continuando a scrivere e a fare i conti con il telefono in mano.
Torno sul divano sistemando la coperta sulle gambe. "Ness", meno arrabbiato per avere perso un amico, si avvicina cercando le mie carezze. Lascio che si sieda in grembo e liscio il suo manto morbido facendolo miagolare e fare le fusa.
Sammy, distoglie un momento gli occhi dal foglio sulla quale ha annotato molte cose negli ultimi cinque minuti e torna ai suoi calcoli prima di allontanare tutto come se si fosse bruciata. Fissa "Ness", poi me e poi di nuovo lui.
«Dio, mi dispiace tanto!», esclama. «Sono un'amica orribile», nasconde la borsa dietro il divano ma ormai è tardi. È un mese che andiamo avanti così. Lei che chiede consigli e io come un robot rispondo soddisfacendo ogni suo dubbio o bisogno.
Sto cercando in tutti i modi di concentrarmi. Ma concentrarsi non significa distrarsi, significa trovare un modo per sopportare il dolore. Eppure, se mi concentro sui miei pensieri sento il frastuono causato dal dolore e questo, non si allontana. Se mi concentro su me stessa, sento dolore dentro le ossa. Se mi concentro sui miei battiti, sento dolore al cuore. Perché il dolore si è impossessato di me e non andrà più via. Lo so. So che sarà difficile combattere con questo sentimento così forte, così distruttivo.
Sospiro. La verità è che non so più come salvarmi.
"Ness" guarda male Sammy e lei abbassa gli occhi sulla mia mano dove non c'è più nessun segno d'inchiostro. Forse non lo vede, visto che la ritraggo istintivamente sotto la coperta.
«Erin, perché non mi dici che cosa sta succedendo?»
Guardo fuori dalla finestra. «Non sta succedendo niente, sto bene come puoi vedere. Hai ancora qualche dubbio sui tovaglioli?»
I suoi occhi saettano ovunque posandosi sul cibo che non ho toccato. Spalanca le palpebre e per poco gli occhi non le escono dalle orbite.
«Da quanto non mangi?»
«Ieri mattina, forse. Ma non ho fame oggi. Ordinerò una pizza più tardi quindi se vuoi fermarti a cena, aggiungerò anche il gelato all'ordinazione. Non preoccuparti», dico senza emozione.
Un'altra menzogna per eludere la vera domanda che so che a breve arriverà.
Sospira prendendomi la mano, tirandola fuori dalla coperta. Nota che non c'è più nessun segno e sussulta intuendo di essersi persa proprio tutto. Sono solo quattro settimane piene, in cui si è fatta viva per chiedermi di scegliere al posto suo qualcosa o per sfogarsi a causa dei tentativi di sabotaggio da parte di Stan che, a quanto pare non approva molte delle scelte della mia amica.
«Tu e Bradley non state più insieme?»
Fisso il vaso con i fiori secchi. Mi verrebbe voglia di prenderlo e lanciarlo contro la parete ma sarebbe come schiantare al muro quello che è rimasto di una bella giornata passata insieme e iniziata proprio con un regalo: un mazzo di fiori. Ma non mi muovo. Non mi comporto da pazza. Sento solo un vuoto. Come quando sogni di cadere e ti svegli con quella sensazione di paura addosso.
«No», sussurro.
Ammetterlo per la prima volta ad alta voce fa male. Fa così male da togliermi il respiro. E fa paura, paura di avere toccato il fondo un'altra volta.
Sammy posa una mano sul petto massaggiandolo. «Stan mi ha detto che è in viaggio per affari di famiglia non mi ha detto che...»
Affari... di famiglia?
Il sangue mi arriva dritto al cervello. In un attimo sono più lucida che mai e fermo Sammy prima che lei possa continuare. Per poco non balzo in piedi e faccio il gesto che da giorni immagino, afferrare il collo del vaso e lanciarlo, romperlo e sentire il rumore simile al mio cuore quando si è spezzato.
«Che mi ha chiesto del tempo perché non sa se vuole accanto una donna sterile che non sarà mai sua moglie?», alzo il tono della voce e fuori dagli occhi escono le lacrime che scappano veloci dal mio viso. Le asciugo in fretta vergognandomi, tiro su con il naso e poi mi alzo, apro il frigo e prendo una bottiglia d'acqua fredda bevendone un sorso dietro l'altro per attutire questa sete che non mi dà tregua.
La mia amica se ne sta immobile e sconvolta sul divano. La sua prima reazione è quella di seguirmi con gli occhi e poi voltarsi, la mano ancora nel petto e l'espressione di una che prova compassione.
«Erin, perché non me l'hai detto?»
«Perché sei impegnata a realizzare il tuo sogno ed io... io non voglio distrarti con i miei problemi. Hai una vita e devi... viverla.»
Sammy si alza dal divano correndo verso di me, afferra le mie braccia stringendo la presa su di esse prima di scuotermi. «Avresti dovuto dirmi che Bradley non era solo in viaggio per affari. Erin, da quanto ci conosciamo? Sono dieci anni che siamo amiche e non puoi pensare solo al bene degli altri per ignorare il tuo. Per un attimo smettila e pensa a te stessa, a quello che vuoi. Dio, mi sento un'amica orribile. Come diavolo ho fatto a non rendermene conto? Come ho fatto a permetterti di dissolverti lentamente?»
Mi abbraccia dispiaciuta, con il senso di colpa che alimenta nei suoi occhi la delusione, la tristezza e la rabbia.
L'allontano. «Sto bene, davvero non è niente. Hai trovato la location?»
I suoi occhi si fanno lucidi, più di prima. «Non puoi pensare che voglia parlare del matrimonio dopo avere saputo che la mia amica è stata...»
«Trattata male dopo avere fatto di tutto? Essere lasciata perché incapace come donna?», singhiozzo allontanandomi, appoggiandomi al lavandino. Alzo il viso verso il tetto. Inspiro ed espiro stringendo la presa per calmarmi.
«Non preoccuparti. Passerà. Adesso devi occuparti del tuo futuro. Il tuo matrimonio è più importante di una delusione. Dimmi come posso aiutarti, che cosa ti serve? Posso darti una mano con le bomboniere o...»
Sammy storce le labbra guardandosi davvero intorno. E, mano a mano che i suoi occhi si posano su ogni oggetto mancante, li spalanca fino a tapparsi la bocca, a posare la mano sul cuore.
«Sei andata a lavorare?»
Torno sul divano. Mi sento stanca. «No. Mi sono licenziata.»
«Che cosa? Ma tu ami...», la voce le si spegne sull'ultima parola, quando prende maggiore consapevolezza. «I tuoi bambini.»
«Non potevo farcela, Sammy. Ho provato ma più volte sono scappata nel panico nel bagno a piangere. Alla fine ho chiesto dei giorni e dopo, quando mi sono accorta di non essere pronta, ho mandato le mie dimissioni. Stare lì mi faceva pensare troppo a lui, risentivo le sue parole e non potevo. Io... non potevo continuare a soffrire o a fingere di stare bene in mezzo a tutti quei bambini. Lasciarli mi è costato tanto cuore e non è stato facile convincere il preside che non era perché in un'altra scuola mi avrebbero pagato di più.»
La mia amica mi guarda come si guarda il cucciolo più piccolo e ferito. «Quindi ti sei licenziata?»
«Si, ho dei soldi messi da parte. A quanto pare anche un fondo che posso usare quando voglio. Non sarà un problema per me tirare avanti. Stavo anche pensando di andare a trovare la mia famiglia, per cambiare aria e per sentirmi a casa.»
Tira su con il naso martoriandosi le mani. «E che cosa hai fatto per tutto questo tempo?»
Alzo le spalle. «Sono stata qui, al parco, in spiaggia.»
Indietreggia andando a sbattere contro il ripiano. «Erin...»
Mi piego sulle ginocchia posando il viso tra le mani. «Mi dispiace, io... avrei dovuto dirtelo ma... non potevo. Avresti fatto pressione, mi avresti chiesto di venire a lavorare per te o a dormire da te per stare insieme e... l'unica cosa che attualmente voglio e stare qui. Troverò qualcosa, non sarà difficile sfruttare anni di esperienza e una laurea.»
Si avvicina sedendosi di nuovo sul divano. Prova a posare la mano sulla mia poi se dapprima indugia, alla fine rinuncia.
«Come fai?»
«Non lo so. Sono talmente abituata alle delusioni e al dolore da non sentire più un cazzo. La cosa inizia a spaventarmi.»
Singhiozza. «Mio Dio, Erin, perché non ti sei fidata di me? Perché mi hai tenuta lontana da tutto questo?»
Mi rannicchio. «Non avresti capito che ho bisogno di non pensarci. Ma continui a farmici pensare ogni giorno quando vieni e mi parli di lui perché Stan ti ha detto qualcosa. Almeno so che sta bene o meglio, dopo avere distrutto... me.»
Mi abbraccia forte cogliendoci alla sprovvista.
L'allontano. «Adesso puoi lasciarmi sola?»
Batte le palpebre guardandosi intorno smarrita e confusa. «Non volevo ferirti, sappilo. Mi dispiace tanto.»
Annuisco. «Lo so. Ho solo bisogno di dormire un po'.»
«Hai un letto...»
Scoppio in singhiozzi e lei si sente maggiormente in colpa.
«Sarò sola e non voglio svegliarmi e rendermi conto che se ne è andato con una scusa, senza cercarmi o farmi sapere che sta meglio, che sta superando la sua perdita. Adesso forse tocca a me andare avanti.»
Apre e richiude la bocca. «Starai bene?»
«Si, devo solo dormire un po'.»
«Domani ti va di venire in laboratorio?»
«Vedremo. Forse organizzerò il mio viaggio. Ho bisogno di andarmene per un po'.»
Annuisce e con sguardo grave si avvia alla porta. «Non mi lascerai sola, vero?»
«No, andrò solo a trovare la mia famiglia. È da un po' che non vedo i miei nonni e mia madre.»
Stringe la presa sulla maniglia della porta. «Sai che ti voglio bene?»
«Anch'io te ne voglio. E scegli la torta che preferisci perché è il giorno del tuo matrimonio non quello degli altri, ma il tuo.»
Singhiozza uscendo di casa con la mano a tapparsi la bocca e io girandomi verso lo schienale del divano mi rannicchio e piango fino ad addormentarmi.

Le ore passano a rilento. Mi sveglio di scatto provando ancora quel senso di vuoto che ormai accompagna le mie giornate. Vado a lavarmi la faccia poi metto in ordine il soggiorno, rendendomi conto per la prima volta del disastro in cui ho vissuto per giorni.
«Sei nella merda, Erin», brontolo.
Fisso il vaso con i fiori secchi. Lo sollevo e prendo la mira stringendo forte il bordo. Ma prima che io possa anche solo lanciarlo, vengo distratta da alcuni colpi alla porta, abbastanza forti e insistenti da farmi agitare dentro.
Chi è?
Poso il vaso inciampando con la coperta che stringo intorno come se potesse proteggermi e, ancora un po' assonnata, vado ad aprire la porta.
Non ho neanche il tempo di sbirciare. Shannon, come un tornado, si fionda in casa guardando ovunque. Apre le porte delle stanze sbattendole, controlla in giardino, in bagno e poi nella camera degli ospiti. Apre ogni sportello della cucina e il frigo. Gira intorno al soggiorno e infine, mi guarda con rimprovero e in modo critico, così tanto da farmi sentire uno schifo.
«Hai un aspetto orribile.»
Queste parole mi fanno scivolare a terra e le lacrime tornano ad inondarmi. Tiro le ginocchia al petto e scoppio a piangere come una ragazzina priva di controllo.
Shannon, colto alla sprovvista dalla mia reazione, ma affatto spaventato, si avvicina e inginocchiandosi mi tiene stretta tra le sue braccia.
«Non ti chiederò niente, quando sarai pronta me ne parlerai. Adesso va a prepararti, io e te usciamo.»
Lo guardo corrugando la fronte. «Intendi uscire?»
«Si, metti qualcosa di comodo», mi aiuta a sollevarmi poi mi spinge verso la mia stanza ed infine nel bagno dove, prima di chiudere la porta dice: «E non metterci troppo o entrerò e ti tirerò fuori con la forza trascinandoti anche nuda in giro.»
Chiusa la porta del bagno, mi appoggio un momento alla parete piastrellata poi dandomi un contegno e un briciolo di forza e forse, anche di amor proprio, mi spoglio entrando nella doccia.
Sotto il getto caldo, cerco di togliermi di dosso il dolore di questi lunghi giorni vissuti nel buio. E poi ancora la sofferenza, la tristezza e il senso di perdita.
Solo quando mi sento pulita, esco dal bagno in accappatoio. Shannon mi aspetta nella mia camera. Quando mi vede mi passa degli indumenti.
«Hai frugato tra le mie cose?»
«Ti aspetto in soggiorno», dice con sguardo serio e un tono che non ammette repliche di alcun tipo.
Pettino i capelli bagnati e davanti allo specchio, copro le occhiaie, metto un po' di mascara sulle ciglia e indosso gli indumenti che ha scelto per me. Una camicia con dei disegni e un fiocco al collo, un paio di jeans a vita alta e stretti a sigaretta alle caviglie, un cardigan e tacchi.
Indosso le scarpe da ginnastica con la suola alta e spessa ignorando questi ultimi. Non voglio essere sensuale, tantomeno sfracellarmi al suolo quando il mio corpo non reggerà più il peso della mia testa, sempre più piena di pensieri.
Lego i capelli dietro con una molletta e prendendo un lungo respiro, raggiungo Shannon.
Se ne sta seduto sul divano a martoriarsi le mani che tiene strette a pugno contro la bocca.
Vedendomi si alza e raggiungendomi mi abbraccia prima di farmi cenno di andare, di uscire di casa e prendere una boccata d'aria.
Evita di entrare in auto e prendendomi per mano, camminiamo lungo la strada come una coppia delle tante presenti nel quartiere pronte a godersi il fine settimana.
«Dove andiamo?», chiedo guardandomi indietro.
«A divertirci. Solo io e te.»
Mi irrigidisco un po'. «Shan... io non...»
«Samantha mi ha detto tutto. Posso capire che non hai detto niente a lei ma a me? Mi sento offeso.»
«Non ho detto niente a nessuno perché sapevo che avreste reagito così. Che tu avresti fatto qualcosa e... non devi. Starò bene. Ho già in mente di andare a trovare mia madre. È da un po' che me lo chiede.»
Mi guarda male fermandosi. «Non devo? Erin, io sono incazzato. Non con lui ma con te. Come puoi stare male e non avvertire nessuno che Bradley è partito e non per affari di famiglia ma perché era distrutto? Come puoi non avvertirmi che ti sei licenziata e che vivi da sola a casa da quanto? Un mese?»
«Non è una cosa che ti riguarda», replico freddamente e con distacco. «Prima che arrivassi tu ci vivevo da sola a casa e stavo anche bene.»
Sbuffa dal naso incrociando le braccia al petto. «Non mi riguarda? Mi riguarda eccome, cazzo! Tu non puoi continuare ad incassare dolore su dolore. Tu hai bisogno di smetterla, di staccare la spina. Hai bisogno di uscire, di stare in compagnia con le persone che ti amano.»
«E lo stai facendo portandomi dove?»
Scrolla le braccia esasperato. «Seguimi e fingi almeno che la mia compagnia ti piaccia.»
Mi fermo. «Shan, mi farà sempre piacere la tua compagnia. Sai che ti amo e sai che...»
«E allora perché non mi hai detto niente?»
«Perché avresti dato di matto, proprio come stai facendo adesso. Ti conosco e so quello che avresti fatto. Non avevo molta scelta.»
Si avvicina minaccioso. Non indietreggio e non mi spavento. «La scelta ce l'avevi: chiamarmi e stare insieme, non da sola e non a stomaco vuoto.»
Mordo il labbro. «Quindi mi stai portando a cena? Credi che io abbia bisogno di questo, di ingozzarmi di cibo?»
«Si, hai bisogno di cibo e poi andiamo a ballare. E se non ti basta andremo da qualche altra parte, lascerò decidere te.»
Lo seguo senza fiatare. So che è inutile fare i capricci con lui. Shannon non è di certo come Sammy, non si lascia abbindolare o convincere da una richiesta. E, ora come ora neanche da un paio di occhi chiari che lo supplicano di non tentare l'impossibile.
«Ti ha chiamato lei?»
Mi dà la conferma con un breve cenno della testa. «Sammy era preoccupata quando mi ha chiamato e anche in lacrime. Mi ha detto che eri magra, pallida e assonnata. Non è stato difficile fare due più due prima che lei continuasse, dicendomi che Bradley non è solo in viaggio ma che ti ha lasciata ferendoti, usando parole forti che non starò qui a ripetere. Vuoi che lo rintracci e lo faccia fuori?»
Mi avvicino a lui sentendo freddo e mi appoggio al suo petto. «No, lascia che superi tutto secondo i suoi tempi. È morta sua nonna, la donna che lo aveva accudito per tutto il tempo. Credo sia normale quello che ha fatto. Aveva bisogno di un distacco per calmarsi e forse la nostra presenza lo bloccava. Non giustifico i suoi modi e le parole che ha usato per allontanarmi, perché avrebbe anche potuto parlarne con me senza spingermi ad odiarlo all'inizio ma... ha fatto quello che riteneva fosse giusto per lui. E no, non penso che lui abbia detto quelle cose proprio per ferirmi, ma perché sapeva che mi avrebbero fatto stare male e allo stesso tempo allontanata, tenuta al sicuro da lui, dalla sua tristezza. Si sbagliava, ovviamente, su alcune cose.»
Shannon appare sbalordito e non nasconde i suoi sentimenti. «Devi amarlo davvero tanto se gli permetti di trattarti così e di abbandonarti, piccola, lasciatelo dire: sei forte ma tieni dentro troppe cose che rischiano di distruggerti. È passato abbastanza tempo, adesso è giunto il momento di andare avanti.»
«Si, lo so.»
Mi circonda la schiena con un braccio avvicinandomi, riscaldandomi con il suo tepore e il suo tenue profumo. Raggiungiamo un locale intimo e tranquillo non molto distante dal mio quartiere.
Qui dentro è pieno di coppie sedute nei vari posti, che sono ben organizzati e raffinati.
Mi sento fuori luogo e per un momento indugio lasciando passare una coppia e anche Shannon che, raggiunge l'uomo dietro un banco alto, in divisa, con una lista davanti.
Gli chiede subito il suo cognome dopo averci salutato e dopo avere controllato, con un ampio sorriso pieno di gentilezza e cortesia, ci indica il nostro tavolo.
Shannon mi guida, insieme al cameriere che ci servirà per tutto il tempo, verso il nostro posto a sedere dove ceneremo. La sua mano non preme mai troppo, mi fa solo capire che c'è, che è presente e che non mi lascerà andare.
Ci sediamo l'una accanto all'altra. Shannon guarda subito il ragazzo che attende un suo comando. «Ho già ordinato tutto quando ho chiamato per prenotare. Puoi portarci una bottiglia di vino nel frattempo e avvisare che siamo arrivati e che possiamo iniziare, grazie.»
Il ragazzo si dilegua con un cenno e un breve sorriso lasciandoci soli.
In questo lasso di tempo, mi guardo intorno. Il ristorante è in stile moderno, sui toni del panna, del grigio e del color senape. In fondo alla sala, un bancone lungo coperto da pannelli a specchio color oro, sistemati in orizzontale, dove un barman sta servendo una folla consistente e chiassosa di persone.
«La discoteca è proprio dietro quella porta a specchio e questa sera ci sarà un DJ famoso ad animare la serata. Ma se non ti va di ballare possiamo sempre scegliere di fare qualcos'altro di meno movimentato.»
«Va bene», dico agitandomi.
Shannon posa la mano sulla mia. «Che cosa provi?»
Lo guardo e trattengo il fiato. «Ho bisogno di provare qualcosa a parte rabbia... e dolore. Forse mi farà bene questa uscita.»
Porta la mia mano sulle labbra. «Posso provarci? Posso provare a farti provare qualcosa che sia diverso dai sentimenti negativi?»
«Si, provaci. Sei il primo che non fa domande del tipo: come stai? Che cosa è successo? Che cosa ti ha detto?»
A tavola arriva un piatto di pasta e mi sfugge un sorriso quando noto che è all'arrabbiata con il sugo piccante e le olive.
Shannon sistema il tovagliolo sulle ginocchia sorridendo di rimando. «Sapevo che ti sarebbe piaciuta», rigira gli spaghetti. «Ho fatto preparare ogni piatto in base al tuo umore. Ci sarà proprio da divertirsi.»
«Spero che il dolce non sia amaro.»
Ride negando. «No, il dolce lo scegliamo insieme, in base a come andrà questa serata.»
Avvicino gli spaghetti alle labbra provando a mangiare. La porzione è piccola. Shannon deve avere pensato anche a questo dettaglio, perché quando sono sfinita non riesco a mangiare. Ad alcune persone gli si apre lo stomaco e le invidio perché vorrei proprio riempirmi di cibo fino a scoppiare, invece non mangio, sento i crampi e ogni cosa mi innervosisce.
La cena prosegue tranquilla anche se siamo costretti ad assistere a due fidanzamenti e poi ad una rottura in cui lei, dopo avere scoperto in diretta il tradimento, gli getta in faccia un bicchiere di champagne urlando così forte da costringere il personale e la sicurezza ad allontanarla mentre scalcia e minaccia l'uomo.
«Sono piena», ammetto allontanando la coppa vuota dove prima c'era una macedonia deliziosa con il gelato sopra.
«Prendiamo il dolce o andiamo a bere?»
Lo osservo un momento senza rispondere e lui svia lo sguardo altrove, cercando un appiglio verso il bancone pieno di bottiglie in bella mostra.
«Tutto ok?»
Nega e mi agito. «Che succede?»
Ero così impegnata a distrarmi da non accorgermi che anche lui era turbato da qualcosa. Mi sento proprio egoista.
«Oggi, in sala operatoria ho perso un ragazzo. Ha avuto un incidente e non siamo riusciti a salvarlo, le sue condizioni erano già critiche quando è arrivato. I suoi genitori hanno donato gli organi senza pensarci un solo istante. Hanno detto che così non sarebbe morto davvero.»
Lo abbraccio e lui mi attira sulle sue gambe in automatico, senza malizia. Solo con un bisogno di amore, di conforto.
«Mi dispiace. Perché non me lo hai detto prima?»
Porta una ciocca sfuggita dalla presa del fermaglio dietro il mio orecchio. «Perché hai gli occhi tristi e odio vederti così.»
Lo stringo forte cercando anch'io un po' di calore, un po' di amore. «Grazie», sussurro sulla sua spalla.
Passa il palmo sulla mia schiena. «Allora? Si beve?»
«Si, ne abbiamo bisogno.»
Invece di entrare in discoteca, dove la gente sembra ammassata e su di giri, usciamo dal locale e, passando da un supermarket compriamo da bere spostandoci al parco dove, seduti comodamente sul prato, beviamo e parliamo fino a vedere il cielo mutare e coprirsi di stelle.
Mi sdraio. «Sta iniziando a fare effetto quella roba», sorrido sentendo l'alcol arrivare ovunque e attutire ogni sensazione negativa. «Ed io che snobbavo quella piccola bibita.»
Shannon sfiora le dita della mia mano. Guarda il cielo indicando le stelle con la bottiglia. «Scegline una.»
Mi alzo sentendo girare tutto. I palazzi in lontananza pieni di luci accese, le autostrade, la segnaletica, si muovono e batto le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco.
«Perché?»
«Scegli una stella», ripete entusiasta.
Guardo i punti luminosi per un paio di secondi prima di trovare una stella solitaria, in disparte, proprio come sono stata sempre io nella mia vita piena di alti e bassi.
«Quella», dico, non indugio oltre.
«È tutta tua adesso.»
«Mia?»
«Te la regalo. Così se avrai un desiderio da esprimere o da conservare ti basterà guardarla.»
Rido. «Ok, allora scegli anche tu la tua?»
Indica quella accanto, apparentemente a poca distanza. «Non sarai mai sola, principessa.»
Mi sdraio poi il senso di vertigine si intensifica e torno seduta. «Ho una stella tutta mia, non è una cosa unica?», chiedo ridendo, con il collo della bottiglia sulle labbra, pronta a bere un altro sorso. «E non è un regalo di tutti i giorni o banale, tantomeno inutile, perché me l'ha regalata una persona importante per me. Forse sei l'unico che alla fine resisterà e resterà. Il problema sono io. Lo sono da sempre. Non merito niente.»
Shannon allontana la bottiglia dalle mie labbra. «Non sei un problema, Erin. Non devi neanche pensarlo.»
«Allora perché tutti se ne vanno?»
«Io sono qui. Sono qui, in compagnia di una piccola principessa guerriera.»
Sospiro poi guardandolo mi sfugge un sorriso e, alla fine rido abbracciandolo.
«Sai che oggi hai salvato lo stesso delle vite?»
Non afferra il concetto. «Cioè?»
«Hai salvato la mia, più di una volta.»
Mi sfiora una guancia facendomi una carezza poi si alza porgendomi la mano.
Lascio che mi aiuti a mettermi in piedi anche se barcollo visibilmente. Sono proprio un disastro. Non imparo mai.
Dopo avere gettato le bottiglie, torniamo a casa ripercorrendo le strade che ormai conosco bene.
Canticchio distratta un motivetto mentre Shannon mi osserva di sottecchi. Come sempre regge meglio di me l'alcol.
«È stato bello uscire e non pensare per un po' a niente. Adesso però tornerò a casa e ripenserò a tutto. Forse starò peggio», mi volto di scatto. «Sono una persona orribile se non voglio tornare a casa?»
Nega. «Sei abbastanza adulta da decidere da sola quello che vuoi fare. Tu... dimmi dove vuoi andare ed io ti ci porto.»
Mi stringo nelle spalle. «Non lo so. Portarmi da qualche parte, che importa dove?»
Siamo fermi davanti il cancello e lo ignoro, così come ignoro con tutte le mie forze quel brivido lungo la schiena quando penso che sarò di nuovo sola domani a combattere il mio dolore.
Shannon apre la portiera lasciandomi entrare in auto poi si mette al volante allacciando la cintura. Poso la mano sulla sua quando prova ad accendere il quadro.
«Puoi guidare?»
«Si, ho già smaltito tutto e sono più che lucido. Mi sarebbe piaciuto essere ubriaco marcio ma non funziona.»
«Perché?»
«Così non mi sentirei in colpa.»
«Per che cosa?»
«Perché spero che tu smetta di stare male e ti accorga di volere altro nella tua vita.»
Corrugo la fronte. «Parti e basta, rompipalle!»
Sorride avviando il motore. Appoggio la fronte contro il vetro guardando le luci, le insegne al neon, i fari, tutto quanto in questa città che si confonde ai miei occhi fino a farmi abbassare le palpebre.
Uno scossone, il silenzio, il buio, la sensazione di vertigine e mi sveglio di scatto. Passo una mano sotto il labbro poi massaggio la fronte cercando di raccapezzarmi.
I miei occhi si abituano e mettono a fuoco. Siamo fermi in un parcheggio privato e Shannon rigira una chiave tra le dita guardando davanti a sé assorto.
Mi sollevo. «Dove siamo?», sbircio fuori dal vetro del parabrezza e noto la schiera di palazzi alti grigi dalle finestre a specchio.
«Hai detto che non ti va di tornare a casa tua per non pensare al dolore e siccome sei sfinita e so che non dormi da giorni, pensavo di portarti da me. Nel mio appartamento c'è un letto in più e puoi stare quanto vuoi.»
Mordo l'interno guancia. «Ok.»
Esco dall'auto sentendomi solo leggera. L'alcol sta evaporando dal mio corpo e sono meno brilla, un po' più vigile.
Voglio farlo? Voglio stare per una notte da Shannon senza sentirmi in colpa o senza pensare ad altro?
La risposta arriva dal mio cuore che batte frenetico mano a mano che ci avviciniamo al portone del palazzo centrale.
Shannon apre proprio questo lasciandomi passare. Saliamo all'ultimo piano usando l'ascensore che profuma di spray per ambienti al cocco e poi ci fermiamo nel pianerottolo dove si trova solo il suo appartamento.
«Sicura? Sei ancora in tempo se non ti va di restare con me.»
«Si. Forse mi farà bene dormire su un altro letto per qualche ora, lontana da casa.»
Apre la porta di legno oltrepassando il tappeto, attendendo che io faccia il mio ingresso e, dopo pochi passi incerti mi ritrovo nel suo bellissimo appartamento con la vetrata ampia lungo tutta la parete, che si affaccia oltre lo spazio del balcone su gran parte della città di Seattle.
Shannon apre una porta scorrevole. «La tua stanza», dice mostrandomela. «Mettiti pure comoda», sorride in modo dolce.
Sbircio timida. È davvero ordinata, profumata e pulita. Un aspetto che ho sempre trovato curioso in uno come lui, apparentemente l'opposto di ciò che in realtà è.
Mi volto e lo abbraccio. «Grazie.»
«Che c'è?»
Mi capisce al volo. Sa che qualcosa mi sta trattenendo dall'entrare in questa stanza.
«Non riuscirò a dormire. In questi giorni odio stare sola.»
Guarda un'altra porta poi spegne la luce del soggiorno spazioso e arioso e indietreggiando nella penombra, si dirige verso il letto. «Posso farti compagnia fino a quando non ti addormenti, che ne dici?»
Deglutisco. «Va bene.»
Toglie solo le scarpe e la giacca prima di sdraiarsi e aspettarmi. Faccio lo stesso avvicinandomi a lui e quando sono supina, mi avvicina stringendomi al petto, prima di sistemarmi una coperta sulle spalle.
«Andrà tutto bene», mi sussurra con voce roca.
Alzo il viso e lui abbassa il suo. Mi accarezza le gote e la sua mano scivola lungo la mia schiena. Ci guardiamo. Occhi negli occhi rimaniamo per un lungo istante in silenzio.
Le mie dita superano il suo petto fino a raggiungere le sue labbra. Bacia i miei polpastrelli che, lenti si muovono lungo il bordo per disegnarne il contorno. «Sono stata bene. Grazie per avermi regalato una serata diversa.»
La sua mano ferma la carezza sulla schiena. «Ti amo e mi fa stare male vederti così giù. Dimmi che cosa posso fare, Erin.»
Stringo le braccia intorno alla sua schiena. «Hai detto che andrà tutto bene. Adesso non rimangiartelo», brontolo premendo la guancia sul suo petto.
Ride. «No, no.»
Sento la vibrazione della sua risata che mi raggiunge come un'onda anomala. Sollevo il viso, lo guardo negli occhi e lui si abbassa ancora.
«Posso esprimere il mio primo desiderio?»
«Si. Puoi anche conservarne uno.»
«Posso?»
«Si», rispondo piano, sentendo il cuore che prende a battere una frequenza diversa, agitato dalla tensione che aleggia ormai da diversi minuti nell'aria.
«Devo dirlo ad alta voce?», sussurra facendomi tremare.
Nego. «No, chiudi gli occhi ed esprimi...», vengo interrotta.
Mi fa scivolare sotto il suo peso e preme le labbra sulle mie.

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