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ERIN

Non sono mai stata in grado di capire me stessa fino in fondo. Non sono mai stata brava ad esternare i miei sentimenti. Da piccola mostravo già i primi segni di un carattere chiuso, distante e freddo. Come ad esempio la mia insofferenza verso la distanza che si era creata tra i miei genitori quando mia madre ha tradito l'uomo della sua vita per un vicino di casa.
Le cose da allora sono cambiate, i miei hanno trovato un loro equilibrio ma io sono rimasta la stessa, incapace di dimostrare quello che davvero provo.
Da sempre lotto con questo cuore che sente il doppio, ma che non è in grado di trasmettere quanto amore, quanto affetto c'è dentro. La verità è che sentire mi ha sempre fatto paura. Ecco perché ho sempre preferito nascondere tutto, fingere che non mi importi di niente e di nessuno.
Adesso che sono più adulta e meno problematica, ammiro chi al contrario dimostra ciò che sente apertamente e in maniera spontanea. Un esempio è Bradley. Io lo ammiro. Ammiro la sua capacità di sentire e di amare. Ammiro la sua calma, la sua anima in grado di trasmettere con gesti e sguardi quello che pensa o prova senza mai nascondersi dietro un muro di incertezze, di paranoie e paura. Lui sa sempre cosa fare, dove dirigersi, come agire, cosa dire. È nato così: pieno di coraggio. Colma il silenzio, spegne ogni rumore, acqueta la mia anima tormentata e cosa più importante, mi fa sentire amata, mi fa capire che anche se intorno a me è buio, con lui al mio fianco, ho la possibilità di ritrovare la luce, la giusta direzione. Ecco perché l'ho voluto qui accanto a me, in questo viaggio che preannuncia solo cose difficili da sopportare come i ricordi.
All'alba un'auto enorme scura, dai vetri oscurati, tenuta a lucido, si è fermata davanti il cancello di casa. Io e Bradley siamo saliti e dentro, abbiamo trovato papà e Shannon. Il viaggio verso l'aeroporto è stato abbastanza silenzioso e apparentemente lungo per i miei sensi messi alla prova ad ogni cambiamento repentino dei miei battiti, dei miei pensieri.
Adesso siamo su un jet privato, seduti e sul punto di decollare, mentre dalla cabina di pilotaggio esce proprio Kay.
Fisico scolpito, abito elegante, capelli corti spettinati, sguardo freddo, calcolatore, attento come quello di un falco pronto all'attacco.
Mi irrigidisco nell'immediato. Non mi aspettavo di certo di vederlo prima del nostro arrivo a Oakville. Pensavo di poter fare almeno il viaggio in santa pace. Invece, dovrò combattere con questa sensazione che non mi abbandona ormai da diverse ore. Da quando l'ho rivisto in quella strada, il mio cuore non ne vuole proprio sapere di ascoltare la ragione. Continuo a farmi male. Continuo a ripiombare ad ogni respiro in quei ricordi che, si concludono quasi sempre nello stesso modo: con il mio cuore spezzato dalla verità. Quella crudele e dolorosa che mi ha distrutto la vita.
Uno ad uno prendiamo posto sui comodi sedili in pelle beige, coperti da un poggiatesta di cotone morbido con le iniziali dei Mikaelson. C'è odore di spray per ambienti alla vaniglia e l'aria condizionata accesa a regalare di tanto in tanto arriva con qualche spruzzo di freschezza.
Gli occhi color ghiaccio di Kay, si posano veloci e attenti sulla mano di Bradley, ferma sul mio ginocchio. Sono freddi, più di prima, quando ha fatto il suo ingresso con spavalderia. E infatti, dopo una manciata di secondi, sfoggia un ampio sorriso mostrando i denti bianchi e dritti rispetto a qualche anno fa, salutando Shannon con una stretta e una pacca sulla spalla e poi mio padre con molta galanteria e rispetto.
Quando però prova ad avvicinarsi anche a noi, chiudo in fretta gli occhi posando la testa nell'incavo del collo di Bradley che mi bacia in automatico la fronte, nascondendomi così con la sua protezione dal dolore che sento irradiarsi su tutto il corpo.
Kay si irrigidisce, saluta con un cenno del capo Bradley andandosi a sedere lontano da noi di qualche metro ma rimanendo pur sempre davanti a me, in bella mostra, con la sua giacca elegante blu scuro in grado di far risaltare i suoi occhi, e il suo bicchiere di bourbon già sistemato sul tavolo accanto al suo posto a sedere, l'unico, insieme ad una rivista e ad un vaso di fiori bianchi. Sembra un modello. Non ha smesso di avere il suo fascino sfrontato e naturale. Ma questo lo sa, è sempre stato consapevole del suo corpo e del potere che esercita con esso sulle persone.
Con un braccio circondo l'addome di Bradley che mi accarezza la schiena. Mi sto aggrappando a lui per non perdermi in inutili pensieri, che lascivi tentano di farmi piombare nel baratro.
«Hai sonno?», mi chiede alzandosi, tirando fuori qualcosa dal borsone che ci hanno permesso di salire in aereo.
«Un po'», ammetto.
«Dormi, ti sveglio io quando atterriamo», dice dandomi un altro bacio sulla fronte.
«Non vuoi un po' di compagnia?»
Allaccio la cintura preparandomi al decollo in cui stringo la sua mano.
«Sei stanca e hai bisogno di riposare. Magari mi appisolo anch'io un momento.»
Mi stringo a lui. «Insieme?»
«Si», mi sussurra baciandomi la testa.
Quando il pilota, dalla cabina, ci informa che possiamo sganciare le cinture, lo faccio immediatamente sentendomi meno tesa e più libera e, ne approfitto per stendermi sulle gambe di Bradley che, tira fuori l'oggetto preso dal borsone, ovvero, una coperta morbida azzurra, sistemandomela addosso con cura.
Chiudo gli occhi cercando di dormire, di cadere nel mondo dei sogni ma, continuo a percepirlo, freddo e deciso, il suo sguardo. E, anche se sento di essere osservata, alla fine il sonno e la stanchezza sembrano avere la meglio su di me, visto che mi addormento. Non sento più niente, solo il mio corpo pesante.

«Che cosa dobbiamo aspettarci da questo incontro con la tua famiglia? Sai già che cosa c'è scritto nel testamento?»
La voce di mio padre mi dà uno scossone facendomi svegliare. Mi sento indolenzita ma non ho il coraggio di aprire gli occhi e sentirmi quei due pozzi azzurri costantemente addosso. Me ne sto nel mio angolo caldo, mi lascio coccolare dal respiro regolare e dai battiti tranquilli di Bradley. Inspiro piano il suo tenue profumo sentendomi al sicuro.
«Non ne ho idea. Ne so quanto voi», risponde prontamente Kay. «Devi per forza stringerla in quel modo?», sbotta irritato. «Non siamo di certo ad una gara di dimostrazioni. Ho capito che è tua e non posso avvicinarmi ma, è necessario sbattermelo in faccia?»
Trattengo il fiato. Sta parlando con Bradley adesso?
«Se ti dà così tanto fastidio voltati dall'altra parte e non guardare», risponde prontamente e con un tono acido, Bradley.
Sento Shannon schiarirsi la voce. È inconfondibile quando lo fa. Ha un tono baritonale e mi scarica addosso una lieve scossa fredda.
«Perché ha convocato anche me?»
«Ve l'ho detto, non lo so. Non ne sapevo niente fino a poco fa. Quando mio nonno ha saputo che sarei venuto a Seattle mi ha dato quella lettera e mi ha chiesto di portarla personalmente a Erin.»
«E tu hai colto la palla al balzo subito. Non ti sei tirato di certo indietro», lo stuzzica, Shannon.
«Tuo nonno ti ha anche chiesto di metterle le mani addosso?»
Quello di Bradley è un sibilo pieno di gelosia e rabbia. La sua, è una minaccia.
«Che cosa hai fatto? Hai messo le mani addosso a mia figlia?», urla papà.
«Ci siamo solo abbracciati e questo tizio...»
«Bradley, si chiama così e sta con Erin. Ma questo lo sai già perché ti ha detto chiaramente che lo ama e che non vuole avere più niente a che fare con te.»
«A me invece non è sembrato che Erin volesse abbracciarti. Sei stato tu quello ad afferrarla quando se ne stava andando dopo averti mandato poco gentilmente a quel paese.»
Kay picchia qualcosa sul tavolo che ha accanto ed io sussulto. Non riesco proprio a trattenere la mia reazione. In qualche modo il suo gesto mi ha colpito dentro.
«L'hai svegliata, grazie tante!»
Apro gli occhi sollevandomi. Ormai inutile fingere di non essermi svegliata con un rumore così forte e una discussione così accesa che ho ascoltato con attenzione per cogliere ogni cambiamento nei loro toni di voce.
Mi volto assonnata e Bradley mi rivolge un sorriso tirato. Poso la mano sulla sua guancia avvicinandolo al mio viso. Sfioro le sue labbra con il pollice prima di sporgermi per baciarlo ma lui indugia fermandomi.
Corrugo la fronte. «Ciao», saluto disturbata dalla sua reazione.
Posa un bacio sul mio naso lanciando uno sguardo spietato davanti. «Ciao, dormito bene?»
«Sei un po' solido», sorrido nel tentativo di smorzare la tensione che si è innalzata nell'ambiente.
Papà parla con Shannon spezzando subito il silenzio.
Bradley ride brevemente. «Per fortuna non mi hai fatto eccitare», mi sussurra all'orecchio.
Lo spingo. «Ho sete, vuoi qualcosa?», chiedo alzandomi, ripiegando la coperta prima di infilarla dentro il borsone.
«Quello che prendi tu per me va bene, grazie», replica seguendomi con lo sguardo verso la cabina, dove scompaio per prendermi un bicchiere di succo di frutta e qualcosa da sgranocchiare che mi aiuti ad attutire il vuoto che sento allo stomaco.
Qui dentro, trovo varie mensole piene di confezioni di snack di ogni tipo. È difficile scegliere, visto che c'è persino la frutta fresca su un vassoio e l'insalata dentro dei contenitori a norma, così come anche il sushi. C'è anche un cestello pieno di ghiaccio con dentro una bottiglia di champagne. Non hanno proprio badato a spese.
«Che spacconi del cazzo!», brontolo.
Mi volto e sussulto. Il mio viso prende fuoco.
Merda.
Kay mi sbarra la strada. «Ehi», mi saluta.
Il suo profumo investe le mie narici facendomi precipitare nel passato in un nano secondo. Ed è così forte la sensazione che sento da stare male.
Io e lui ci siamo detti addio ma mai con convinzione. Io e lui ci siamo detti addio ma non a voce. Ci siamo detti addio in tanti modi e mai in quello giusto. Ci siamo detti addio e siamo rimasti in bilico, ad aspettarci senza mai chiamarci. Nel corso del tempo, questo, non ha fatto altro che aumentare la mancanza, la voglia di vederlo, abbracciarlo, stringerlo, baciarlo. Ci siamo detti addio ma non abbiamo ancora tagliato quel filo che ci tiene legati. E, adesso che è qui davanti a me, dirgli addio è ancora più difficile, doloroso.
Lo ignoro con tutte le mie forze per non cedere alla sua provocazione e mettendo tutto su un vassoio, facendomi largo, superandolo con una breve spinta, raggiungo il mio posto porgendo a Bradley il bicchiere di succo di frutta. Metto in bocca un biscotto disposto insieme ad altri su un piattino di ceramica e un tovagliolo ricamato, guardando fuori dal finestrino. Non dovrebbe mancare così tanto all'atterraggio.
Estraggo il telefono dalla borsetta cliccando sull'icona della fotocamera.
«È il nostro primo viaggio da sposati, facciamo una foto?»
A Bradley l'idea di riempire un album sembra piacere. Annuisce prendendo il telefono, scattando a raffica un paio di foto prima di baciarmi.
«Questo era per prima?»
«Scusami, mi sento un po' nervoso e sotto osservazione. Insomma, mi ritrovo tra tre uomini che ti amano e possono farmi fuori in un istante se sbaglio qualcosa. Soprattutto Kay. Quello mi odia proprio.»
Mi siedo sulle sue ginocchia. «Nessuno ti farà niente perché decido io con chi stare.»
Massaggio le sue spalle premendo la fronte sulla sua. «Grazie, perché sei qui», sussurro. «So che ti sta costando tanto sopportare Kay e tutta quanta questa pressione. Ti prometto che mi farò perdonare.»
Mi stringe una mano sulla coscia baciandomi con forza maggiore. «Sono dove voglio essere, piccola.»
Lo abbraccio. «Scusami se sono strana, insomma sai anche il perché di questo mio atteggiamento così scostante.»
Mi sfiora una guancia con delicatezza. «Non deve essere facile per te averlo intorno. Lo capisco.»
Mio padre si siede accanto interrompendoci. «Come va?», chiede guardandomi attentamente, intuendo quello che penso e provo.
«Il viaggio o vederlo dopo dieci anni e averlo tra i piedi?»
«Entrambe le cose.»
«Uno schifo e non vedo l'ora di tornare a casa. Perché più lo vedo e più ho l'istinto di farlo fuori.»
Papà guarda Bradley, il modo in cui mi tiene in braccio e mi rivolge un sorriso furbo. «Shannon mi ha anticipato che prima o poi sentirò la parola "marito"», dice guardando dietro. Kay e Shannon stanno parlando animatamente di qualcosa.
Arrossisco. «Papà, posso spiegare...»
Sorride ancora di più. «Finalmente ho un genero e mia figlia non rimarrà sola e con la casa invasa dai gatti randagi. Benvenuto nella famiglia, Bradley. Avrei preferito saperlo da voi e non da quel poveretto che deve tenere sotto controllo tutto quanto. E mi sarebbe piaciuto assistere o quanto meno essere invitato.»
Bradley guarda papà sbigottito. «Scusi se non le ho chiesto il permesso...», inizia stranamente a corto di parole e a disagio. Non è da lui agitarsi così tanto.
Rido abbracciandolo. «Sta scherzando, rilassati», lo rassicuro.
Papà gli dà una pacca sulla spalla più che affettuosa. «È bello vedere Erin felice. Ma ti terrò d'occhio lo stesso. Non si sa mai.»
Sbircio un momento alle loro spalle e guardo Shannon, sembra innervosito. Se ne sta seduto davanti a Kay, la gamba sull'altra e la mano sulla caviglia. Muove il piede come se avesse un tic nervoso e di tanto in tanto guarda fuori con aria assorta.
Decido di intervenire.
«Vi lascio un attimo soli, avete molto di cui parlare.»
«Dove vai?», chiede papà.
«Devo salvare il mio amico», spiego alzandomi.
Shannon, mi vede non appena mi alzo e mi avvicino a loro, ma non ha il tempo di fermarmi. Afferro la sua mano e lo tiro costringendolo ad alzarsi dal suo posto a sedere trascinandolo dentro la cabina, sotto lo sguardo di Kay che si è appena irrigidito dal modo in cui gli ho sottratto l'amico.
«Grazie, principessa!»
Shannon lascia uscire un enorme sospiro passando il palmo sulla fronte accaldata.
Lo abbraccio e lui mi stringe forte percependo ogni mia sensazione, facendola sua.
Avere Bradley con me e Kay a pochi passi mi fa sentire in bilico. È come essere tentati durante un periodo di dieta ferrea. Shannon è l'unico a capire come mi sento davvero. Il suo abbraccio, infatti, mi dà la risposta.
«Che succede?»
Sollevo il viso tenendo il mento premuto sul suo petto. Percepisco il suo cuore aumentare i battiti e per un lungo istante li ascolto.
«Ti sto salvando. Stavi per afferrarlo per il collo e strangolarlo davanti a tutti.»
Ride. «C'ero quasi, perché mi hai fermato?», scherza insieme a me. Rilassa le spalle appoggiandosi al ripiano.
«Non puoi fare tutto da solo. Hai bisogno di un complice», ghigno.
Oscilla. «Tu vuoi farmi da complice?»
«Solo se la prima pugnalata posso darla io», mi stringo ancora un po' a lui.
Mi solleva per il mento con due dita. «Che hai in mente piccola perversa?»
Rido staccandomi. «Io? Niente di così estremo. Preparo i popcorn e quando sono seduta, apri il portellone e lancialo fuori con un calcio.»
Arriccia il naso prendendo un sacchetto di patatine. Aprendolo ne mangia un paio continuando a ridere. «Spietata», replica mugugnando.
Gli tolgo il sacchetto dalle mani con una mossa veloce. «Se non hai capito ho già attuato il mio piano», prendo una patatina sgranocchiandola con la bocca aperta di proposito.
Lui riflette un momento sulle mie parole. Di colpo capisce quello che ho fatto. «Sei un diavolo!»
«Deve sentirsi tanto solo e abbandonato in questo momento. Mio padre con Bradley, tu con me... e lui...»
Mi dà un bacio sulla guancia, un po' troppo vicino alle labbra. «Ingegnosa. Ma nascosti qui, insieme, si insospettiranno tutti. Sai, non godo di una bella fama.»
Intuisco e arrossendo, gli do un bacio sulla guancia per ricambiare ed esco dalla cabina tornando al mio posto. Mentre passo accanto a Kay, lui cerca il mio sguardo ma con un sorriso perfido raggiungo Bradley. Prima ancora mi volto e vedo Shannon un po' rosso. Risponde distratto a Kay che scatta quasi dalla sedia.
«Allora, avete fatto amicizia voi due?»
«Meglio! Bradley mi piace molto, tesoro. Tienilo stretto. Adesso vi lascio soli e torno al mio posto, devo chiedere un paio di cose di lavoro a Shannon.»
«Papà», pronuncio con rimprovero prima che torni dai due che, adesso stanno borbottando o forse discutendo.
«Si, pulce?»
«Niente lavoro per oggi. Goditi il ritorno a casa per come hai desiderato di fare negli ultimi tempi. So che ti manca molto vivere a Oakville e devi smettere di pensare ad operazioni o conferenze quando non sei in ospedale. Per una volta fai finta di essere un turista.»
Papà accoglie la mia richiesta mettendo le mani in alto. «Va bene, hai ragione», dice allontanandosi.
Mi siedo al mio posto e guardo Bradley. «Allora... com'è andata?», domando.
«Mi piace tuo padre. Abbiamo solo messo in chiaro qualcosa e fatto un patto di sangue ma...»
Ride accorgendosi che lo sto guardando scettica. «Mi ha solo chiesto di non farti del male e di rispettarti.»
«Lo fai da quando ci conosciamo, sei meraviglioso e ancora non sono riuscita a capire se sei come Clark Kent.»
Solleva l'angolo del labbro mostrando un canino. «Anch'io ho paura della Kryptonite, Erin», risponde guardando fuori dal finestrino.
«Terrò per me il tuo segreto.»
«Mentre eri nascosta con Shannon, ho spiegato tutto a tuo padre e gli ho detto che non siamo davvero sposati ma che mi piacerebbe chiedertelo per davvero quando sarà tutto finito e starai bene. Lui mi ha dato la sua approvazione. Non è stato difficile come pensavo.»
Mi sta chiaramente mettendo alla prova. «Shannon... ieri ti ha detto qualcosa, vero?»
I suoi occhi si aprono più del normale e le sue pupille si dilatano. «Come...»
«Hai appena detto che hai parlato a mio padre di noi e poi ci hai aggiunto la storia del chiedermi la mano quando starò meglio. Ne hai parlato con Shannon e no, non me lo ha detto. A quanto pare il mio amico sta iniziando a considerare anche te un amico e mi tiene nascoste informazioni importanti.»
Apre e richiude la bocca. «Come hai fatto?»
«Te l'ho detto, io capisco al volo quando qualcosa ti turba. Solo... non comprendo perché non hai voluto parlarne con me», dico facendomi seria.
Mi prende la mano sfiorandomi l'anulare. «Be', rispondi allora alla mia domanda. Sei o non sei pronta a sposarti?»
«Non voglio sposarmi, non adesso», replico decisa.
Annuisce. La sua espressione è quella di un uomo colpito nell'orgoglio. «Ma vuoi stare lo stesso con me?»
«Si.»
«E saresti disposta a parlare di convivenza?»
«Non stiamo già convivendo?»
Assottiglia gli occhi. Ricambio e poi gli getto le braccia al collo. «Spiegami perché di colpo sei così insicuro.» Attendo ansiosa una sua risposta.
«Perché mi sento messo in competizione e mi sembra di non avere nessuna speranza davanti a lui», indica Kay.
Scuoto la testa. «Ti ho chiesto di venire insieme a me perché non sei in competizione con nessuno. E per la cronaca, quella a non sentirsi all'altezza non sei solo tu ma lo sono anch'io, perché sei un uomo da sposare in ogni senso e io non ti merito.»
Mi alzo mettendo le mani avanti come se fossi in uno stato confusionale e, avendo bisogno di un momento, senza dare troppo nell'occhio, mentre Bradley prova a fermarmi, scappo nell'altra cabina. Qui, mi siedo accanto al finestrino e nel silenzio cerco di rilassarmi, di non pensare troppo.
Bradley continua a non capire che provo davvero qualcosa di forte per lui. Non capisce che spesso ho paura di deluderlo, di non fare abbastanza. Non capisce che non voglio pensare al matrimonio perché potrei non essere in grado di colmare il senso della famiglia con dei bambini. So che ci sono altri metodi, so che posso sempre adottare o prendere altri animali, ma non voglio affrontare anche questo dolore. Ecco perché non intendo dire sì ad un uomo che merita una famiglia. Non voglio renderlo infelice, insoddisfatto. Non voglio sentirmi dire tra dieci anni di essere stata incapace e non voglio ritrovarmi come una di quelle donne frustrate perché tradite dal proprio marito, dal compagno, oppure scoprire che l'amante aspetta un figlio da lui e sentirmi ancora peggio.
Perché non riesco a spiegarglielo?
Sospiro portando le ginocchia al petto e guardo le nuvole sulla quale stiamo volando.
I minuti che passano sembrano accelerare il mio respiro. Sto per andare nel panico, lo sento, così come sento il suo profumo ancora prima di vederlo e percepisco il suo calore vicino quando si siede accanto. «Posso avere un minuto del tuo tempo?»
Non lo guardo. Non ci riesco. Non adesso che ho avuto un battibecco con il mio ragazzo per una questione fondamentale.
«Ho alternativa? Non posso di certo scappare fuori.»
«Puoi guardarmi?», mi domanda a denti stretti.
«Non ci riesco», ammetto con un filo di voce.
La sua mano si posa sul mio viso costringendomi a voltarmi e a guardarlo dritto negli occhi. Per un breve istante, mi sento smarrita e così fragile da sciogliermi. Il mio cuore prende a battere più di prima e così forte da sovrastare ogni altro rumore.
Mi scanso dal suo tocco che mi brucia la pelle e schiudo le labbra lasciando uscire il fiato trattenuto.
«Stai male? È successo qualcosa?»
Perché deve comportarsi come se niente fosse? Perché?
Torno a guardare fuori. «No, sto bene. Avevo solo bisogno di stare sola.»
«Erin, ti conosco...»
Nego strizzando le palpebre. «No, non mi conosci affatto. Tu non sai più niente di me.»
«So che chiedi spazio quando stai per esplodere. So che bevi succo di frutta al posto del te' verde quando ti senti agitata. So che pensi troppo e hai paura. Perché sei qui da sola, Erin?»
Chiudo gli occhi. Inspiro ed espiro. «Perché ho bisogno di spazio. Adesso vattene e lasciami in pace. Come ti ho detto qualche ora fa, abbiamo chiuso da quel giorno.»
«No, non abbiamo chiuso. A me non puoi mentire. Vedo nei tuoi occhi la stanchezza di chi ha troppi sentimenti per un solo corpo. Sei ancora nascosta dietro quella corazza dura e resistente ma sappiamo entrambi che ti basta una carezza, un gesto, una certezza per crollare e lasciarti amare. Tu stai solo avendo paura!»
«Di cosa?»
«Di me!», si indica toccandosi il petto.
Soffio dal naso sentendomi sul punto di scoppiare. «Viva la convinzione!»
«Erin, tu hai paura perché sai che ti vedo da dentro. Sai che so come ti senti quando ti spegni. Lo so perché l'ho visto nei tuoi occhi il cambiamento. E puoi anche mostrarti forte, arrogante quanto vuoi, io so che non lo sei. So che ti nascondi per paura di essere ferita.»
Lo guardo con rabbia. «Tu non hai idea di come mi sento. Non ne hai idea perché ti sei preso il mio cuore e non l'hai neanche lasciato intatto. Adesso lasciami in pace!»
Ancora una volta mi afferra il viso. «Guardami negli occhi e dimmi che non mi ami!»
A volte non devi necessariamente dimenticare per andare avanti, devi accettare il dolore, sentirlo scorrere nelle vene, bruciare lo stomaco, riempire di caos la mente e fare in modo che tutto bruci dentro di te e così tanto da soffrire fino a morire. Perché rinascere dal dolore si può. È necessario per sopravvivere.
Per questa ragione, con occhi che bruciano e tremano, dico la verità lasciandomi investire dai ricordi, dal dolore che si propaga come una macchia di inchiostro nel mio cuore.
«Direi una bugia ma non provo più quello che pensi. Sei stato importante e non lo nego, ma adesso sei solo una cicatrice.»
L'amore per una persona non finisce ma si affievolisce. Gli amori finiscono, anche quelli più grandi, puri, apparentemente resistenti. Ci sono volte in cui sono proprio quegli amori a scoppiare come una bolla, perché non resistono agli urti violenti della vita. Sono tanto forti quanto fragili ed effimeri pezzi di felicità che si tramutano in un ricordo, in una lacrima. Forse è per questo che non ho mai pensato al "per sempre". Forse è per questo che credo nelle occasioni, negli incontri casuali che lasciano senza respiro, nell'attimo che ti cambia la vita.
Perché alla fine, una storia d'amore può essere come un bellissimo giro in giostra. Sai quello che provi quando sali ma non sai mai quello che senti quando scendi.
Kay contrae la mascella dilatando le narici. «Perché sei qui da sola?»
Scrollo via la sua mano. «Ti ho già detto perché sono qui. Non insistere.»
Soffia dal naso scrollando la testa. «Puoi prendere per il culo chi vuoi, anche tuo marito ma non me. Io vedo che c'è qualcosa che ti ha appena destabilizzata e non penso che sia per la mia presenza.»
Alzo gli occhi al cielo. «Il mondo non gira intorno a te, Kay. Adesso lasciami in pace o mi metterò ad urlare così forte da farti diventare sordo.»
Solleva l'angolo del labbro. Con il pollice, accarezza la mia guancia. «Anche se non mi credi, mi sei mancata tanto», sussurra. «So di essere stato una testa di cazzo, soprattutto quando ho capito di amarti tanto e di non potere stare con te. Ma sappi che c'è una parte di me, che non smetterà mai di provare qualcosa di così tanto simile alla felicità e che, egoisticamente, vuole che tu non stia con nessun altro.»
Ci sono talmente tante cose da dire ma affogo dentro ogni pensiero che nasce e si accumula soffocandomi.
«Vattene!»
Mi volto mettendomi comoda e abbracciandomi guardo davanti a me.
Passa la mano sui capelli. Apre la bocca pronunciando: «Erin, io...», ma viene interrotto da qualcuno che si fa avanti.
Kay si alza irrigidito mentre Bradley gli si avvicina impavido. «Lascia stare mia moglie», ringhia minaccioso.
Kay scivola di fianco a lui per uscire dalla cabina. «Le stavo solo chiedendo come sta, visto che si è rintanata qui da sola. Ma sei suo marito, sai meglio di me che cosa le succede.»
Bradley gonfia il petto e lo ignora avvicinandosi e, quando siamo soli, mi afferra per un polso, mi strattona sollevandomi e mi tiene stretta nel suo abbraccio. Mi solleva poi il viso, abbassando il suo. «So che cosa ti sta succedendo», sussurra.
Nego. «No, nessuno lo sa.»
«Sei convinta che nessuno ti conosca, ma ti sbagli. Io so come ti senti, so come ti muovi, so come pensi e so che cosa vuoi, cosa ti fa stare bene, cosa ti fa sentire male. So che se ti ritrovi tra la gente non ci sei per davvero perché ti senti di troppo, ti senti asfissiata, non ti senti abbastanza. So che ti perdi spesso nei pensieri e immagini una vita diversa, che possa essere serena e speciale. So che ti mordi il labbro quando vuoi trattenere le parole e ti agiti se non riesci a farlo e poi ti dai anche delle colpe. So che ti batte il cuore a mille e respiri male quando sei nervosa, quando ti capita qualcosa che non avevi previsto. Sai, pensi sempre che nessuno ti conosca e ti sbagli. Perché mentre ti senti sola e vuota, c'è qualcuno che cerca di tappare quei buchi, di medicare le ferite e farti sentire unica, speciale, amata. La verità è che vuoi solo qualcuno che sappia esattamente come sei, che sappia chi sei senza che tu ti presenti. Be', non per essere sicuro di me, ma io ti conosco, io ti voglio così come sei. Io ti amo, Erin.»
Prende fiato prima di continuare lasciandomi a bocca aperta per le parole che mi sta dedicando.
«Non so che cosa ti sta succedendo proprio adesso, ma io voglio te e non mi importa se sei spaventata o se ti senti inferiore. Non permetterò ad una tua stupida paura di intralciare la nostra storia. Sarò coraggioso per entrambi.
Io non ho pretese e non voglio neanche che cambi. Voglio solo te, così come sei. E se hai paura di un futuro insieme perché non puoi avere bambini a causa di ciò che ti è successo, toglilo dalla testa che ti lascerei per andarmene con un'altra o che non ci proverei lo stesso con te. Non mi interessa di altro. Voglio solo il tuo bene, la tua felicità e se non te la senti, lo accetto. Ma non precluderti la possibilità di essere serena, perché a fingere di essere felici siamo bravi tutti ma a sapere ritrovare la pace nelle piccole cose invece ci riescono in pochi.»
Sopraffatta dall'amore che provo per quest'uomo straordinario, premo le labbra sulle sue stringendomi a lui. In risposta, mi solleva per le natiche e prolungo il bacio ansimando sulla sua bocca. «Io con te ho tutto quello che voglio. Non so come hai fatto a capire ma...»
«Perché inizi ad essere comprensibile ai miei occhi. Perché ti ho ascoltata e so come ti muovi, come pensi e so che cosa ti fa stare male. Te l'ho detto, puoi anche essere un diario chiuso con il lucchetto, ma io saprò sempre dove trovare la chiave di riserva.»
Tiene stretto il mio viso con una mano mentre con l'altra sostiene la mia natica prendendomi al suo corpo caldo e solido.
«Non voglio renderti insoddisfatto o infelice. Io... mi dispiace per non avertelo detto prima, per non essere stata in grado di essere sincera e spiegarti tutto.»
Mi spinge contro la parete imbottita marrone scuro con sfumature sul caramello. «Tu mi fai stare bene. Non mi serve altro e non sto correndo troppo con te. Voglio solo capire quello che vuoi.»
«Perché?»
«Perché tieni tutto dentro e devi imparare a condividere.»
«Lo so. Non è facile.»
«Che cosa vuoi?», chiede affondando il viso sul mio collo.
Ho i brividi. «Voglio che sia semplice. Voglio superare questo momento, tornare a Seattle con un sorriso e avere te accanto a me. Voglio la mia casa, la mia famiglia e la mia amica. Voglio svegliarmi e vederti accanto a me, sentire le tue braccia intorno e il tuo sorriso sulla nuca e tanto, tanto altro.»
«Ci sto.»
«Davvero?»
«Mi basta!»
Allungo il collo quando le sue labbra esplorano ogni centimetro della mia epidermide. Stringo la mano sul suo braccio ansimando quando mi morde sotto l'orecchio.
«Facciamo pace?»
Sorrido circondandogli il collo con le braccia. Mi solleva e mi avvinghio con le gambe intorno i suoi fianchi. Allora, con movimenti lenti spinge i suoi fianchi contro di me, baciandomi.
«Brad, non siamo soli», gli faccio notare elettrizzata.
Indietreggia verso il bagno che, a differenza di molti altri presenti di solito negli aerei stretti e maleodoranti, questo è un bagno vero e proprio.
Chiude la porta a chiave sollevandomi sul lavandino di marmo chiaro. Le sue mani sbottonano veloci i miei pantaloncini.
Gemo. «Fai sul serio?»
«Fare l'amore nel bagno di un aereo privato con mia moglie? Una voce da eliminare dalla lista.»
Attacca ancora il mio collo. Mi reggo a lui dopo avergli sbottonato la camicia e i jeans. Mi sfila via le mutandine infilandole nella tasca posteriore dei jeans e avvicinandomi a sé si insinua dentro di me tappandomi la bocca.
«Sssh», sibila aumentando in me l'eccitazione.
Tiro indietro la testa mentre mi trascina in una delle esperienze più divertenti della mia vita.
Ci guardiamo, ci desideriamo. Tra di noi aleggia un piacevole silenzio fatto di respiri, affanno e voglia. Poi, le mani iniziano a sfiorarsi, ad accarezzarsi, le nostre bocche a toccarsi, a sorridersi accendendo i nostri corpi che sfregano tra loro in un susseguirsi di gesti improvvisi e decisi che sembrano essere fatti in automatico, senza controllo.
Il cielo visto dall'oblò è diviso a metà, le nuvole si appiattiscono e a tratti si perdono mostrando la terra verde. Tutto è là che ci aspetta ma noi siamo impegnati in questa danza così intima da non renderci conto di nient'altro.
Mi divarica le cosce e sollevandole leggermente si spinge in fondo facendomi ansimare e gemere. Accaldato lascia scappare un grugnito fermandosi, tenendomi stretta a sé. Quando riprende il ritmo è tutto più intenso. Premo forte le mani sulla sua schiena e lui muove i fianchi velocemente. Mi solleva premendomi contro la parete portandomi al limite.
Le mie gambe si irrigidiscono e lui trema svuotandosi, baciandomi come un amante. Muove ancora i fianchi e lo accolgo trattenendolo. Quando spinge con più forza, graffio la sua schiena mordendogli la spalla venendo di nuovo travolta dalla passione.
«Tutto bene?», si allontana affannato facendomi mugolare.
«Si, dammi un momento», riprendo fiato.
Ci ripuliamo e mettiamo in ordine.
Mi passa le mutandine con un ghigno. Le indosso e mi sistemo davanti allo specchio raccogliendo i capelli, passando un po' d'acqua sulle guance in fiamme. Bradley mi abbraccia da dietro. «Ti amo», mi bacia una guancia ed esce dal bagno.
Mi ricompongo. E, quando penso di essere calma e meno arrossata, esco dal bagno.
Cerco Bradley ed è seduto più che appagato al suo posto. Gli altri tre continuano a parlare. Papà non sembra neanche arrabbiato con Kay o se lo è lo nasconde bene.
Mi siedo accanto al mio uomo e ci guardiamo complici. Avvicino il viso lasciando che il suo si trovi a metà strada. «È stato catartico», mi sussurra.
Sorrido. «In un altro bagno mi avrebbe fatto schifo. Questo era pulito e abbastanza grande. Una nuova esperienza positiva.»
«Signori e signore, inserire le cinture di sicurezza.»
Bradley mi aggancia la cintura procedendo con la sua poi mi stringe la mano. «Appena in tempo», trattiene la sua risata.
«Grazie.»
«Per che cosa mi ringrazi?»
«Perché mi hai fatto rilassare.»
Morde il labbro nascondendo un sorriso dolce, carico di malizia. «Non l'ho fatto solo per quello.»
«Lo so ma è servito lo stesso. Mi sento scarica rispetto a prima e più positiva.»
Mi guarda ammiccando e lo spingo. «Non gongolarti troppo.»
Con l'umore nettamente migliorato, atterriamo nel posto che mi ha fatto soffrire non una ma più volte. In cuor mio, spero che vada tutto bene e di tornare presto a Seattle, la città che chiamo ormai da anni casa.

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