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60


BRADLEY

«Non puoi ancora guidare», esclama Erin posizionandosi davanti allo sportello dell'auto, pronta a fermarmi e ad affrontarmi come solo lei sa fare.
«Devi fidarti di me. So guidare anche con un tutore. Inoltre è una sorpresa, non voglio dirti dove intendo portarti», replico frustrato davanti alla sua ostinazione. Però è bella da fare diventare matto chiunque con quell'aria sempre tanto decisa a nascondere un oceano di insicurezze pronte a divorarle la coscienza.
«Non puoi davvero pretendere che io faccia una cosa del genere, Erin. Non sopporto gli spoiler, figuriamoci dirti in anticipo che cosa ho pensato di fare per te.»
Abbiamo salutato Sammy e Stan, felicemente fidanzati, pieni di progetti sul futuro e ho deciso di portare Erin in un posto per me speciale, ci andavo sempre da solo per rilassarmi in quei brutti momenti. Adesso è da un po' che non riesco a raggiungerlo e, ammetto di essere emozionato e ansioso di rivederlo. Provo dentro qualcosa di strano. Nessuno è mai riuscito a sapere dove andavo quando mi sentivo un po' meglio e avevo bisogno di stare da solo, di respirare aria diversa e di allontanarmi da tutto. Adesso però è giunto il momento di condividere qualcosa di mio, ed è una cosa abbastanza personale e così intima da farmi sentire agitato, perché Erin non ha mai la reazione che ti aspetti. È imprevedibile, sorprendente e come una scatola chiusa. Ma, sento che devo mostrarle una delle mie più profonde cicatrici. È arrivato anche per me il momento di chiudere una porta e lasciare tutto alle spalle per godermi questo presente.
«Dammi le chiavi e mettiti comoda. Guiderò piano, promesso», apro il palmo.
Lei sbuffa posando la chiave quasi preoccupata sulla mia mano trattenendola ancora per un momento per il gancio, partendo come al solito alle contrattazioni. «Non possiamo andare a piedi?»
Prendo la chiave e aprendo la portiera del passeggero le faccio cenno di non continuare a lamentarsi. «Sali in macchina e smettila di essere spaventata. Vuoi sapere o no qualcosa in più su di me?»
Adesso so di avere stuzzicato la sua attenzione, infatti cerca subito delle risposte. Inizio a capirla, a sapere cosa fare quando si ritrae o si tira indietro. So come comportarmi, come agire, quale soluzione applicare ad ogni sua reazione e in un tempo breve.
Si lascia cadere sul sedile come una bambina capricciosa, allacciando la cintura. «Se ti fai male al polso e si scopre che devi operarlo, ti spezzo entrambe le braccia, così poi vediamo se ti fai venire qualche altra brillante idea.»
Sorrido e sporgendomi le bacio la guancia. «Quanto sei dolce, tesoro», la stuzzico strizzandole una guancia.
Lei mi guarda male allontanandomi con più delicatezza di quanta vorrebbe. «Non è il momento di fare il sarcastico. Guiderai piano, più di un vecchio con problemi di deambulazione o tirerò il freno a mano, spalancherò la portiera, salterò giù e me ne andrò.»
Rido, riflettendo al contempo sul fatto che lo farebbe davvero, e lei sentendosi presa in giro mi spinge. «Dico sul serio!»
«Ok, capo!»
Incrocia le braccia guardando davanti a sé mentre accendo il motore sistemando il sedile, il volante e gli specchietti. Guidare un mezzo è un qualcosa che mi manca di più in tutta questa storia della convalescenza. La mano sembra stare meglio così come il polso, pertanto devo solo fare molta attenzione a non peggiorare la situazione. E con Erin qui accanto a me, ho la giusta motivazione.
«Mi era mancato», ammetto ad alta voce. Non avrei mai immaginato che potesse essere così bello provare a stare con qualcuno e sentirsi così in sintonia da essere liberi di parlare di tutto, anche delle cose che provocano ancora dolore.
«Che cosa?»
«Guidare», dico rallentando e fermandomi dietro la fila di auto.
Le prendo la mano tenendola in grembo. Un gesto che inizia ad essere naturale, familiare, importante. Un qualcosa tra me e lei, di nostro.
All'inizio si sofferma sulle nostre mani intrecciate osservando le vene in evidenza della mia, e lo vedo, è attraversata dallo stesso pensiero, poi però distoglie lo sguardo riflettendo su qualcosa.
«Ti piace guidare?»
«Oh si, tanto. Con nonna Gio' abbiamo viaggiato parecchio. Ogni domenica o quando avevo un giorno libero e volevo staccare dalla solita routine, ci mettevamo in auto e la portavo lontano da Seattle. Era divertente e mai imbarazzante come si pensa.»
Mi guarda curiosa. «Ci andavi per lei o per te?»
È perspicace. «Volevo che stesse bene perché non ha passato un bel momento neanche lei dopo la morte di mio nonno e volevo viaggiare e divertirmi insieme a lei che mi è sempre stata accanto, anche quando non lo meritavo. In pratica pensavo al mio e al suo di bene.»
Stringe la mano sulla mia gamba come ho fatto molte volte io. Adesso, provo esattamente quello che prova lei quando lo faccio, ovvero: brividi.
Lei riesce ad accendere in me ogni istinto spento per troppo tempo. Ed è fantastico quello che riesce a farmi provare con un solo gesto, anche uno apparentemente insignificante.
«Sei stato in tanti posti?»
«Si, ma non sono mai abbastanza. Quando potevo prenotavo vitto e alloggio, organizzavo un breve itinerario e stavamo lì per qualche giorno a svagarci.»
«Il posto che ti è piaciuto di più?»
«Un vicolo pieno di fumo e fiamme», replico.
Lei si volta, nasconde il sorriso. «Davvero?»
Rallento. «Si», guardo la strada davanti a noi e poi svolto in direzione del ponte.
«E il peggiore?»
«Casa tua questa mattina.»
Le parole mi escono spontanee e dirette dalla bocca. Non ho pensato che potrebbe incupirsi e adesso che ci rifletto un istante mi sento un verme, perché potrebbe ripensare a quel viscido bastardo. Invece, con mia enorme sorpresa, ride forte aprendo il finestrino. Incrocia le braccia sulla superficie lasciandosi attraversare dal vento.
Il silenzio che si crea non è affatto imbarazzante o opprimente.
Erin gira il viso. Mi scruta. Sento proprio i suoi occhi chiari posarsi addosso e scavarmi dentro una voragine fino a raggiungere la mia anima riscaldandola con la sua presenza.
«Che cosa ti piace davvero di me?», chiede in un sussurro. I suoi occhi si velano di tristezza facendomi agitare dentro. Che le succede?
«Devo davvero rispondere a questa domanda?»
Mi guarda indurendo i lineamenti e il viso le si trasforma in una smorfia ai miei occhi tanto dolce quanto spietata. Mi concentro per trovare le parole adatte, per non perdermi come succede spesso quando ho lei così vicino da toccarmi il cuore senza sfiorarlo. I suoi occhi potrebbero congelare persino il più caldo dei miei sguardi, tanto sono potenti, accesi di curiosità.
Non vuole essere rassicurata, vuole sentirsi dire la verità, anche quella che potrebbe ferirla.
«Mi piace quando fai finta di essere forte, imbattibile, mentre in realtà, tutto ti divora e ti consuma dall'interno. Mi piace che ci metti tanto cuore anche quando non dovresti, perché dovrebbe essere custodito in un posto sicuro, lontano da mani che potrebbero romperlo. Mi piace il fatto che sei intelligente, sincera e mi piace persino la tua insicurezza. Mi piace il tuo piercing all'ombelico e i tuoi pochi nei sparsi sulla schiena, che se prendo un pennarello e li unisco formano una costellazione privata e personale. Mi piace che non sembri mai spaventata anche quando in realtà lo sei e vorresti solo proteggere te stessa. Mi piace quando riesci a lasciarti andare e puoi diventare un grandissimo pericolo. Sei un terremoto di emozioni. Mi piacciono i tuoi sbalzi d'umore, la tua fragilità nascosta, la tua timidezza. Mi piaci perché sei un caos in grado di mettere ordine nella mia vita. Mi piace il fatto che hai paura di legarti a qualcuno ma allo stesso tempo non riesci ad andare via e dimostri di tenerci in altri modi, con i tuoi strani metodi. Mi piace il modo in cui ti spogli, cammini, arrossisci, sorridi, parli e pensi. Mi piacciono così tante cose di te da non riuscire a decidermi quale di tutte queste mi piace di più. Perché sei una persona incredibile, da scoprire lentamente e da vivere con il fiato sospeso. Sei quell'attimo che mi ha cambiato la vita, Erin. Mi piaci proprio perché sei tu con i tuoi tanti difetti che sono poi i tuoi punti di forza.»
Guarda davanti a sé, il viso attraversato dalla luce del sole, le mani adesso unite in grembo e un sorriso che le si apre sulle labbra. Le mie parole le hanno appena provocato qualcosa.
Non avevo tempo per immaginare una persona che potesse in qualche modo completarmi. Poi è arrivata lei. Lei è una di quelle donne che non hanno paura di niente eppure hanno paura di tutto, all'apparenza fatta di piombo, indomabile come le fiamme di un incendio inarrestabile e al contempo fragile come il vetro. Il suo sorriso, Dio, il suo sorriso è come se riuscisse a risvegliarmi dentro uno sciame di vespe pronte a volare e a pungere. È in grado di mandarmi fuori di testa.
«Avevi voglia di viaggiare con me oggi? Per questo mi stai portando da queste parti?»
«Tanta», replico inserendo la freccia, iniziando la breve discesa. «E non ti sto portando solo da queste parti ma nel mio posto.»
«Un altro ricordo?»
Capisce al volo. «Qualcosa del genere.»
Torna a guardarmi. «Per quale ragione?»
«Perché abbiamo bisogno di cose che non ci avvelenino le giornate di tanto in tanto. E tu hai bisogno di tenerti lontana da casa oggi e non puoi di certo continuare a negarlo.»
«E tu? Di cosa hai bisogno? Pensi sempre agli altri ma che cosa vuoi davvero?»
Mi fermo. Scendo dall'auto, le apro la portiera e sganciandole la cintura la tiro fuori girandola verso la spiaggia e il mare.
Indico l'immenso spazio da lontano e il piccolo ritaglio di spiaggia intorno.
«Ecco di cosa ho bisogno io», le sussurro all'orecchio abbracciandola da dietro. «Fermati solo un momento, chiudi gli occhi, prendi un respiro e trattieni dentro tutto quello che c'è di bello in questo posto. Per farlo, devi allontanare ogni pensiero o problema, devi liberarti da ogni peso o paura. Respira, Erin.»
La lascio andare e lei riapre gli occhi. Batte le palpebre restando immobile un momento. Assorbe i dettagli di questo posto solitario, tranquillo e meraviglioso.
Chiudo le portiere e porgendole la mano la porto in spiaggia. Si lascia trascinare guardandosi intorno, assimilando e tenendo per sé ogni dettaglio. Sulle sue labbra, lentamente, si apre un bellissimo sorriso e fermandosi mi tira verso di sé prima di saltarmi addosso cercando le mie labbra per darmi un bacio che riassume il suo ringraziamento, i suoi sentimenti attuali.
«È bellissimo», scivola giù guardandomi ancora negli occhi emozionata, prima di staccarsi. Toglie le scarpe avvicinandosi a riva dove tocca con un dito l'acqua.
Alzo il viso verso il cielo. Inspiro l'aria salmastra e tranquilla sentendomi nel posto giusto. Tolgo le scarpe e sbottono la camicia percependo l'aria primaverile sulla pelle.
Erin si volta strillando. «È fredda», dice scappando dall'onda che le arriva da dietro immergendole di nuovo i piedi. Ma il suo sorriso mi appaga, mi fa sentire davvero nel posto giusto.
Si avvicina con una pietra colorata di un grigio antracite con delle strisce bianche. «Un regalo per te», dice. «Per ringraziarti.»
Osservo la pietra mettendola dentro la tasca piccola dei jeans. «Che ne pensi di questo posto?»
«È bello qui, mi piacerebbe viverci.»
«Possiamo visitare gli appartamenti in affitto o in vendita sulla costa e trasferirci anche subito se vuoi.»
«Non stai dicendo sul serio, vero?»
Notando che lo sono, prende un breve respiro. «Sei serio», conclude da sola.
«Magari un giorno vivremo in una villa qui vicino, una di quelle che si affacciano sul mare e ogni notte prima di andare a dormire apriremo la finestra e ammireremo la luna che si specchia sull'acqua. Oppure andremo a passeggiare in spiaggia tenendoci per mano, faremo anche un bagno e poi ci riscalderemo davanti il fuoco in giardino.»
Gioca con la sabbia creandovi sopra delle linee con il dito. «Sei sicuro di quello che vuoi, eh?»
«Perché tenerlo per me quando posso renderti partecipe di ogni mio desiderio?»
Solleva l'angolo del labbro. «Vuoi rimanere e vivere qui a Seattle?»
Guardo il cielo azzurro, incontaminato poi delle barche che si stanno allontanando. «Si. In realtà mi piacerebbe ristrutturare la villa di famiglia che si trova fuori Seattle. Poi però penso che non sarei qui vicino a godermi questa bellissima vista e soprattutto questa immensa pace e rinvio sempre il momento. Non penso di volere andare via dalla mia città.»
Lei mi guarda con interesse. «Hai una casa di famiglia?»
«Apparteneva ai miei nonni. È chiusa da anni ormai. Diciamo che sul testamento mio nonno ha scritto solo mio nome. Quindi sono il proprietario di quasi tutto il suo patrimonio. Ai miei ha lasciato qualcosa ma la fetta più grande è andata al suo unico nipote preferito. Non l'hanno presa bene tutti gli altri anche se ormai hanno accettato e compreso il suo volere.»
«E tua nonna? Come mai non è rimasta a vivere lì? Di sicuro tu non l'avresti cacciata via o sfrattata. Le vuoi davvero bene...»
Sollevo le spalle. «Ha preferito qualcosa di meno enorme o silenzioso e più moderno», replico. «Inoltre sarebbe stata più vicina a me.»
Appoggia la testa sulla mia spalla. «Qualche altro sogno o fantasia?»
«Magari un giorno ci siederemo insieme sul portico di casa e guarderemo gli animali correre da una parte all'altra o vedremo giocare i nostri bambini, oppure ce ne staremo tutto il giorno a fare l'amore, a riempire la casa dei nostri respiri, delle nostre risate, delle nostre litigate e adotteremo altri animali. Sto pensando di prendere una compagna al pesce, secondo te si sente solo?»
Sorride. «Magari un giorno io sarò meno incasinata, anche se mi sveglierò sempre con il muso lungo o con la voglia di non avere nessuno intorno. Magari sarò serena perché tu mi renderai felice. La paura si allontanerà e ce ne andremo lontano da qui, solo noi due, insieme. Un giorno avremo tutto, però non dobbiamo correre o rischiamo solo di cadere e farci molto male.»
«Vuoi aspettare perché...»
«Non pensarlo!», replica in fretta e con una nota dura. «Voglio aspettare perché voglio risolvere delle cose che nella mia vita continuano ad essere rimandate da troppo tempo. Merito la mia felicità! Per farlo devo affrontare il passato.»
Le stringo la mano baciandole la tempia. «Allora sarò qui ad aspettarti, piccola.»
Arriccia il naso in modo dolce e protendendo le labbra le posa sulle mie per un bacio in grado di trasmettermi tutto il suo amore.
Sentendo risvegliarsi in fretta l'istinto di possederla, mi sollevo. «Facciamo un bagno?»
«L'acqua è fredda, Brad», guarda l'orizzonte.
Mi spoglio rimanendo in boxer. «Io vado, mi lasci solo?»
Faccio due passi e lei mi prende per mano. «Vuoi davvero fare un bagno?»
«Si vive una volta sola, Erin. Tutto il resto non conta.»
Mi guarda insicura tenendo il labbro tra i denti poi posa le mie mani sul bordo della sua maglietta. Capisco il suo comando silenzioso e la spoglio lentamente, abbassandomi di tanto in tanto per baciarle la guancia, il collo, le labbra. Mugola regalandomi un sorriso dietro l'altro, un battito dopo l'altro, un brivido continuo.
Quando è più distratta ad osservarci in intimo, la sollevo caricandola in spalla e corro verso l'acqua. Lei urla e ride allo stesso tempo.
«Brad, non così!»
L'acqua è sempre stata fredda ma è un posto che conosco ed è come camminare dentro casa. «Ti fidi di me?», le chiedo.
Si avvinghia come una scimmia. «Non lasciarmi cadere in acqua adesso, non sono pronta», ammette.
«Non lo farò, fidati di me e scivola lentamente sul mio corpo. Ti reggo io», le sussurro.
Fa come dico e la tengo sollevata per non farle toccare l'acqua. «Adesso prendi un gran respiro», le ordino. «Non avere paura.»
Ancora una volta mi ascolta facendo ciò che le dico e la lascio scivolare in acqua. Quando tocca il fondo e una lieve onda le supera le ginocchia, strilla abbracciandomi e rido. Rido con tutto il cuore cercando le sue labbra, facendola indietreggiare e immergere fino alla vita. Lei inarca la schiena intrecciando le dita dietro la mia nuca, avvicinandosi al mio corpo fino ad attaccarsi come una stella marina. «Avevi detto di dovermi fidare. Troverò il modo di vendicarmi, maritino», guarda dietro, le lievi onde che ci spingono di nuovo a riva e noi ci opponiamo.
«Devi fidarti di me. Non ti succederà niente. Sono solo onde e se pensi a qualcosa di diverso, il freddo lo senti appena. Devi solo rilassarti e non essere sempre così tesa e guardinga.»
Annuisce. «Si, hai ragione. Scusa, è solo che...»
«Lo so, non riuscirai mai a fidarti totalmente ma non ho brutte intenzioni. Sei nel mio luogo sicuro e dovrei essere io quello a spaventarmi.»
Corruga la fronte. «Perché?»
«Perché qui ci tengo sepolti i miei ricordi più intimi, quelli che riguardano la mia malattia», le indico vicino agli scogli. «Lì mi sedevo quando sentivo la nausea raggiungermi e davo da mangiare ai gabbiani», indico un ponticello di legno sgangherato. «Invece lì me ne stavo a gambe incrociate a fissare l'orizzonte, ammiravo il tramonto o l'alba come se fosse l'ultimo dei miei giorni. A volte salivo in quelle barche per avere un'altra prospettiva, oppure mi allontanavo dalla riva con esse fino a raggiungere quello che per me era il centro. Osservavo la città con un misto di malinconia.»
Lei rimane a fissare prima gli scogli poi il ponte e infine me. Intuisce la mia difficoltà nell'aprirmi con un argomento abbastanza pesante dal punto di vista psicologico.
«Non devi parlarne per forza, Brad.»
L'avvicino. «Tu mi hai raccontato di te, adesso lo faccio io mostrandoti un pezzo di me, della mia vita, di cui non parlo perché non è facile parlare alle persone di una malattia. Nessuno comprende davvero quello che hai passato, possono solo biasimarti o dirti che andrà meglio. Tu invece puoi capirmi perché sai cosa significa soffrire e lottare per sopravvivere, cadere senza fare il minimo rumore. L'hai fatto e continui a farlo, continui a dimostrarmi che posso andare avanti, che posso farmi una vita dopo anni di paura. A te sembra che siamo diversi, ti sbagli, abbiamo molto in comune, Erin.»
I suoi occhi si velano di tristezza e lascia scendere una lacrima, che solitaria le riga il viso. Asciugo immediatamente la goccia salata e premo le labbra sulle sue. Oppone un po' di resistenza cercando di dire qualcosa ma glielo impedisco negando. «Lo sto facendo perché anch'io ho bisogno di lasciare andare qualcosa che per troppo tempo mi ha schiacciato al suolo facendomi sentire impotente. Ma se sono qui adesso, significa che posso farlo, che era destino.»
Mi accarezza la guancia. «Sono stata egoista, ti ho accusato senza provare a capirti e mi dispiace tanto, Brad.»
Scuoto la testa spingendola in acqua. Lei mi si avvinghia ancora addosso ma non urla, mi fissa in un modo straordinario. È come se avessi tanti fuochi d'artificio dentro il mio cuore. Scintille di un amore corrisposto e potente.
Affondo la mano sulla sua nuca facendole piegare la testa indietro e strofino la punta del naso contro il suo. «Volevo dirtelo subito perché sapevo che non eri come tutti gli altri ma sono stato codardo perché non volevo bruciarmi l'occasione di arrivare al tuo cuore in un'altra maniera e non usando la carta dell'essere stato sul punto di morire.»
Le sue mani salgono lungo le spalle, il collo e sul mio viso. Toglie delle gocce d'acqua salata dalle mie labbra. «Fai un lavoro che è già un grosso rischio», risponde a bassa voce.
«Che vuoi farci? Mi piace vivere sul filo del rasoio», sorrido.
«Ti piace troppo il rischio», dice spingendosi in su, premendo il suo corpo sul mio.
Chiudo gli occhi. «Così tanto da scommettere su di noi», mormoro.
Un'onda le sfiora le spalle e ansima. I brividi le coprono il corpo intero.
Le sollevo le natiche e si avvinghia. Gioco con le sue labbra e lei freme. «Hai bagnato il tutore», mi fa notare con rimprovero, forse per non distrarsi.
«Non mi importa, si asciugherà, posso sempre cambiare la fasciatura che sta sotto», la rassicuro. «Inoltre, ne vale la pena per lo spettacolo che ho qui davanti agli occhi», dico lo stesso, anche se rischio di risultare melenso.
Le sfugge un singhiozzo. Trema abbastanza forte da spaventarmi con questa sua reazione improvvisa e naturale, soprattutto quando mi stringe e mi bacia non lasciandomi il minimo scampo.
«Sei incredibile, Brad. Dico sul serio. Mi hai portata qui per questo?»
«Volevo vivermi un altro giorno come se fosse l'ultimo, ed è meraviglioso quello che ho davanti a me, tra le mie braccia.»
Il bacio si fa insistente e mi approprio della sua bocca sfiorandole la lingua mentre le onde ci fanno indietreggiare fino a riva dove lei si stende tirandomi su di sé, riprendendo il bacio che si prolunga e che sa di sale, sa di amore.
Solleva un ginocchio e questo suo gesto mi fa eccitare. Mi stacco sistemandomi su un fianco, prima che sia troppo tardi. Lei si mette a sedere ricomponendosi.
«Quando è stato?»
«Avevo circa ventidue anni quando sono finito in ospedale per un incidente sul lavoro e mi hanno detto di avere trovato qualcosa di anomalo. Da quel giorno è iniziato il mio calvario. Ho abbandonato per qualche anno il lavoro, l'ospedale ha iniziato ad essere la mia nuova casa e tutto quello che immaginavo potesse essere un momento felice per la mia carriera e per la mia vita si è trasformato in un incubo senza apparente via d'uscita. Mi hanno fatto un trapianto di midollo, ho fatto le cure e...»
Lei mi ascolta attentamente. «E...?»
«Dopo due anni ho avuto una ricaduta ed è stato traumatico, ma era niente in confronto a quello che avevo vissuto prima. Un altro giro di cure, un altro intervento. Ero distrutto dentro e fuori», parlarne riapre quella vecchia ferita.
«E adesso? Che succede?»
«Adesso vado periodicamente a fare delle visite, mangio sano, mi tengo in forma, evito tutte quelle cose nocive e negative per la mia vita e se tutto va bene, non dovrò più aspettarmi il peggio perché stavolta ho avuto fortuna.»
Sulla fronte le si forma una V. «Fortuna?»
Alzo le spalle. «Non so come definire il fatto di avere superato due volte una malattia di cui non ho mai osato pronunciare il nome.»
Mi sistemo dietro di lei lasciando che mi si appoggi al petto. «Perché proprio questo posto?»
«Tutti continuavano a starmi addosso, a farmi sentire davvero malato. Anche se stavo male, venivo qui perché questo posto mi fa ritrovare la serenità. Averlo condiviso con una persona a cui tengo tanto mi piace ancora di più, perché spero possa avere lo stesso effetto su di te.»
Si volta. «Perché pensi...»
«Sei confusa. Sei piena di dubbi e spaventata che lui possa prenderti di nuovo in giro. Stai cercando di non annegare ma continui ad agitarti anziché alzare la testa e tenerti a galla o meglio: nuotare in mezzo agli squali. Io lo capisco, ma non permettergli di avere ancora così tanto potere su di te.»
Mi guarda a bocca aperta. «A volte mi fai paura. Mi capisci in un modo che mi trasmette serenità e non mi fai sentire poi così sola. Mi piace come mi fai emozionare e ancora di più come mi guardi, perché mi vedi, anche se sono l'immagine sbiadita di me stessa.»
Le porto una ciocca bagnata dietro l'orecchio sfiorandole le piccole lentiggini che le sono comparse sul naso. «Lieto di di vederti e capirti, Erin.»
Si avvicina. «Ti ho capito, sai?»
«Spiegati meglio.»
«Prima ti mostri freddo, deciso, poi mi nascondi un lato di te che amo tanto. E non mi dispiace quando esce fuori il vero Bradley. Lo sei sempre, ma quando mostri la tua anima, diventi ancora più incredibile e bello ai miei occhi.»
Sorrido e lei arrossisce boccheggiando.
«Però... ci sappiamo fare con le parole», esclama.
La spingo sotto il mio peso baciandola, sfiorandole la pelle scoperta ed esposta. Ansima lasciandosi guidare dall'istinto. «Non viene mai nessuno qui?»
«No, è tutto nostro», sussurro a fior di labbra.
Posa i palmi sul mio petto facendomi capire di doverle regalare un po' di spazio. «Grazie per avere condiviso con me la tua storia.»
L'aiuto a sollevarsi. «Ci verrà un raffreddore, torniamo a casa», le rispondo.
Lei si volta. «Non guardiamo il tramonto? Abbiamo anche qualcosa da mangiare. Possiamo rimanere ancora un po'», sorride guardandomi speranzosa.
«Dobbiamo asciugarci, niente più nuotate», cerco un compromesso prima che le vengano strane idee. So che le è piaciuto nonostante inizialmente fosse titubante.
«C'è un bel sole e possiamo metterci in auto o sul paraurti, che dici?», senza attendere recupera i nostri indumenti e mi tira dietro di sé verso l'auto. Qui recupera una coperta dal bagagliaio sistemandola sul parabrezza insieme al sacchetto di carta. Sale poi su aspettandomi.
Vederla con quel completo intimo nero semplice, mi manda il tilt il cervello. Accetto sedendomi. Scarto un sandwich e un tramezzino spezzandoli, passandole l'altra metà di ognuno.
Mangia guardandosi intorno con gli stessi occhi di quando siamo arrivati. «Hai scelto proprio un bel posto», biascica.
«Tu non ne avevi uno?»
Deglutisce intristendosi. «Non mi sono mai sentita a casa o al sicuro, ho cambiato tantissimi paesi e conosciuto persone poco raccomandabili. Poi stava iniziando a cambiare qualcosa ma era solo una brutta illusione, visto che sono rimasta ferita.»
«Non c'era un posto?»
«Si, ma se te lo dico poi diventi maggiormente geloso», risponde pulendosi le mani, bevendo un sorso d'acqua.
«Parlamene», la incito.
«C'era questo bosco, questa casetta in mezzo ad una radura. C'era silenzio e dopo che tutto è finito ho continuato a recarmi lì. Mi sedevo sul portico, oppure vagavo per quei sentieri fino al ruscello. Era tutto molto tranquillo, proprio quello che mi ci voleva per sedare il caos che ho sempre avuto dentro la testa. Poi però ho smesso.»
Inizio ad intuire la ragione. «Perché? Che cosa è cambiato?», chiedo lo stesso.
«Io. Sono cambiata io. Ho capito di commettere un grosso errore, che lui non sarebbe mai tornato a cercarmi o a chiedermi scusa. Mi sentivo una stupida. Poi sono partita e mi sono lasciata tutto alle spalle. Gli anni sono passati e non ho più trovato il mio posto tranquillo a parte casa mia che, attualmente è un bersaglio facile», fa una smorfia.
«Puoi venire qui quando vuoi», replico pulendo gli angoli della bocca e, togliendole la bottiglietta dalle mani bevo un sorso d'acqua.
«Non sporcherò il tuo luogo tranquillo. Quando mi vorrai qui con te, sarò lieta di accompagnarti», si stende.
Lo faccio anch'io cercando la sua mano. Le nostre dita si sfiorano. «È stato bello. È come se mi fossi tolto un enorme peso dalla coscienza.»
Si avvicina lasciandosi abbracciare e appoggia la guancia sul mio petto ascoltando il mio cuore. «Non sentirti minacciato da un altro. Adesso che ho capito cosa significa vivere in un posto simile al paradiso e con una persona che mi fa sentire come se ci fosse davvero un posto per me in questo mondo, non voglio tornare indietro, in quel luogo buio.»
Le massaggio la nuca. «Sai che tengo molto a te e non voglio perderti?»
Solleva la mano con l'anello. «Non ti avrei detto di sì», sbircia con un sorriso dolce e poi torna a nascondersi e io la amo da impazzire, più di prima.
Erin è tante cose insieme. Principalmente è una persona meravigliosa, tenera dentro e dura, a tratti spinosa all'esterno.
Il tramonto arriva con i suoi colori carichi e lei guarda gli ultimi spiragli di luce con il fiato sospeso, come un film di cui non conosce la fine perché non ha letto la trama. Le sfugge un'altra lacrima e si volta per non farmene accorgere, ma ho già visto e la sto avvicinando per un abbraccio. «Lasciale uscire, non vergognarti.»
Nega tirando su con il naso. «Essere fragili fa schifo.»
«Lo so», mormoro. «Ma tu non lo sei.»
Ci rivestiamo e salgo di nuovo sul lato del conducente. Avvio l'auto guardandola mentre i suoi capelli si riempiono di riflessi e ombre sempre più consistenti. Lei si volta e nello stesso istante entrambi percepiamo qualcosa che ci colpisce e ci consuma. L'aria si carica di tensione andandosi a mescolare con il frastuono provocato dai suoi occhi.
Spengo il motore e per istinto tiro indietro il sedile proprio mentre lei sgancia la cintura sedendosi a cavalcioni su di me.
Le sfilo via la maglietta baciandole il petto quando incurva la schiena e poi i pantaloncini premendola addosso, lasciando che mi sfiori e mi tocchi.
L'abitacolo si riempie di gemiti e quando mi spingo dentro di lei, tira indietro la testa prima di reggersi con una mano al finestrino e muoversi su di me facendomi acquistare sempre più vigore.
Mi si stringe addosso mugolando e io continuo ad assecondarla tenendola ferma per la schiena, spingendomi sempre più a fondo, fino a farla urlare dal piacere e a farla tremare affannata.
Ci fermiamo, fronte contro fronte, occhi negli occhi, senza fiato.
«Ti ricordi quando ti ho portata per la prima volta a casa mia?»
«Si, ero tesa e ancora oggi mi prendo per stupida da sola. Volevi solo parlarmi di te, farmi capire come vivevi», dice portando una ciocca dietro l'orecchio, le guance rosee e le labbra gonfie.
Le sfioro le gote con il polpastrello segnando una linea invisibile e continua. «Mi riferisco a quando ci siamo addormentati sul divano.»
«Come dimenticare il modo in cui siamo stati interrotti da Shannon», dice ripensando a quel momento.
«Quel giorno, quando ti sei addormentata tra le mie braccia, avevo già capito di essermi innamorato di te, ma non volevo accettarlo. Mi sentivo strano, e mi spaventava sentirmi così, perché pensavo di avere tanto da rischiare, ma non sapevo anche che avrei potuto perdere te. Ma ero sereno in quell'istante, perché tu eri con me. E risvegliarmi tenendoti tra le braccia, è stata la cosa più bella della mia vita. Voglio la stessa cosa. Ogni singolo giorno a mia disposizione, se me lo permetterai. Voglio chiudere gli occhi con un sorriso e poi svegliarmi nel cuore della notte per guardarti, per sentire il tuo respiro. Voglio tenerti tra le mie braccia e stringerti tutte le volte che posso. Erin, provaci, aggrappati e non mollare mai la presa. Perché se tagli quel filo, io volerò via e non tornerò più indietro.»
Mi stringe in un abbraccio dei suoi. «Posso sempre usare una seconda corda per stringerti maggiormente», replica piano. «Mi stai chiedendo troppo, lo sai? E se poi litighiamo? E se ci facciamo male a vicenda?», si agita.
«E se invece ci amiamo e basta?»
Lei mi fissa negli occhi come se stesse per tuffarcisi dentro, sorride. «Amiamoci e basta allora.»
«Senza contratto.»
«Senza cerimonia», continua lei.
Una relazione può essere una lotta, una guerra continua, una pace lunga e duratura. Ma delle cose difficili da raggiungere ci si stanca presto, e a volte non sono neanche poi così importanti come si pensa in partenza. L'amore vero può trovarsi in una giornata di sole, in una spiaggia con il mare a fare da sfondo e una chiacchierata tranquilla a riempire il silenzio. Questa è la vera felicità, questa è una vera relazione, quella che si crea da un incidente e si trasforma in un qualcosa di unico e indelebile.
«Dimmi solo sì o no», sussurro.
Avvicina le labbra posandole sulle mie mimando un "si", poi scivola via piano ed io lascio che si sposti sul sedile dove inizia a rivestirsi guardandomi con un sorrisetto. Anch'io lo sto facendo sentendomi euforico e pieno di vita. Questo, fino a quando non torniamo a casa sua.

🖤

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