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ERIN
Quello che vogliamo un po' tutti è voltare pagina. Come se questo fosse facile. Come se un giorno, svegliandoti nel bel mezzo di un sogno, decidessi di darti all'ippica senza essere mai salito su un cavallo.
Saper andare avanti non è facile come si crede. Lo vedo come una strada in salita piena di gradini che rischiano di farti cadere, che ti affaticano a tal punto da costringerti a fermarti. Alcuni quando ce la fanno, quando raggiungono la vetta, dicono che la vista sia incantevole e che la fatica, alla fine, la senti appena. Io non ho mai assaporato una simile sensazione. Penso sia bello potere finalmente respirare a pieni polmoni, il sentirsi bene e in pace con se stessi. Eppure fa paura la prospettiva di una felicità, perché effimera, breve, a volte dolorosa.
Tutto quello che so è che il tempo è prezioso. Nessuno ce lo restituisce indietro. Quello che lasciamo non torna, si tramuta in ricordo.
Sospiro sentendomi parecchio ansiosa. Bradley sta sistemando dentro una valigia le sue cose e non ha voluto che lo aiutassi. Mi ha gentilmente cacciata via dalla sua stanza per fare da solo.
Così, per non starmene con le mani in mano, nel frattempo mi sto occupando del pesce tropicale e di "Tildo", felice di vedermi. Continua infatti a saltarmi addosso non riuscendo a stare fermo un momento. Percepisce un breve cambiamento nell'aria ed è così festoso da coinvolgermi, da distrarmi abbastanza. Mi inginocchio e lotto giocosamente con lui per riuscire ad agganciargli il guinzaglio al collare. «Sta fermo», rido. «NO!», mi gira intorno facendomi cadere sul pavimento e prova subito a leccarmi la faccia continuando a ringhiare. Mi paro il viso con le mani in avanti per tenerlo lontano e abbaia una volta abbastanza forte, frustrato, saltandomi addosso con maggiore insistenza e pronto a mordermi.
Un fischio, un unico ammonimento e "Tildo" si ferma mettendosi sull'attenti piagnucolando. Aggancio velocemente il collare guardando in alto.
Bradley osserva la scena dall'ultimo gradino della scala che conduce al soppalco. Sulla spalla il borsone e in mano una piccola valigia. Con lo sguardo freddo sta ammonendo il suo cane che adesso guarda a terra come un bambino dispiaciuto per avere fatto arrabbiare suo padre.
Mi rialzo da terra ricomponendomi. "Tildo" morde il guinzaglio abbaiando di nuovo forte e stridulo, come se volesse sfidarlo.
Bradley non lo lascia vincere, avanza facendolo indietreggiare ed emettere un verso basso, gutturale. Si posiziona persino dietro le mie gambe come se avesse paura di una punizione. Dubito che Bradley voglia fargli del male. Sta solo mettendo in riga il suo "bambino" dispettoso.
Il suo sguardo severo, riesce a mettere anche me sull'attenti, fino a quando non smette e gli sorride dandogli una piccola pacca affettuosa.
Sorrido di rimando guardando il cane che adesso sta piegando la testa goffamente nella mia direzione, come per dirmi "adesso, che cosa facciamo?".
«Andiamo! "Ness" ti sta aspettando», dico prendendo il pesce tropicale che se ne sta tranquillo nella sua vaschetta più piccola rispetto all'acquario in cui sta di solito, dirigendomi verso la porta.
In auto, non vola una mosca. Nessuno dei due ha aperto bocca da quando siamo tornati nel suo appartamento per prendere qualche indumento e gli animali.
Guardo dallo specchietto retrovisore per vedere come procede il viaggio per i passeggeri e per assicurarmi che il cane non vomiti sul sedile.
"Tildo" se ne sta seduto con la lingua di lato e il finestrino in parte aperto a scompigliargli il pelo e quei baffi così graziosi che viene voglia di divorarselo a suon di baci.
Bradley posa la mano sulla mia coscia. Sorpresa, guardo brevemente il gesto guidando con concentrazione mentre la mia pelle si rizza. Le sue dita disegnano piccoli cerchi sulla mia pelle e lentamente si spostano verso l'interno coscia dove posa il palmo caldo. Mi volto a guardarlo e sta fissando il panorama davanti a noi.
Il sole è già alto nel cielo e fuori c'è una bellissima giornata di primavera.
Guardo ancora la sua mano, le mie gambe nude perché indosso un paio di pantaloncini a vita alta, sopra una maglietta stretta con le maniche a tre quarti con lo scollo accentuato sul davanti, tutta piena di fiori rossi su uno sfondo nero e scarpe da ginnastica comode per guidare.
Mi piace vestirmi così quando posso perché non devo lavorare e non devo portare quegli abiti da principessa. Con gli anni però una cosa è cambiata, ho imparato ad apprezzare di più i colori; anche se il nero rimarrà sempre il colore della mia anima.
Fermi dietro una lunga coda di auto, motori, furgoni e camion, circondati dal frastuono della vita frenetica in città, bevo un sorso d'acqua poi poso la mano sulla sua, sfiorando il livido sulle nocche. Sento il suo sguardo scivolare lungo il mio corpo, la mia pelle surriscaldarsi, i miei sensi andare in tilt ma non oso fare nient'altro. Le mie dita sfiorano le sue e lui le stringe di rimando un po' sulla mia coscia.
Il silenzio tra di noi inizia a pesare come un masso sullo stomaco.
«Come stai?», oso chiedere.
Appoggia il gomito sul bordo del finestrino cercando di non fare troppa pressione sul polso fasciato, coperto dal tutore.
«Hai una domanda di riserva?»
Tiro una pellicina dal labbro. «Vuoi davvero venire per qualche giorno a stare da me o ti sei sentito obbligato?»
Gratta sotto il labbro con l'indice dopo avere tolto la mano dalla mia coscia facendomi sentire la mancanza del suo calore. Gli afferro la mano portandola in grembo, rimango in attesa mentre riprendo la guida seguendo a rilento la fila che ho davanti.
«Non mi sento obbligato, Erin. Sono adulto abbastanza da decidere da solo cosa fare o come comportarmi.»
«Allora perché non sembri felice?»
Beve un sorso d'acqua dalla mia bottiglietta e cerco di nuovo la sua mano su di me che, attualmente, è l'unico contatto che ho con lui, di lui. Mi serve per non farmi troppe paranoie.
«Non sono felice perché quella che considero la mia ragazza stava andando a letto con un altro e non riesco a non pensarci. Non riesco a togliermelo dalla testa. Da un paio di ore ormai è un tarlo continuo. Le paranoie stanno colpendo ripetutamente ogni mia certezza.»
Rallento. «Mi impegnerò, mi farò perdonare, Brad.»
«La vera domanda è: lo vuoi davvero o lo stai facendo solo perché ti sembra la cosa più giusta da fare?»
Apro e richiudo la bocca. Stringo la presa sul volante. «Lo voglio davvero. Non ti chiederei mai di dormire da me se non volessi farmi perdonare e rattoppare quanto meno quello strappo che ho causato nella nostra... relazione?»
«Adesso è una relazione?», sbotta acido. «Troppo comodo definirla così proprio ora che il danno è fatto.»
Mi lascio colpire dal suo atteggiamento. Dovevo aspettarmi una reazione così dura da parte sua. È un uomo orgoglioso e le mie ultime azioni non hanno fatto altro che ferirlo. Spero solo di potere riparare in qualche modo quello che abbiamo costruito.
«Non lo è più?»
«Vuoi che lo sia?»
Inspiro. «Si. Tu no?»
Si mette comodo continuando a starsene nascosto dietro le lenti scure degli occhiali da sole. «Dipende», solleva l'angolo del labbro.
Gli mollo un colpo sulla spalla. «Brad!»
Mi rivolge un sorriso dolce a tratti malizioso ma dannatamente spietato. «Dipende da come ti comporterai. Dipende se te ne andrai ancora a bere senza di me o in auto ubriaca con il tuo amico a farti toccare da lui.»
Guido per un tratto di strada senza dire niente poi torno a fermarmi ancora dietro l'ennesimo ingorgo, sommersi nel frastuono di clacson, voci e rumori. «Mi rinfaccerai ancora per molto questa cosa, vero?»
Mostra i denti ma noto che è solo nervosismo il suo, pura gelosia. «Forse.»
Sospiro. «Me lo merito», mormoro inserendo la freccia.
La sua mano si sposta verso il cavallo dei pantaloncini poi scivola velocemente sul ginocchio strizzandolo. Trattengo il fiato e fingendomi tranquilla raggiungo l'incrocio che dà accesso al mio quartiere. Mordo il labbro aprendo un po' di più il finestrino e percorrendo la strada lunga, supero la serie di ville nascoste dietro i muretti e le siepi salutando qualche vicino che sta rientrando a casa per il pranzo.
Mi fermo davanti il cancello. "Tildo" mette fuori dal finestrino la testa annusando l'aria.
Sorrido notandolo attento e sul punto di saltare giù. La sua piccola coda continua a muoversi. «Almeno tu sei felice di stare qui», dico un po' troppo ad alta voce per farlo sentire a Bradley. Apro la portiera prendendo in tempo il guinzaglio del cane prima che lui riesca a scendere dall'auto e "Lady black", rimasto fermo per tutto l'intero viaggio.
«Ti ho sentito sai», replica tirando fuori dal bagagliaio la valigia.
Gli faccio una linguaccia. «Meglio. L'ho detto di proposito alzando la voce. Andiamo "Tildo", "Ness" non vede l'ora di giocare insieme a te.»
Il cane abbaia festoso ma Bradley fischia ancora in quel modo riportandolo sull'attenti. Il cane dei vicini si lamenta con un guaito, un altro abbaia abbastanza forte per poi iniziare a ringhiare.
Lo guardo male. «A casa mia può divertirsi.»
Dietro le lenti non comprendo la sua espressione, so solo che mi provoca una forte sensazione quando si avvicina come uno squalo abbassando il viso. «Il cane non è tuo, sono io il suo padrone e fa quello che dico io.»
«Potrebbe anche decidere di cambiare padrone», sollevo il mento e ci ritroviamo così vicini da sfiorarci.
«Non lo farà mai. È un cane fedele al contrario di molte persone e sa con chi sarà sempre al sicuro.»
Ci rimango male. «Grazie per l'ennesima battuta mirata», replico dandogli le spalle.
Apro la porta e lascio entrare "Tildo" che dapprima si guarda un po' intorno con cautela poi notando "Ness" in avvicinamento, quando slaccio il suo collare, corre a salutarlo. I due si picchiano per un paio di secondi poi vanno a giocare all'angolo.
Sistemo il pesce tropicale sulla mensola accanto alle piante, adesso sembra rianimarsi.
Ancora punta dalla risposta di Bradley, corro nella stanza degli ospiti a rifare il letto. Cambio le lenzuola, pulisco il pavimento passando sopra l'aspirapolvere e infine mi sposto nella lavanderia dove spero di distrarmi un momento. Nell'attesa, non avendo voglia di tornare in soggiorno e lasciarmi schiaffeggiare il cuore dalle parole di Bradley, mi siedo sulla lavatrice piegandomi sui gomiti, mettendomi il viso tra le mani.
Mi viene da piangere. Sto andando nel panico, lo sento. So che è colpa mia. So di dovere rimediare, ma così facendo non mi aiuta di certo. Le cose si sono ingigantite in modo spropositato, così tanto che adesso sono sul punto di crollare.
Non sono mai stata così fragile, così patetica in tutta la mia vita. Non ho toccato mai così tanto il fondo.
La porta cigola e Bradley si appoggia allo stipite a braccia conserte. «Scusa, è stato davvero troppo.»
«Non importa. Come ho detto me lo merito.»
Staccandosi dallo stipite si avvicina posizionandosi davanti a me. Le sue mani mi divaricano le gambe e incrociando le braccia dietro la mia schiena mi avvicina stringendomi a sé.
Per istinto lo abbraccio nascondendo il viso sul suo petto. «Mi dispiace», sussurro.
Il suo viso si sposta nell'incavo del mio collo. «Sarà dura per noi, lo sai?», mormora.
Sollevo la testa per guardarlo negli occhi. «Riuscirai a perdonarmi?»
«L'ho già fatto», mi sfiora il naso con l'indice. «E sembrerò un coglione privo di spina dorsale per questo, ma non posso tenerti il muso come un bambino. Sono arrabbiato, non lo nego e non lo nascondo, ma tu sei più importante.»
Il cuore si risveglia dal torpore. La mia mano sale verso il suo viso, premo le dita sulla sua guancia e lui si abbassa posando le labbra sulla mia fronte regalandomi un attimo di sollievo.
«Sono arrabbiato ma allo stesso tempo non riesco a continuare a trattarti per come l'istinto mi chiede di fare perché mi sento ferito. Prendimi anche per stupido ma io ci sono dentro fino al collo. Totalmente tanto che in questo momento ho la voglia matta di baciarti e perdermi tra le tue labbra. Ma devi fare una scelta, Erin. Devi farla adesso e non devi tornare indietro. Devi scegliere: o il passato o me. So che non è semplice e so che ti sto chiedendo molto, ma vedi, io sono sicuro di poterti rendere felice, di farti sentire amata per come meriti. La mia non è finta convinzione, è amore. E anche se ho tanti di quei motivi per odiarti, per lasciarti, ne ho uno per trattenermi. Il più importante. E mi piacerebbe capire quanto hanno ferito la tua anima ed essere quel cerotto in grado di medicarla.»
Sfioro le sue labbra sollevando gli occhi, incastrandoli nei suoi. È la sensazione più accogliente della mia vita. Mi ci tuffo in quell'azzurro trovando un mare calmo sotto un cielo e un sole caldo. Non c'è più tempesta intorno ma estate.
«La mia vita è un inverno senza fine dalla quale non riesco più a uscire.»
«Lo so. Sei così cupa e triste perché vivi costantemente fuggendo dal presente. Sei ancorata al passato e devi liberartene, Erin. Se non prendi coraggio. Se non ti butti nella mischia per timore di sbucciarti le ginocchia, di ferirti il cuore un'altra volta, per paura di non essere abbastanza, non saprai mai che cosa significa davvero vivere in bilico, provare forti emozioni, amare. Devi rischiare. La vita è questo: un grosso rischio.»
«Non è facile. Voglio davvero chiudere con quello che mi è successo. Per farlo devo non pensare a quello che è stato. So che ti devo un racconto dettagliato e lo farò, ma... possiamo non tornarci di continuo? Dopo possiamo passare davvero oltre e andare avanti?»
Me lo conferma con un breve cenno della testa. «Ti sto dicendo che voglio essere qualcosa di più. Più di quel più che hai vissuto.»
Nascondo ancora il viso sul suo petto. Il ritmo del suo cuore fa ballare il mio, alleviando il dolore. «Non lasciarmi.»
Mi bacia la testa. «Non avere dubbi sul mio amore.»
Sollevo la testa e le mie mani si posano sulla sua nuca facendolo abbassare. Stringo le gambe per trattenerlo e strofino il naso sul suo. «E tu sul fatto che voglio davvero andare avanti. Lo voglio così tanto da avere paura di non raggiungere questo che per me è come un sogno.»
Si avvicina alle mie labbra sfiorandole ad occhi chiusi. «Continui a scappare perché quando apri il tuo cuore che è come una cassaforte piena di emozioni, ritorni indietro, ti smarrisci in quei sentieri oscuri. Continui a scappare e quando inciampi ritrovandoti nel buio, indossi quella maschera di diffidenza e freddezza, ma lo fai per proteggerti dall'amore che ti ha spezzata già una volta.»
«Non è facile», mordo l'interno guancia.
Nella vita abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica di non urlare perché tanto ci sentirà lo stesso. Abbiamo bisogno di qualcuno che non ci faccia sentire sbagliati ma parte di un unico incastro, un cuore, un battito, un sorriso. Bradley, mi sta tirando fuori da quel luogo distante, mi sta riportando in questo presente pieno di incertezze e forse anche di promesse che spero non siano solo fatte di illusioni.
Io voglio amare con calma, seguendo i miei tempi. Voglio amare senza fretta. Perché là fuori il mondo è pieno di ti amo pronunciati senza senso, senza affetto. Io voglio amare davvero. Voglio farlo portando rispetto a questo mio cuore spaccato in due dal dolore, tormentato dalla tristezza, abbandonato alla solitudine.
«Posso aiutarti a renderlo semplice?»
Vuole una risposta secca. Perché nella vita non ci sono sempre vie di mezzo. «Si.»
Mi sorride in modo dolce sfiorandomi ancora le labbra poi spostandosi mi bacia la guancia. Lo trattengo un momento per sentire il suo calore, il suo tocco sulla pelle e quel piacevole formicolio che va a depositarsi sul basso ventre dopo avere colpito il cuore.
«Erin, Erin, Erin», sussurra tirandosi indietro. Lo lascio andare anche se a malincuore. È quello che vuole.
«Dammi un po' di tempo per togliermi dalla mente quello che c'è stato qualche ora fa.»
Annuisco. «Non metterci troppo», rispondo e scendendo dalla lavatrice tiro fuori le lenzuola infilandole dentro l'asciugatrice per non fargli vedere che ho gli occhi pieni di lacrime.
Esco dalla lavanderia solo dopo qualche minuto, quando mi sento calma e pronta a tutto. Mi reco in cucina con disinvoltura.
In soggiorno, Bradley, sta giocando con "Tildo" e "Ness" con una pallina e il laser che punta contro la parete facendo balzare il mio gatto abbastanza in alto per vederlo cadere come una palla di pelo sul pavimento.
Lavo le mani e notando che è quasi ora di pranzo, preparo un piatto di spaghetti con polpa di pomodoro e gamberi fritti. Metto anche in forno due fette di pesce impanato con olive ripiene e coperte anche esse dallo strato croccante.
L'odore che aleggia nell'aria, attira ben presto Bradley che, dopo avere lavato le mani, apparecchia la tavola proprio come la prima volta in cui si è fermato a pranzo qui da me. Ricorda la disposizione delle cose in maniera quasi maniacale, come se ci vivesse da tempo.
Osservandolo di nascosto, mi accorgo che è meno teso. La chiacchierata di prima ha fatto bene a entrambi. Mi sento anch'io meglio, ho capito di dover essere di nuovo me stessa, di non lasciarmi più scoraggiare dal passato, tanto farà sempre male e niente potrà cambiare quello che è stato.
A volte siamo così concentrati da ciò che ci ha fatto soffrire da non renderci conto di ciò che ci rende felice. Parlo delle piccole cose, dei dettagli che fanno la differenza. Non ci accorgiamo che il tempo non è dalla nostra parte, che i minuti scorrono inesorabili verso il futuro che è adesso.
Scolo la pasta. Lui si affianca con un sorriso. «Mi piace guardarti cucinare. Ti concentri così tanto da togliere tutto il resto dalla testa. Potrei tenerti sempre qui con la scusa della fame. Correrei persino il rischio di ingrassare e perdere questa bella massa che negli anni ho costruito come un tempio.»
Mi sfugge un sorriso. Getto la pasta in mezzo al sugo passandogli una forchetta a tre denti di legno. «Rigira la pasta, mi occupo dei gamberi, convintone.»
«Ai suoi ordini!», mi spinge con un colpo sul fianco e meno tesa vado a recuperare i gamberi dalla padella. Per ricambiare, spingo con il fianco Bradley e prendendo una pinza per gli spaghetti, guarnisco i piatti lanciando cadere sopra i gamberi. Porto i piatti a tavola e lui attende che mi sia seduta per iniziare a mangiare.
Assaggia chiudendo gli occhi, mugugnando. «Buonissima!»
Lusingata attorciglio gli spaghetti. «Il primo passo per farmi perdonare e attaccare i tuoi muscoli pompati. Anzi, rettifico, la tua tartaruga per girarla al contrario», sorrido.
Pulisce gli angoli della bocca. «Se continui così sei sulla giusta rotta per la redenzione», replica bevendo un sorso d'acqua.
«Mi rincuora», mi alzo aprendo il forno. Sistemo in altri due piatti il pesce e le olive.
«Perché, tu hai un cuore?», scherza.
Passandogli accanto lo spingo, e sono pronta ad andarmi a sedere quando lui mi circonda con un braccio la vita avvicinandomi, e si solleva senza preavviso, incastrandomi tra il suo corpo statuario e il bancone.
Inarco la schiena. I suoi occhi sono due pozzi limpidi e profondi. È difficile spiegare la sensazione che mi provoca. Mi trasmette così tante cose insieme da confondermi.
«Sei in trappola», dice serio.
Gli getto le braccia al collo. «Non mi fai paura», rispondo schietta tenendomi in equilibrio precario sulle punte dei piedi.
Abbassa il viso. Trattengo il fiato. «Non voglio farti paura. Voglio farti battere il cuore fino ad avere paura di sentirlo schizzare via dal petto.»
Sorrido. «Sempre meglio di avere paura di un infarto», dico d'impulso.
Sorride sincero e gli sfioro subito le labbra con le dita per catturare il momento.
Ride. Quando succede è come se una lenta carezza mi sfiorasse il cuore, fino a lì, nel profondo, sempre più giù, dove c'è una ferita aperta che fa ancora male.
«Grazie», sussurro. «Perché non ti stai tirando indietro.»
Tutti abbiamo bisogno di un respiro sulla pelle perché è come una carezza che, lenta passa e incendia l'anima. Abbiamo bisogno di un lungo abbraccio, perché c'è troppo freddo in questo mondo fatto di solitudine e silenzio. Ed è lì, nascosti, che ci sentiamo al sicuro. Ci sentiamo forti. Ci sentiamo vivi. Abbiamo bisogno di non essere più uno di quei fiori delicati ma come uno di quelli che nascono crescono nei posti più impervi. Abbiamo bisogno delle carezze, degli sguardi, dei sorrisi, del profumo, delle braccia strette intorno a farci dimenticare di tutto. A farci ricominciare da capo.
«E tu non ti stai buttando giù. Mi sembra un buon modo di partire da dove eravamo rimasti.»
Dopo pranzo gli chiedo di uscire per fare una passeggiata. Ho ancora bisogno di smaltire l'alcol che ho ingerito e quel senso di impotenza che mi ha fatto sentire priva di equilibrio e sul punto di crollare come un instabile castello di sabbia. Se ripenso a come ho stuzzicato Shannon mi viene da picchiarmi. Dovrò chiedergli scusa per tutto quello che gli ho detto e per quello che ho fatto. Questa mattina è uscito prima del mio risveglio e non ho avuto modo di salutarlo e vedere come stava. Attualmente, la mia priorità è il ragazzo che ha accettato di prendere una boccata d'aria fresca insieme a me e so che il mio amico capirà.
Mentre camminiamo verso il parco, a piedi e l'uno accanto all'altra, noto che Bradley cambia espressione. Sembra pensieroso, turbato e a tratti anche agitato. Questo suo mutamento mi fa deconcentrare e distogliere l'attenzione dal mio obiettivo.
«Qualcosa non va?», chiedo notando che adesso sta guardando lo schermo del telefono che ronza da qualche minuto. Qualcuno lo sta cercando ma lui sembra rifiutare le chiamate. Dalla ruga che gli si forma sul sopracciglio, capisco che non deve essere dell'umore per parlare al telefono con chiunque esso sia.
Come se fosse appena stato colto in flagrante, guarda intorno un momento osservando una coppia di anziani seduti a guardare il mare, poi nega scrollando la testa.
«Che ne dici di andare al parco acquatico? Non ci sono mai stato. Sono curioso di vederlo e sarebbe un buon posto dove iniziare la nostra salita verso la rappacificazione», propone.
Mi rassicura questo suo repentino cambiamento d'umore, anche se ho notato quel breve lampo che ha attraversato il suo viso quando ho guardato lo schermo del telefono. Che cosa succede?
Non dovrei essere paranoica ma le esperienze passate mi suggeriscono, nonostante le promesse silenziose fatte, di andarci cauta.
Inizio a guardarmi un po' intorno, la sua mano si posa sulla mia schiena regalandomi insieme ad una scarica fredda, una sensazione piacevole, di appartenenza. È il primo contatto deciso che sta cercando da me da quando siamo usciti di casa. Non abbiamo parlato molto, ci siamo goduti il nostro giro nel sentiero, tra gli alberi, sommersi dal ronzio degli insetti, dal vocio della gente, dal profumo dei fiori e dell'erba tagliata del prato. Capisco che non sarà più come prima dopo quello che ho fatto ma devo farmi perdonare, devo trovare il modo di dimostrargli che posso farcela, che sono disposta a fare di tutto pur di andare avanti e lasciarmi alle spalle ogni cosa che mi ha torturata e fatto stare male. Eppure continuo a chiedermi se sotto quello strato apparente di gentilezza, si celi qualcos'altro.
«Che c'è?», si ferma un momento notandomi distratta e irrigidita.
Qualcuno svolta lungo il sentiero ritrovandoci davanti ed è costretto a fare una strana manovra per rimettersi in carreggiata.
Gli indico la sua mano sulla mia schiena. «È il primo contatto fisico che hai con me da quando siamo usciti di casa. Hai qualcosa di strano, essendo arrabbiato con me non hai più cercato di toccarmi dopo pranzo. Sento che mi stai tenendo nascosto qualcosa, non sono stupida, non vuoi dirmi che cos'è?»
Se è preoccupato non lo mostra apertamente. So riconoscere le menzogne e inizio a sentirne la puzza. Inoltre, mi aveva detto che doveva parlarmi di una cosa importante. Forse questo è il momento più opportuno per farlo.
Non toglie la mano dalla mia schiena, anzi, preme maggiormente spingendomi in avanti per continuare a camminare. «Voglio parlartene a cena. Adesso che ne dici di svagarci per qualche ora? Ne abbiamo bisogno», dice a denti stretti continuando a guardarsi intorno.
Mi fermo voltandomi e vado a finirgli addosso. «Brad, spiegami che sta succedendo! Sei guardingo e mi sto spaventando.»
Abbassa gli occhi nei miei. «Non è niente. Sono solo un po' nervoso e voglio uscire da qui perché tutti questi odori mi stanno dando alla testa.»
Non credo a questa scusa ma lascio correre per non avere un'altra discussione con lui. «Ok, adesso andiamo al parco acquatico?»
«Si e poi ti porto nel mio quartiere, giriamo un po' di negozi, che ne dici?»
«Ok, prima però passiamo da casa a vedere come stanno gli animali.»
«Certo, andiamo.»
Il Seattle Aquarium, si trova sulle rive del Puget Sound. È un luogo incantevole, permette di vedere da vicino molteplici animali marini tra i quali foche, uccelli acquatici, stelle marine e dà anche uno squarcio alla vista mozzafiato della zona.
«Le vasche sono piccole», dico dopo avere girato e osservato le varie vasche dove il numero di specie presenti era appena sufficiente per una struttura simile e tanto pubblicizzata.
Bradley conferma il mio pensiero tenendo in mano degli opuscoli. Non sembra soddisfatto. «Hai notato nella vasca subacquea? I pesci nuotavano in un ambiente alquanto angusto e sembravano infelici. Questo posto avrà pur qualcosa di positivo», brontola deluso.
«La gentilezza del personale. Sono competenti e disponibili. Almeno questo non possiamo criticarlo.»
Bradley annuisce prendendo il telefono. Legge qualcosa poi le sue dita digitano veloci sulla tastiera.
«Che cosa fai?», chiedo curiosa sporgendomi per vedere.
Apre una pagina Google digitando sulla barra delle ricerche il nome dell'acquario.
«Recensione negativa. Non posso stressare così tanto le foche», replica indicando i due animali che, in effetti stanno mostrando i primi segni di stanchezza.
Poso la mano sulla sua e lui allontana il telefono come se dentro ci custodisse chissà che cosa. «Non puoi farlo mentre sei qui dentro, andiamo», dico trascinandolo fuori.
Da qui ci spostiamo al Seattle Art Museum, un'attrattiva decisamente migliore. Ci soffermiamo sulle opere dei nativi, restando ammaliati non solo per la struttura ma anche per l'aria che si respira intorno.
«Decisamente meglio!»
«Questo si che è un posto da visitare insieme a qualcuno che lo apprezza.»
Nascondo un sorriso e noto il suo. «Hai appena sorriso?»
«Forse», afferrandomi per mano usciamo fuori dal museo dopo ben un'ora e mezza di giro e commenti su ogni opera vista. Non è stato imbarazzante o noioso passare del tempo insieme a lui, lì dentro.
«Adesso nell'itinerario che cosa c'è?»
«Cibo! C'è un ristorante di pesce, "Pike Place Chower", oppure possiamo andare direttamente al "Biscuit Bitch", ho sentito che fanno dei dolci spaziali!», mi sento elettrizzata da questa gita non programmata. Sono come una turista in questa città che non ho ancora avuto modo di visitare completamente.
Bradley mette finalmente in tasca il telefono con cui ha comunicato negli ultimi minuti. «Pesce e poi dolce, vediamo se riescono a superare quelli della tua amica.»
Mi intristisco. «Si, andiamo.»
Bradley mi ferma. Posa due dita sotto il mento sollevandolo. «Perché non le hai ancora chiamato?»
«Perché ho bisogno di aggiustare uno strappo alla volta o rischio di scucire tutto quanto», replico proseguendo lungo la strada piena di negozi, alberi e strutture che mi fanno alzare il viso più volte verso il cielo. Scatto anche qualche foto ricordo. Perché in fondo, questo è un momento tranquillo. Non completamente felice, ma sereno.
«Con me non sei già a buon punto?»
Nego. «Non hai la faccia di uno che mi ha perdonata», rispondo.
Avanzo ritrovandomi in uno spiazzale dove sono presenti dei pub e il locale dove servono pesce. Questo, si trova entrando in un vicolo, lungo una stradina ampia. Di fianco, c'è un palazzo di mattoni rossi.
Il locale, è pieno di tavoli colorati all'esterno, con la cucina in acciaio bene in mostra, dove due cuochi stanno cucinando pesce di ogni tipo. L'odore è quello del mare e c'è una gran folla ad occupare ogni tavolo.
Avvistandone uno libero mi ci fiondo mentre Bradley si ferma al bancone ad ordinare.
Lo osservo e sembra meno nervoso rispetto a prima. Vorrei tanto sapere che cosa mi nasconde e con chi ha scambiato dei messaggi nelle ultime ore.
Il mio telefono ronza e controllo curiosa. Notando il nome della mia amica quando apro il messaggio in arrivo, sorrido.
Per una volta è lei a cercarmi. Abbiamo avuto molte discussioni in questi anni, dovute ai nostri caratteri opposti, ma ci siamo sempre ritrovate e volute bene come due sorelle. Io sono sempre stata quella più pacifica delle due, per questo trovo assurdo che sia stata lei a cercarmi per prima.
Sammy: "Mi dispiace tanto per quello che ho fatto. Era solo per il tuo bene.
Per farmi perdonare ti offro una buona porzione di torta. L'offerta scade tra qualche ora perché sta andando a ruba."
Erin: "Stavo per tradirti andando da "Biscuit Bitch", ma non posso rinunciare alla tua torta, neanche per tutti i dolci del mondo."
Sammy: "Stronza! Mi hai fatto piangere un'altra volta e sai che il mascara è costoso! Però ti voglio bene. Ti aspetto."
«Chi è?»
Bradley arriva con due cestini pieni di carta assorbente e frittura di pesce dall'aspetto invitante e appetitoso.
«Dobbiamo andare a mangiare il dolce da Sammy, mi ha appena inoltrato la sua offerta di pace», dico mettendo in bocca un pezzo di polpo.
Tossisce. Gli passo la bottiglietta aperta e beve subito un sorso d'acqua per riprendersi. «Quindi vuoi andare da lei?»
Corrugo la fronte. «Ok, dimmi che succede o me ne vado.»
Allontana il cestino. «Non succede niente, devi credermi. C'è solo questa cosa che devo dirti ma non è affatto facile. Non riguarda neanche me e non dovrei neanche essere io quello a dirtelo.»
Sono sempre più incuriosita e nervosa allo stesso tempo perché non avevo ancora visto Bradley tanto agitato e tormentato dentro.
Il mio stomaco si contorce. «Se non riguarda te allora... riguarda me?»
Conferma sfuggendo al mio sguardo. «Erin, io non so come dirtelo ma...»
Si sente un gran trambusto in fondo alla strada. Una frenata da fare rabbrividire chiunque, il suono di un clacson, un colpo, gente che urla chiedendo aiuto.
Mi alzo e insieme a Bradley che, mi tiene per mano come se volesse proteggermi, corriamo a vedere.
C'è appena stato un incidente per strada. Una donna e sua figlia sono finite sotto un'auto. La carrozzina, probabilmente spinta dalla donna per salvare la figlia, è riversa sul marciapiede con una bambina di appena qualche mese in lacrime ma incolume mentre la donna è priva di sensi a terra, sotto una pozza di sangue che le esce dalla testa e continua ad allargarsi. Il conducente dell'auto, dal parabrezza tutto ridotto in crepe e frantumi, esce barcollando con una grossa ferita sulla fronte.
Non riesco ad assimilare altri dettagli perché la cosa che mi lascia davvero senza aria, senza terra sotto i piedi, è l'immagine della persona che sta soccorrendo la donna insieme a Shannon.
No, non è possibile. Non può essere vero!
Quella del "prima o poi andrà meglio", è una balla colossale. Lo sapevo. Me lo sentivo dentro che tutto sarebbe andato a puttane. Prima o poi arriva un dolore che non immagini e tutto quello che hai costruito con tanto sacrificio, con tanto amore, tanta sofferenza, viene distrutto. Perché costruisci costantemente ogni cosa, rimetti in sesto il tuo cuore e poi, all'improvviso, qualcuno arriva e te lo spazza via. E in un attimo, tutto ritorna come prima: un cumulo di macerie e dolore insopportabile.
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