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BRADLEY

Quando vivi qualcosa che ti segna, impari tante cose. A non lasciare andare, ad esempio. Non lasci andare le cose, le persone. Fai attenzione a come ti muovi, a ciò che dici. Inizi a camminare in punta di piedi nella vita degli altri e soprattutto permetti ai sentimenti di entrarti dentro, di riempire il tuo cuore.
Non mi sono mai sentito tanto amato come nell'istante in cui Erin si è avvicinata furiosa. Ho visto nei suoi occhi tutto l'amore che può offrirmi e non intendo più comportarmi da idiota, farmelo sfuggire. Ho visto il riflesso del suo dolore, l'interesse celato nel suo sguardo freddo e riversato nelle sue parole cariche di preoccupazione.
Non ho avuto dei genitori che esprimevano affetto in pubblico. Ma l'amore non è mai mancato in casa, neanche nei momenti più bui. Adesso voglio dimostrare anch'io questo amore. Voglio essere all'altezza di ciò che sento pur rimanendo ben saldo alla realtà. Voglio essere libero di prenderle la mano, di farla ridere senza preoccuparmi di dire la cosa sbagliata. Voglio essere tutto quello che non cerca ma di cui sembra avere bisogno. Voglio farla sentire a casa, al sicuro, completa e soprattutto serena.
Lei ha bisogno di una persona con cui essere se stessa. Ha bisogno di qualcuno che l'abbracci senza un perché. Che le sfiori le cicatrici senza mai farle del male. Ha bisogno di una persona che accetti i suoi sguardi diffidenti, i suoi sbalzi d'umore. Che la veda. Ha bisogno della sua persona. L'unica a farla sentire viva, felice e non più una sopravvissuta spaventata e nascosta nell'ombra delle sue più profonde insicurezze.
Io spero vivamente di poter essere per lei quella persona. La sua persona.
Non riuscire a muovere il braccio e sentirmi uno straccio purtroppo mi accompagnerà per qualche settimana, quindi mi toccherà rimandare il mio progetto a quando sarò di nuovo in forma e lei riposata e meno scossa. Non voglio spaventarla, voglio farla stare bene.
Questa, è una nuova condizione per me che sono sempre stato agile e abbastanza forte da superare qualsiasi cosa. Soprattutto autonomo.
Con il braccio ad impedirmi di fare quello che voglio sarà una grande impresa non perdere la ragione.
«Sei sicuro di volere andare a casa?»
Erin guida piano facendo attenzione a qualsiasi cosa. Non mi guarda. Fissa concentrata la strada che abbiamo davanti.
Guardo fuori dal finestrino. Il cielo grigio del primo mattino sta lasciando spazio ai primi raggi del sole e a una temperatura confortevole. Non amo particolarmente il freddo.
«Si, prima possiamo fermarci da mia nonna? Voglio rassicurarla. So che Stan l'ha avvisata ma non mi sentirò sicuro fino a quando non l'avrò abbracciata.»
«Certo», risponde senza preamboli fermandosi davanti casa sua. «Faccio subito», dice provando ad uscire dall'auto.
Le blocco il gomito. «Erin, non devi per forza seguirmi. Possiamo sempre organizzarci in un altro modo. Ho sempre fatto tutto da solo e non è la prima volta. Lo capisco se non te la senti.»
Mi guarda come se le avessi dato un pugno allo stomaco. Da questo comprendo di avere appena commesso un errore. Una linea marca la sua fronte che corruga nel tentativo di non rispondere a tono. «Non resterai solo in casa. Adesso fammi preparare una valigia e fammi prendere "Ness".»
Non mollo la presa neanche quando noto il suo vicino fuori dal cancello mentre porta fuori il bidone dell'immondizia verde acceso e si volta a guardare strizzando gli occhi.
Prima o poi qualcuno mi riconoscerà. Attualmente la mia priorità è Erin.
«Sei sicura? A me non sembra che sprizzi allegria da tutti i pori. Non sei entusiasta. Sembri quasi costretta.»
Stringe la presa sul volante come se si stesse tenendo per non sprofondare. Inspira ed espira lentamente. «Dammi solo un paio di minuti. Sei resuscitato da poco e non è stato facile per me trovarti incosciente dopo che il tuo cuore si era fermato. Adesso sei sveglio e mi vuoi a casa tua, nella tua vita...», sospira voltandosi. «Cerca di capire», mi dice con occhi foschi tornando a fissare davanti a sé.
Le giro il viso tenendolo fermo, sporgendomi. «Lo so che per te è stato difficile e credimi, mi dispiace davvero. Ma so che se potessi tornare indietro farei tutto. L'unica cosa che cambierei è il fatto di averti urlato addosso e di averti tenuta lontana da me.»
Vedendola intristirsi decido di cambiare argomento. «Posso almeno aiutarti a fare la valigia? Voglio scegliere qualcosa che mi piace per vedertela messa addosso. Se proprio devo vederti in giro senza toccarti...»
Le sfugge un sorriso. «Ok, ma niente di pelle.»
Stuzzica la mia curiosità. Rido. «Intimo... di pizzo o seta?», passo alle contrattazioni.
«Accordato. Tanto starò mezza nuda per comodità», mi prende in giro stando al gioco.
Sento formicolare la pelle. Riesce sempre a vincere. «Allora sbrighiamoci!»
Il mio entusiasmo sembra avere l'effetto sperato su di lei. La seguo in casa che profuma tanto di deodorante e pulito, mi siedo sul suo letto sentendomi un vero schifo.
Erin ha un momento di esitazione poi apre il borsone che aveva portato con sé in ospedale tirando fuori di tutto, persino una coperta.
La prendo. È blu scuro con una nuvola azzurra e una pioggia di stelle piene di glitter sopra. Dall'altra parte è invece priva di colore, solo bianco, morbida al tatto.
«Potevi sentire freddo», mi spiega.
Mi sento incredibilmente amato. Non riesco a smettere di sorridere mentre fisso la coperta. La piego posandola sul bordo del letto. «Non ti ho ancora ringraziata», dico mentre apre l'armadio mostrandomi due opzioni.
Scelgo i jeans scuri insieme ad una maglietta a maniche corte a sbuffo simile ad una camicia ma senza bottoni, morbida di un azzurro carta da zucchero.
Erin ripiega tutto in modo quasi maniacale infilandoli dentro il borsone. Mostra poi una tuta grigia contro quella nera da yoga con le strisce color evidenziatore. Ne ha anche una nera con le strisce bianche. Opto per quest'ultima.
Sentendomi smanioso di muovermi, mi alzo, apro il cassetto del comodino senza permesso frugando tra la sua biancheria. Lei si avvicina togliendomi dalle mani un completino di pizzo niente male.
«Questo lo scelgo io. Tu... torna seduto. Non devi fare molti sforzi. Hai preso una brutta botta alla schiena.»
Metto il broncio. «Non posso sceglierne neanche uno?»
Soppesa il mio sguardo. «No.»
Sospiro e a spalle basse mi sposto in soggiorno dove mi siedo sul divano accanto al gatto dallo sguardo sempre incazzato. Non appena mi vede arrivare gira annoiato il viso, annusa l'aria e poi si avvicina cercando una piccola attenzione da parte mia.
«Mi ha cacciato dalla stanza. Non posso neanche scegliere che intimo può indossare per non farmi saltare il cuore fuori dal petto. Ti rendi conto? Non capisce che già starle lontano è stato difficile, figuriamoci adesso che non posso muovermi doverla vedere seminuda.»
Il gatto mi guarda facendo le fusa quando gli tocco sotto il collo. Si allunga muovendo le zampe sul mio petto uscendo la lingua. Poi miagola. «Già, hai proprio ragione. Dovrò comprarle uno di quei pigiami orribili. Solo così non mi farà impazzire.»
Il gatto guarda qualcosa continuando a miagolare.
«Ed io che pensavo di farti scegliere tra quello nero di pizzo e quello azzurro di seta», mi sussurra all'orecchio facendomi sussultare.
Il mio cuore rimbalza contro la gabbia toracica come una pallina. Sulle mie guance si deposita un calore insopportabile e per un attimo sono costretto ad allontanare "Ness".
La sua risatina mi provoca uno spasmo e il brivido va ad accumularsi sul mio amico ai piani bassi che si risveglia proprio nel momento sbagliato. Tiro indietro la testa appoggiandola bene alla testiera del divano, sospiro. «Dovevi proprio?», mi lamento.
«Stavi parlando con il mio gatto... di me», replica prendendolo in braccio come un bambino, dandogli un bacio affettuoso sulla testa e poi facendolo entrare in una gabbietta spaziosa con il suo peluche.
«Voglio essere il tuo gatto», dico con una smorfia. Emetto anche un verso come un bambino capriccioso.
Mi sorride. Posa la gabbietta sul tavolo basso avvicinandosi. Si sistema a cavalcioni su di me circondandomi il collo con le braccia e senza darmi il tempo di reagire mi bacia. Parte con un semplice bacio a stampo, niente di soddisfacente ma in grado di farmi agitare per la voglia che si impossessa in fretta del mio corpo. Poi inizia a premere le labbra, a muoverle facendo pressione e con insistenza. Circondo la sua schiena con un braccio. Schiudo le labbra ricambiando il suo bacio quando mi permette di sfiorarle la lingua e giocarci. Il bacio a questo punto si fa appassionato e in breve ci ritroviamo attaccati, affannati.
Erin si allontana un secondo. «Vuoi essere ancora il mio gatto?», sussurra. «A lui non do questi baci.»
Nego sfiorandole il naso, le labbra. «Forse... no.»
Sorride scivolando via. «Ho preso tutto. Chiudo le finestre, aziono l'allarme e possiamo andare», mi avvisa scappando con una certa fretta.
Per una strana ragione il suo cambiamento improvviso non mi piace. Mi alzo dal divano. La cerco nella stanza degli ospiti ma non c'è. Così entro in camera e la trovo in bagno. Se ne sta appoggiata al lavandino. Inspira ed espira ed ha le spalle tese. Guarda davanti a sé poi chiude gli occhi. Rifà tutto da capo, tornando a respirare lentamente.
Non posso fare a meno di avvicinarmi a lei. Le poso la mano sulla spalla per avvisarla della mia vicinanza. Mi posiziono alle sue spalle. «Chiudi gli occhi», le sussurro posando la mano sul suo ventre.
Fa come dico. Deglutisce a fatica.
«Inspira ed espira piano», continuo.
Gonfia il petto poi lascia uscire il fiato. Stringe le dita della mano sinistra sulla ceramica e le altre sulla mia mano che sta risalendo sul suo addome.
«Meglio?»
Alza e abbassa in modo breve la testa. Non riesce a parlare e questo mi fa capire che non è ancora del tutto tornata in sé. Che diavolo le sta succedendo?
«Ok, adesso dimmi che ti prende», chiedo. «E non rispondere che non hai niente perché non ci credo a questa stronzata. Sei scappata e ti trovo nel panico.»
I minuti passano scanditi dal suo respiro spezzato mentre il mio cuore rallenta quando si volta. Batte le palpebre aprendo la bocca ma non riuscendo a dire niente scrolla la testa, strizza le palpebre e mi circonda la schiena facendo attenzione al braccio.
«Erin...», soffio.
«Sei qui», mi sussurra roca.
Rimango spiazzato. «Erin, mi stai spaventando.»
Nega strofinando la guancia sul mio petto. «Non farlo più», ripete. «Non andartene più e non tenermi così distante da te. Neanche quando mi odi o pensi di non riuscire a sopportare il mio carattere chiuso. Non... sparire e non nasconderti dietro dei messaggi perché io... non posso sopportarlo un'altra volta.»
Apprezzo la sua sincerità. Le sue parole mi colpiscono al petto. Le sollevo il viso. «Starò attento e non me ne andrò come un ragazzino offeso», la rassicuro.
«Ho sbagliato, lo so ma non farlo più perché sono morta. Sono morta anch'io e ho avuto così tanta paura da non riuscire a respirare. Quindi non farlo più. Non lasciarmi senza una buona ragione.»
Mi guarda e mi sciolgo. È bella e tormentata. La sua anima è il posto più buio che io abbia mai visto.
«Adesso possiamo uscire da qui? Mi sta venendo una strana voglia di farti indietreggiare così...», la spingo verso le piastrelle. «E baciarti così», mi impossesso delle sue labbra.
Quando mi tiro indietro lei ha gli occhi rossi e sta mordendo il labbro inferiore.
Intuisce il mio stato d'animo e prendendo fiato, ricomponendosi, tenendomi per mano, mi porta in soggiorno. Qui solleva il borsone e la gabbietta con "Ness" rimasto tranquillo.
«Andiamo.»
In auto mi chiede di guidarla verso la villetta di nonna Gio'.
Continuo a guardarla e a seguirla ad ogni movimento perché mi spaventa la reazione che ha avuto prima. Era come se stesse crollando e tentasse di non farlo notare.
Le poso una mano sulla gamba. Con le dita disegno piccoli cerchi. «Sai, mi fa piacere che hai avuto la possibilità di conoscere mia nonna. Non in un momento felice ma prima o poi penso che sarebbe successo. Nonna Gio', è la persona più importante della mia famiglia e conta molto il suo pensiero e la sua opinione.»
Rallenta fermandosi ad un semaforo. Siamo dietro una lunga fila di auto. Alla mia destra un negozio pieno di persone che aspettano l'arrivo di qualche personaggio famoso. Alla sinistra una libreria. Noto Erin ammirare la vetrina.
«Spero allora di essere come ha sempre desiderato per il nipote o quanto meno di essere accettata per quello che sono.»
Fermo il gesto che fa con la mano accompagnando le parole. «Hai così tanta paura della sua approvazione?»
Annuisce con un cenno della testa riprendendo a guidare. «Non è proprio paura. Non voglio apparire ai suoi occhi una di quelle arrampicatrici sociali che farebbero di tutto. Non mi interessa quello che hai. Sono contenta della vita che mi sto costruendo e non mi serve altro.»
Sorrido strizzandole una guancia. Lei picchia la mia mano. «Io so come sei e mi piaci proprio perché hai qualcosa che ti differenzia dalle altre. Sembra una frase scontata o fatta ma è così. Sei per i miei occhi una bellissima luce.»
«Ma tua nonna o i tuoi potrebbero pensare il contrario. Insomma... sbuco così, all'improvviso nella tua vita...»
«È importante quello che pensano i miei? Non conta solo quello che penso io di te? A loro importa della mia felicità e io sono felice con te, qui.»
Storce le labbra, pronta a replicare. «Mi è già successo e ho solo il timore di ricadere nell'errore. Scusami, il passato continua a riversarsi sul presente e mi destabilizza. Mi sembra un cliché e spero solo... che vada tutto bene. Ho già rischiato di perderti una volta, non voglio che succeda ancora perché la tua famiglia te lo impedisce.»
Porto alle labbra la sua mano quando posteggia davanti alla villa. Le bacio il palmo poi il polso e l'avambraccio. «Sai come faccio a capire quando qualcuno della mia famiglia e in particolare mia nonna accetta le persone che mi circondano o quelle che amo?»
Attende in uno stato di ansia. «Come?»
«Mia nonna non sarebbe mai rimasta in ospedale senza dare in escandescenza o il peggio di sé. Quando non sopporta qualcuno lo dice in modo chiaro, in faccia. La conosco bene e se ti ha permesso di stare nella mia stanza o intorno a lei... se si è comportata bene, significa che ha visto quello che vedo io quando ti guardo», spiego.
Vedendola ancora non del tutto convinta attivo il piano di emergenza. «Facciamo un patto?»
Mi guarda con i suoi occhi smarriti. «Un patto?»
«Tu provi a non avere paura e io ti prometto che non farò più cazzate.»
«Non è molto equo», replica mordendosi il labbro.
L'avvicino tenendole il viso fermo per il mento. «Lo è per me. Dobbiamo scendere a compromessi se vogliamo che funzioni. E so che hai un passato che non ti aiuta in questo presente ma io non sono come lui. La mia famiglia non è come la sua. Te lo posso assicurare.»
«Non prometterlo», minaccia puntandomi l'indice al petto poi sulle labbra sfiorandomi i bordi, facendo bene attenzione alla ferita.
Le sorrido. «Niente promesse ma penso proprio che mi impegnerò per tenere a freno il mio istinto. Tu dovrai provarci davvero anche perché a quanto pare oggi mia nonna ha delle visite», indico con un cenno la casa.
Erin si volta un momento. Quando mi guarda sembra spaventata, più di prima. «Cioè? Non sono pronta a conoscere i tuoi io...»
La fermo. «Non i miei ma il suo gruppo di amiche. Mia nonna ha detto loro che avevo già una ragazza quando volevano farmi conoscere le nipoti. Te la senti di... affrontarle insieme a me?»
«Mi stai chiedendo indirettamente di essere convincente perché hai paura che vedano qualcosa di strano?»
«Io non fingerò e non mi tratterrò di certo. Per me sei la mia donna... diciamo dal momento in cui ho riaperto gli occhi.»
Le strappo un sorriso. «Ok. Ma c'è qualcosa che devo sapere su di loro?»
«Sono delle vere pettegole e ti tempesteranno di domande non appena varcheremo la soglia trovandole sedute, sempre se nonna le lascerà fare. E non accettare niente da bere, i loro intrugli sono forti, devi guidare e io non posso portarti a casa con una sola mano.»
Le rubo un bacio vedendo che sta assorbendo tutto quello che dico. Batte le palpebre poi si avvicina di nuovo. «Non staccarti da me. Non mi sento ancora pronta. Ho troppe cose da metabolizzare.»
Annuisco. «Andiamo e togliamoci il pensiero!», la incito.
Uscito dall'auto, per rassicurarla, la tengo vicina con un braccio intorno alla schiena guidandola dapprima lungo il viale poi verso il retro dove in giardino troviamo le quattro sedute a tavola, un aperitivo in corso. Stanno parlando e nonna sembra provata ma serena.
Non appena si voltano, lei rimane spiazzata e del tutto sorpresa di vedermi così presto. Balza in piedi e urla aprendo le braccia. «Il mio bambino!», esclama plateale. «Vieni qua, fatti abbracciare.»
Erin si stacca permettendole di abbracciarmi e tenermi stretta a sé.
Nonna Gio' mi bacia le guance poi mi guarda attentamente. «Hai un aspetto impeccabile. Neanche una grave esplosione ti ha reso brutto», ride e io con lei mentre mi afferra il mento valutando i danni. «Mi hai fatto prendere un brutto spavento. A causa tua dovrò passare una giornata con queste vecchie galline in una spa costosa per rilassarmi.»
Lo poso un bacio sulla guancia. «Sto bene adesso e sono uscito prima del previsto. Ho solo una spalla a terra e qualche bruciatura. Inoltre sono sicuro che ti divertirai.»
«Eravamo in pensiero per te. La notizia ci ha fatto spaventare. I tuoi si aspettano una chiamata. Non sono riusciti a venire perché il piccolo si è rotto il braccio cadendo dall'altalena. Erano in apprensione per entrambi e sono dispiaciuti. Li ho rassicurati quando Stan mi ha detto che eri sveglio. Mi hanno chiesto di dirti che verranno presto a trovarti.»
Parla tanto e così in fretta da avere il timore di perdermi un pezzo del suo discorso. Ma sono felice che adesso sia meno preoccupata.
I suoi occhi si posano subito su Erin. L'abbraccia con un ampio sorriso. «Erin, che piacere averti qui. Stavo giusto dicendo alle mie amiche, che erano già state avvertite della tua presenza nella vita di mio nipote, che sei una ragazza meravigliosa e che questo stronzetto è fortunato ad averti. Farà anche meglio a tenerti stretta e a comportarsi bene o gli farò molto male», guarda le tre che confermano con ampi sorrisi alzandosi una dietro l'altra.
Erin arrossisce e l'avvicino dandole un bacio sulla guancia per chiederle di rilassarsi un momento. «Non ho nessuna intenzione di lasciarmela scappare. Inoltre, staremo un po' insieme visto che ho il braccio fuori uso.»
Nonna Gio' sorride sotto i baffi. «Finalmente qualcuno che ti tirerà le orecchie quando farai qualcosa di sbagliato», si rivolge a Erin tenendole le mani. «Mi raccomando, tienilo d'occhio.»
Le amiche di nonna, tutte incipriate e truccate si avvicinano una dietro l'altra con ampi sorrisi.
«Brad, abbiamo saputo quello che è successo e ci dispiace molto per l'incidente ma ti troviamo bene e siamo felici che sia finita questa brutta storia nel migliore dei modi. Adesso sei di nuovo qui ad abbagliarci con la tua bellezza. Ci sei mancato. Non è bello?», dice la prima stringendomi il mento.
«Finalmente conosciamo anche la tua ragazza. Tua nonna non smetteva un momento di dirci quanto fosse bella e intelligente. Devo ammettere che lo è, bella, anche tanto. Complimenti!», esclama la seconda spingendo l'amica e baciandomi entrambe le guance, lasciandomi sulla pelle il suo odore di olio di mandorle e forse anche le tracce del rossetto rosso.
«Si, molto bella. La tenevi nascosta e tutta per te, eh ragazzone?», interviene infine l'ultima dandomi una pacca sulla schiena quando mi abbraccia tenendo il suo bicchiere pieno di Aperol Spritz e ghiaccio.
Una ad una mi abbracciano e stringono anche Erin facendole dei complimenti sinceri. La circondano allontanandola da me e in breve nonna ne approfitta trascinandomi dentro casa con un ampio sorriso.
In cucina, mi mette subito davanti un piatto di tramezzini con cocktail di gamberi in salsa rosa e pistacchio triturato e spalmato intorno ai bordi.
Mi siedo sullo sgabello assaggiandone uno. «Perché mi hai trascinato qui dentro? Se è per Erin, sappi che mi sta portando a casa dove staremo insieme. Non intendo cambiare idea su di lei.»
Sorride ancora. La reazione che speravo e che in qualche modo mi suggerisce che approva. «Allora smettila di fare l'irresponsabile. Inizia a comportarti da adulto e prenditi quello che ti spetta. Erin mi piace e i tuoi genitori sono curiosi di conoscerla.»
«Gli hai detto di lei?»
«Mi sembra giusto se la conosco mentre sei conciato male in ospedale. All'inizio non sapevo che fosse lei "Erin", la ragazza che ti ha letteralmente folgorato. Quando Stan me lo ha detto mi sono vergognata e presentata immediatamente. Abbiamo parlato. È molto dolce. Ha anche qualche ferita da rimarginare quella ragazza ma ho capito che ti ama di un amore che non trovi comunemente in giro. Lei non è fatta per i fiori e cioccolatini.»
Confermo. «È proprio questo che mi attrae e mi preoccupa allo stesso tempo. Non vuole niente eppure ha bisogno di tutto. Di saziarsi di emozioni, di sorrisi...»
Nonna Gio' annuisce. «Trattala bene. È un diamante raro in mezzo a tutte queste schegge di vetro.»
Mangio un altro tramezzino riflettendo sulle parole di nonna che, mi toglie il piatto di davanti per portarlo fuori e salvare Erin dalle sue amiche. Queste nel frattempo la stanno tempestando di domande.
Corro in suo soccorso anche se non sembra a disagio. Mentre prende un tramezzino impacciata, mi siedo sulla poltrona di vimini bianca con il cuscino beige attirandola sulle mie gambe. Assaggia come un uccellino un pezzetto del tramezzino e poi lo mangia con gusto. «È davvero buonissimo. Mi darà la ricetta?»
«Solo se li preparerai a mio nipote. Non si applica molto in cucina. Sa solo le basi e in questi giorni mangiare sano non gli farà male.»
Erin le rivolge un sorriso d'intesa e il mio cuore si colma di amore. Le passo il pollice all'angolo e avvicinandola per il mento la bacio a fior di labbra.
Nonna ghigna e le sue amiche sembrano letteralmente impazzite. Sono felici della novità. Hanno accettato in fretta Erin, così tanto da invitarla a pranzo e a cena da loro.
Prima che possano anche solo organizzarle una festa o un evento per farla incontrare con i nipoti, ci alziamo. «Adesso dobbiamo proprio andare. Sono un po' stanco e il padre di Erin mi ha ordinato di riposare.»
Mi appresto a salutare nonna. «Non bere troppo.»
«E tu non metterti nei guai. Ti voglio bene.»
«Anch'io», le poso un bacio sulla guancia. «Grazie per esserti presa cura di me», le dico all'orecchio.
«Ciao Erin», la saluta con un abbraccio. «Torna pure quando vuoi. Invierò a Bradley la ricetta.»
Ci allontaniamo prima di rimanere un'altra ora incastrati a causa del traffico.
Di nuovo in auto noto che abbassa le spalle. Appare incredula. Si volta e mi sorride in modo dolce. Con quella luce da bambina negli occhi. Solleva la stagnola dal piatto che le ha dato nonna prima di uscire e mangia un altro tramezzino. «È buonissimo!», biascica.
Mi metto comodo sul sedile. «Anche tu lo sei. Grazie per quello che hai fatto, significa tanto per me.»
Sporgendosi mi bacia la guancia. Appare più allegra, meno tesa. Mi piace vederla così spontanea e coinvolta.
«Mi piacciono le amiche di tua nonna. Mi stavano invitando per intrappolarmi con i loro nipoti, non è vero?»
Rido. «Già. Ma sono geloso e non andrai da nessuna parte senza di me.»
Accende l'auto e anch'io prendo un tramezzino. Li divoriamo strada facendo, avvolti da una piacevole atmosfera.
Arrivati a casa, sollevo il borsone sulla spalla nonostante le sue proteste e saliamo di sopra in silenzio.
Lei sembra nervosa mentire io sono emozionato di vedere "Tildo" e "Lady black" e di averla in casa anche solo per qualche giorno. La reazione del mio cane quando conoscerà "Ness", rimasto comodamente in auto, all'ombra, con i finestrini abbassati e tutto quello che gli serviva, sarà divertente. Ne vedremo delle belle.
Apro la porta e "Tildo", corre da me saltandomi addosso festoso.
Lo prendo in braccio. «Ciao! Ti ho portato un nuovo amico e Erin. Ti ricordi di lei?»
Il cane come se avesse capito si volta e salta da lei leccandole la mano. Poi abbaia davanti alla gabbia e "Ness" soffia uscendo la zampa con gli artigli bene in mostra.
«Lascialo libero. Litigheranno per due minuti poi giocheranno senza problemi. "Tildo" non è feroce e fa amicizia in fretta.»
Erin non sembra convinta, così apro la gabbia al posto suo. "Ness" schizza fuori indemoniato, con un miagolio stridulo attacca "Tildo" che sta già ringhiando ed è pronto a morderlo. I due dapprima si guardano, poi lottano a colpi di zampate e morsi e alla fine, proprio come avevo previsto, si allontanano insieme verso la cuccia del mio cane dove trascino anche le sue cose.
«Visto?»
«Come facevi a saperlo?»
«Non lo sapevo», le faccio l'occhiolino salendo sul soppalco.
Erin mi segue posando il borsone all'angolo. Lo prendo mettendolo nell'angolo libero dell'armadio. «Ecco a cosa serviva», esclamo sarcastico. «Puoi anche appendere le magliette se vuoi.»
Lei si guarda intorno stringendo le dita. È appena tornata quella impacciata. «Dovrei fare una doccia», inizia insicura prendendo gli indumenti puliti e il beauty-case colorato dal borsone.
«Sai dove trovare il bagno. Intanto ti sistemo il letto.»
«Non importa, lo divideremo», dice scendendo di sotto, sparendo in fretta in bagno.
Mi sdraio sentendomi sfinito poi sfilo malamente e con un enorme sforzo i pantaloni scalciandoli via. La camicia, in parte appoggiata sulle spalle, la lascio cadere a terra. Sbadiglio tornando sul letto dove chiudo gli occhi.

Una folata di aria fresca mista al profumo di pesca mi dà uno scossone facendomi svegliare. Sbircio e lei sta legando i capelli guardandosi allo specchio. Dopo un momento mette la crema sulle mani e si stende sul letto spegnendo la luce dalla sua parte. Non si è accorta che sono sveglio.
«Erin?»
Si gira su un fianco. «Sei sveglio», dice colta alla sprovvista dalla mia voce.
La vestaglia le scivola increspandosi sul petto lasciando intravedere qualcosa sotto. Mi avvicino a lei appoggiandomi alla testiera con le spalle. «Sono contento che tu sia qui», mormoro.
Protende la mano posandola sulla mia guancia. Il contatto dei suoi polpastrelli freddi mi rilascia una scarica piacevole su per la schiena ancora dolorante.
«E io sono contenta che sei vivo», massaggia la barba e mi avvicina sollevandosi, tenendosi sul braccio, ritrovandoci a metà strada quando torno supino.
«Stai bene?»
Odora di menta e bagnoschiuma alla pesca.
«Si. Ho usato il tuo spazzolino se non ti dispiace», sorride notando che ho appena spalancato la bocca.
Ripenso al giorno in cui ho usato il suo. «No, ma ne trovi uno nuovo dentro il cassetto.»
Si sistema a pancia in giù. «Davvero?»
Annuisco. «Se ti serve qualcosa non devi che chiedere. Prima di avere quella discussione ho comprato qualcosa per te, nell'eventualità che ti fermassi di nuovo qui.»
Solleva i piedi intrecciando le caviglie. «Come stai? Hai freddo? Vuoi qualcosa di caldo da mang...»
La mia testa le sta già rispondendo di no. «Voglio che ti avvicini e togli quella vestaglia perché fa davvero caldo qui dentro. Non c'è nessuno a parte noi due e ti ricordo che non posso fare molto con un braccio e un polso fuori uso.»
Mi guarda timida più si sdraia di lato portando la mia mano sul laccio della vestaglia. Deglutisco a fatica. «Mi stai permettendo di vedere cosa c'è sotto?»
«Si, fallo», sussurra.
Tiro il fiocco indugiando un momento e sollevandosi sulla schiena lascia cadere la vestaglia lungo le braccia mostrando l'intimo azzurro di pizzo che le sta addosso come una seconda pelle. Ha molteplici trasparenze e sono costretto a distogliere lo sguardo per non eccitarmi.
«Ok, chiudi il sipario!»
Ride nascondendo il viso sul cuscino. La guardo imbambolato. E quando sbircia mi abbasso per avere il viso all'altezza del suo. «Mettiamoci a dormire prima che mi salti in mente qualcosa di stupido come il chiederti di toglierti quella dannata vestaglia.»
Scivolo sotto il lenzuolo e lei inizialmente si stende su un fianco dandomi le spalle. Spengo la luce rilassandomi.
Rimaniamo così, per una manciata di secondi. Poi, sento che si muove. Percepisco il suo calore e il peso del suo esile corpo. Appoggia la guancia sul mio petto, la gamba piegata sulla mia vita. La mia mano afferra la sua coscia e lei sposta il viso nell'incavo del mio collo.
Mi dà piccoli baci. «Mi sei mancato, Bradley.»
Mi concentro per non eccitarmi. «Quanto pensi di rimanere qui?», boccheggio.
«Perché? Vuoi già cacciarmi?»
Sorrido passandole la mano sulla schiena. «No, ma dovrò prendere le dovute precauzioni, non credi? Sei una minaccia.»
«Vuoi prendere le distanze?»
Boccheggio avvampando quando sento che parla con le labbra sulla mia pelle. Mi sta facendo eccitare parecchio. «No, ma non so se sarò il bravo ragazzo che credi.»
Si ferma sotto l'orecchio. «Non voglio che ti comporti da bravo ragazzo con me. Devi essere te stesso.»
Mugolo di piacere quando mi morde la porzione di pelle trattenendola con le labbra. La mia mano scivola sulla sua natica e lei tenendo la mano ferma sulla mia guancia mi succhia sotto l'orecchio. «Va bene così?»
Ansimo. «Erin...»
Scivola su di me e non resisto cercando la sua bocca. Da questo capisco che anche lei ne ha bisogno e ricambio il suo bacio stringendola a me costringendola a muovere i fianchi.
Si aggrappa alla mia testa e la mia mano si insinua sotto il tessuto dell'intimo scivolando sulla natica. «Dobbiamo smettere», sibilo affannato.
«Si», annuisce priva di voce muovendosi sul cavallo dei miei boxer ormai gonfio.
Le mordo le labbra. Non mi ferma e affondo la mano giù, verso la parte più intima.
Trattiene il fiato inarcando la schiena, dandomi il tempo di un respiro che si spezza nell'aria. Chiudiamo gli occhi. Preme la fronte sulla mia. «Era questo che intendevi quando hai detto che avevi bisogno di stare in una stanza a chiarire un paio di cose con me?»
Sorrido eccitato. Le sfioro la pelle in modo diretto, premo le dita e lei mugola. «Anche. Continuo?»
Stringe le dita sul mio viso spingendosi in su. Gemo abbastanza forte da farla tremare e mi impossesso della sua bocca tenendo ferma la mano sulla sua natica nel tentativo vano di tenerla ferma.
«Continua», tira il mio labbro inferiore.
Gioca con la mia bocca prima di baciarmi a schiocco. Torno a sfiorarla con le dita, la stuzzico e nella penombra riesco a vedere bene la sua reazione estatica.
Ansima dapprima piano, quasi volesse trattenere dentro il piacere. Quando sente la pressione delle mie dita rilassa un po' le gambe abbassandosi e poi alzandosi in un movimento lento dei fianchi che mi provoca una serie di scosse abbastanza forti da farmi perdere il controllo.
«Non sai quanto ti voglio!»
Assapora le mie parole ad ogni bacio. Le mie dita premono adesso con più insistenza nella sua carne umida e inizia a muovere di più i fianchi. «Brad...»
Vederla consumata dalla voglia mi provoca un piacere mai provato e la stuzzico da dietro con le dita fino a farla tremare e stringere a me.
Le bacio il collo. «Rilassati», le sussurro all'orecchio. «Non trattenerlo.»
Nega. «No, non così», allontana la mia mano baciandomi con insistenza. «Voglio che sia con te, solo con te. Non in questo modo.»
Soffio accaldato. «Non sai quanto lo voglio io.»
«Non adesso che non puoi», fa una smorfia e io mi maledico per non essere in grado di soddisfarla.
«No.»
Scivola via dal mio corpo facendomi sentire vuoto. Le sistemo la coperta sulle spalle placando il senso di insoddisfazione, la fame che ho di divorarle la pelle e perdermi. «Buona notte, piccola.»
«Notte», mi saluta abbassando gli occhi, abbracciando il cuscino.
Dopo un momento posa la guancia sul mio petto circondandomi il fianco con il braccio. «Sono felice di essere qui con te.»
Sorrido come uno stupito dandole un bacio sulla testa.
Non è facile dire che cos'è l'amore. Tutti ne parlano. Chi con un sorriso. Chi attraverso una lacrima. Ma, ognuno di noi riconosce il proprio amore quando lo sente, quando arriva e ti colpisce all'improvviso.
Amore sono gli sguardi che sanno tanto di carezza. Amore è quando tutto è complicato e trovi il modo di renderlo semplice. Amore è l'attimo che ti sfiora il cuore con la paura. Amore è perdita. Amore è solitudine. Amore è corrersi in contro senza mai afferrarsi. Amore è scappare senza mai fermarsi. Amore è lasciarsi andare.
Definire l'amore non è semplice. Perché l'amore non è mai lo stesso. È un eterno mutamento della temperatura, dei battiti.
«Sono felice anch'io di essere qui con te.»

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