35
Il fastidioso ronzio di un macchinario che continua ad emettere un suono continuo e costante mi accompagna ormai da diverso tempo nel sonno tranquillo in cui sono piombata.
Ma ho bisogno che qualcuno lo spenga. Che qualcuno stacchi la spina facendo tornare il silenzio. Ho solo bisogno di questo: di silenzio.
Mi lamento sollevando a rilento le palpebre. Le luci al neon mi accecano ma non chiudo gli occhi, non voglio perdere i sensi. Ne ho abbastanza di essere sedata contro la mia volontà. Non voglio neanche sentirmi così stanca.
Mi accerto di essere sveglia ripercorrendo mentalmente gli ultimi eventi di cui ho un ricordo nitido e intenso poi mi guardo intorno per avere una visione completa del posto in cui mi trovo. Sono sotto un lenzuolo bianco con sopra una coperta verde acqua, su di un letto d'ospedale.
Merda.
Mi tocco le braccia, le gambe ma qualcosa mi impedisce di muovermi per come vorrei: le fasce e la sensazione di intorpidimento degli arti. Che diavolo hanno aggiunto al mio sangue?
Provo a sollevarmi ma un dolore forte alla schiena me lo impedisce. Il macchinario legato da una molletta al mio dito, segnala l'anomalia trillando ripetutamente.
Vago con occhi stanchi. Sono in una piccola stanza dalle pareti bianche, c'è odore di disinfettante in grado di arrivare alle mie narici pizzicandole. Non c'è molto qui dentro a parte un vaso pieno di girasoli meravigliosi sul comodino, un peluche, dei palloncini all'angolo e poi seduto su una poltrona: Shannon.
Flash di quello che è successo prima di perdere i sensi tra le sue braccia mi scaricano lungo la spina dorsale una forte sferzata di vento freddo. Per non piombare nello sconforto mi concentro su di lui. Per essere con me significa che quel mostro non è più nei paraggi.
Shannon è così grande di stazza da non entrare bene sul sedile della poltrona. Tiene le gambe stese e la guancia sul polso tenuto ben saldo grazie al gomito piantato sul bracciolo, gli occhi chiusi e sereni, nessuna traccia di rabbia o minaccia. Sembra così tranquillo da non volerlo disturbare ma ho bisogno di alzarmi sulla schiena.
Premo il tasto del telecomando che trovo sotto il materasso di questo letto troppo morbido e premo quello giusto per fare alzare solo la parte del busto. Ogni movimento o scossone mentre cerco di capire quale sia la posizione migliore, mi provoca dolore alla schiena. Guardo di nuovo verso il comodino, evito i fiori e l'orso che mi rievocano strani ricordi e trovando una bottiglietta d'acqua la apro bevendo un sorso dietro l'altro fino ad idratarmi e a sentirmi meno secca.
Mi guardo le mani, le dita piene di segni violacei e le nocche fasciate. Ho fatto proprio un gran bel lavoro, mi rimprovero.
I miei occhi si riempiono di lacrime se ripenso alla ragione di ogni mia azione disperata e a quello che ho provato in quegli istanti orribili. Stringo il pugno rischiando di fare aprire di nuovo le ferite e ancora una volta il macchinario suona facendo svegliare Shannon che apre di scatto gli occhi mettendosi in allerta.
Impreco a bassa voce, dispiaciuta per non avere fatto attenzione.
I suoi occhi scuri sono assonnati e segnati da vene sull'orbita oculare. Si passa una mano sul viso sbadigliando, stiracchiandosi. Mi guarda poi stropiccia l'occhio come se niente fosse e di colpo balza in piedi.
«Erin!», sorride raggiante.
Mesi fa ha tolto quegli orribili denti finti d'argento e coperto il tatuaggio sul viso, il piccolo segno d'inchiostro sotto la palpebra.
Adesso ha un aspetto strano, lontano dal leader degli Scorpions a cui sono abituata. E guardandolo meglio mi rendo conto che indossa un camice. Ha un aspetto professionale. Stento quasi a riconoscerlo. Io che sono abituata a vederlo sotto quel giubbotto di pelle o quelle maglie scure adesso lo trovo con una divisa verde e sopra un camice. Porta persino le ciabatte. Provo un senso di allegria in questo momento, ma tutto passa in fretta quando mi ricordo la ragione per cui mi trovo in questo posto.
Negli ultimi mesi quasi tutte le persone che ho conosciuto qui sono migliorate. I pregiudizi si sono un po' allontanati dalle loro vite così come la violenza e la gelosia. Nel suo caso, Shannon, sta facendo proprio un buon lavoro. Anche se alla fine non è l'aspetto ad importare quanto quello che hai nell'anima.
Si avvicina rischiando di inciampare, quando mi raggiunge mi stringe la mano. «Ehi», mi saluta con un misto di emozione, ansia e dispiacere. Freme e si agita visibilmente come un bambino.
Lo guardo negli occhi trattenendo a stento ogni cosa che rischia di traboccare fuori come una valanga. «Ehi.»
Non ho neanche la voce. Ho urlato così forte da strapparmi le corde vocali.
Shannon, incupendosi, si siede sul letto dopo avere controllato i miei parametri dal monitor e la cartella ai piedi del letto con una certa attenzione. «Grazie a te ho fatto pratica per qualche ora e si aggiungerà al mio curriculum. E a quanto pare non hai niente di rotto a parte qualche livido.»
Lo spingo senza forza accennando appena un sorriso e lui prendendomi per il polso mi tira a sé abbracciandomi. Strillo di dolore. Si scusa immediatamente, più che mortificato. «Come stai?»
Inutile chiederlo. «Narcotizzata, con una voglia di ubriacarmi fino a dimenticare chi sono e perché esisto e poi partire. Ho bisogno di una vacanza. Come vuoi che stia? Mi sento come se mi avesse investito un camion. Mi fa male la schiena e spero non sia niente di grave e che con il tempo passi perché ho bisogno di mettermi in piedi e non di sembrare il gobbo di Notre Dame.»
Fa una smorfia per nascondere un sorriso. Ovviamente è abituato al mio pessimismo cosmico. «Devi solo faticare e resistere per qualche giorno. Il dolore andrà via. Hai un sacchetto di flaconi già pronto da prendere in caso di emergenza», mi spiega tirandolo fuori da dietro il vaso che continuo a non guardare.
Shannon si accorge che sono distratta.
Piega leggermente la testa di lato. «E così... te ne andrai da qui?», ignora la mia domanda celata nella risposta.
Annuisco. «Prima o poi sarebbe arrivato il momento, non credi? Dubito che dopo quello che è successo mio padre voglia ancora tenermi qui. E se vuole farlo è un pazzo perché non ho nessuna intenzione di vivere ancora all'inferno. Ho diritto anch'io ad un pezzetto di paradiso.»
Conferma con un breve cenno poi con più dolcezza e delicatezza mi preme al suo petto. «Mi hai fatto venire un colpo e sappi che sei in debito con me», a queste parole io tremo e lui trattiene il fiato accorgendosene. «Mi presenterai una tua amica. E che sia solare», aggiunge per limitare i danni.
Il mio cuore ormai è partito per la tangente e non rallenta più. Non c'è verso di dimenticare. Non c'è verso di cancellare tutte quelle immagini e quelle sensazioni provate per la persona sbagliata.
Vorrei smettere. Smettere di amare. Ma so che non c'è cura, so che non esiste rimedio. Forse passerà tutto da solo trascinandosi dietro anche la delusione e il dolore. Forse se ne andrà velocemente o forse non mi abbandonerà mai del tutto. Prima o poi però sono certa che riuscirò a non piangere, a non provare sconforto e dove adesso c'è una ferita aperta, un giorno ci sarà solo una cicatrice. E sarà allora che mi sentirò meglio.
Mi riscuoto. «Spera che io trovi un'amica single, allora.»
Sorride dandomi un bacio sulla guancia. «È stato orribile. Mi sono trattenuto a stento quando ti ho vista a terra e lui...»
Stringo le dita sulle sue spalle chiudendo gli occhi nel tentativo di non rivivere quei momenti. «Grazie», sussurro sulla sua spalla tagliando corto, riferendomi al fatto che sia arrivato in tempo.
Mi allontana un po' per guardarmi negli occhi. Fatico a ricambiare lo sguardo. Sto lottando. Ma ogni volta che lo vedo, ripenso al suo amico. E mi fa stare peggio.
Come se avesse intuito mi spinge indietro tenendomi per le spalle per farmi stendere. Fissa le nocche coperte dalla garza. Su questa, sono comparsi dei piccoli segni rossi. La macchia si allarga e lui si affretta a tagliare la garza e a sanare di nuovo la ferita che ho fatto aprire.
Mi sento un disastro, in ogni senso possibile.
«Dovevo immaginare che il tuo essere irresponsabile non ti avrebbe portato altro che guai», inizia con un filo di voce accarezzando la garza pulita.
So a cosa si sta riferendo e non si tratta di Ephram. «Lo sapevi e non hai cercato di fermarmi.»
Abbiamo evitato per due mesi l'argomento. Adesso non posso più scappare tenendo per me la verità. Almeno lui deve sapere che razza di uomo è il suo amico.
«Mi rende una persona orribile se dico che per un attimo ci ho creduto anch'io al suo cambiamento e per questo l'ho lasciato fare? Mi è sembrato felice e...»
Si interrompe quando distolgo lo sguardo ma la sua mano si posa sulla mia guancia. Mi scanso sentendo ancora quello schiaffo bruciarmi sotto pelle.
Kay ha preso in giro tutti quanti. È riuscito a tenere per sé il piano iniziale pur continuando a divertirsi svoltando strada in modo tale da non destare sospetti. Il tutto alle mie spalle. In cuor mio spero che lui riesca a smetterla di fare il ragazzino e si comporti da adulto prendendosi ogni responsabilità delle sue azioni. Non gli auguro il peggio, non ne ho neanche la forza e non risolverebbe niente per me a parte farmi soffrire. Gli auguro che non sia facile e che rispetti adesso i suoi doveri verso la famiglia e la persona che ama davvero. Quella che ha lasciato per potersi divertire e torturarmi.
Se ci ripenso mi sale la bile e il sapore amaro della sconfitta si espande dentro la mia bocca. Tutti quei racconti sul sogno, sulla possibilità di rivedermi, il cofanetto con le mie cose...
Da una parte stava cambiando seppur lentamente, ma alla fine è stato inevitabile andare a sbattere contro la dura realtà. Adesso dovrà convivere con quello che mi ha fatto, sempre che per lui sia una cosa orribile e non ordinaria. Sempre che abbia un po' di coscienza.
Come se si fosse scottato, Shannon, ritrae la mano. «Che cosa ti ha fatto?»
«Il tuo amico o l'altro tuo amico?», mostro i denti.
Le sue narici guizzano. «Entrambi», chiede silenziosamente di raccontargli tutto. «E quel maledetto non è mai stato mio amico.»
«Non c'è molto da dire. Il tuo amico è e sarà sempre il mio incubo nonché un grandissimo bastardo. Per quanto riguarda Ephram... non riuscirò mai più a dormire con qualcuno o a starci insieme senza avere paura di essere sedata o intrappolata o altro», dalla mia bocca sfugge un singhiozzo.
Non so con esattezza quando gli argini di sono rotti. So solo che le lacrime hanno continuato a riempire il mio cuore fino ad annegarlo, fino ad uscire fuori mostrando agli altri un aspetto di me che ho sempre cercato di custodire.
Shannon mi abbraccia di nuovo e glielo lascio fare, seppur impacciata. «Dimmi che non ti ha fatto niente quel lurido bastardo. Dimmi che non ti ha toccata con un dito.»
«Non che io sappia se ti riferisci a quello, mentre puoi vedere i lividi e quindi ottenere la risposta da solo. Ho dei vuoti, buchi neri di quando mi metteva a tacere quindi non so esattamente quello che mi faceva mentre non ero sveglia o consenziente», stringo le dita sulle sue spalle sentendo freddo e disgusto al pensiero. «Ho avuto paura», ammetterlo mi fa sentire tanto esposta. «Mi sono sentita sola e spaventata ma sapevo che in un modo o nell'altro ne sarei uscita.»
Shannon mi accarezza il viso pur notando che mi ritraggo quando sfiora il livido sulla guancia dovuto allo schiaffo. «Mi dispiace.»
Nego. «Non puoi capire quello che sto provando. Ma il pensiero che lui venga sbattuto dentro una cella o tenuto lontano da me per tutta la sua vita, allevia in parte ogni sensazione negativa.»
Fa una smorfia. «Questo vale anche per l'altro ragazzo che ti ha fatto soffrire?»
«Soprattutto per lui», replico a denti stretti.
Shannon soppesa il mio sguardo. «Stai tremando, senti freddo?»
La mia pelle si è appena rizzata. «Un po'. Sarà che mi sento un tantino debole. Non ho mangiato molto e il ricordo dell'ultimo pasto in cui sono stata segregata mi fa salire una certa nausea.»
Storce il naso. «Ti faccio portare subito qualcosa. Anzi, vado a prendertela io», si alza. Arrivato alla porta si volta. «E comunque quel viscido non ti ha toccata mentre eri priva di sensi. Sono riuscito ad estorcergli la verità dopo averlo pestato per bene e prima di farlo portare via. Da te volevo solo la conferma prima di raggiungerlo e farlo fuori. E se te lo stai chiedendo, non è stato soddisfacente come pensavo ma utile.»
Il sollievo sul mio volto lo rassicura poi sparisce.
Abbasso le spalle chiudendo un po' gli occhi. Quando li riapro guardo il vaso pieno di girasoli e stacco la busta con una finta coccinella appuntata sopra. Non c'è niente scritto sul foglio che trovo all'interno, a parte una lettera.
Shannon entra trovandomi con il biglietto tra le dita.
Sono rigida. «Puoi portarli via, per favore?», la voce mi trema.
Apre e richiude la bocca poi annuisce. «Li distribuirò tra i pazienti per non buttarli. Sarebbe uno spreco. Ti va bene?»
«Fanne ciò che vuoi. Falli sparire da qui dentro. Per quanto siano belli, non li voglio!», guardo il peluche, un orso, i miei occhi vengono inondati. Come osa?
«Porta questo a qualche bambino», ordino acida avvicinando il vassoio dopo avere sollevato il tavolino.
Shannon prende anche l'orso di peluche ed esce di nuovo dalla stanza.
Apro il coperchio con l'insalata di tonno. Ha un aspetto invitante ma adesso che ho lo stomaco contratto non so se riuscirò a mangiare con gusto un pasto solido dopo giorni di digiuno e paura.
Shannon torna in camera con un bicchiere di caffè, un panino avvolto nella stagnola e un sacchetto di carta bianco. Si siede sul bordo del letto quando gli faccio spazio e in silenzio ci godiamo il pranzo.
Spazzolo tutto in pochi bocconi, per il nervosismo. «Dio, avevo una fame da lupi.»
Mi pulisce l'angolo della bocca. Mi fa un po' male e stringo la palpebra. «Ho avvisato tuo padre che sei sveglia. Era tornato a casa per prenderti un cambio e per riposare.»
«Come ha reagito?»
«Mi ha fatto spavento», gratta la fronte e alzandosi fruga dentro il sacchetto passandomi una confezione con all'interno una crostata. La divido e lui sembra stranito dal mio gesto.
«Davvero? Ha dato di matto?»
Nega. «Tu non hai idea della reazione che ha avuto quando è venuto a cercarti alla festa perché non gli rispondevi e setacciando il bosco abbiamo trovato il tuo telefono. Non immagini lo sgomento e come hanno reagito tutti alla notizia che qualcuno ti aveva rapita quando abbiamo trovato segni di trascinamento e un fazzoletto con una fiala.»
Rabbrividisco ancora una volta. «Ho posteggiato l'auto poi mi sono incamminata per raggiungere Dana. Ero lì per lei. Il segnale andava e veniva e...»
Si irrigidisce anche lui. «Che cosa ha fatto?»
«Ho sentito una ventata alle spalle poi mi sono ritrovata braccata, con la bocca tappata da un fazzoletto pieno di narcotico. Ho avuto giusto il tempo di digitare "aiuto" e di lasciare scivolare a terra il telefono», scrollo la testa. «Quando mi sono svegliata ero ancora una volta in quella cantina e lui...», prendo un lungo respiro. «Ho cercato di non esagerare, di non arrabbiarmi troppo con lui ma non è bastato e alla fine il mio istinto ha preso il sopravvento e se non foste arrivati io... lui...»
«Quando hai inviato quel messaggio mi sono subito attivato. Non ho smesso un attimo di cercarti insieme agli altri. Abbiamo capito che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Una persona non sparisce da un momento all'altro lasciando il telefono e l'auto. Ephram ha commesso molti errori. Avevamo dei sospetti ma non riuscivamo ad accusarlo perché non notavamo niente di strano. Be', fino a quando non hai lasciato il braccialetto e hai attirato l'attenzione del cane della polizia.»
Guardo subito le nocche. «Lanciarmi fuori dalla finestra per fare cadere li il braccialetto è stata una mossa azzardata ma qualcuno lo avrebbe riconosciuto o almeno così speravo. Non so quello che pensavo in quel momento. In qualche modo speravo che arrivasse qualcuno a salvarmi. Ancora una volta ho tentato di farlo da sola. Non stava andando bene come l'ultima volta ma sono ancora qui e sono viva.»
«Sei stata coraggiosa», sussurra pensando a qualcosa.
«Dimmi a cosa pensi», mi sdraio.
Fa lo stesso stropicciandosi gli occhi. «Non mi piace vederti così triste. Comprendo la ragione ma non lo sopporto. Sin dal primo istante hai avuto sempre quell'aria distante, a tratti infelice e mi chiedo perché hai continuato a lottare anziché fare i capricci e scappare da qui. Perché hai rischiato così tanto?»
«Mi sono lasciata andare per la prima volta», dico con sincerità. «È stato bello all'inizio poi ho realizzato che non sempre ci sono storie che terminano con un lieto fine e che ci sono volte in cui i cattivi vincono sui buoni. E ai buoni non resta che continuare a resistere, andare avanti.»
Si gira stringendomi la mano. «Devo confessarti una cosa. Al cattivo ho detto io quello che ti è successo. Non fraintendermi, non l'ho fatto per sapere la sua versione. Ci sentiamo spesso e non ho mai fatto domande o preso l'argomento e lui come te ha fatto lo stesso. Forse perché sa che gli sbraiterei addosso tutto quello che penso e poi lo andrei a trovare massacrandolo di botte. Quando è successo che sei scomparsa era davvero preoccupato, ho chiesto consiglio a lui che ha subito pronunciato un nome, quello di Ephram. Era agitato, mi ha chiesto di informarlo su ogni cosa e quando saresti stata al sicuro di portarti dei fiori e un peluche perché avresti capito. Mi ha detto anche che non avresti gradito ma che voleva che tu sapessi che lui... senti, lui sa che non ci sono scuse per quello che ha fatto, ma è dispiaciuto. Non aveva messo in conto che avrebbe provato molto di più di quello che avrebbe dovuto mentre è impegnato con un'altra.»
Mordo forte l'interno della guancia destra. Sapere che non è più mio fa troppo male.
In fondo lo sapevo. L'ho sempre saputo sin dal primo istante. Era come il cielo, come la stella più lontana: irraggiungibile. So che lo cercherò probabilmente ovunque e ci starò anche male quando vedrò un film, un parco, una pizza, un bacio. So che lo cercherò nei ricordi, nella mente, nel cuore, nei battiti, in ogni cellula. So che per un po' il mondo non avrà più senso. Ma non userò delle distrazioni per dimenticare. Io non voglio farlo. Voglio solo andare avanti. Anche se sarò sola. Anche se non mi troverò più. Anche se lui non sarà più qui con me.
«Perché me lo stai dicendo? Sono andata a letto con un ragazzo fidanzato e lui mi ha portato lì dalla sua famiglia per umiliarmi e farmi sapere la verità prima di vedermi spezzare una promessa che avevo fatto con me stessa, quella di essere forte e di non piangere. Gli ho dato quello che voleva e alla fine me ne sono andata. E scusa se sembro arrabbiata o rancorosa o ingrata per il gesto ma non me ne faccio niente dei suoi regali. Che si goda il fidanzamento con quella maledetta che gli ha permesso di venire qui e rubarmi il cuore. Chi farebbe fare una cosa del genere al proprio ragazzo? È stato disgustoso vederli lì a ballare e a sorridersi. Per non parlare di quel bacio. Avrebbero anche potuto aspettare ma io ero una minaccia tra loro», sospiro. Sto parlando velocemente.
«Io so solo che non voglio più avere a che fare con lui o con questo paese che mi ha portato solo guai e dolore. Ho imparato la lezione e adesso voglio andare avanti.»
Gesticolo e Shannon mi blocca le mani con delicatezza. «Già, nessuno dovrebbe mai permettere alla persona che ama di gettarsi tra le braccia di un'altra.»
Intuisco il suo discorso e mi si stringe il cuore. Lascio uscire un singhiozzo sentendomi una persona distrutta e orribile. «Perché me lo hai permesso?»
Impreparato sgrana gli occhi. «Che cosa avrei dovuto fare? Ho visto come lo guardavi, come ci tenevi e so anche che sei cocciuta. Non mi avresti ascoltato lo stesso. La stessa cosa vale per lui. Siete più simili di quanto immagini. Probabilmente niente vi avrebbe fermato, neanche i miei tentativi di farti capire che mi piaci. Ma credo che questo sia una sorta di insegnamento anche per me. La prossima volta non mi farò scappare una persona per lasciarla distruggere tra le braccia di un altro. Anche a costo di perderla. Non mi piace fare l'amico quando mi piacerebbe essere altro ma ho messo da parte i miei sentimenti e non per lui, per te.»
Risponde usando un tono carico di frustrazione. I suoi occhi diventano rossi. Lo vedo vulnerabile.
«Mi perdonerai mai per non averti avvisata?»
Gioco con la coperta. «Credo di averlo già fatto», appoggio la testa sulla sua spalla. «Credi che mi passerà prima o poi?»
«Che cosa?»
«La paura di essere toccata da qualcuno o di permettere a una persona di avvicinarsi di nuovo al mio cuore.»
Morde il labbro. «Sei feroce e abbastanza forte da riuscirci.»
Abbozzo un sorriso. «E tu riuscirai a non odiarmi?»
Inarca un sopracciglio. «Odiarti? Pfff, non ci credi neanche tu. Non dire stronzate», esclama con il suo tono baritonale. «Ti ho appena detto quello che provo.»
Circondo il suo braccio tra le mie. «Allora, che cosa farai adesso? Hai trovato già un posto in cui fare domanda di assunzione o non vuoi lasciare la tua famiglia?»
Mi sorride trasognante. «Questo lo terrò per me per scaramanzia ma ho già fatto richiesta di assunzione e no, non starò più qui. I miei hanno deciso di assumere qualcuno ad aiutarli in casa e al lavoro così io non dovrò più starmene tra i piedi. Potrò costruirmi una carriera.»
Inspiro ed espiro lentamente. «Rimarrà rinchiuso?»
«Lo spero. Altrimenti ci penserò personalmente a spedirlo di nuovo in cella», mi bacia la fronte scusandosi con gli occhi quando mi tirò un po' indietro colta alla sprovvista.
«Non ti ho ringraziato per quello che hai fatto e stai facendo. Ma non ci sono parole per esprimere quello che sento. Ti sono davvero grata, per tutto. Sei una persona meravigliosa e sarà fortunata la ragazza che starà al tuo fianco un giorno.»
Mi sorride con una timidezza mai vista prima. «Così mi fai emozionare, principessa.»
Sollevo una spalla prima di abbracciarlo volontariamente. «Adesso dovresti andare a riposare e farti una doccia.»
Si annusa. «Nicotina?»
Arriccio il naso. «Quanto hai fumato? Così viene voglia anche a me.»
Ridacchia alzandosi dal letto. Controlla i monitor, cambia la sacca con la soluzione e rimboccandomi le coperte mi posa un bacio sulla guancia. «Riposati. Informerò tuo padre e tornerò con la cena. Nessuno verrà a disturbarti.»
Annuisco guardandolo e seguendolo fino alla porta. Si volta. «Sappi che mi ha chiesto di darti una lettera.»
«Tienila tu.»
«E che ci faccio?»
«Se tra cinque, massimo dieci anni incontrerò qualcuno tu me la farai leggere.»
Non sembra convinto ma incuriosito. «Pensi che ti aiuterà?»
Ci rifletto un momento. «No, ma spero che allora avrò cambiato completamente la mia vita e non sarò sopraffatta da quello che provo. Leggerla adesso non farebbe che alimentare il dolore.»
Sorride. «Affare fatto. La custodirò. Adesso dormi», apre la porta.
«Shannon?»
«Si?»
«Ti voglio bene.»
Arrossisce leggermente. «Anch'io te ne voglio, tanto», se ne va.
Mi sistemo in posizione fetale mordendomi un'unghia. Fisso il monitor e lentamente il suono del mio cuore mi accompagna verso un sonno tranquillo anche se disturbato da qualcosa, un rumore in camera, delle voci.
Quando apro gli occhi, ho bisogno di un attimo per riprendermi dallo shock.
Davanti a me ci sono i miei nonni, i miei bisnonni, mio padre, Dana, Harper, Shannon e poi c'è anche mia madre insieme a Harvey.
Mi sollevo in fretta con il cuore che batte frenetico nel petto. Gli occhi mi si riempiono di lacrime e le lascio andare. Mi abbandono ad un pianto isterico nascondendo il viso tra le mani.
«Oh mio Dio, mi volete morta? Che bello, siete qui!»
Tutti se ne stanno in silenzio mentre io sento il bene colpirmi il cuore.
«Penso sia il contrario, signorina», replica veloce mia nonna. «Anche noi siamo felici di essere qui e di vederti ancora viva. Un po' ammaccata ma viva. Spero tu sia pronta ad assaggiare il mio polpettone perché ne ho cucinato un po' in quella graziosa cucina», mi sorride raggiante.
Apro e richiudo la bocca trovando conferma in papà che annuendo continua a stare a braccia conserte appoggiato alla finestra, lontano da mamma. «Hanno invaso la nostra casa.»
Prendo un lungo respiro per calmarmi. La stanza è piena di palloncini, odore di cibo e fiori.
Mia madre viene spinta da Harvey. All'inizio lo guarda insicura poi voltandosi mi raggiunge abbracciandomi. «La mia bambina», piagnucola mentre mi abbandono contro il suo petto. «Mamma...», tiro su con il naso.
Non riesco a spiegare quello che sto sentendo forte nel petto.
«Tuo padre ha avvisato tutti quando sei sparita. Ci hai fatto prendere un brutto spavento, soprattutto quando il capo della polizia ci ha detto che eri stata segregata dentro la casa di un ragazzo fuori di testa, quel moccioso che da piccolo non smetteva di seguirti. Mi si sono parati davanti troppi scenari e mi sono sentita una madre terribile. Ma qui ho trovato anche delle persone che ti vogliono bene e adesso capisco perché non sei scappata. Il tuo amico ad esempio è stato così gentile a prendersi cura di te e a nascondere la sorpresa, seppur in un pessimo momento per te», guarda Shannon con gentilezza e premura. «Scusami se ho reagito male mettendo al primo posto la mia felicità alla tua. Sono egoista e... perdonami.»
Guardo Shannon per ringraziarlo silenziosamente stringendo mia madre.
«Finalmente sei qui», le sussurro.
Lei appare sorpresa. «Mi volevi qui?»
«Sei mia madre e nonostante tutto mi sei mancata. Dispiace anche a me per avere rovinato la vostra festa di fidanzamento.»
Singhiozza abbastanza forte. Harvey la prende tra le braccia mentre uno ad uno si fanno avanti per salutarmi, parlarmi e raccontarmi qualcosa di divertente.
Non nascondono la loro angoscia, la paura provata. Dana in particolare si sente in colpa per avermi costretta a raggiungerla alla testa, ma la rassicuro. Ephram non si sarebbe fermato lo stesso.
Papà alla fine, vedendomi distante e un po' stanca, decide di mandare tutti a casa e di occuparsi dei documenti da firmare per farmi uscire dall'ospedale. Ovviamente prima di andare anche lui non nasconde la parte in cui mi toccherà andare alla centrale a raccontare quello che è successo e poi anche in tribunale per le udienze. Sara un lungo calvario per me.
Rimasta sola con Shannon, mi sento più che stordita. «Tu... sei pazzo!»
Sorride. «Non potevo dirti niente e credimi, mi sono sentito male quando ti ho salutato oggi. Mi è sembrato di tradirti ancora una volta. Mi sono sentito un verme.»
Gli faccio spazio sul letto e quando si sdraia mi rannicchio contro il suo petto scoppiando in lacrime.
Lui rimane colpito e mi tiene tra le braccia abbracciandomi con dolcezza. Mi guarda proprio come mi guardavano tutti. Come se avessero davanti un'altra persona. Forse lo sono. Sono cambiata. Alla fine mi sono sciolta come un cubetto di ghiaccio.
Mi stringe rassicurandomi. «Andrà bene, te l'ho detto.»
Tiro su con il naso. «Mi sento così... esposta e stanca.»
«Lo so. Ma riuscirai ad essere felice.»
Mordo il labbro. «Me lo prometti?»
Ride. «Sai che non posso. Dipende tutto da te.»
Dipende da noi la felicità anche se fa paura perché è come una nuvola tempestosa. Ma siamo progettati per ricominciare. Siamo capaci di perdonare anche il più spietato dei torti, anche se non lo ammettiamo. Siamo in grado di tornare ad amare. Perché abbiamo bisogno di riscoprire la dolcezza delle piccole cose, di stupirci ancora, di sorridere, di tenere tra le braccia e nel cuore qualcuno che merita davvero di starci.
Bisogna andare avanti. Feriti, doloranti, tristi, apatici. Non ha senso aggrapparsi a qualcosa che non era destinato ad esistere. Bisogna andare avanti. Bisogna imparare nuove poesie, nuove canzoni, nuovi aromi, nuovi sguardi, nuove voci.
Hai tutto il diritto di soffrire, di urlare, di piangere e scoppiare. Hai il diritto di lasciarti consumare dal dolore. Hai il diritto di trovare conforto nel silenzio. Ma hai anche il diritto di andare avanti, migliorarti dentro, crescere e smettere di appoggiare quella parte indifesa. Hai il diritto di trovare la forza per ricominciare. Hai il diritto di difendere le tue debolezze, le tue incertezze. Hai diritto di affrontare le paure. Hai il diritto di rischiare. Perché se non rischi non puoi essere felice. E la felicità non puoi che trovarla dentro di te perché si insinua tra le crepe del tuo cuore. Non puoi trovarla altrove. E puoi cercarla ovunque: nei sorrisi, negli sguardi, nelle lacrime. Ma sarà sempre e solo dentro di te.
Hai il diritto di ricominciare. Ad un certo punto bisogna svoltare pagina. Cambiare libro. Cambiare storia. Cambiare casa.
Non so ancora come e dove troverò la forza di rimanere in piedi nonostante le botte che tengo nel cuore. Non so ancora come riuscirò ad andare avanti con questo vuoto dentro. Non so se sarò mai in grado di amare ancora, di amare tanto. Ma domani è un altro giorno. E io non sono una che si arrende. Non sono una che si ferma.
Io lotto.
Io sopravvivo.
Io resisto come un fiore sbocciato tra le crepe dell'asfalto.
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