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31

Ogni attimo passato e vissuto accanto alla persona a cui tieni particolarmente, ridona sempre un barlume di speranza nel tuo cuore macchiato dalle innumerevoli delusioni. Quando incontri qualcuno in grado di farti sentire bene, inizi ad avere paura. Paura di fallire. Paura di sbagliare. Paura di non essere pronto o all'altezza.
Perché le cose non vanno sempre come ci aspettiamo. Siamo brividi che rimangono sulla pelle, emozioni che fanno paura quando si tramutano in ricordo. Siamo corrente elettrica, attimi infelici trasformati in lacrime. Siamo sogni infranti, rinunce e dolore. Siamo sorrisi nascosti, mani che si cercano nel buio. Siamo abbracci stretti che ci fanno sentire al sicuro, a casa. Nonostante gli ostacoli insormontabili, siamo anche forti, alla ricerca del nostro incastro imperfetto, quello in grado di renderci liberi.
Io il mio, penso di averlo trovato, anzi di averlo avuto da sempre nella mia vita. Ma sono così tanto codarda da non riuscire ad ammetterlo.
Non ho dormito poi così tanto. Qualcosa continua a tornare alla mente disturbandomi, distraendomi. Sono così piena di insicurezze che rischio di sbagliare, di allontanare quel qualcuno che sta provando ad avvicinarsi al mio cuore.
La mia mano scivola accanto per assicurarsi di non avere sognato ogni cosa. Ma quando le mie dita incontrano il tessuto del lenzuolo freddo, la mia testa scatta in alto e i pensieri tornano ad affollarsi dandomi un certo sconforto.
I miei occhi si abituano alla penombra e grazie alla luce del lampione, noto che accanto a me non c'è più nessuno. Sono sola. Il silenzio non è mai stato tanto assordante.
Accendo la luce tirandomi a metà busto. Sbadiglio grattandomi la testa, continuando a controllare la stanza come se dovessi trovare un indizio, qualcosa per non sentirmi così pazza. Vago ovunque fino a posare lo sguardo sul comodino. Rilasso le spalle. Il girasole è dentro il bicchiere. Lo tiro fuori annusandolo.
E capisco di dovergli parlare. Devo fare qualcosa per non perderlo. Per non ferirlo.
Rimesso al posto il girasole, scendo dal letto.
In un primo momento non muovo un passo. Alla fine controllo in bagno dove spero di trovarlo. Ma non c'è nessuno. Una strana sensazione di solitudine mista a vuoto mi investe. Mi abbraccio strofinando i palmi sulla pelle per riscaldarla e prendendo una giacca dall'armadio la indosso, scendendo al piano di sotto.
Non accendo neanche la luce. Non c'è bisogno. Quella della lampada del soggiorno riesce ad illuminare parte dell'entrata e della scala impedendomi di ruzzolare giù e farmi male.
Avanzo come un gratto verso di lui. Se ne sta seduto sul divano, piegato sui gomiti, le mani strette in un unico pugno premuto sulle labbra.
Sembra così assorto da non accorgersi della mia presenza a pochi metri di distanza.
È piuttosto altrove. I suoi occhi sono persi in qualche ricordo o pensiero. Il suo respiro è regolare. Osservo le spalle che si alzano e abbassano al ritmo del mio cuore che sta rallentando. Proseguo per raggiungerlo e lui si volta.
«Non volevo svegliarti», anticipa rispondendo alla mia domanda inespressa con un tono di voce basso. Strofina i palmi soffiandoci sopra poi alzandosi accende il camino, regolando anche l'impianto di riscaldamento. Si ferma davanti alla finestra scostando di poco la tenda, guardando con attenzione fuori.
Sta piovendo. Le gocce di pioggia picchiettano contro i vetri e il vento provoca qualche ululato passando tra gli spifferi.
Mi avvicino ulteriormente a lui in punta di piedi. «Come mai sei sveglio?»
Fissa le fiamme appoggiando il braccio sul bordo superiore del camino. «In realtà non ho neanche dormito. Non riesco a chiudere occhio. Non abbiamo terminato il discorso», dice guardandomi.
Nei suoi occhi c'è qualcosa che mi distrae. Sono distanti e nascondono un messaggio diverso dal solito a cui non sono abituata.
Corrugo la fronte. «Ti avevo detto che avevo bisogno di dormire», dico massaggiandomi la fronte. «Ultimamente mi sento proprio sfinita.»
Annuisce. «È colpa mia.»
«No. Cioè un po' si, ma è colpa della mia straordinaria tendenza ad attirare guai.»
Abbozza un lieve sorriso. «Già. Sei come una calamita», replica.
Passo le dita sul collo. Accorgendosi della mia smorfia mi fa cenno di voltarmi. Non rifiuto e non mi allontano. Tolgo la giacca e quando le sue dita si posano dapprima sulle mie spalle, drizzo la schiena sentendomi pervasa da una forte sensazione oltre ai brividi che in breve gli mostrano quello che mi sta facendo provare.
Kay si avvicina alle mie spalle mentre continua a passare le dita nei punti giusti. Tengo per me quei versi di piacere quando scioglie, anche se di poco, la sensazione di tensione che ormai mi si mantiene addosso da diverse ore. Ha un tocco così piacevole da farmi dimenticare di tutto il resto.
Sono scesa per dirgli che anch'io ci tengo a lui, anche se non riesco a dimostrarlo. Sono scesa per dirgli che mi dispiace se a volte ho delle brusche reazioni ma è qualcosa che non so gestire. Sono scesa per spiegargli che anche se fingo indifferenza, sento battere forte il cuore quando so di averlo accanto.
«Va meglio?», interrompe con la sua bella voce ogni mio pensiero o intenzione.
«Si, grazie», replico staccandomi, indossando di nuovo la giacca.
Mi avvicina per i fianchi. Ancora una volta non riesco ad oppormi. Non posso farlo. In realtà non voglio tenermi a distanza. Voglio solo che lui sappia che siamo in due in questa stranissima storia.
«Non riesco a non ripensare a quello che mi hai urlato addosso», ammette.
«Ero e sono tuttora arrabbiata. In parte anche delusa. Però se ho usato un tono brusco, sappi che mi dispiace. A volte replico d'impulso, senza ragionare.»
Stringe le labbra mostrando una breve smorfia. «Erin, io... per me sei diventata importante e non riesco più a immaginare altri anni da passare senza di te.»
Mordo l'interno guancia. Ormai ho perso il conto di quante volte l'ho fatto. Sento in bocca il sapore del sangue e smetto di farmi male, di divorarmi pur di non esplodere. Quello che faccio è staccarmi da lui e adagiarmi sul divano con i piedi nudi sotto il sedere, un cuscino stretto al petto.
Siamo in soggiorno. Ci troviamo in una zona neutrale. Ecco perché è sceso qui al piano di sotto a pensare. Ecco perché stiamo affrontando ancora l'argomento che con ogni probabilità ci farà litigare.
Guarda di nuovo le fiamme dandomi le spalle. «Non ti fidi di me, lo capisco», inizia voltandosi, avvicinandosi.
Prende posto accanto a me provando a tirarmi via il cuscino. Mi ci aggrappo e alla fine smette stringendo l'altro con i piedi sul tavolo basso. Tira la testa indietro sul bordo del divano.
«Il problema non è che non mi fido. Qui il problema è che tu hai una ragazza dall'altra parte del pianeta che non vedi da quando sei scappato e non mi hai detto che la conosci. E so già che non posso competere con lei. Non voglio neanche farlo.»
«Perché non sei interessata così tanto a me?»
«NO!», urlo. «Perché sarà pronta a tutto pur di averti. La tua famiglia avrà programmato ogni singola cosa minuziosamente per quel giorno, per farti accettare. E io ho paura che tu alla fine sceglierai loro... lei.»
Prendo un respiro. «Sceglierai la tua vera ragazza e io non sarò altro che una storiella. Come l'amante da tenere dentro l'armadio durante il ricevimento.»
Sbuffa scrollando la testa da una parte all'altra, passando le mani sul viso. «Non è la mia ragazza», replica con frustrazione, alzando il tono. «Ripeterò fino a quando non lo avrai capito che per me non conta niente. Non la conosco, non mi lascerò mai abbindolare dai suoi soldi o dal piano che i miei attueranno per farmi accettare un simile compromesso. Non mi farò convincere dalla mia famiglia o da chiunque altro voglia anche solo provarci per i loro stupidi affari. Non starò con una persona che non amo. Mi rifiuto. Piuttosto mi chiudo in un convento anziché rinunciare a te.»
Mi guarda ma sono distratta per rendermi davvero conto di quello che ha appena detto. «E che cosa pensi di fare?», chiedo, lasciando uscire una delle tantissime domande che ormai ho sulla punta della lingua.
«Anch'io preparerò un piano. Andremo al matrimonio. Staremo in compagnia di quei ricconi da strapazzo e torneremo qui, insieme.»
Mordo il labbro lasciandolo andare prima che i denti recidano un'altra parte di carne delicata. «Quindi sei intenzionato a portare avanti il copione?», chiedo dubbiosa.
Mi guarda male. «Copione? Io non voglio stare con te per finta, Erin. Dannazione! Davvero non riesci ancora a capirlo?»
Stringo il cuscino. «Vorrei proprio vedere te al posto mio. Vorrei vedere come reagiresti nel vedermi con un ragazzo, sul punto di sposarmi!»
Chiude la mano a pugno e le mie parole sembrano colpirlo come un proiettile nel petto. «Non resisterei ad una simile situazione. Il pensiero mi annebbia la ragione anche adesso che sei qui con me.»
«Ecco! Questo dovrebbe già darti la risposta che cerchi. Io non metto in dubbio i tuoi sentimenti, anche se dopo che ho saputo che mi hai mentito un paio di domande sono saltate dentro la mia testa e continuano a confondermi come un tarlo. Ma non so come reagirò davanti alla ragazza che tutti vogliono vedere al tuo fianco. Non riesco neanche a togliermi dalla testa le parole di tuo nonno. Era così convinto...»
Scansa il cuscino e si avvicina. «È uno stronzo!», appoggia la testa sul cuscino che tengo in grembo, mettendosi comodo sul divano. Una mano sull'addome, l'altra cerca la mia prima di afferrarla e portarsela sul petto dopo averla baciata. «Non hanno mai pensato alla mia felicità. Mi hanno sempre considerato un ribelle che deve essere messo in riga. Non ho mai dato loro quello che volevano, è questo il problema.»
«A cosa ti riferisci?»
«Nessuna soddisfazione nonostante i bei voti a scuola, nessuna festa di compleanno sfarzosa, nessuna partita da festeggiare nonostante le continue vittorie, niente di niente. Alla fine se ne sono usciti con un: "tu non ci hai mai dato niente in cambio del nostro aiuto finanziario per farti avere un tetto sulla testa, adesso noi ti intrappoliamo costringendoti a stare con una ragazza perché suo padre è importante per i nostri affari di famiglia e non puoi dirci di no".»
Sento un groppo alla gola. «E non puoi dirgli no», ripeto piano.
«Invece posso. L'ho fatto. Non avevano considerato che me ne sarei andato. Non avevano immaginato che avrei rivisto una persona e mi sarei interessato a tal punto da perdermi. L'ho fatto, Erin. Ho detto di no. Ho scelto.»
Alza la testa guardandomi. «Adesso non sanno come spiegare il mio rifiuto. Si trovano nella merda fino al collo. Ma sono stati loro ad iniziare. Io non gli ho mai chiesto niente. Mi sono solo impegnato per ottenere quello che volevo e ho continuato a farlo, sempre.»
«Ed io ci sono caduta dentro insieme a te nella merda. Le belle notizie non finiscono mai», dico con finto sarcasmo. «Quante probabilità c'erano?»
Afferra anche l'altra mia mano portandola alle labbra. Mi bacia una ad una le dita soffiando sul palmo per farmi il solletico.
«Direi infinite e poche allo stesso tempo, di incontrarci. Avere te qui mi sta salvando da una vita di infelicità.»
Diventa pensieroso. Ancora una volta lo vedo distante. Si precipita in fretta in una mare di illusioni e fragili incertezze, rifletto osservandolo di nascosto.
«Perché sei sceso qui al piano di sotto? Potevi dormire. Potevi stare lì con me...»
«Perché la voglia di averti è troppa e non voglio approfittarmi di te. Voglio comportarmi come si deve, anche a costo di litigare con te e poi cercare di trovare il modo di chiedere perdono.»
Si solleva. «Non ho mai provato questa attrazione così forte. Sei la prima che mi manda totalmente fuori controllo. La prima che ho voglia di rivedere. E mi elettrizza quello che provo per te. Mi eccita il pensiero di guardarti e dovere resistere per non sentirmi così maledettamente instabile.»
Mi toglie il cuscino dal grembo. «Adesso possiamo accantonare per qualche minuto la nostra guerra facendo una breve pausa?»
Lo guardo fisso e tremo. Capisco in fretta quello che gli serve. «Hai fame?»
Balza in piedi stiracchiandosi. Ammiro il suo corpo che si allunga. Ogni muscolo che si muove sinuosamente. «Si, parecchia», strofina il palmo sulla pancia.
Mi alzo. «Abbiamo cosce di pollo marinate con del vino che sarà evaporato da ore e carote arrostite. Ci sono anche le patate al forno e un dolce. Ti vanno bene queste cose o vuoi che ti prepari una omelette o verdure?»
«Era la cena?»
Annuisco abbassando lo sguardo dal suo corpo che continua ad attrarmi. «La prima cena di famiglia con il mio ragazzo e ci ho litigato. Mio padre si è impegnato tanto a cucinare queste cose, te lo rinfaccerà a lungo», dico aprendo il frigo. «Specie quando saprà che hai un'altra», lo stuzzico dove fa male.
Si avvicina. «Lascia, faccio io», mi toglie il contenitore dalle mani sfiorandomi di proposito le dita e mette tutto dentro il microonde. «Mi farò perdonare.»
Non so se si sta riferendo alla cena quindi a mio padre o a me. Non che tenga particolarmente a certe dimostrazioni.
Mi siedo sullo sgabello sporgendomi con i gomiti sul ripiano mentre lui mette la cena sui piatti. Me ne passa uno sedendosi accanto a me.
Mangiucchio con le mani guardando fuori dalla finestra per un tempo apparentemente lungo. Ma nel nostro silenzioso pasto, non c'è imbarazzo.
«Credi che continuerà a disegnarmi?»
Sa a chi mi sto riferendo. Pulisce gli angoli della bocca poi prende le mie mani leccandomi un dito pieno di olio e salsa. Stringo le gambe sentendo un certo formicolio depositarsi sul basso ventre.
Osservo i suoi movimenti più che attratta.
«Lo rivedrai a scuola?», lecca le labbra.
«Non mi avvicinerò a lui», il pensiero di vedere Ephram e avere un contatto con lui: mi allarma.
Annuisce accorgendosi della mia reazione. «Ti avevo detto di non dargli corda. Sei... così testarda!»
«Concedo sempre a tutti una possibilità. Solo che poi le persone o mi feriscono o mi deludono», dico tirando indietro le mani, pulendole.
Abbiamo spazzolato la cena in meno di dieci minuti. Siamo affamati e non solo di cibo. Stiamo concentrando ogni nostra frustrazione su qualcos'altro anziché saltarci addosso o azzannarci.
Mi alzo per prendere due birre e dopo avere messo i piatti sporchi e vuoti dentro la lavastoviglie ci spostiamo di nuovo in soggiorno.
Bevo un sorso appoggiando la bottiglia sul tavolo. Kay guarda fuori dalla finestra poi si siede giocando con l'etichetta. La gratta fino a tirarne una striscia. «Io ti ho ferita e delusa», non è una domanda. Sta riflettendo sulla mia ultima risposta. Ecco perché era così silenzioso e attento mentre parlavo.
Annuisco. «Paragonabile al moderno: "mi hai spezzato il cuore, stronzo!".»
Contrae la mascella. «E non c'è modo di ripararlo?»
Alzo le spalle. «Hai una colla resistente?»
Posa la bottiglia avvicinandomi a sé. Mi bacia la fronte, regalandomi un lievissimo brivido più che piacevole.
«Scusami.»
«Attento. Potrei anche crederci.»
Sbuffa stringendomi al petto. «Smettila di fare la stronza con me. So che non vuoi.»
«Considerando quello che dovrò sopportare al matrimonio di tuo fratello è il minimo. Te lo meriti.»
Alza gli occhi al cielo. «Non dovrai per forza conversare con i presenti.»
«Sai a cosa o a chi mi riferisco.»
«Se la conoscerai la ignorerai. Faremo il nostro dovere e poi ce ne andremo. Prenoterò un hotel e passeremo lì qualche ora prima di tornare. Ok? Ti va bene come programma? Possiamo anche vedere la cerimonia e poi scappare da qualche parte.»
«Forse...»
Sbuffa provando a mordermi. Mi sfugge un urlo poi una risatina quando continua provocandomi il solletico.
«Sei una testona!»
Si alza tirandomi in piedi. «Torniamo in camera. Stai prendendo freddo e ti voglio in forma.»
Getta le bottiglie e mi accompagna al piano di sopra. Entra in camera stendendosi subito sotto la coperta.
Su un fianco, nascosta fin sopra il mento dal lenzuolo, lo guardo. Gli provoca uno scossa. Si agita.
La sua mano sfiora il mio naso, le palpebre, le labbra. «Adesso dormi», sussurra mettendosi supino. Fissa il tetto massaggiandosi la fronte.
Appoggio la guancia sul suo petto ascoltando i battiti del suo cuore. La gamba piegata e sollevata sulla sua vita e un braccio intorno all'addome.
Posa la mano sulla mia coscia, l'altra sulla schiena. «Sei in una posizione comoda?», chiede in tono dolce, basso e roco.
Nascondo il viso nell'incavo del suo collo. Inspira di scatto colpito dal mio gesto avventato.
«Adesso si», mugugno.
Sorride. «Ah, non ne dubito!»
Notando che continua a ghignare sotto i baffi, sollevo la testa. «Che c'è?»
Strofina il naso sulla mia guancia annusandomi la pelle. «Finché non ti muovi, e spero che non lo farai, non risveglierai ulteriormente quello che c'è tra le mie gambe.»
Lo guardo da sotto le ciglia senza muovermi e lui boccheggia. «Erin», mi rimprovera.
«Non sto facendo niente», dico con finta innocenza.
Inarca un sopracciglio. «No? Ti credi furba?»
«Lo sono.»
Ride.
I secondi sembrano durare in eterno e sudo freddo intuendo che ha qualcosa in mente. Ma è troppo tardi. Con una mossa scivola su di me tenendomi il ginocchio piegato e ben alzato premuto sul suo fianco. Muove il corpo facendo contatto, avventandosi sulla mia gola.
Lascio scappare un gemito. Mi agito cercando di fermarlo con una mano sull'addome.
«Così adesso ti va bene?», continua a torturarmi.
Ansimo agitandomi. «Kay...»
Succhia sotto l'orecchio abbastanza forte da lasciarmi il segno della sua aggressione così sensuale. «Mi implorerai», soffia accaldato, mettendosi comodo e al posto di partenza.
Torno a rannicchiarmi su di lui. «Scordalo. Sarai tu quello a non resistere.»
Solleva l'angolo del labbro. «Non sfidarmi, ragazzina.»
«Perché sai che questa la perdi in partenza», replico prontamente con un sorrisetto, alzando il mento.
Il momento di prima sembra passato. Ci sono così tante cose ancora da discutere ma non voglio rovinare questo attimo sereno tra di noi. Una breve tregua prima della prossima tempesta.
Mi bacia la fronte chiudendo gli occhi. «Notte», sussurra.
«Notte.»
Notando che dopo circa tre minuti non ha ancora osato chiudere gli occhi, alzo la testa. «Kay...», inizio, insicura giocando con le linee scure sul suo petto.
Non so proprio che cosa aggiungere. Ci sono talmente tante cose da dire, da sistemare. Il pensiero di lasciare uscire quello che provo come un fiume in piena, mi fa sentire agitata. Mi frenano inoltre le possibili reazioni da parte sua.
«Si?»
«Hai fatto davvero l'amore con me?»
Mi guarda sorpreso ma non si scompone. «Che cosa vedi?»
Batto le palpebre per capire. Sfiora subito la ruga che mi si forma tra le sopracciglia. «Vedo te, che cosa c'entra?»
«Non vedi come ti guardo?», mormora affondando le dita sulla mia nuca. «Non senti che facciamo l'amore ogni volta che ci guardiamo negli occhi?», mi avvicina. «Erin, tu mi spogli l'anima e continui a prendere pezzo dopo pezzo il mio cuore.»
Guardo le sue labbra sempre più vicine. Sono come il frutto proibito.
Mi costringo però a non pensare di non meritarle, di non poterle avere perché appartengono ad un'altra.
«So cosa vuoi adesso. Non ti accontenterò, ma solo perché non voglio che pensi che sia l'unico modo per fare pace, per placarmi. L'hai già fatto. Riesci a calmarmi con poco.»
Lo abbraccio e lui si rilassa sotto il mio peso. «Mi accontenterò di un abbraccio», rispondo sulla sua spalla. «Non mi approfitterò di te.»
Mi accarezza la schiena. «Non dovresti accontentarti, mai. Io ti sto offrendo tutto me stesso.»
«Nel tuo abbraccio c'è già tutto», mormoro abbassando gli occhi.
Preme il mento sulla mia fronte. «Adesso proviamo a dormire?», propone. «Notte, amore.»
Sorrido aggrappandomi più forte a lui. «Mi piace quando lo dici. Notte.»
Mi bacia la tempia. «A me piace dirtelo», sussurra all'orecchio. «Amore», ripete piano.
Questa parola mi accompagna nel sonno in cui trovo accoglienza nell'immediato.

«Vedo che avete fatto pace.»
«Non ho toccato in quel senso tua figlia, non passare a conclusioni affrettate. Abbiamo solo parlato, mangiato e ci siamo addormentati. Io dormo così, non riesco ad infilarmi nel letto vestito e a lei non dispiace altrimenti avrei fatto un'eccezione.»
«A quanto pare neanche mia figlia ama dormire vestita, anche se in questo caso indossa un pigiama estivo. Spero che userai sempre le protezioni perché non intendo venirti a cercare e farti a pezzi se dovessi metterla incinta.»
Stringo la coperta sotto il mento rimanendo di spalle mentre papà rimprovera Kay per qualcosa che non ha fatto. È stato rispettoso, attento e dolce questa notte. Poche volte l'ho visto così e ognuna di queste ha riservato solo per me questo comportamento.
Non posso non esserne lusingata. Purtroppo immagino ancora quella ragazza che ormai lo aspetta da tempo e non riesco a sentirlo davvero mio. Mi fa quasi rabbia pensare di dovere fare a gara per raggiungere il suo cuore.
«Ti ripeto che non mi sono approfittato di lei. Non lo farei mai. Adesso se hai finito con le teorie su come sono andate le cose tra di noi, vorrei che Erin dormisse ancora un po'. Sono state giornate pesanti per lei. Quindi, se non ti dispiace, usciamo fuori dalla stanza.»
«Prima rivestiti. Ti aspetto qui fuori.»
Il letto si muove alle mie spalle. Sento le sue dita sfiorarmi il viso poi le sue labbra sulla tempia. «Torno in fretta, piccola.»
Esce dalla stanza senza fare il minimo rumore e dopo poco, i due scendono al piano di sotto borbottando in corridoio.
Mi giro verso la porta fissando lo spiraglio di luce che si intravede. Sulla pelle ho ancora l'impronta delicata del suo bacio.
Scendo dal letto. Indosso una tuta e apro piano la porta della mia stanza per origliare la conversazione dalle scale.
All'inizio non sento niente. C'è un silenzio inquietante in casa. Tendo l'orecchio sedendomi sul primo gradino.
«Ok, adesso che siamo fuori dalla stanza e lei non può svegliarsi o sentirci, puoi spiegarmi che cosa le hai fatto? Tu non hai la minima idea di come ha reagito. Ha avuto una delle peggiori crisi che io le abbia mai visto avere in tutta la sua vita. È arrivata come una furia e ha buttato a terra tutto quello che trovava nella sua stanza poi si è chiusa in bagno a fare chissà che cosa. Ho cercato di parlarle, di capire, mi ha cacciato con una scusa. Ma ho sentito che urlava e picchiava il pugno contro le piastrelle. Kay, devi essere sincero con me. Sono preoccupato per lei. Normalmente non reagisce così. Lei si chiude, si allontana...»
Kay si prende un paio di secondi per rispondere, in parte preoccupato è dispiaciuto per me.
Non mi è difficile intuire la sorpresa per la rivelazione di papà. «Andremo al matrimonio di mio fratello. Mi occuperò di tutto io: viaggio, pernottamento e il resto. Ma deve sapere che i miei hanno l'intenzione di farmi fidanzare con una ragazza che non conosco, per affari. Erin ha saputo che l'ho conosciuta e ha avuto una brusca reazione quando mio nonno ha messo il dito nella piaga di proposito.»
Sento il rumore delle tazze. Papà non riesce a fare a meno del caffè quando si sente nervoso o preoccupato. «E questo dovrebbe rasserenarmi? Non userai mia figlia!», alza il tono, brusco.
«Non sto usando sua figlia!», urla a sua volta Kay. «Erin ha accettato di accompagnarmi.»
«Ah no? Allora che cosa le stai facendo? Kay, se ancora non hai capito, Erin è una ragazzina e ha dei sentimenti. Non li prova come chiunque, questo dovresti tenerlo bene a mente. Non ha esperienza nelle relazioni perché per quanto ne so da sua madre, non ha mai permesso a nessuno di avvicinarsi al suo corpo. Ha sempre tenuto tutti a debita distanza da lei. Ha respinto molti ragazzi. E tu, non puoi entrare e uscire dalla sua vita perché ha già avuto la sua brutta dose di delusioni. Non puoi farle credere di tenerci e poi sparire per accontentare i tuoi. Non posso permetterti di usarla in questo modo, specie se hai un'altra ragazza.»
Kay picchia il pugno sulla superficie chiaramente arrabbiato. «Erin per me è tutto!», alza nuovamente il tono, scandendo parola per parola. «Non permetterò più a nessuno di portarmela via.»
«E se dovesse tornare a casa perché sua madre la rivuole con lei o se scegliesse l'università dei suoi sogni lontano da qui, in quel caso, che cosa farai?»
Silenzio dall'altra parte.
Il mio cuore invece fa un gran frastuono dopo avere perso un battito. Lo stomaco si contrae.
«Capisco il tuo disappunto, William. Ma sono disposto a seguirla ovunque. Anche ad aspettarla se sarà necessario.»
Il mio cuore prende a battere così frenetico da non sentire altro. La mia pelle pulsa regalandomi un calore piacevole.
«Finirò presto con l'università. Sono già a buon punto e in largo anticipo perché mi sono impegnato per raggiungere il mio obiettivo. Posso scegliere se andare a svolgere il tirocinio continuando a studiare o chiedere direttamente un lavoro in ospedale. Farò qualunque cosa per tenerla vicina.»
«E se lei si accorge che sei solo un amico?»
Un altro lungo silenzio.
Mio padre sta cogliendo alla sprovvista Kay mettendolo alle strette. Sta valutando la sua sincerità.
Kay, non aveva pensato a tutte queste possibilità? È così convinto di potermi tenere qui, buona?
Scendo i primi gradini in attesa di sentire la sua voce.
«In quel caso la lascerei andare. Ma non permetterò lo stesso a nessuno di intralciarci. Amici, fidanzati... non avrà importanza se mi terrà vicino. Perché a me basta averla accanto.»
Papà sospira. «Sei davvero preso da lei, eh?»
«Il termine non spiega minimamente quello che sento per tua figlia. Io amo tutto di Erin. Amo il modo in cui respira mentre dorme, come ad un certo punto trattiene il fiato quando uno dei suoi sogni la coglie di sorpresa o quando tenta di trattenere dentro quello che prova, respingendo ogni sensazione nuova, che vede come distruttiva per il suo grande cuore. Amo la sua andatura a tratti distratta a tratti sicura e fiera anche se si muove goffamente quando non sente suo un posto e alza un po' le punte dei piedi irrigidendo le spalle per non fare rumore, cercando di passare inosservata, pur non riuscendoci. Amo il modo in cui si distingue dagli altri e non solo per i suoi capelli colorati ma per la sua tenacia, per la sua forte personalità che molto spesso lascia il posto ad una dolcezza naturale. Amo il modo in cui mi guarda e senza dire niente mi trasmette ogni suo pensiero. Amo la sua insicurezza. Io... io non volevo tenerci così. Perché tenere così tanto a lei significa perdere il senno, il sonno. Ma ci sono caduto. Sono caduto nella trappola e non posso e non voglio tirarmi indietro. E credimi, sto provando a non farle pesare tutto questo. Ma è la cosa più bella che io abbia mai avuto nella mia vita.»
Tappo la bocca. Non posso crederci. Non posso avere sentito male. Kay...
«Io lo so che dietro quella maschera fredda, nasconde emozioni forti. La verità è che non si fida più. Ma ho tutto il tempo. Per lei farei qualsiasi cosa.»
Prendo coraggio sbucando in soggiorno e i due si interrompono.
Mio padre batte le palpebre schiarendosi la gola. «Erin...»
«Papà», saluto, con naturalezza.
Kay mi segue con lo sguardo guardandomi in modo strano. Non è disagio il suo, sa che ho sentito tutto. Mi avvicino a lui. E non so perché lo faccio, forse sento il bisogno di dimostrargli qualcosa, lo abbraccio impacciata. Prendo la sua tazza di caffè girando intorno all'isola per appoggiarmi all'angolo.
Papà, pur rimanendo sorpreso, nasconde il sorriso sotto i baffi. «Sono passato per un cambio e per vedere come va. Noto con piacere di non dovere proteggere mia figlia da un crimine», esclama divertito.
Bevo. «Si», rispondo distratta.
«Ok, vado! Passate una buona giornata e se uscite ricordate il coprifuoco. Finita la settimana del festival come sapete si ritorna alla normalità.»
Annuiamo guardandolo in silenzio andare via.
Quando sentiamo lo scatto della porta, abbassiamo entrambi le spalle.
«Che cos'era quell'abbraccio?»
Facendosi vicino mi toglie la tazza dalle mani posandola di fianco e mi circonda con le braccia incastrandomi, impedendomi di divincolarmi.
«Ti stavo salutando», replico, vaga.
Mi solleva il mento con due dita. «Mi saluti così?»
Non sapendo dove mettere le mani, le appoggio al suo petto superando le spalle fino ad intrecciare le dita dietro la sua nuca. «Come dovrei salutarti davanti a mio padre?»
Non esprime alcuna emozione rimanendo controllato a tal punto da farmi agitare. «Con un bacio ad esempio, visto che mi ha messo alle strette», spiega premendo i polpastrelli sul mio fondoschiena. «Credo di avere superato la prova, insomma... non mi ha cacciato di casa.»
Non lo guardo negli occhi. «E vuoi un bacio anche adesso?»
«Si», non esita. «Mi sembra il minimo», mi stuzzica.
Sorrido. «Avvicinati», ordino a voce bassa.
Il suo corpo si tende. Le mani scivolano sulle mie natiche. Mi sono già alzata sulle punte dei piedi e sono in equilibrio precario.
«Vicino così?», sta al gioco.
Sfioro le sue labbra guardandolo adesso negli occhi. «Si», soffio.
Schiude le labbra dopo avere contratto leggermente la mascella. Le sue pupille si dilatano al centro di quel manto ghiacciato dal colore acceso. «Sai che effetto mi fai?»
Deglutisco. «Si», la mia voce esce incerta.
Solleva l'angolo del labbro come un clown. Mi agita dentro e mi provoca brividi sulla pelle. «Allora che aspetti a baciarmi?»
Poso un piccolo bacio sulle sue labbra. «Ne vuoi uno così?»
Tira indietro la testa fremendo. «Sai fare di meglio...»
Sorrido. Abbasso il suo viso e accolgo le sue labbra per un bacio lento. La mia lingua gioca con la sua provocandogli un verso basso, in grado di farlo agitare.
Non mi stacco continuando a muovere le labbra, a farmi sollevare sul ripiano.
Mi avvicina e aggancio le gambe intorno al suo corpo. Si tiene in equilibrio con i palmi ben piantati sul bancone, i muscoli tesi e l'affanno in aumento.
Non stacco le mani dal suo viso dai tratti delicati. La lieve peluria che sento pizzicarmi i polpastrelli. «Di meglio... così?»
Ansima staccandosi, dandomi le spalle. «Cazzo!»
Sorrido sfiorandomi le labbra che mi ha appena morso. Poso la mano sulla sua spalla e voltandosi mi inchioda ancora all'angolo. Questa volta è lui a baciarmi con una certa determinazione.
Scivolo sul suo corpo senza fiato, accaldata e tremolante. Chiudo gli occhi inspirando il suo profumo mentre preme le labbra sulla mia fronte.
«Ciao», sussurro.
«Ciao», mormora. Guarda fuori dalla finestra alle mie spalle. «Sta piovendo. Vuoi uscire lo stesso di casa?»
«Si, non ti implorerò», strizzandogli l'occhio salgo in camera con una risatina quando prova ad afferrarmi rincorrendomi.
Mi segue in camera appoggiandosi alla parete, osservandomi mentre recupero un paio di jeans e una felpa dall'armadio. Staccandosi dalla parete si fa subito vicino come un predatore. «Mi piace quando non indossi niente», sussurra e senza avvisarmi mi avvicina per un bacio togliendomi dalle mani gli indumenti.
«Kay... che stai facendo?», mi trema la voce.
Riempie di baci sotto l'orecchio. «Ti spoglio.»
Tremo. «Per fare che cosa?», sento la gola secca.
Con disinvoltura apre la cerniera della giacca osservando il mio seno nudo al di sotto. La sfila via e abbassa i pantaloni aiutandomi a toglierli.
Non mi copro. Ho imparato a sentire sulla pelle il suo sguardo, le sue mani, la sua bocca, la sua voglia.
Le mie mani prima ancora della sua risposta gli sfilano dalla testa il maglione poi apro la cintura e il primo bottone.
Geme baciandomi, spingendomi verso il letto. «Per fare quello che vogliamo da questa notte», sibila a denti stretti.
Abbasso i suoi pantaloni poi i boxer e lui sta già aprendo una protezione.
Mi lascia sistemare sotto le coperte e sollevandomi le ginocchia mi tira giù. Si abbassa guardandomi negli occhi. «Dillo», ringhia non riuscendo a trattenersi.
«Che cosa?», mi contorco dal piacere che mi provoca.
«Che sei mia!»
Sorrido e si abbassa lentamente prima di scattare a fondo facendomi mugolare sulla sua spalla. «Dillo! Dillo che mi vuoi!»
Ansimo. «Si...»
Si tira indietro. «Si, che cosa?»
Mi avvinghio a lui. «Sei mio. Solo mio. Di nessun'altra.»
Chiude gli occhi premendo forte la fronte sulla mia. «E sai anche che ti amo, vero?»
«Kay», non so bene cosa dire. «Io...»
Voglio dirgli che ricambio quello che sente lui. Io penso di amarlo sin dal primo istante. Questo sentimento però l'ho represso e trattenuto a lungo dentro a causa dei nostri litigi. Voglio dirgli che in fondo gli ho sempre voluto bene, anche dopo ogni nostra scaramuccia da bambini. Non ho mai dubitato sulla sua buona fede nonostante fosse stronzo. Voglio dirgli che l'ho sempre rispettato, che l'ho sempre tenuto nel cuore, il posto in cui lui ha costruito una casa e ci è rimasto. Voglio dirgli che farà sempre parte della mia vita, di me. È l'unico in grado di avermi attratta con i suoi strani modi, con le sue sorprese, con i suoi gesti.
Apro la bocca per dirgli la verità. Lui mi interrompe abbassandosi, tappandomi la bocca con un bacio appassionato.
«No», sussurra, muovendosi piano dentro di me, così piano da farmi stringere le dita sulla sua schiena, solcando le unghie sulla carne. «Non voglio che mi rispondi. Non voglio che trovi qualcosa da dirmi solo perché sono riuscito ad aprirmi e finalmente a liberarmi dalla verità che rischiava di bruciarmi ad ogni respiro o secondo passato con te.»
«Ma devi lasciarmi dire che...»
Si abbassa ancora facendo di no con la testa. Afferra la mia coscia muovendo in un movimento lento i fianchi, facendomi gemere e inarcare la schiena. «Sono anni che il destino ci tiene lontani. Sono anni che sento la mancanza di una parte di me... te», confessa.
Fatica a parlare, a muoversi. Il sudore si accumula sulla sua fronte e si ferma. «Ho bisogno di non sentirmi più solo. Di non sentire come se ci fosse qualcosa che mi manca come aria nei polmoni, come saliva in bocca, come cibo nello stomaco, come sangue nelle vene.»
Mi sfiora la guancia, le labbra, ridisegnandone i contorni in modo rude. «E credimi, ho anch'io paura che non durerà perché affronteremo qualcosa di pericoloso o qualcuno che tenterà di dividerci. E ancora tu che mi rifiuterai o mi lascerai.»
Fissandolo, passo le mani sulla sua schiena risalendo sulle spalle e lui torna a muoversi. «Sai già che se qualcosa ci dividerà ancora mi si spezzerà il cuore e non riuscirò più a rimettere insieme ogni coccio rotto.»
Prende la mia mano spostandola sulla mia testa intrecciando le nostre dita. Stringe la presa guardandomi intensamente negli occhi. Poi allenta la morsa portandola sul suo petto umido e caldo. Allargo le dita percependo il suo cuore. Lo sento battere forte contro lo sterno, come se volesse uscire. «Allora dovrai prendere il mio perché non ho nessuna intenzione di spezzare ancora il tuo. Quindi prendilo tutto e spezzamelo!»

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