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Mi guardo per l'ennesima volta allo specchio toccando i capelli, osservando attentamente il nuovo non colore che ho dovuto fare per coprire le tracce di fucsia ormai scolorito e noioso.
Adesso sono scuri all'attaccatura e bianchi sulle lunghezze. Una sola ciocca blu cobalto che ho intrecciato, spicca in modo appariscente e mi fa sentire meno spenta.
In fondo, ho fatto un bel lavoro tornando a casa la scorsa notte. L'adrenalina era così tanta da farmi agire in fretta sui miei capelli. Non avevo sonno quindi mi sono sistemata davanti allo specchio in bagno e alla fine recuperando i miei colori, le mie tinte, ho sfogato tutta l'energia con qualche pennellata.
Adesso sembro un elfo ma almeno questo non mi metterà in pericolo riguardo quello che è accaduto poco dopo essere tornata a casa.
Sui social si è sparsa a macchia d'olio la notizia che oggi farà il giro del paese e quindi sarà sulla bocca di tutti.
Sono davvero incredibili in questo posto. Come possono essere tanto cattivi e bigotti?
Lego i capelli in una coda alta e indossando il mio cappotto rigorosamente nero, mi decido ad uscire di casa per andare a scuola.
Mio padre non è tornato dal lavoro quindi avrò tutta la giornata per prepararmi psicologicamente alla sua possibile sfuriata o alla raffica di domande riguardo la festa alla quale ho partecipato e dalla quale sono scappata a causa della polizia in sella ad una moto e con uno degli Scorpions.
Quale funesta punizione mi toccherà subire per questo?
Cammino tranquilla lungo il marciapiede disseminato da foglie secche ammucchiate lungo i bordi. Alcune scricchiolano sotto le suole dei miei anfibi ed è il suono meno familiare che io abbia mai sentito.
Guardo il cielo oggi grigio tempestoso ma non me ne curo. Non è poi così distante la scuola dal punto in cui abito e non ho nessuna intenzione di chiedere un passaggio o di usare il piccolo bus messo a disposizione dal comune qualora dovesse mettersi a piovere. Piuttosto mi bagnerò come un pulcino lasciando scorrere via dal mio corpo gran parte dei pensieri negativi che, non vogliono proprio sapere di abbandonarmi.
Mi piace camminare. Mi piace avere un paio di minuti liberi per non pensare, per non deprimermi ulteriormente e per non nascondere la mia vera natura, prima di essere ritenuta una traditrice per essere salita in moto con un tizio paragonato ad una macchia di inchiostro. Attualmente però mi è impossibile. Tutto mi riporta a qualche ora fa.
Ripenso subito alle parole del ragazzo quando siamo arrivati sul vialetto di casa e rabbrividisco.
Che diavolo significa che ho un debito con lui e che presto verrà a riscuoterlo? Solo per un passaggio?
Se sapevo che costava così tanto farsi aiutare, mi sarei fatta accompagnare a casa da una guardia con la scusa di essermi persa dopo una passeggiata. Forse mi avrebbero creduta, in fondo sono ancora una perfetta sconosciuta da queste parti.
Faccio una smorfia fermandomi davanti all'entrata, il cancello che richiama tanto il carcere e la struttura in mattoni rossi davanti a me con le sue finestre bianche e le colonne alte sul portico al di sotto del tabellone con il nome della scuola.
Molti studenti stanno già entrando in massa dentro l'edificio.
Prendo un breve respiro poi drizzando le spalle, aspettandomi il peggio al mio secondo giorno di scuola, cammino a testa alta fingendo indifferenza. Ma nessuno sembra guardarmi come ieri.
Supero l'entrata senza tante difficoltà così come il corridoio.
«Erin!»
Stringo la presa sul bordo dell'armadietto arrabbiata con lei. Sentire la sua voce mi scatena una certa furia. E non so perché lo faccio ma non mi trattengo quando la ritrovo a pochi passi di distanza da me con il suo sorriso, la sua minigonna in tartan rossa, il top a collo alto stretto dello stesso colore, una giacca che richiama il tessuto della minigonna però sul grigio scuro, il trucco impeccabile, i capelli legati e gli stivali con il tacco alto a renderla maggiormente slanciata.
«Sei qui», mostra i denti provando a toccarmi con le sue mani piene di crema alla lavanda. L'odore si sente da una certa distanza e mi nausea.
«Ciao anche a te, Harper. Si, come vedi non sono stata rinchiusa in una cella puzzolente con degli estranei e non ho fatto la spia al tuo gruppetto di "re spaventati". Adesso che lo sai puoi anche andare a fare le tue stupide acrobazie da un'altra parte. Oggi non hai una partita?», sbraito chiudendo l'armadietto così forte da farla sussultare visibilmente.
Intorno non vola più una mosca così mi volto a guardarli uno ad uno i presenti in corridoio.
Se ne stanno immobili, in attesa. Così, decido di farli divertire sfidando la loro regina delle pecore spaventate.
«Che c'è? Vi siete persi lo spettacolo e volete il replay? Non credo, perché sapete già tutto quindi fatevi una buona dose di cazzi vostri. Ops, scusatemi: uccelli vostri. Così va meglio?»
Tutti tornano alle loro attività mentre io guardandola male aggiungo: «Lasciami in pace e non permetterti mai più a prendermi in giro», minaccio superandola irritata.
Harper non si dà di certo per vinta e non accetta affatto il mio affronto nei suoi riguardi davanti a tutti e, afferrandomi per un braccio, mi spinge contro l'armadietto credendo di spaventarmi.
Serra la mascella perfetta. «È la regola, Erin. Non potevo aiutarti. Ma te la sei cavata benissimo. A proposito, come hai fatto a tornare a casa senza essere beccata dal signor Bolton?»
Spalanco gli occhi. Mi sento presa in giro. Non lo sa?
Corrugo la fronte. «Se te lo dico poi dovrò ucciderti», replico ancora una volta minacciosa.
Sorride ma so che ci crede e sta nascondendo il nervosismo perché si fida della mia parola.
«Ok, non me lo dire. Ma hai sentito quello che è successo?»
Nego fingendomi interessata. «No, non seguo i pettegolezzi. A cosa ti stai riferendo?»
Le si illumina il viso. Sorride come una pazza poi mettendosi a braccetto, comportandosi come se niente fosse, mi porta verso l'aula.
A quanto pare abbiamo una lezione insieme oggi e sarà estenuante passare del tempo accanto a lei. Soprattutto sarà dura resistere all'impulso di prenderla per i capelli o strapparglieli a piccole ciocche facendola urlare come una piccola gallina.
Inizio già a sentirmi a disagio nella mia stessa pelle.
Mi capita spesso quando sono tra la gente, di sentirmi soffocare. È come se una mano invisibile stringesse abbastanza forte la mia gola facendomi annaspare. E non riesco a respirare.
Tutto questo però succede in silenzio. Nessuno se ne accorge. Nessuno si accorge che sto morendo dentro.
Harper abbassa il viso incipriato guardando ovunque, e usando un tono confidenziale afferma con convinzione: «Ieri sera dopo la retata, qualcuno ha sparso la voce che una ragazza dei King sia scappata insieme ad uno Scorpions. I due sono stati avvistati sulla moto. Si dice che si tenevano stretti ed erano parecchio complici nel bosco.»
Arrossisco leggermente sentendo proprio il calore divamparmi su per il corpo e non per l'imbarazzo di essere sulla bocca di tutti in questo modo ma perché non è andata affatto così.
Vorrei mettermi ad urlare spiegando come è andata la vicenda ma non posso mettermi nei guai. Non posso neanche fare finta che non mi importi perché ho bisogno di informazioni, devo capire se qualcuno sa che sono io. Se sono stata vista in faccia.
E se fosse un'altra trappola? Uno stupido giochetto per farmi confessare?
Stringo il pugno dentro la tasca mantenendo la mia naturale compostezza. Nel corso degli anni ho imparato a fingere, a sapermi comportare freddamente mentre dentro di me si scatena l'inferno. «Sul serio?» uso il suo stesso tono fingendomi scioccata e curiosa.
«E avete saputo chi è? Che cosa ne avete fatto di lei? Aspetta, lasciami indovinare: le avete tolto la spilla dei King, i braccialetti dell'amicizia e l'avete obbligata a lasciare...»
Harper mi guarda male negando e fermandomi prima che io possa continuare. «Non ci credo sai?» torna seria e trattengo il fiato.
Batto le palpebre velocemente. «Non credi a che cosa?» balbetto.
Stringe la tracolla guardando davanti a sé. «Per te è uno scherzo. Non ti importa un bel niente, quindi smettila di fingere entusiasmo per un qualcosa che non ti appartiene», brontola. «Capisco che vuoi starne fuori perché non starai qui ancora per molto ma... tu non puoi capire che cosa significa questo», si ferma guardandomi intensamente. «Abbiamo una talpa tra i King, Erin.»
Inumidisco le labbra stringendole per non mettermi a ridere come una pazza.
Ci crede davvero? Ma dove viviamo?
«Una talpa?»
Annuisce prendendo lo specchietto dalla borsa. Aggiusta il gloss sulle labbra. «I King sono in pericolo. Quella ragazza potrebbe riferire i nostri punti deboli o i nostri movimenti agli Scorpions e Dio solo sa quello che potrebbe accadere...»
Arriviamo in classe. «Oppure potrebbe avere avuto bisogno di un passaggio perché l'avete lasciata sola nel bosco nel bel mezzo di una retata», bisbiglio prendendo posto in prima fila accanto a Dana che, sembra più che lieta di avere me come compagna.
Harper rimane sbalordita dal mio atteggiamento. Arriccia leggermente il naso e pestando i piedi come una ragazzina capricciosa per non avere vinto la mia compagnia, si mette dietro, all'ultimo banco insieme alla ragazza asiatica della notte scorsa, con cui parla animatamente come una pettegola per gran parte del tempo, confabulando chissà che cosa.
«Sei riuscita a salvarti, eh?» mi sorride Dana in modo dolce.
Tra tutte sembra quella più intelligente del gruppo.
Oggi indossa un maglione verde menta, jeans stretti e scarpe da ginnastica ai piedi. I suoi capelli sono legati dietro da un fermaglio e appare serena. Non è minimamente turbata dal virus che potrebbe distruggere la vita ai King.
Giuro che se prende lo stesso discorso scappo da questo posto immediatamente, mi dico mettendomi comoda sulla sedia.
«A quanto pare non ho tradito nessuno e sono tornata incolume a casa. Se te lo stai chiedendo no, non ho visto niente della presunta spia dei King.»
Dana prende il quaderno. «Non te lo avrei chiesto», dice facendo scattare la mina della penna.
Inarco un sopracciglio. «Ah no?»
Morde il labbro. «Ok, forse sì, ma ho capito.»
Apro anch'io il quaderno preparandomi alla lezione di matematica. «Bene, perché non intendo più parlare di questo argomento. Insomma, è assurdo! Tutti ne parlano come se fosse chissà quale grossa tragedia.»
Dana non sembra della stessa opinione e non lo nasconde.
«Tu non lo sai ma qui è importante quello che succede all'interno di un gruppo», dice abbassando la voce, guardando alle sue spalle come se Harper potesse metterla a tacere per avere preso la parola senza il suo permesso.
Ha paura di lei. Pende dalle sue labbra e fa quello che vuole solo per mantenersi dentro il gruppo.
«Sto iniziando a capirlo ma dal mio punto di vista è un qualcosa di stupido. Non puoi ritenerti migliore degli altri solo perché hai un conto in banca o perché ti vesti bene», sbotto irritata gesticolando ampiamente.
«Non puoi davvero credere che dei capelli colorati siano in male o simbolo di pazzia. Non puoi dire che un piercing sia antiestetico. Ad esempio ho questo a coprire la punta dell'orecchio, lo avresti mai detto?» continuo fissandola negli occhi.
Dana deglutisce a fatica. «Già, hai ragione. Ma...»
«Ma continuerai lo stesso a farne parte perché ti fanno sentire protetta, amata da tutti, venerata. Ma svegliati: sono scappati come polli ieri notte ed erano lì con l'autorizzazione. A quanto pare avevano qualcosa da nascondere altrimenti sarebbero rimasti ad affrontare le guardie o il signor Bolton, chiunque esso sia.»
Arrossisce fissando il quaderno come se volesse eclissarsi tra quei quadretti, poi stringe la presa sulla penna. «Harper ci aveva avvisato che eri una tosta, molto intelligente e che non avresti mai capito il nostro modo di agire.»
Alzo gli occhi al cielo. «Sai che grossa novità essere giudicata da lei. Anche tu pensi che io sia il male solo perché mi piacciono queste cose o perché non condivido questa storia dei gruppi?»
Mi guarda un momento di troppo poi battendo le palpebre velocemente nega. «No, ma devi sapere perché sto con i King...» prende un breve respiro guardando ancora una volta dietro.
«Mio fratello è entrato per sbaglio a far parte degli Scorpions per una scommessa e da allora nessuno vuole più vederlo o parlare con lui. Neanche i miei genitori perché pensano che lui sia entrato in una setta e che andrà all'inferno per quello che lo spingono a fare. Io sono nei King grazie alla mia amicizia con Harper, altrimenti non sarei diversa da mio fratello o da quelli che fanno parte della classe degli...»
«Invisibili», concludo per lei usando un tono sprezzante di proposito. «Io ne faccio parte. Non dovresti parlare con me. Potrei infettare la tua mente», esclamo con sarcasmo.
Fa una smorfia. «Vero, ma tu sei amica di Harper e...»
Nego immediatamente più che irata da questo commento così inutile alle mie orecchie.
«Io non voglio essere l'amica di Harper. Per tutta l'infanzia lo sono stata e sai come mi sono sentita? Usata da lei! La vedevo costruirsi il suo bel castello alle spalle di tutti. Le cose a quanto pare non sono cambiate. Svegliati e inizia ad affilare un po' gli artigli perché nessuno può oscurare la luce che hai già dentro», detto ciò mi metto comoda e quando arriva il professore ascolto attentamente la spiegazione ignorandola.
Purtroppo la lezione si rivela una grandissima delusione visto che l'argomento lo conosco bene. Nei miei continui viaggi ho avuto modo di partecipare a dei corsi avanzati per togliermi di torno e lasciare mia madre con i suoi uomini, per cui durante tutta l'ora, mi distraggo riempendo il quaderno di disegni e appunti, ignorando i bisbigli che continuano a circolare sullo scoop del momento e sulle possibili conseguenze per un simile affronto fatto al gruppo migliore di tutta Oakville.
Immagino già le reazioni quando sapranno che sono io la tizia abbracciata ad uno Scorpions.
Sorrido scuotendo la testa. Tutto questo è proprio assurdo.
Quando la campana suona, rimetto ogni cosa dentro lo zainetto senza fretta, ascoltando i pettegolezzi di due compagne sedute a qualche banco di distanza. Erano accanto ad Harper quindi hanno sentito quello che lei aveva da dire. In più lo ha fatto proprio per spargere la voce perché sapeva che sono delle pettegole.
La conosco. Non fa mai qualcosa senza ottenere niente in cambio.
«Hai sentito prima Harper? Ha parlato di tradimento.»
«È una accusa molto grave.»
«Secondo me faranno qualcosa di esemplare. Puniranno in pubblico la spia quando la troveranno. Ti ricordi del fratello di Dana. Mi stupisce che lei sia ancora tra i King.»
Non posso trattenermi oltre. Ne ho abbastanza, mi dico infilando l'ultimo libro con una certa forza dentro lo zainetto e caricandolo in spalla mi avvio alla porta pestando i piedi sul pavimento provocando di proposito rumore.
Prima di uscire dall'aula le guardo. «Chiudo la porta così potete continuare a farvi i cazzi della gente ma indisturbate o la lascio aperta e la smettete per un attimo di commentare qualcosa che avete sentito o che vi è stata riferita e di cui parlate solo per delle voci che circolano?»
Le due mi guardano a bocca aperta.
Senza neanche aspettare una risposta esco dall'aula. «Dio, fatevi una vita!»
Cammino in direzione della mensa pensando a tutte le parole di disprezzo che ho sentito nel corso della mattinata.
Sono così pieni di sé da non rendersi conto del male che possono fare alle persone con le parole, con i gesti, con gli sguardi. Creano odio e se lo trascinano dietro senza la minima preoccupazione dell'impatto che potrebbe avere una simile azione.
Poi parlano di punizione. Parlano di tradimento. Ma sanno davvero che cosa significano questi termini?
Mi disgustano i loro pregiudizi basati sull'aspetto esteriore, il dubbio che lasciano insinuare dentro la mente di chiunque e quelle espressioni velenose, cattive, in grado di distruggere qualcuno solo perché vuole distinguersi un po' dalla massa e non seguire falsi stereotipi o gente che ostenta o crede di essere migliore.
Prendo un vassoio scegliendo qualcosa da mangiare tra gli snack pieni di calorie e cacao. Ho bisogno di zuccheri.
Mi siedo nel mio angolo tranquillo infilando le cuffie e fisso davanti a me il tavolo in cui si siedono Harper e molti altri ragazzi visti alla festa.
Se ne stanno lì a confabulare, a non toccare cibo che sprecano mettendo sui vassoi.
Ecco i King, mi dico osservandoli uno ad uno di nascosto, evitando di essere beccata.
Harper all'improvviso si alza sbraitando contro uno dei ragazzi, dimostrandogli chi comanda. Sbatte i palmi sulla superficie per incutergli timore ma questi, alzandosi a sua volta la affronta facendola arrossire e rimpicciolire.
Sorrido. Una svolta questa. A quanto pare esiste ancora qualcuno in grado di metterla a tacere.
Lei, accorgendosi dell'improvviso silenzio che cala in sala, lo trucida con gli occhi poi aggiustandosi i capelli esce infuriata sbattendo la porta.
Nessuno osa seguirla.
I minuti passano nel silenzio più assordante. Poi ognuno di loro inizia a sbraitare contro l'altro.
Dana, l'unica rimasta in disparte, staccandosi dal tavolo sempre con molta calma e un certo contegno, evitando il gesto della mano di Davis che tenta di trattenerla, dicendogli qualcosa all'orecchio facendolo sorridere, si allontana dal tavolo.
Guardandosi indietro e accorgendosi del litigio ancora in atto, mi si avvicina prendendo posto accanto, togliendomi la cuffia.
«Posso farti una domanda?», va dritta al punto.
Caccio in bocca l'ultimo pezzo di Bounty. «Ne hai già fatto una», la prendo in giro biascicando.
Mi scocca un'occhiataccia facendomi capire che è seria e che non è il momento di scherzare. «Devi essere sincera con me», dice.
Lecco le labbra agitandomi sul posto. «Ok, spara.»
«Eri tu quella sulla moto?»
Rimango tranquilla. Non un cenno o un movimento che possa rivelarle la verità.
Sapevo già che aveva capito. L'ho intuito dalla prima domanda che mi ha rivolto in classe al mio arrivo questa mattina.
«Dipende. Se correrai a dirlo a tutti facendomi bruciare viva come una strega ti risponderò di no. Se lo terrai per te invece potrei anche dirti di sì...»
Scarta la confezione di Reese's mangiandone nervosamente uno. Alza gli occhi al cielo. «Avevo dimenticato quanto fossero buoni», dice mangiandone voracemente una metà.
Ne prendo uno per me. «Da quanto non mangi per apparire bella? Per la cronaca lo sei già e a mio modesto parere più delle tue amiche, ma non te ne accorgi perché sei troppo impegnata a seguire Harper.»
Finisce di mangiare pulendosi le dita. «Ok, non lo dirò a nessuno perché non sono fatti miei. Inoltre tu non fai parte di nessun gruppo quindi il problema non si pone qualora si dovesse venire a sapere.»
Prende un altro Reese's. Provo a fermarla ma sorride. «Allora? Com'è andata?»
Mi sta simpatica. Sin dal primo istante non mi ha rivolto il suo sguardo come hanno fatto le altre ragazze.
Sollevo le spalle. «Dovevo salvarmi la pelle visto che Harper mi ha lasciata sola in un posto che non conoscevo e ho accettato un passaggio quando quel ragazzo si è fermato davanti a me. Non c'è stato tutto quello che andate raccontando in giro. Niente abbracci, niente baci, niente strette particolari. Solo un semplice passaggio a tutta velocità. Non l'ho neanche visto in faccia.»
Arrossisce sentendosi in imbarazzo per il comportamento avuto. «Mi dispiace tanto. Io...»
«No, non è vero. A voi piace spettegolare e ingigantire i fatti aggiungendo qualche dettaglio, perché sono poche le cose che capitano in questo posto», dico tranquilla.
Riflette sulle mie parole. «Già», conferma. «Ma sei ancora una straniera quindi dovrai fare molta attenzione a chi frequenti. Io l'ho capito dai tuoi capelli che non dovevi cambiare, ma gli altri non saranno tanto clementi quando faranno due più due o quando quel ragazzo lascerà uscire il tuo nome di proposito», dice alzandosi.
«Per il resto non preoccuparti. Non dirò niente a nessuno perché sei stata l'unica ad avvicinarmi a Davis. Neanche Harper lo aveva fatto», afferma guardandosi intorno.
«Perché li vuole tutti al suo servizio», rispondo d'impulso. «Stai molto attenta, Dana. Harper è gelosa.»
Dana me lo conferma. «Adesso devo andare. Fa attenzione, mi raccomando.»
Apprezzo il suo avvertimento e la sua gentilezza. «Come sempre», replico guardandola andare via.
Scuotendo ripetutamente la testa me ne torno a lezione.
Dopo scuola decido di fare un giro in paese per vedere se esiste un cinema o un posto in cui potersi nascondere quando tutto diventa stretto e asfissiante.
Fortuna vuole che io trovi un cinema proprio nella piazza rettangolare, tra una piccola gelateria chiusa e una paninoteca affollata di ragazzi affamati dopo la partita.
Indugio un momento osservandoli dalla vetrina. Con loro ci sono anche le cheerleader, ma non c'è traccia di Harper o Mason.
Togliendomi questo pensiero fugace dalla testa, scelgo di entrare al cinema.
Pago il biglietto ad un prezzo accessibile per rivedere "Nightmare". Compro una ciotola maxi di popcorn, degli snack e una bibita gassata e lieta della solitudine, superate le occhiate del ragazzo alla biglietteria, prendo posto al centro della sala piena di divani rossi sistemati ordinatamente in fila.
Il cinema non è poi così grande. In fondo alla sala in discesa: un palco e l'enorme schermo dalla quale inizia subito il film. Questo è circondato da due tende spesse come a teatro.
Durante la pausa, finito il primo tempo, quando le luci si riaccendono, scatto una foto ai posti vuoti e allo schermo oscurato inserendo la domanda: "Spunterà dallo schermo il mio Freddy?"
Sorrido scorrendo tra le foto che appaiono nella home page delle persone che seguo poi vado a curiosare sul profilo di Mason accorgendomi della nuova foto che ha postato.
Il mondo mi crolla un po' addosso quando lo vedo insieme ad Harper.
Quindi è ufficiale?
Abbracciati, sorridenti, innamorati e tutti a mettere uno stupido cuore per incoraggiarli a mostrare altre foto insieme.
Sospiro chiudendo Instagram. Non ho nessuna intenzione di comportarmi come loro. Me la farò passare, mi dico cacciando in bocca un paio di m&m sentendomi abbattuta.
Le luci tornano a spegnersi e tento di godermi il secondo tempo del film senza pensare alla sensazione provata poc'anzi alla vista della foto che ha letteralmente sconvolto la mia giornata. Non pensavo di essere davvero cotta di Mason fino ad ora.
Avrei dovuto immaginarlo già da ieri, quando li ho visti insieme in auto ma in qualche modo la mia mente si rifiutava di ammettere la sconfitta.
Lo so che non è mai stato mio. Ma vederlo tra le braccia di un'altra mi ha strappato il cuore in due, di netto.
Sono impegnata a non pensare a lui con Harper e mi sto rilassando di nuovo quando sento una presenza alle mie spalle. Prima ancora però alle narici mi arriva un profumo diverso da quello emanato dalle poltrone tenute pulite e della sala. Mi irrigidisco riconoscendolo, ma non mi volto. Non oso muovermi o mettermi ad urlare come una ragazzina impaurita.
Sento il suo fiato caldo sulla nuca quando soffia di proposito e rabbrividisco. Sono paralizzata, gli occhi fissi sullo schermo, la mano stretta sul bracciolo della poltrona. Così tanto che sento i polpastrelli iniziare a dolermi e le nocche a sbiancarsi.
«Film dell'orrore e una sala tutta per te. È così che ti piace passare il pomeriggio? Non hai paura?»
È lui. Ancora una volta il timbro della sua voce mi sprigiona dentro una forte sensazione.
La curiosità di voltarmi e vederlo in faccia è tanta ma decido di stare al suo gioco.
Se voleva farsi vedere in faccia sarebbe apparso davanti ai miei occhi, mi dico offrendogli i popcorn.
Ma che diavolo ci fa qui dentro? Mi sta seguendo?
Indugia un momento. Ne prende uno e guardando di sbieco mi accorgo della mano coperta dal guanto nero, quello da motociclista con aggiunta di qualche borchia sui polsi.
«È una delle poche opzioni offerte da questo posto. Meglio di niente», rispondo monocorde. «E per rispondere alla tua domanda: no, non ho paura della solitudine. Sono venuta a posta.»
Sento il suo sorriso. Ancora una volta i brividi attraversano la mia pelle diramandosi ovunque. È come essere travolti da un'onda che non avevi ancora avvistato.
Inspiro lentamente sentendo i battiti del mio cuore pericolosamente in aumento.
«E non ti piace questo posto?»
Nego aprendo una confezione di wafer coperti dal cioccolato bianco e scaglie al cocco. «No, ad essere sincera odio questo posto ma sono costretta a starci.»
Ne prende uno sporgendo il braccio coperto dal giubbotto di pelle.
«Sei in punizione?»
«Una cosa del genere.»
Inspira lentamente. Sembra a suo agio. «Che hai fatto?»
Deglutisco. «Se te lo dico poi dovrò voltarmi e farti fuori. Ma visto che ti sei sistemato dietro per esercitare il tuo "potere" credendo di farmi paura, non posso. Se fossi in te non farei le domande sbagliate.»
Sorride ancora emettendo un breve verso basso. Qualcosa nella sua postura però cambia in fretta. «Sai perché sono qui?»
Deglutisco adesso a fatica. «Credevo volessi rivedere anche tu Nightmare come me ma... a quanto pare mi sono indebitata solo per avere accettato uno stupido passaggio da uno che non si è neanche presentato per poterlo ringraziare come si deve e guardandolo in faccia. Ammesso che ne abbia una», parlo con sarcasmo.
«E credo che non siano i ringraziamenti quelli che vuole quindi...»
Mi sfiora la coda e anche il collo. «Che vuoi farci? Da queste parti funziona così», mi sussurra all'orecchio.
Ogni piccola parte di me vorrebbe voltarsi ma in questo modo spezzerei solo l'alone di mistero che mi scarica addosso una forte adrenalina. È una delle poche cose interessanti ed eccitanti che mi sono capitate in una settimana di permanenza forzata in questo posto e non ho nessuna intenzione di farmela scappare.
Mi diverte. Mi fa sentire viva.
«Piccola correzione: per gli Scorpions funziona così...»
Non risponde quando mi fermo di proposito per sentire la sua voce.
I secondi passano e in sala si sente solo il suono alto del film, delle urla della protagonista.
Tira un po' su con il naso. «Può essere ma tieni bene a mente che quando ti farò una semplice richiesta tu non potrai tirarti indietro», dice apparentemente tranquillo.
Mi metto comoda. «Va bene», replico con indifferenza.
«Non hai paura?» ripete.
Vorrei mettermi a ridere. «Di cosa esattamente? Mi farai buttare da un dirupo o nuotare nelle acque gelide del fiume? Oppure mi venderai ai King dicendo che ero io quella sua tua moto per puro diletto? Qualunque cosa sia... non mi spaventa.»
Si avvicina ancora al mio orecchio dopo avermi accarezzato con un dito coperto dal guanto che fa attrito, la guancia. Piego un po' la testa. «Hai una fervida immaginazione ma sei ancora lontana dalla soluzione.»
«Va bene. Adesso però fammi vedere il film per cui ho pagato due dollari. In totale tranquillità.»
Mi ruba un popcorn. «Divertiti allora. Ci vediamo presto, Erin», mi sussurra biascicando con enorme divertimento.
Mi si mozza letteralmente il fiato. Il mio cuore subisce una contrazione che si propaga sul petto in maniera dolorosa.
Attendo circa tre secondi poi mi volto lentamente, più che irrigidita ma non trovo nessuno alle mie spalle. Sono di nuovo sola in sala.
Come faceva a sapere il mio nome?
Guardo distratta gli ultimi minuti del film prima di uscire di corsa dal cinema, continuando a guardarmi intorno sentendomi seguita e osservata.
Arrivo a casa quasi affannata e mi sento pazza per la reazione avuta dopo il breve incontro e lo scambio di battute che, in minima parte mi hanno fatto stare meglio.
Non trovo nessuno nei dintorni. Il silenzio aleggia in tutta l'abitazione.
Papà ancora non è tornato quindi mi fiondo in camera mia dove cammino per una manciata di secondi avanti e indietro poi in bagno facendo una lunga doccia standomene sotto il getto caldo a riflettere.
Dopo la doccia, sentendomi un po' meglio, faccio i compiti ed infine prima delle otto scendo al piano di sotto a preparare la cena.
La porta dopo circa dieci minuti si chiude rumorosamente. «Erin», mi chiama mio padre, forse per non spaventarmi.
«Sono in cucina», replico sentendomi trascinare nel passato. A quando lui non rientrava per giorni a causa del lavoro in ospedale ed io continuavo come una stupida ad aspettarlo guardando costantemente dalla finestra, sussultando ad ogni auto che passava dalla strada e, finendo quasi sempre per addormentarmi con la fronte contro la superficie fredda del vetro, ritrovandomi il giorno dopo sul divano sotto un plaid morbido o nella mia stanza più che delusa.
«Scusami, davvero. Ho avuto un'emergenza», dice agitato provando ad abbracciarmi.
Mi scanso velocemente come un animale spaventato e batte le palpebre.
«Non succederà ancora. Ho chiesto ad alcuni colleghi di prendere il mio posto per potere stare con te.»
Mi sento lusingata ma non credo più alle sue parole. Adesso intende fare il padre? Ha perso parecchi anni e parecchie tappe della mia vita. Ormai è tardi.
«Grazie», dico osservandolo mentre toglie il cappotto portandolo all'entrata sull'appendiabiti e la sua valigetta nello studio.
«Che cosa stai cucinando?», chiede cauto strofinandosi le mani dopo averle lavate.
Da nonna ho appreso una spropositata passione per la cucina, ma non sempre sono riuscita a metterla in pratica visto che con mamma abbiamo sempre cenato nei posti più esclusivi dimenticandoci spesso di avere una cucina.
Adesso invece ho tutto lo spazio disponibile e nessuno a rimproverarmi costantemente se brucio qualcosa o se ho voglia di prepararmi da sola un pasto.
Mia madre invece è sempre stata impedita. Ma d'altronde le è sempre piaciuta fare la bella vita, essere servita, vivere da regina. Doveva essere Harper sua figlia, non io.
«Abbiamo del pesce spada con contorno di patate, olive e cipolle aromatizzate con del vino», rispondo.
Papà appare meno teso di prima. Inizialmente mi e sembrato un po' in imbarazzo dopo avere provato ad abbracciarmi. Ma credo che prima o poi supereremo questo ostacolo. O meglio: io credo di poterlo superare comportandomi da figlia e non da ribelle.
«Hai bisogno di aiuto? Vedo che hai tutto sotto controllo. Se vuoi però posso...»
«No, faccio da sola», dico in fretta.
Non volendo stare con le mani in mano, si sposta nello studio poi esce da questo salendo al piano di sopra.
Mentre faccio cuocere il pesce spada, preparo anche l'insalata, del pane tostato e apparecchio il ripiano con gli sgabelli usando forse per la prima volta i piatti che sembrano nuovi.
Papà scende prima che io metta tutto nei piatti. Annusa l'aria come un segugio e sorride. «Sai cucinare, chi lo avrebbe mai detto», si siede.
Gli passo il piatto prendendo posto accanto a lui in parte sentendomi offesa. Ma che cosa può saperne lui che è stato assente.
«Nonna mi ha fatto da insegnante. Il suo ristorante va forte, vengono persone da tutto il mondo per mangiare i suoi piatti.»
Assaggia emettendo un verso di apprezzamento. «È davvero squisito. Brava!»
«Grazie», mormoro mangiando.
I minuti passano. Ce ne stiamo avvolti nel silenzio. Non mi sento a mio agio ma nemmeno a disagio.
Pulisce gli angoli della bocca bevendo un sorso di vino bianco. «Allora, come sta andando a scuola?»
Deglutisco. «Mi hanno spostato in un'altra classe perché i compagni si distraevano a causa dei miei capelli e dei miei piercing», dico tenendo in mano un pezzo di pane.
Papà mi fissa un momento poi si riempie di nuovo il piatto. «Davvero?», non sembra colpito.
Annuisco mettendo nel mio delle patate. «Si, non ho protestato o fatto scenate. Ho preso il nuovo orario e sono andata a lezione. In quella classe non si sta poi così male. Li chiamano gli invisibili.»
Papà si ferma un momento con il boccone di cibo in bocca. «E per questo che hai cambiato il colore ai tuoi capelli?»
Li sfioro. «No, mi ero stancata del fucsia», dico bevendo un sorso d'acqua.
«Vuoi che chiami a scuola?»
Nego. «Sto bene in quella classe e non mi dispiace stare con quei ragazzi. Sono davvero intelligenti, brillanti e geniali. Mi daranno la giusta spinta per superarli.»
Si volta. «Ieri sera invece com'è andata la serata?»
Spalanco la bocca tossendo e sorride. «Credevi che non lo sapevo?»
Annuisco. «Dovevo avvertirti ma non l'ho fatto», sto parlando più a me stessa. «Non sono abituata a riferire i miei spostamenti.»
«Erin, sono il sindaco del pesino e conosco ogni spostamento di ogni persona, compresi i tuoi. Mason mi aveva chiesto il permesso qualche settimana fa. Adesso sta con la tua amica Harper quindi ho dedotto che ti avrebbe invitata.»
Mi alzo portando i piatti vuoti dentro il lavello. Dal frigo prendo una delle sue torte. Questa è al limone. È così graziosa da farmi venire voglia di non tagliarla.
Scatto una foto prima di decidermi ad usare il coltello.
Passo subito una fetta a papà. «Allora?» attende impaziente.
«Allora che cosa?»
«Hai incontrato qualcuno? Ti sei divertita? Hai fatto nuove amicizie...»
Annuisco. «Dana. Ho conosciuto lei e rivisto i gemelli. Sono davvero cresciuti», sorrido ma papà non sta ricambiando.
«Erin, che cosa è successo esattamente? Mason aveva l'autorizzazione. Perché è scappato insieme a tutti gli altri?»
Ed ecco che mi trovo di nuovo messa alla prova. Questa volta però da mio padre.
«Qualcuno ha iniziato una rissa ho sentito dire, ma ero già a casa quando è successo perché non ero d'accordo con le idee dei King. Non mi sentivo a mio agio tra loro. Hanno l'assurda idea di essere i migliori e...»
Inarca un sopracciglio e reggo il suo sguardo per convincerlo della mia bugia che, con ogni probabilità peserà sulla mia coscienza più di un masso.
Perché ci sono cose che devi tenere per te. Devi nasconderle in un posto, privarle della luce, perché non possono uscire allo scoperto e fare danni.
Si alza e quando provo a fermarlo mi fa cenno di lasciare fare a lui. Inizia a lavare i piatti così mettendomi di fianco lo aiuto in silenzio.
«Ascoltami Erin, qui le cose sono cambiate da quando i ragazzi si sono divisi scegliendo da che parte stare. Se non te la senti di fare parte di un gruppo io lo capisco ma...»
Lo guardo subito male fermandolo prima che lui possa anche solo obbligarmi a stare con quegli stronzi.
Metto il palmo davanti alla sua faccia. «Niente ma. Non puoi dirmi di essere libera e poco dopo di non frequentare persone che potrebbero essere viste come dei criminali. Non è coerente come cosa», alzo il tono. «Capisco il tuo avvertimento ma so badare a me stessa e so decidere da sola quali amici voglio avere e quali allontanare perché tossici per la mia vita.»
Papà rimane interdetto dalla mia reazione.
Attualmente mi sento come un vulcano. «Tutti vi sentite in diritto di dirmi che cosa devo o non devo fare ma sono io quella a decidere, sono io quella a sapere cosa voglio. Tu puoi solo mettermi in guardia. Comportarti da padre. Ma se devo cadere, voglio farlo con le mie gambe, non con quelle di un altro. Pagherò le conseguenze ma saprò di essere stata l'artefice del mio destino.»
Detto ciò mi sposto verso il soggiorno.
Papà scuote nervosamente la testa. «Mi spieghi che diavolo ti hanno fatto?» alza il tono.
«Quando?»
«Hai vissuto con tua madre per tutti questi anni, lontana da qui, da me. Ma ti si vede in faccia che devi avere passato qualcosa e ne sei terrorizzata a tal punto da nasconderti dietro la facciata della cattiva, della ragazza insensibile e ribelle.»
Ad un certo punto nella vita, non bastano più le parole. Non bastano più gli sguardi furtivi, le promesse non mantenute, i sorrisi di riserva, gli abbracci stretti. Non basta più niente. E allora dentro di te iniziano a crearsi dei vuoti. Spazi enormi simili a buchi neri che ti divorano dall'interno. Ad un certo punto non provi più niente. Non senti neanche più dolore e allora ti lasci andare perché tanto sai che non hai più niente da perdere.
E se nessuno in questo mondo maledetto ti protegge, allora impari a proteggerti da sola. Cambi. Ti evolvi in quello che ti hanno fatto.
Soffio dal naso. «Sai cosa mi hanno fatto? Mi hanno sempre detto di non essere una figlia modello, una ragazza da voler bene e alla fine ci ho creduto. Quindi scusami se non ti sorrido o se non ti abbraccio. Scusami se non ti credo quando dici che domani ci sarai perché tu non c'eri mai. Non eri con me quando avevo più bisogno di te. Non eri con me quando mamma mi faceva girare in tutti quei posti e ho rischiato quando uno dei suoi compagni voleva farmi male. Non c'eri quando sono stata arrestata per avere difeso ad una festa una ragazza. Non eri mai con me perché il lavoro e l'ambizione sono sempre stati più importanti di una figlia che si perde», esplodo.
Certe cose non le superi. Ti restano lì, aggrappate nella carne, conficcate dentro il cuore, sparpagliate nella mente. Fanno sempre più male.
Papà rimane immobile.
Non vedendolo reagire, scuoto la testa e a grandi passi salgo al piano di sopra dove mi chiudo nella mia stanza più che delusa e amareggiata.
🖤
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