24
Ritornata a casa, oserei dire per fortuna, non trovo nessuno. Sono sola e la cosa mi piace, mi fa sentire meno tesa, meno sotto osservazione, meno sul chi vive.
La signora Louis quando ha sentito il cigolio del cancello non ha osato sbirciare ma so che era lì da qualche parte. Nessuno perde un vizio dall'oggi al domani.
Salgo in camera con una strana ansia addosso; mi cambio sciacquandomi il viso e passandomi una spugna bagnata sul corpo per togliermi dalla pelle il suo profumo. Questo, continua ad inebriarmi i sensi, si accumula all'angolo prendendosi gioco del mio corpo così debole e così disperatamente avido di ogni suo gesto, di ogni sua piccola ed insignificante attenzione.
Indosso un paio di jeans a vita alta, una maglietta a maniche corte aderente di pizzo sotto una giacca nera sagomata. Lego meglio i capelli in uno chignon ordinato dandomi infine un pizzicotto sulle guance per togliere il pallore.
Ho accettato l'invito di Ephram solo per svagarmi un po'. In parte anche per tenermi lontana da Kay. Ho bisogno di capire quello che davvero provo per lui. E se provo qualcosa.
Il problema è che quando mi si avvicina è come se il mio cervello non rispondesse più alla mia volontà. Lui è come veleno per i miei sensi, come fuoco devastante per il mio corpo, come acqua fredda per il mio cuore. Adesso comprendo come mai vengono attribuiti dei nomi alle catastrofi naturali, quelle che lasciano un segno, paura, lacrime.
Oggi mi sono lasciata abbracciare da lui senza neanche scansarmi. Non ho trovato una scusa. Un po' perché lo volevo, un po' perché mi sentivo stanca di allontanarlo da me e volevo capire dove si sarebbe spinto, dove mi avrebbe condotta. Mi ha persino dato un bacio davanti a tutti, come se il gesto fosse normale. Ma, io e lui non lo siamo. Non siamo una coppia. Non siamo amici. Allora che cosa siamo esattamente?
Mi confonde quello che si sta creando. Non c'è solo tensione tra di noi e quella sensazione di prevalere sull'altro per non rimanere feriti. C'è dell'altro che non riesco proprio a spiegare.
Purtroppo mi frena il ricordo che ho di noi. Perché quando provo a pensare a noi come una possibile coppia, rivedo quello che eravamo da bambini. Forse sono solo legata a quei momenti. E so che dovrei andare avanti.
In fondo, tutti dicono che non puoi andare avanti finché non ti sei lasciato alle spalle il passato.
Lasciare andare secondo me è la parte più facile di tutte. Un bel giorno chiudi quella porta alle tue spalle, te ne lavi le mani e fingi di stare bene, fingi di essere felice. Ma lasciare andare non significa andare avanti. Non puoi. Non quando porti dentro il fardello di un dolore inaudito. Ma, ad un certo punto sai che devi farlo. Sai che non puoi più piangere sul latte versato o continuare a provare rancore per un qualcosa che è ormai andato, perso nel vagone dei ricordi. Sai che devi crescere. Perché andare avanti significa proprio questo: superare il passato che ha fatto da trampolino di lancio verso il presente, con la consapevolezza di essersi già sbucciati le ginocchia una volta.
Passo la mano sulle guance accaldate al ricordo della sua stretta vigorosa, delle sue parole così sincere, del suo sguardo così penetrante, profondo. Devo concentrarmi sulla serata che dovrò passare in compagnia di una persona di cui ho pochi ricordi, gran parte positivi. Ephram è sempre stato un po' timido, impacciato e riservato. Il classico bambino che viene guardato con un occhio di riguardo dalle mamme e dalle maestre, seguito ad ogni passo, osservato e tenuto a debita distanza da qualcosa che potrebbe rovinarlo; un'attenzione in più per la sua fragilità. Ecco cosa penso quando mi ritrovo accanto a lui.
Ephram è fragile dentro. So che nasconde bene qualcosa. I ragazzi come lui hanno sempre un segreto che li lacera dentro. E quando rifletto, davanti a me si para solo una parola: ossessione. Ma non posso esserne certa. Non posso credere che Ephram sia un ragazzo dall'ossessione facile. Non mi ha dato motivo di sospettarlo.
Forse sono state le parole di tutti a fuorviarmi e adesso mi sto solo facendo delle stupire paranoie su di lui. In ogni caso sono un po' come San Tommaso, se non vedo, non credo. Preferisco conoscere le persone prima di giudicarle, farmi un'idea di quello che sono, come sono quando stanno da sole o quando si ritrovano in compagnia. Lui è sempre rimasto lo stesso ragazzo o forse mi sono solo lasciata convincere dai suoi modi tranquilli, dai suoi sguardi rassicuranti da non vedere tutto il resto.
In ogni caso lo scoprirò presto, mi dico scendendo al piano di sotto.
In cucina, trovo la cena dentro i contenitori e un post-it attaccato sopra. Credo siano delle scuse da parte di mio padre. Ma che cosa me ne faccio delle scuse se non ha neanche provato a rassicurarmi?
Non lo leggo. Come non leggo i messaggi ricevuti la notte precedente. Ignoro le notifiche scegliendo l'ultimo messaggio in arrivo.
Dana: "Non hai specificato dove vederci. Sono pronta da mezz'ora e mi sto annoiando."
Erin: "Passa pure da me. Anch'io sono pronta. Comunque andiamo da Ephram."
Dana: "Da lui? Sei sicura?"
Erin: "Si, sicura. Ci sarà anche Xavier. Non saremo da sole con lui."
Dana: "Ok. Posso restare fino a mezzanotte, per te va bene? Poi ho un appuntamento con Davis. Stanno andando bene le cose tra di noi."
Erin: "Va benissimo!"
Dana: "Passo a prenderti tra poco."
Erin: "Ti aspetto."
Non attendo molto prima che Dana faccia la sua comparsa con la sua scatola di scarpe rossa. Ancora una volta suona il clacson ed io esco di casa tenendo bene a mente di non dovere bere se non acqua e di indagare un po' sulla vita di Ephram.
Non ci vediamo da anni e il suo invito mi è parso un modo per recuperare un po' del tempo perduto. O forse, sto evitando di pensare che lui lo abbia fatto per provarci. Ma quest'ultimo pensiero lo metto subito da parte, nonostante i dubbi. Perché lui riesce in qualche modo a nascondere bene ogni cosa e non dimentico la reazione che ha avuto per quel disegno che ho tenuto.
Salgo in auto lasciandomi alle spalle la villa e anche l'immagine di mio padre mentre pronuncia quelle parole scatenando in me la tempesta.
«Allora... sei sicura di volere andare dallo svi... da Ephram», si corregge in fretta notando la mia espressione contrariata, piena di rimprovero.
A volte mi sembra di avere a che fare con dei bambini.
Odio i pregiudizi o questo genere di appellativo che si attacca sulle spalle della gente come se fosse l'etichetta di un prodotto in scatola. Per queste persone è normale attribuirne uno marchiando per sempre la vittima, per me è disgustoso nonché ridicolo.
«Se non ti andava potevi anche dirmi di no quando te l'ho chiesto e ti ho specificato il dove. Non dobbiamo per forza se non te la senti di ritrovarti con lui. Mi sembrava solo carino farglielo sapere prima che si organizzassero anche per noi. Sai come sono i ragazzi...»
Dana svolta all'incrocio rallentando un momento. «Si, scusami. Non immaginavo di trascorrere la serata con lui. Ad essere sincera mi mette un po' di ansia addosso e i brividi quando lo vedo o quando lo trovo lì a fissarti come un maniaco, tutto qua. Non so se hai notato... ma lo fa.»
Mi faccio subito attenta dinanzi questa affermazione così forte e pregiudizievole. «È per la storia della sua ex?», mi ritrovo a chiedere. «Non mi guarda come un maniaco, andiamo...»
Dana frena quasi di botto facendomi sbalzare leggermente in avanti. La cintura mi aiuta a non farmi male. «Che diavolo ti prende?», grido.
«Come fai a saperlo? Della sua ragazza intendo.»
«Perché le voci circolano. Non fate mai attenzione a quello che dite, a come vi comportate. Ephram è una persona. Neanche a te farebbe piacere essere chiamata "psicopatica" oppure "Sirenetta" solo perché ti hanno scoppiato in testa un palloncino pieno di tempera e acqua per vedere se ti trasformavi davvero. Anche se adesso penso sia più appropriato pensare che sia una di quelle sirene che attirano le persone sbagliate per divorarsele.»
Dana rimane a bocca aperta. Forse non conosce la storia del mio odioso nomignolo. Prende un breve respiro per calmarsi. «Hai ragione, ma devi sapere che non è solo per la storia della sua ex.»
Le faccio intendere che può continuare, di non lasciare il discorso in sospeso perché ha attirato parecchio la mia curiosità.
«Lei non ha fatto altro che alimentare le sue insicurezze. Vedi, lui... ha fatto del male a quel ragazzo perché ha avuto come un attacco di follia, per non dire un raptus improvviso che ha scioccato tutti. In parte era stato stuzzicato troppo ma questo non giustifica il suo gesto. Avrebbe anche potuto mollargli un pugno e andarsene. Invece si è come sfogato. È stato...», rabbrividisce strofinandosi le braccia.
Corrugo la fronte. «Che cosa è successo veramente? Hai visto tutto?»
Dana increspa le labbra oggi coperte da un rossetto scuro. «Erin, hanno visto tutti quello che è successo. Non sai la storia?»
Nego. «Mi hanno solo detto che ha sfregiato un ragazzo e ha ricevuto un ordine restrittivo ma non so altro», dico agitandomi dentro, sentendomi una stupida per avere difeso una persona di cui non so un bel niente.
Devo smetterla di fare la paladina dei casi impossibili, di raccogliere intorno a me casi umani con una storia difficile alle spalle. A me chi ci pensa?
«Quindi non sai che Ephram faceva parte degli Scorpions?»
Mi casca la mascella. «Eph... Da..davvero?»
Dana annuisce stringendo le mani sul volante prima di voltarsi e mettersi comoda spegnendo il motore dell'auto. «Le cose sono cambiate quando la sua ex ha iniziato a fare circolare delle voci sul suo conto. L'ha detto alla persona sbagliata e in breve tutti hanno alimentato il pettegolezzo.»
«Erano cose orribili e spregevoli?»
Annuisce. «Sai bene cosa succede quando qualcuno come Harper, potente e popolare, pronuncia qualcosa di spietato verso uno dei "deboli". Anche se Ephram non lo era.»
Rimaniamo per qualche minuto in silenzio. Sto riflettendo ma non comprendo il filo del discorso dove mi condurrà. «Quindi hanno messo delle voci non vere su di lui... rovinando la sua reputazione solo per tenerlo lontano? Ma è disgustoso!»
Dana fa una smorfia. «Già, e nessuno ha mai fatto niente per fermarlo. Non appena la notizia si è sparsa a macchia d'olio...», gesticola con le mani facendo la mossa di un'esplosione. «Le persone hanno iniziato ad allontanarsi, a scansarsi da lui. Era popolare e in un battibaleno lo hanno... detronizzato per delle stupide dicerie a cui credevamo perché lui non ha mai cercato di negare o di spiegare...»
Inarco un sopracciglio. «Lo avresti ascoltato?»
Arrossisce, imbarazzata strofina le dita. «No, non direi. Comunque stavo dicendo: le cose non si sono fermate solo a questo. La sua ex, continuava a fare finta di non essere stata lei, ad usarlo a suo piacimento. Questo fino a quando non ha incontrato quel ragazzo. Le cose da quel momento per loro sono peggiorate. Ephram è come impazzito quando li ha visti insieme, nel bagno, durante una festa. E non stavano solo pomiciando. La cosa ovviamente era più che organizzata o così si suppone. Da quella notte lui... ha iniziato ad avere atteggiamenti persecutori nei confronti di quella ragazza che lo ha accusato di molestie ingigantendo tutto, quando era stata proprio lei a portarseli entrambi a letto. E quando ha notato che le ragazze iniziavano a parlare male di lei... gli ha mandato a casa quell'ordine restrittivo per farle smettere prima che la rovinassero con i pettegolezzi.»
Mi sento decisamente scossa. «Quindi Ephram ci è solo andato di mezzo.»
Notando che non si scompone mi agito. «Sta per arrivare la parte peggiore?», chiedo prendendo un breve respiro per gonfiare il petto trattenendo il fiato.
Fa un breve cenno per anticiparmi e prepararmi. «Un giorno quel ragazzo ha iniziato ad insultarlo pesantemente. Eravamo tutti al parco, quello abbandonato. Ephram se ne stava per i fatti suoi, non faceva niente di tutto quello di cui veniva accusato. Esasperato ha reagito e in breve si sono formati dei gruppi. Chi sosteneva che fosse innocente e chi al contrario dava ragione a quei due... e hanno iniziato ad azzuffarsi. Ephram è come impazzito quando ha ricevuto l'ennesimo insulto. Lo ha sbattuto a terra riempiendolo di pugni, urlandogli addosso come una persona pazza. Nessuno riusciva a staccarlo da quel ragazzo, neanche i più forti. Era una furia. Poi ha estratto una lama e lo ha sfregiato urlandogli addosso che quella stronza da quel momento in poi lo avrebbe voluto davvero per la sua faccia. Il giorno dopo lei lo ha lasciato. Già... non poteva stare con lui con la faccia ridotta in quello stato. Da allora punta la sua attenzione su Shannon, ma lui non si è mai lasciato abbindolare da lei.»
Tengo gli occhi fissi su Dana più che concentrata a raccontarmi tutto. Sono frastornata. «E poi che cosa è successo?»
«Gli Scorpions lo hanno buttato fuori o lui si è allontanato da tutti abbandonando il giubbotto al palo del parco. Si è fatto male. È finito in ospedale per un bel po' di tempo ma alcuni dicono che sia andato in una clinica psichiatrica perché quando è ricomparso era diverso. In poche parole, da quel momento è diventato...»
«Un invisibile», sussurro concludendo per lei.
Dana riprende a guidare fino a fermarsi davanti alla villetta senza più dire niente. Non ha fatto alcun commento, tantomeno si è lasciata sfuggire altri pettegolezzi sulla persona che stiamo per incontrare.
«Bene, ci siamo. Per qualsiasi cosa fammi un cenno e scappiamo», dice controllando di avere tutto dentro la borsetta. «In fondo, possiamo sempre dare una possibilità alle persone.»
«Tranquilla, staremo bene», la rassicuro uscendo dall'auto.
Ci troviamo davanti una villetta vittoriana con le alte colonne sul portico e le finestre ampie bianche. Un giardino in ordine, il vialetto a mosaico sulla quale camminiamo dopo avere superato il cancello di ferro battuto fermandoci a pochi passi dal portone scuro con degli enormi anelli placcati in oro dalla quale esce lui seguito da Xavier. Entrambi ben vestiti e apparentemente ansiosi.
Dana mi stringe la mano. Non sembra più nervosa o se lo è, lo nasconde bene. Io al contrario ho una stranissima sensazione addosso. Il racconto sul ragazzo che mi sta sorridendo come un bambino il giorno di Natale, mi ha un po' turbata.
Ephram è davvero capace di impazzire per una persona sfogando ogni sua rabbia con gesti tanto estremi? Che cosa gli ha fatto appendere il giubbotto degli Scorpions a quel palo? Che cosa lo ha spinto davvero a farsi male e poi a cambiare?
«Ciao», mi saluta impacciato ma con un sorrisetto dolce.
Xavier sembra avere già messo Dana a suo agio. Sorride persino rispondendo ad una sua battuta mentre io me ne sto ancora impalata davanti a lui che mi fissa con i suoi occhi malinconici che nascondono qualcosa di triste e oscuro.
«Ciao», dico riscuotendomi, entrando in casa quasi in punta di piedi quando ci lasciano passare.
Mi ritrovo in un ampio salone. La pavimentazione dai disegni geometrici intricata marrone e panna si espande in tutta la casa. Sulla sinistra i divani antichi disposti davanti a un tavolo basso di cristallo con una cornice in legno sulla quale è appoggiato su un centro ricamato a mano un vaso pieno di rose fresche, delicate dal colore rosa tenue. L'odore che emanano è gradevolissimo. Davanti ai divani un camino acceso imponente sulla quale è appeso un quadro con un paesaggio invernale, sulla superficie dei quadretti con foto di famiglia e una vecchia pistola risalente ai tempi della guerra. Un cimelio di famiglia tramandato di generazione in generazione.
Al centro, nel punto in cui mi trovo, a circa tre metri di distanza si trova una scala ampia, il legno tenuto a lucido. Superiamo questa entrando dall'ultima porta sulla destra ritrovandoci in una sala simile ad un cinema vero e proprio. I divani scamosciati blu girevoli, i tavolini di legno, l'enorme schermo piatto, le tende già chiuse.
«Avete preferenze per il film?», chiede il padrone di casa accendendo lo schermo, avviando la macchinetta dei popcorn all'angolo insieme ad un macchinario per le crêpes. In breve riempie l'aria di quell'odore buono e salato di mais ma si sente anche quello del cioccolato.
«No, qualsiasi cosa andrà bene», replica Dana sedendosi accanto a me, togliendosi la giacca fingendosi a suo agio. Faccio lo stesso sentendo una strana tensione depositarsi sulla bocca dello stomaco.
Xavier prende posto accanto a Dana mettendosi comodo, come se fosse a casa sua; Ephram invece si siede di fianco a me. Inizio a pensare che abbiano organizzato davvero tutto nel dettaglio e mi agito quando le luci si abbassano.
Il film è una commedia divertente appena uscita nelle sale.
Ephram ci offre dei bicchieri di carta rossi colmi di popcorn e cerco subito di concentrarmi sul film non riflettendo infinite volte sugli avvertimenti che tutti hanno sempre cercato di darmi su di lui.
Durante il primo tempo, le sue dita, di tanto in tanto sfiorano le mie quando appoggio la mano sul bracciolo. Non mi volto a guardarlo ma sento qualcosa dentro di me ribellarsi al suo tocco. Per questa ragione quando inizia il secondo tempo evito di mettermi comoda stringendo la presa sul bicchiere di popcorn sempre pieno e traboccante.
Dana parla con Xavier ridacchiando sommessamente per non disturbare. Quei due stanno quasi sicuramente spettegolando o commentano le scene una ad una senza curarsi di noi.
«Ti piace il film?»
La sua voce vicina all'orecchio mi fa scattare addosso molteplici campanelli d'allarme. Mi sto lasciando condizionare dal racconto di Dana, lo so. Schiarisco la voce sentendo la gola secca. «Scelta dell'ultimo minuto? Quali erano le alternative?»
Tira sul naso gli occhiali e i miei occhi si posano sulla cicatrice che ha sul polso. I ciuffi ribelli di capelli gli ricadono sulla fronte e vi passa la mano gonfiandoli leggermente, tirando subito la manica del maglione quando si accorge che lo sto fissando. «Film horror o una maratona di qualche telefilm, tipo quello sugli zombie, che alle ragazze non piace.»
Metto in bocca un popcorn attutendo il dolore allo stomaco che continua a stringersi. «Non è male come scelta. Come hai fatto ad averlo?»
«Arrivano a mio padre in anteprima. Sono sempre io quello ad apprezzarli e a recensirli.»
Sorrido. «Allora merita attenzione, non credi», alzo le sopracciglia indicando lo schermo, facendogli intendere chiaramente che non ho accettato il suo invito per finire ubriaca o a letto con lui.
«Anche tu meriti attenzione.»
Mi lancia un popcorn in faccia facendomi pensare subito a Kay. Proprio quando avevo accantonato per un istante le paranoie su di lui, mi ripiombano addosso quasi a forza.
Dandomi una scrollata interiore torno a guardare lo schermo dove si susseguono le immagini del film, ma non vedo niente. Sento solo il mio cuore in conflitto. Da quando sono arrivata e l'ho incontrato di nuovo dopo anni, tutto il mio mondo si è ribaltato facendomi ricredere su di lui.
Mi piace Kay. È questa la verità, anche se non riesco ad accettarla.
Ephram si sporge. «Sei arrabbiata con me?»
«No, perché?», la voce mi esce stridula.
Si alza tirandomi in piedi senza neanche darmi il tempo di ragionare. «Andiamo a prendere da mangiare», avvisa i due. «Volete qualcosa di diverso oltre ai panini?»
«Per me una pepsi con ghiaccio se ce l'hai, grazie.»
«Per me andrà tutto bene. Ho una fame da lupi», afferma Xavier.
Lancio uno sguardo disperato a Dana che mi incoraggia a fare finta di niente ma dentro di me mi sento a disagio e non lo nascondo.
Seguo Ephram mantenendomi a debita distanza. Mi ritrovo come in uno di quei set dei programmi di cucina. È grande, adiacente al soggiorno, qui si trova un enorme tavolo di legno intarsiato con al centro un bouquet di fiori rossi. Tende, statue, colonne e quadri ovunque. Una brutta ostentazione di ricchezza in un ambiente in cui si dovrebbe solo vivere.
Apre il frigo prendendo dei panini avvolti nella stagnola, la pepsi con ghiaccio per Dana. «Perché mi sembra che sei distante?»
«Perché ti sto a qualche metro di distanza», rispondo con un sorriso timido prendendo i panini e gli snack che riesco a tenere in equilibrio.
Tira fuori dal frigo anche la birra. «E perché stai a qualche metro di distanza da me?», mi mette alla prova.
Mordo l'interno guancia. «Perché siamo... amici?», tentenno prima di pronunciare questa domanda.
Non ha una brusca reazione ma coglie il messaggio diretto. «Ricevuto!»
Annuisce ancora mentre torniamo in silenzio dentro il cinema. Mi sembra di averlo appena trafitto al cuore ma non posso farci niente, non sono una che ci prova con chiunque o che si lascia andare con il primo amico di infanzia che incontra per fare un dispetto ad un altro. Per quanto sia dolce... lui... non è Kay.
Gonfio il petto posando tutto al centro del tavolo. Dana scansa la pepsi prendendo una birra. La luci si accendono e ci ritroviamo seduti faccia a faccia.
«Organizzate sempre queste serate?»
«Solo quando non siamo impegnati.»
«Portate qui le ragazze per fare colpo su di loro?», sonda il campo nascondendosi dietro il collo della bottiglia grattando la carta con l'unghia del pollice.
I due si scambiano un'occhiata breve. «In realtà... non abbiamo mai portato qui qualcuno. Voi state invadendo il nostro posto sacro.»
Dana ride. «Davvero?»
Annuiscono. «Ephram è geloso delle sue cose», aggiunge Xavier. «Anzi, mi sorprende che vi abbia permesso di entrare in casa.»
Ephram arrossisce. «Non porto più nessuna ragazza qui da quando...», lascia a metà la frase in imbarazzo. «Chi vuole altra birra?»
Dopo circa due ore stiamo ridendo ascoltando aneddoti strani sulla loro amicizia o sulle loro esperienze disastrose con le ragazze. Ci chiedono consigli a cui Dana risponde prontamente mentre io continuo a rimanere un po' in disparte.
Lei ha bevuto abbastanza, così come Xavier che se ne sta stravaccato sul divano a ridere mentre io non ho toccato un goccio di birra. Solo acqua, per tenermi lucida. Ho i nervi tesi e sul punto di spezzarsi ad ogni breve gesto di Ephram nei miei confronti.
«Adesso io dovrei andare», dice Xavier alzandosi, stiracchiandosi. «Ho una persona da incontrare», guarda Ephram come per lanciargli un messaggio silenzioso.
Anche Dana balza in piedi tenendo il suo telefono tra le mani. «Anch'io devo andare, devo vedere Davis e sono già in enorme ritardi. Ti riporterei a casa ma lui è già qui vicino e...», mi dice corrucciata e bramosa di uscire da qui. Capisco la sua improvvisa voglia di fuggire per vedere quel qualcuno. È la stessa che mi è rimasta da questo pomeriggio quando Kay mi ha lasciato di stucco.
Forse è la prima volta che lo ammetto a me stessa. Kay in qualche modo riesce ad intrigarmi, più di ogni altro ragazzo o persona su questo pianeta. È come un rebus complicato ma stuzzicante.
Apro e richiudo la bocca tornando al presente. Non so che cosa rispondere a Dana che mi aveva assicurato che mi avrebbe riportata a casa.
«Non preoccuparti. Metto in ordine e la riaccompagno io.»
Mi si stringe lo stomaco ma non posso essere maleducata e rifiutare proprio adesso. Non dopo la serata che abbiamo passato tra sguardi e strani messaggi criptici.
Dana guarda prima lui poi me. Avvicinandosi mi abbraccia. «Chiama non appena sei a casa», mi sussurra così piano che a stento riesco a comprendere le sue parole.
«Lo farò.»
Saluto Xavier e quando rimaniamo soli aiuto Ephram a togliere di mezzo le bottiglie e tutto il resto. Lo faccio rimanendo costantemente a distanza da lui.
«Non dovevi farlo, sei mia ospite», dice spegnendo le luci del cinema.
Indosso il giubbotto di pelle sistemando la tracolla della borsa seguendolo verso l'entrata. «Non mi sentivo a mio agio a starmene lì seduta con te che giravi intorno come un cameriere.»
Indugia al centro tra il salotto e una porta che conduce allo studio di suo padre. «Non ti ho fatto vedere la casa, che maleducato! Ti va?»
Perché penso che sia una pessima idea?
«Giro turistico?»
Mi porge il braccio ed esito un istante prima di assecondarlo seguendolo al piano superiore dove mi mostra la sua stanza uno spazio semplice, niente poster attaccati alle pareti, niente foto, niente trofei. Una stanza anonima e priva di personalità. È come se nascondesse allo stesso tempo segreti oscuri sulla sua vita passata tra queste mura.
Poi c'è lo studio della madre raffinato ed elegante, la palestra, le camere per gli ospiti.
Scesi al piano di sotto mi mostra anche la cantina che si rivela essere il suo studio, questo si trova accanto al garage, mi spiega.
La stanza è piccola nel complesso ma sembra la più vissuta. Una scrivania completa di computer, penne, colori, album da disegno. Una libreria lungo tutta la parete piena di libri, fumetti. C'è odore di sandalo e limone grazie ad una candela, nessun filo di polvere e qualche pianta grassa. C'è anche un divano all'angolo con una coperta.
Scendo gli ultimi gradini di legno osservando le mura, le due finestrelle sbarrate in alto.
È qui che lui è se stesso? In una sorta di scantinato dell'orrore?
Ephram chiude la porta ed io ho come un sussulto. «Possiamo parlare?»
Mi siedo su uno dei gradini delle scale. «Certo.»
«Prendo da bere, sarà un po' lunga come chiacchierata. Acqua o...»
«Acqua andrà bene», abbozzo un sorriso.
Non appena sparisce mi alzo curiosando intorno. Non riesco a stare ferma e mi sento agitata. Qualcosa attira la mia attenzione, un foglio incastrato tra i libri.
C'è una parte di me che spinge la curiosità a fare avanzare la mia mano sul foglio. L'altra mi urla di non farlo.
È natura umana toccare qualcosa anche quando ci è vietato farlo. È istintivo fare qualcosa che non si dovrebbe. Siamo fragili. Siamo esseri in cerca di guai.
Tiro fuori una cartellina verde pino che si apre lasciando scivolare ai miei piedi molteplici disegni a matita.
Li sollevo rimanendo spiazzata.
Il cuore prende a battermi forsennato nel petto. Per istinto prendo il telefono guardandomi alle spalle prima di scattare in fretta delle foto. Sfoglio tutto l'album cercando un motivo per non odiarlo, per non avere paura, ma più vedo quello che ho davanti più mi agito e tremo dentro.
Gioco sempre con il fuoco. Sfido la fortuna. Mi ritrovo costantemente in situazioni di pericolo. Che diavolo ho che non va?
«Che stai facendo?»
La sua voce alle spalle mi coglie impreparata. Caccio un urlo lasciando cadere a terra l'album. I fogli si sparpagliano ovunque.
«Mi hai spaventata! Stavo solo curiosando per capire che tipo sei.»
Notandolo serio chiedo: «Che cosa sono?», la voce mi esce stridula.
Lui sgrana immediatamente gli occhi quando si rende conto di ciò che tengo in mano cercando di nascondere tutto. Quando prova a strapparmi dalle mani i fogli li tiro indietro tenendo sollevato il braccio. «Ephram che cosa sono questi?», la voce trema.
«Non sono niente, ridammeli!»
Tiro dietro la schiena i fogli. «Perché lo fai?»
Si avvicina. «È solo un passatempo. Sai che mi piace disegnare. Niente di più.»
«Sono io quella? È così che mi vedi?»
Si volta dandomi le spalle, togliendo gli occhiali stropiccia gli occhi. «Si, sei tu.»
Il respiro inizia a mancarmi. «Sai che è inquietante tutto questo? Volevi parlarmi del fatto che mi ritrai... ovunque e... con chiunque?»
Si volta di scatto ed io indietreggio andando a sbattere contro la scrivania. Prova ad afferrare i fogli. «Ridammeli!»
Nego. «Mi hai seguita e mi hai... mi hai fatto dei ritratti...», la voce mi trema ancora una volta. «Sai almeno che cosa significa questo?»
Inizia ad agitarsi. Stringe il pugno in vita. «Non avresti dovuto vedere», sussurra. «Ti ho solo mostrato dove vivo. Non pensavo che avresti messo le tue mani ovunque.»
«Ah no? Non avrei dovuto vedere niente? Spiegalo alla polizia questo, lurido stronzo!», con i fogli che ripiego in fretta e furia tra le mani tremanti infilandosi dentro la borsa e altri dentro la giacca, salgo le scale nel panico.
Non so quello che sto facendo. So solo che ho bisogno di uscire da qui.
«Fermati!», urla con le guance in fiamme rincorrendomi. «Posso spiegarti.»
«Aiuto!», strillo con tutta la forza e la voce che ho in corpo per tenerlo lontano.
Sto uscendo dalla stanza e vengo afferrata. Lancio un urlo acuto dimenandomi e usa una forza spropositata per tapparmi la bocca e trascinarmi di nuovo al piano di sotto dove mi inchioda contro la parete libera. «Non voglio farti del male ma non devi dire a nessuno questo. Non devi o...», trema affannato.
Mordo la sua mano ma non mi lascia andare. Mi si schiaccia maggiormente addosso. «Sarà un nostro segreto, ok? Nessuno deve saperlo.»
Mi accarezza la guancia e mi scanso. «Per favore Erin», mi fissa con occhi spiritati e rossi spaventandomi. «Sei l'unica che non mi tratta come un maniaco. L'unica che si comporta come se non fossi uno squilibrato dalla quale tenersi alla larga. Possiamo stare bene insieme io e te, se solo non... non ne fai parola.»
Inizialmente mi dimeno poi so che cosa fare e smetto di muovermi annuendo. Sento il gelo impossessarsi di me ad ogni respiro, ad ogni battito. Ho paura. Sono pietrificata.
«Ok, adesso tolgo la mano e tu mi ridai il disegno. Poi, parliamo e ti spiego tutto», cerca conferma.
Deglutisco sempre più a fatica. Guardo la porta chiusa saettando con gli occhi verso l'alto, le scale. Annuisco.
Allenta di poco la presa per accertarsi che non mi metta ad urlare come prima. «Me lo prometti?», piagnucola quasi, ma noto che sta fremendo. È arrabbiato. «Mi prometti che se ti libero adesso... tu non urli o non scappi da me?»
Annuisco ancora sentendo gli occhi pizzicare. Quando stringe la presa provando a strapparmi di dosso il disegno aprendo il giubbotto intuisco le sue intenzioni e agisco mollandogli un calcio in mezzo alle gambe. Urla piegandosi. Quando provo a scappare mi afferra in un lampo sbattendomi contro la parete, tenendomi ferma. «Che cosa avevamo detto, Erin?», adesso parla come un pazzo.
«Lasciami andare. Non dirò niente», mento. «Non mi importa.»
Riprova a mettermi le mani addosso. Questa volta però affonda la faccia sul mio collo annusandomi, passando le labbra sulla mia pelle. «Possiamo stare bene insieme. Perché non lo capisci?»
Prova a baciarmi a ficcarmi la lingua dentro la bocca. «Scordalo!», gli mordo le labbra colpendolo ancora con una ginocchiata scappando più in fretta che posso al piano di sopra.
«Stronza!», ringhia rialzandosi poi ride.
Provo a spalancare la porta ma è chiusa. «Cazzo!», impreco scuotendola. Picchio il palmo, sbatto la spalla contro per sfondarla. «Aiuto!», urlo.
Ephram mi raggiunge come un squalo tirandomi giù. Lotto contro di lui per non permettergli di toccarmi e cadiamo dalle scale. Rotolo velocemente andando a picchiare la fronte contro lo spigolo della scrivania e mi manca il fiato per il dolore che mi trapassa il cranio.
«Erin...»
Mi trascino all'angolo sfiorandomi il punto in cui sento pulsare maggiormente il sangue e le mie dita si imbrattano.
Prova ad avvicinarsi zoppicando ma sfuggo alla sua presa. «Non toccarmi e apri la porta!», strillo.
«Erin... io non volevo... credimi.»
Quando qualcuno ci ferisce, anche noi vogliamo ferirlo. Perdonare sembra un traguardo impossibile, se non lontano ma è la risposta giusta, per seppellire tutto: il rancore, l'odio, la delusione.
Purtroppo quando hai paura e una nuova ferita da curare, ti sembra impossibile riuscire a perdonare.
Scuoto la testa. «Sei malato!»
Dilata le narici e la vena del collo gli pulsa. «Non sai niente di me», urla.
«Si invece perché so che ti farò a pezzi se non mi lasci uscire da qui immediatamente», tuono minacciosa stringendo i denti quando la testa torna a farmi male. Emetto un breve verso di dolore ma riesco a mettermi in piedi. «Apri quella porta», la indico.
Nega. «Ridammi il disegno», replica minaccioso.
Salgo le scale e torna all'attacco. Gli mollo una pedata facendolo cadere e ne approfitto per caricare e sbattere la spalla contro la superficie riuscendo dopo tre tentativi a sfondare la porta.
Cado a terra con un tonfo facendomi ulteriormente male e mi ritrovo Ephram addosso. Incombe su di me con una forza inumana.
Non ho mai realmente ammirato il principe azzurro nelle storie. E non perché fosse romantico ai limiti della sopportazione, forse solo perché a tutte le protagoniste piaceva aspettare, di essere protette, di essere trascinate via dal nemico da uno sconosciuto arrivato da chissà dove e a cui avrebbero poi regalato il primo bacio e il proprio cuore per sempre. Una cosa ridicola.
Io non sono così. Non sono una che aspetta di essere salvata. Quando sono in pericoloso, io mi salvo da sola. Trovo la forza e mi salvo da sola.
Gli graffio la faccia spezzandogli due dita e forse anche il polso quando prova a toccarmi, gli mollo anche una ginocchiata ben assestata lasciandolo senza fiato. Solo così riesco ad alzarmi e a raggiungere finalmente la porta principale.
Mi volto un momento affannata, il petto a battermi all'impazzata, peggio di un cavallo imbizzarrito. «Non azzardarti ad avvicinarti a me un'altra volta. Sei un bastardo!»
Spalanco la porta uscendo fuori boccheggiando, inciampo quasi cadendo sui gradini. Riprendo in fretta la mia corsa quando urla il mio nome e sento che sta per raggiungermi al cancello. Allora corro, corro senza fermarmi un istante, fino a quando non sono a due isolati di distanza e so di essere al sicuro, in mezzo alla gente, quasi in piazza.
«Erin...»
Le gambe mi tremano così tanto da non riuscire a reggere più il mio peso e il panico mi attraversa da capo a piedi.
Mi volto lentamente.
🖤
"Buon San Valentino ♥️"
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