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La scuola superiore di Oakville ha una nuova studentessa oggi.
Mi sento a disagio e non poco mentre papà mi accompagna insegnandomi il percorso esatto per non perdermi qualora avessi voglia di fare una passeggiata per tornare a casa o la mattina per raggiungere il posto prima delle ore di lezione che iniziano alle nove circa.
Fino ad ora non sembra poi così difficile, visto che le strade qui sono quasi tutte dritte.
Per l'ansia che ho avuto addosso, questa notte non sono riuscita a chiudere occhio, non ho fatto colazione e in questo momento mi sento come un paletto di legno: impalata, rigida, sul punto di vomitare.
Mi sento come se la mia vita si fosse sparsa dappertutto. Come se fossi circondata dai granelli di polvere e una folata di vento improvvisa li stesse sparpagliando depositandoli ovunque.
Non sono riuscita a dormire perché continuavano a salirmi le lacrime agli occhi. Il fatto è che non mi sento ancora a mio agio nel mio nuovo alloggio. È come se mi mancasse qualcosa.
È stata una lunga settimana in cui avrei tanto dovuto ambientarmi e sentirmi di nuovo a casa.
Purtroppo, la notte scorsa da fuori proveniva un orribile rumore del vento che continuava a svegliarmi quando il cane dei vicini abbaiava per qualche minuto come se avesse il singhiozzo.
Non è tanto il cambiare scuola ma l'ambientarmi di nuovo tra i ragazzi cresciuti assieme a spaventarmi. Il trovarmi tra persone che mi hanno fatto venire i primi complessi, le prime paure.
Qui si conoscono tutti, chi più chi meno. I genitori sono amici tra di loro e i vecchietti se non ricordo male giocano sempre insieme il sabato pomeriggio e la domenica mattina.
Io sono la ragazza tornata da chissà dove, la novità del momento. La cosa non mi sembra vantaggiosa visto che odio stare al centro dell'attenzione. Ma a quanto pare sembra inevitabile perché mio padre, nel corso della settimana, ha proprio detto a tutti che sono tornata mostrandomi come un trofeo, presentandomi a gente "per bene" di cui non ricorderò mai il nome.
Mi ha anche messo in guardia riguardo qualcosa sui gruppi di ragazzi ma non ho fatto attenzione perché dovevo scegliere tra gli unici due capi di colore nero e la scelta è ricaduta anche su una felpa che la proprietaria del negozio è stata ben lieta di regalarmi per togliersela di torno, visto che il negozio era pieno di indumenti colorati in grado di farmi male agli occhi. La commessa mi ha persino guardata male quando le ho chiesto se avevano dei jeans scuri, come se avessi detto una parolaccia o qualcosa di assurdo. Per questa ragione alla fine mi sono lasciata convincere e ho comprato due paia di jeans normali di un azzurro pallido, uno dei quali indosso attualmente con i miei anfibi e la mia felpa.
Papà avrebbe tanto preferito che indossassi un maglione colorato o una camicia con un cardigan sopra, proprio come le tizie che superano l'auto quando ci fermiamo davanti il cancello del liceo che sembra più una struttura per criminali.
«Per qualsiasi cosa hai il mio numero. Hai tutto quello che ti serve?»
Carico in spalla lo zainetto. «Credo di sì. Adesso vado», dico a disagio aprendo la portiera. «Grazie per il passaggio.»
Papà mi guarda. «Lega i capelli. Più tardi ti spiegherò perché hai dovuto vestirti "normale". Mi raccomando comportati bene almeno il primo giorno di scuola.»
Faccio una smorfia guardandomi le unghie di un colore naturale e i piercing che ho dovuto sostituire per renderli il meno visibile possibile.
Mi sto sentendo più a disagio di prima. Spero ci sia davvero una spiegazione a tutta questa assurda storia sul vestirsi bene e sul comportarsi in un certo modo.
«Ok, ok», sbuffo legando i capelli, tenendo per me le risposte che vorrei tanto lasciare uscire dalla bocca che continuo a serrare per non creare problemi.
Ho il timore che prima o poi scoppierò. Spingo lo sportello uscendo in fretta dall'auto. «Buon lavoro.»
«Buona giornata e non cacciarti nei guai, Erin.»
«Ricevuto», replico quando lo ripete, avviandomi all'entrata.
Che cosa potrei mai voler fare in un ambiente che non conosco?
Cammino piano vedendo la scena a rallentatore. Tutti a voltarsi, a fissarmi. Mi squadrano da capo a piedi probabilmente pensando: "guarda, c'è quella nuova. La figlia del sindaco. Dicono che sia stata in un centro per tossici". "Guarda che capelli e che trucco".
Stringo la presa sul manico dello zainetto guardando davanti a me come se niente fosse, mentre dentro sto tremando sentendo forte il peso dei loro pensieri, dei loro pregiudizi.
Ho imparato a farlo. Con il tempo mi sono adattata e alla fine ho capito come comportarmi in determinate situazioni. Bisogna mantenere la calma.
Sono consapevole di non essere poi così bella e abbronzata come loro, di non avere i capelli biondo paglierino e la linea di eyeliner sottile e precisa sulle palpebre. Non sono neanche una giocatrice di pallavolo o una cheerleader dalle gambe slanciate e dal sorriso smagliante. E mai lo sarò. Il pensiero mi fa persino ribrezzo.
Sono brava negli sport soprattutto nel nuoto. Sono coordinata e leggiadra grazie alle inutili lezioni di danza che mia madre mi ha costretto a prendere fino ai tredici anni.
Ad ogni modo la mia pelle rimarrà color bianco muro, i miei occhi verde acqua chiarissimi e terribilmente sensibili alla luce e i miei capelli indomabili e colorati. Avrò i piercing. Soprattutto avrò quella parte di me che si sente rotta, spezzata e spenta. Mi accompagnerà in questa nuova avventura che spero possa concludersi in fretta.
Raggiungo il corridoio cercando il mio armadietto leggendo sul foglio il numero. Pesco la chiave e proseguo nascondendomi tenendo a freno la voglia di girare sui tacchi e scappare quando qualcuno mi si avvicina anche solo per sbaglio.
Ovviamente ci sono quelli che lo fanno per guardarmi meglio in faccia mentre altri si limitano a chiedere: "tu sei quella nuova?".
Apro l'armadietto impiegando qualche istante per capire come non incastrarlo.
Sento bisbigliare alle mie spalle per tutta la durata della prima ora in cui per fortuna il professore non mi fa presentare davanti a tutti evitandomi una pessima figura.
Le voci, gli sguardi, i bisbigli continuano fino ad ora di pausa in cui mi siedo fuori con le cuffie alle orecchie e una barretta ai cereali che mangio quasi costringendo me stessa a mettere sotto i denti qualcosa.
Pescando lo specchio dallo zainetto osservo il mio riflesso pallido. La mia pelle sembra quasi trasparente sotto i raggi del sole che arrivano privi di calore in questa giornata fredda.
Riponendolo mi guardo intorno notando tutte le persone presenti divise in piccoli gruppi. Ridono, chiacchierano, si prendono in giro, scherzano. Alcuni ragazzi passandomi da vicino mi fanno un breve cenno di saluto. Ma dietro le lenti scure non notano il mio continuo alzare gli occhi al cielo.
Caccio una gomma in bocca per sedare l'enorme fonte di stress alla quale mi sento sottoposta contro la mia volontà.
Mi trovo a disagio tra tutte queste persone. Non sarò mai capace di inserirmi senza apparire come la tipa strana arrivata da chissà dove. In realtà non sono mai riuscita a prendermi un posto in un gruppo, una posizione tra le persone perché sono sempre stata molto timida e impacciata, spaventata all'idea di poter essere giudicata diversa. Sono sempre andata d'accordo con i casi umani come me. Quindi qui non sarà diverso. Rimarrò l'anonima figlia di papà dai capelli colorati perché per me è difficile rimanere in sintonia con le persone. In realtà non riesco neanche a convivere con me stessa.
Mi alzo per andare in segreteria a prendere il resto del mio orario che, a quanto pare è cambiato nel corso delle prime due ore a causa di qualche cambio di aula in cui dovrei essere con altri compagni forse più simpatici e svegli soprattutto con meno pregiudizi, visto che sono stati proprio loro a volermi fuori. A quanto pare sono ritenuta una distrazione.
La stanza in cui mi ritrovo è terribilmente piccola. Mi suscita immediatamente un senso di claustrofobia per me e per la donna dietro al lungo bancone che si staglia davanti.
Di fianco a me disposte ordinatamente ci sono delle poltrone apparentemente scomode. L'angolo funziona come sala d'attesa. Infatti molti sono gli studenti seduti e appunto in attesa di essere aiutati.
Il pavimento è coperto da una moquette consumata dai passi, dal tempo, ormai di un beige sbiadito, le pareti color panna sono tappezzate di fogli: avvisi, graduatorie e volantini di vario genere. Su un pilastro in alto vi è un orologio abbastanza rumoroso. I numeri quasi non si vedono. Una palma dentro un vaso bianco di ceramica all'angolo sembra tanto soffrire.
Dietro il bancone una scrivania dotata di computer, stampante e moduli, c'è una donna vecchio stampo dai capelli biondi con qualche filo bianco che si nota appena perché sono raccolti dietro e ben tirarti agli angoli.
Attendo il mio turno annusando l'aria che profuma di spray per ambienti alla vaniglia insieme a qualche profumo portato dai presenti che dal mio arrivo non hanno ancora smesso di fissarmi.
La cosa brutta è che non distolgono lo sguardo neanche quando li guardi per farli smettere.
Quando arriva finalmente il mio turno mi avvicino al bancone alzandomi quasi in punta di piedi per avere qualche centimetro in più di altezza.
La donna davanti a me indossa una camicia con un cardigan rosa pesca sopra e una gonna stretta lunga fino al ginocchio. Alza lo sguardo rivolgendomi la sua attenzione dopo avere stampato qualcosa.
«Posso esserti utile?»
«Sono Erin Wilson. Avrei bisogno del nuovo orario. Sono stata spostata in un'altra classe e mi hanno detto che qui avrei trovato quello che mi serve, senza pregiudizi», non so perché ma la informo del problema usando un tono di rimprovero.
Vedo i suoi occhi illuminarsi come una luce di Natale. Ed ecco anche il modo in cui mi fissa intensamente giudicandomi ad impatto non appena sente il mio nome ricollegandolo alla parentela.
Odio essere al centro dei pettegolezzi ma a quanto pare è inevitabile.
Per tutti sono la povera bambina costretta a vivere con la madre, una degenerata, una traditrice. Sono la ragazzina tornata dal padre per essere guidata e istruita come si deve.
Ma molti non si rendono minimamente conto del fatto che spesso un ramo si aggiusta solo quando è ancora verde e che se provi a farlo quando è maturo e ormai rigido, si spezza.
«Un momento», risponde con un sorriso rovistando con una mano dentro un cassettone pieno di cartelle e con l'altra clicca sulla tastiera del computer usando un solo dito.
Dopo una manciata di secondi si sposta verso la stampante tornando con dei fogli.
«Ecco qui il tuo nuovo orario. Hai bisogno di una guida, di una cartina per non perderti o...»
Sto già negando mostrandole un sorriso timido. «No, grazie. Buon lavoro e buona giornata.»
Fuori dalla porta lascio uscire un enorme sospiro controllando l'orario nuovo. Ho circa due ore libere prima di tornare a lezione, noto.
Pertanto mi sposto in libreria, quella adiacente alla biblioteca della scuola dove facendomi aiutare dall'anziana signora che vi lavora prendo i libri che mi servono.
Prima dell'ora di pranzo mi ritrovo ad una lezione noiosa di storia. Io odio questa materia. Non sono mai riuscita a studiarla come si deve, a memorizzare ogni evento storico ricordando nel dettaglio il concatenarsi di eventi, guerre e sconfitte.
Attualmente quello che voglio è sentire il rumore della campanella e terminare questa prima assurda giornata di scuola. Per fortuna in questa aula Nessuno sembra avere dei pregiudizi, anche perché sembra piena di gente come me: gli invisibili.
La mensa si trova nel secondo edificio. Sul muro vi è l'insegna elementare ad indicarla.
Più mi avvicino, più sento di non doverlo fare. Purtroppo ho fame e ho bisogno di mangiare qualcosa per non svenire di colpo e fare una brutta figura.
Mi accorgo che sto sudando freddo e cerco di tranquillizzarmi sul fatto che non succederà niente perché passerò inosservata.
Varco l'entrata e sento il suono della radio, il rumore delle tazzine che cozzano sui piattini. E ancora l'odore del caffè, del cibo caldo. Il baccano generato dagli altri studenti.
Prendo un vassoio sulla quale dispongo una mela, una confezione di cracker e un succo di frutta alla mela verde e kiwi. Dopo avere chiesto come funziona la mensa alla donna dietro il registratore, striscio la mia carta dello studente scegliendo in fretta un posto a sedere in fondo alla sala, superando velocemente chiunque senza neanche dargli il tempo di osservarmi o fermarmi.
Attualmente ho bisogno di starmene per i fatti miei. Solo così riuscirò a scaricare la tensione che porto addosso ormai da diverse ore.
Mangiucchio pescando un tascabile arrivato per fortuna integro insieme agli altri libri che ho già riposto in libreria e mi rilasso. Almeno fino a quando non mi si avvicina qualcuno.
Inizialmente non me ne rendo conto. Solo quando sollevo la testa mi accorgo di avere davanti il passato.
Riconosco la sua chioma di capelli, un tempo castani adesso bruciati dall'ossigeno, ancora prima di sentire la sua voce stridula che, non sembra cambiata neanche un po'.
«Erin, sei davvero tu?»
Mi guarda con aria di sufficienza mista a sorpresa tenendo una mano sul cuore, spostando poi la macchia di capelli lisci apparentemente pesanti dietro la schiena.
Davanti a me Harper Morris, una delle mie migliori amiche d'infanzia.
«In carne ed ossa», rispondo lasciando il mio pasto freddo e scarso chiudendo il libro, sentendo addosso parecchi occhi che adesso stanno notando l'incontro tra due che non si vedono da anni.
Bisticciavamo praticamente su tutto. Io ero quella razionale e lei quella spericolata ma alla fine eravamo come quasi tutte le bambine: inseparabili, complici, amiche.
Poi non l'ho più rivista e, in parte credo che per me sia stata la cosa migliore. Sono viziata ma non quanto lei. Lei è pericolosa. Basta proprio vedere com'è cambiata per capire che bisogna starle alla larga.
«Oh mio Dio, fatti vedere», apre le braccia sorridendo con la sua dentatura perfetta che mette in mostra come se fosse Miss Mondo. «Quanto sei cresciuta e sei... davvero bella.»
Mi abbraccia velocemente poi sedendosi accanto, circondandomi le spalle con un braccio mi avvicina emettendo uno strillo di gioia.
È così falsa ma credibile da farmi paura.
«Mi sei mancata. Da quanto tempo, eh?» alza il tono per farsi sentire.
Il suo odore è stucchevole. Un misto di oli essenziali e mirtilli. Sulla sua faccia tanti strati di fondotinta e illuminante. Per non parlare delle ciglia finte che continua a sbattere come due ventagli e delle labbra rimpolpate dal gloss a renderle davvero enormi.
«Già...», non so proprio che cosa dire. Mi sento spiazzata. Avevo proprio dimenticato questo dettaglio.
Le cose si complicano con lei tra i piedi, mi dico guardando l'uscita della mensa dalla quale sono entrata.
Quando entra in gioco Harper Morris tutto cambia. Puoi tentare di farla franca, di sfuggire al suo controllo, ma alla fine farai sempre quello che vuole. Ed io non voglio di certo ritrovarmi nei guai proprio adesso che ho bisogno di un po' di tranquillità e di seguire le regole.
«Allora, dove sei stata? Mi erano arrivate delle voci ma non pensavo di vederti proprio oggi e qui a scuola.»
«Ho girato per un po' e adesso sono qui da mio padre», balbetto quasi. «Rimarrò per qualche mese. Non posso saltare la scuola.»
Harper saluta delle ragazze vestite come lei da cheerleader con la coda alta e l'andatura da modelle poi si rivolge di nuovo a me alzandosi. Non è davvero interessata al racconto della mia vita.
«Mi ha fatto davvero piacere vederti. Questa sera ci sarà una festa, devi assolutamente venire. Non puoi rifiutare, sei mia ospite», alza il tono strizzandomi l'occhio senza darmi altri dettagli sull'evento.
Rimango impalata, la bocca aperta.
Quando sparisce abbasso le spalle scuotendo immediatamente la testa. Non sono riuscita a rifiutare, come al contrario avrei tanto voluto fare.
Mi guardo attorno un momento. Qualcosa è cambiato. Noto che adesso tutti mi guardano in modo diverso rispetto a prima. Non sono più l'appestata che sta invadendo il loro spazio. Harper gli ha come dato un incentivo a portarmi rispetto, a non ritenermi un pericolo.
È così che funziona da queste parti, mi dico notando atteggiamenti e movenze diverse dai posti in cui ho passato la vita.
Finito finalmente il primo giorno di scuola, senza apparenti intoppi oltre all'incontro con una vecchia "amica", agli sguardi curiosi e al cambiamento di aula per motivi di distrazione da parte dei compagni, mi avvio verso casa percorrendo le strade che papà mi ha mostrato poche ore prima, controllando i miei social, l'unico svago ancora attivo.
Qui vedo le foto di mia madre, sorridente insieme ad Harvey. Non sembra affatto provata dalla mia assenza. Non ho neanche penso di inviarle un messaggio e lei non si è neanche presa la briga di chiedermi se sono arrivata, se sto bene. Vedo anche quelle di mia nonna che ha cucinato i suoi piatti tipici al ristorante e li ha postati tutti nella sua pagina per fare venire l'acquolina e quelle delle persone che seguo apparentemente felici.
Mi fermo ad un incrocio isolato scattando una foto. «Hashtag: sono in mezzo al nulla e tutti mi guardano con sospetto», brontolo pubblicando la foto.
Un clacson mi disturba e non appena mi volto mi casca letteralmente la mascella.
Mason Turner insieme ad Harper, nella stessa decappottabile rosso fiamma.
Il cuore mi prende a battere forte alla vista di lui che le sfiora una guancia per stuzzicarla quando prova di nuovo a suonare il clacson.
Adesso, stanno insieme? Davvero?
Mi sento male. È come un colpo al cuore. Una doccia gelata in pieno inverno.
Mason Turner è un ragazzo che si fa notare non solo perché bravo nello sport ma per la sua naturale bellezza.
Più grande di due anni. Alto, atletico, moro, occhi a mandorla e sorriso sfacciato: è la mia cotta. Quella che dura ormai, si direbbe, da una vita.
Da tempo continuo a stalkerarlo sui social per sapere quello che fa. Lui non sembra nascondere niente e ogni giorno posta sempre qualcosa di divertente sul suo profilo Instagram condividendo con noi poveri mortali la sua fortuna.
Ma non sapevo che lui e Harper stessero insieme. Non ha mai postato niente al riguardo.
Merda, questa proprio non ci voleva.
«Erin», strilla Harper.
Lui mi guarda abbassando gli occhiali da sole. Sgrana lievemente gli occhi scuri ma voltandosi e notando lo sguardo di Harper trattiene ogni istinto.
Ci conosciamo perché da piccoli giocavamo tutti insieme e lui era sempre il mio principe azzurro, quello valoroso.
Harper lo prendeva sempre in giro e adesso... com'è strano il destino.
«Prima non ti ho detto a che ora passeremo a prenderti», mi fa presente.
Ci sarà anche lui?
«Alle otto in punto. Indossa qualcosa di colorato e togli quegli arnesi dalla faccia.»
Guardo per istinto la mia felpa e tocco il piercing al naso.
Ma che hanno contro queste cose?
«Ok», sussurro più a me stessa senza davvero ascoltarla.
Soddisfatta ghigna dando un colpetto sul braccio a Mason. «Non è bello? È tornata la mia amica!» strilla. «Non giocavate insieme voi due?» lo prende in giro. «Facevi sempre il suo... principe.»
Lui sorride quasi imbarazzato facendomi un cenno di saluto. «A stasera, Erin», dice e premendo sull'acceleratore, sgommando si allontanano.
Ancora una volta lascio uscire il fiato trattenuto. Sfioro le guance calde e spero vivamente che Harper non si sia minimamente accorta della mia reazione alla vista di Mason.
Mi sembra impossibile che si ricordi della mia cotta per lui, anche se ha ricordato che giocavamo insieme.
Inoltre, ho il terrore delle feste. Dopo l'ultima volta, dubito fortemente di volere partecipare ma, a quanto pare non ho molte alternative al momento. Ho bisogno di trovare degli amici per svagarmi, per non pensare alla mia vita che sta andando letteralmente in frantumi.
In cuor mio spero vivamente di riuscire ad andare via da questo posto il prima possibile.
Con questi pensieri per la testa, arrivo incolume a casa trovando appeso al frigo un messaggio di papà in cui mi avvisa che non sarà a casa questa notte.
Mi guardo intorno appoggiandomi al ripiano della cucina a braccia conserte.
È così che sarà adesso? Io qui da sola e lui a lavoro?
Il mio telefono ronza dentro la tasca.
"Passiamo a prenderti alle otto in punto.
- Harper".
Alzo gli occhi al cielo.
Come diavolo ha fatto ad avere il mio numero?
Sbuffo e pestando i piedi per terra salgo al piano di sopra senza risponderle.
Chiusa nel mio bagno mi rilasso strofinando via dalla pelle ogni sensazione generata dal primo giorno di scuola che mi ha regalato un incontro e anche una importante difficile notizia da mandare giù.
Non posso ancora credere che Mason stia insieme ad Harper. Loro due insieme sono perfetti in ogni senso e mi destabilizza questa cosa perché a quanto pare sarò costretta ad accettare il fatto che sarò sempre quella invisibile per i ragazzi come lui.
Rimango per qualche ora a girare per casa come un fantasma, mangiando fette di torta e snack salati per placare il senso di ansia che si fa strada dentro di me man mano che si avvicina la fatidica ora, quella in cui mi ritroverò da qualche parte con la persona che non vedevo da anni.
Spero solo di non cacciarci in qualche grosso guaio. Ma conoscendomi, ne dubito fortemente. Sono sicura che mi ritroverò invischiata in qualcosa. Succede sempre.
Indosso un paio di blue jeans stretti evitando quelli strappati perché potrebbero suscitare scalpore o dissenso. Infilo un maglione a girocollo nero poi però ricordo le parole di Harper e frugando tra i nuovi acquisti scelgo quello color zafferano. Infilo gli stivali dello stesso colore e un cappotto corto simile al mio chiodo color tabacco chiaro.
Mi avvicino allo specchio guardandomi per una manciata di secondi, sentendomi totalmente diversa. Davanti a me l'immagine di una ragazza che non sono.
Non mi sento a mio agio con questi indumenti, ma dovrò tenerli addosso per qualche ora prima di tornare a casa e travestirmi da Batman. Perché il nero è il mio colore, quello della mia anima.
Pettino i capelli poi decido di legarli creando uno chignon stretto all'attaccatura e morbido con qualche ciuffo che esce sulla parte alta.
Recupero i miei trucchi dal beauty-case e decisa a non fare vincere l'istinto di truccarmi come un'amante del rock, opto per uno smokey eyes leggero sui toni del marrone mettendo in risalto gli occhi, lasciando le labbra pallide. Purtroppo non resisto all'impulso quando mi fisso allo specchio e passo su di esse il mio rossetto vinaccia scuro.
Spruzzo due gocce del mio profumo preferito sui polsi e sono pronta prima dell'orario stabilito da Harper.
Nel messaggio era alquanto minacciosa. Ma in fondo è sempre stato così per lei. Usava lo stesso metodo con tutti per ottenere sempre quello che voleva.
La cosa che più mi dispiace è il fatto che adesso dovrò vederla insieme a Mason e non credo di essere pronta a ritrovarli davanti sorridenti e pronti a divorarsi.
Se ripenso al modo in cui si stuzzicavano in auto mi sento in imbarazzo e anche male. Rabbrividisco persino.
Una vettura si ferma sul vialetto. Il suono di un clacson rimbomba nel silenzio del quartiere sempre molto tranquillo risvegliando il solito cane con il singhiozzo.
Controllo dalla finestra poi recupero la borsetta e il telefono e guardandomi un'ultima volta allo specchio, intuendo di non potere fare di meglio, scendo al piano di sotto.
Quando apro la porta Harper esce dal finestrino con un ampio sorriso. I suoi capelli questa sera sono ondulati, cotonati leggermente all'attaccatura, tenuti da un cerchietto spesso indietro. Due cerchi argentati pendono dalle sue orecchie, un trucco impeccabile sul viso e un tubino color mattone a rendere la sua abbronzatura color miele maggiormente in risalto.
«Salta su straniera, inizia la festa!» cantilena divertita e apparentemente su di giri.
Mi spaventa questa sua reazione ma tengo per me i cattivi pensieri e principalmente quei ricordi che rischiano di uscire, per godermi questa serata.
Per un attimo, mentre salgo in auto, sono attraversata dal pensiero di avvisare mio padre, ma non l'ho mai fatto neanche con mia madre. In fondo, che cosa mai potrebbe succedere?
Siamo in un paesino privo di specialità o strutture adatte ai giovani. Come si divertono da queste parti?
A quanto pare lo scoprirò a momenti.
Harper si volta. «Ti trovo... diversa», dice squadrandomi. «Non hai tolto quel coso dal naso a quanto vedo.»
Mason mi guarda dallo specchietto retrovisore rivolgendomi un sorriso accattivante e ricambio velocemente prima di rispondere ad Harper.
«Ho solo messo quello che ho trovato. Devo ancora sistemare le mie cose in camera. Spero siano adatti alla serata questi indumenti. In caso contrario non sarà la fine del mondo, dubito importi qualcosa a qualcuno. Per il piercing ho fatto del mio meglio, ma non ne esistono di invisibili perché altrimenti dovrei toglierlo e non ne ho nessuna intenzione visto che l'ho fatto perché lo volevo», decido di sfidare la sua autorità usando il suo stesso tono. «Ma dove stiamo andando?»
Le si illuminano gli occhi e per fortuna accantona i pregiudizi sui piercing per rendermi partecipe.
«Nel bosco», replica sollevando il labbro. «È lì la festa!»
Mason lancia un urlo insieme a lei aumentando il volume della musica che stavano ascoltando mentre l'auto dopo un rombo, facendo marcia indietro per uscire dal vialetto, sgommando lievemente sparpagliando ovunque il mucchietto di foglie spostato lì dal vento, parte verso il bosco che si trova a qualche km di distanza da casa.
Qui è tutto molto vicino. Il paesino non è grande in fondo.
Quando arriviamo, la strada è costellata da auto in fila l'una dietro l'altra lungo il sentiero circondato da alberi e luci disposte ordinatamente ad illuminare praticamente tutto quanto intorno.
Al centro della radura un enorme falò acceso. Le fiamme scoppiettano in alto e dei ragazzi continuano ad alimentare il fuoco lanciando tra le fiamme grossi ceppi asciutti.
C'è odore di terra, di foglie, di resina ma anche di carne arrostita sulla griglia, di fumo.
Alcuni ragazzi sono accampati nelle tende mentre altri stanno organizzando i loro posti a sedere delimitando bene le zone per non permettere ad altri di intrufolarsi.
Mi abbraccio seguendo Harper che, tenendomi per mano mi trascina lungo un sentiero creato dai ciottoli a fare da muretto. Insieme a Mason che continua a salutare chiunque come se fosse il papa, ci spostiamo più in là del falò, in una parte meno illuminata è più silenziosa, direi quasi tranquilla.
Guardo con sospetto Harper ma non sembra allarmata anzi, fermandosi e voltandosi mi fa cenno incoraggiandomi di proseguire senza paura.
Arriviamo nelle vicinanze di un fiumiciattolo. Sento lo scroscio dell'acqua anche se non vedo niente tra la fitta coltre di alberi presenti alla mia sinistra.
Qui c'è un piccolo spazio dove si trovano dei ragazzi ben vestiti e quasi tutti seduti su delle sedie di plastica. Indossano delle divise. Tengono in mano bottiglie di vino e calici fumando sigari e sorridendosi come se fossero in un telefilm.
So benissimo con chi mi trovo. Mentalmente li riconosco tutti. Soprattutto i due ragazzi, i gemelli. Tentavano sempre di tirare grossi scherzi alla maestra ma dubito che siano come allora.
Li trovo in forma e i loro occhi mi si puntano addosso spalancandosi dalla sorpresa. La reazione che sembrano avere ormai tutti.
«Ma non mi dire», dice il più alto dei due, forse Damon. «La piccola Erin è tornata a casa. Vieni qui, fatti abbracciare birbante.»
Tutti gli altri si voltano e Harper, sentendosi esclusa, posizionandosi davanti a me per prendere la scena, esclama: «Abbiamo una ragazza nuova nel gruppo questa sera. Fatela sentire a casa e vedete di non metterla a disagio. È la mia amica di infanzia. Damon, a cuccia. Deve tornare ad ambientarsi tra i King.»
La guardo piena di domande. «Chi sono "I King"?»
Adesso sono proprio come l'aliena appena arrivata sulla terra per loro.
«Non lo sai? I King sono la nostra famiglia», risponde Devis, l'altro gemello quello sempre serio e imbronciato tra i due.
Corrugo la fronte. «Una sorta di setta o cosa?»
Nel frattempo ci sediamo. Tutti sembrano improvvisamente lieti della mia domanda. A quanto pare amano proprio parlare e stare al centro dell'attenzione.
«Amica, ti sei persa proprio una parte importante della storia di questo paese andandotene», esclama un ragazzo di cui non conosco il nome. Sembra più grande di noi, presumo faccia parte dei ragazzi dell'età di Mason.
Inumidisco le labbra sentendomi a disagio. «Si, sono anni che non vivo più qui. Come funziona esattamente adesso?»
Damon si siede accanto a me riempiendomi un bicchiere di vino. I suoi capelli sono di un castano ramato scuro. I canini sporgenti rendono le sue labbra leggermente carnose sulla parte superiore. Ha messo su massa, parecchia. Deve fare molto sport. Rispetto al fratello sembra quello più atletico.
«Per prima cosa devi sapere che "I King" siamo tutti noi qui presenti e qualche altro ragazzo che si trova al falò», mi spiega.
Bevo un sorso di vino arricciando lievemente il naso per il ricordo che mi rievoca. Non è poi così buono questo, sembra annacquato.
«Imparerò a sapervi riconoscere», dico risoluta e secca.
Damon beve il suo bicchiere assumendo il ruolo di cicerone. «In pratica noi siamo come una élite. Un gruppo di persone, di amici. Hai presente le confraternite? Una cosa simile.»
Mi sembra una spiegazione elementare ma l'accetto ugualmente. Da come parla sta cercando di ostentare una conoscenza che non ha.
I suoi occhi scuri sono lievemente lucidi. Mi ricordano tanto quelli di Ryan quando si sballava.
«Ok, ma perché avete creato questo "gruppo"?»
Harper mi offre un sacchetto di patatine lanciandone altri al resto del gruppo. «Perché siamo i migliori. Siamo il gruppo più importante di Oakville e siamo una famiglia rispettata, per bene. Tutti ci ammirano. Tutti ci temono. Tutti vogliono entrare nella nostra cerchia.»
«Ci guardiamo le spalle, ci aiutiamo a vicenda e ci differenziamo dalle altre persone.»
Apro il sacchetto. «Da chi?»
Le occhiate che si scoccano la dicono lunga.
Dentro di me si risveglia qualcosa. È una sensazione fastidiosa in grado di farmi avere voglia di andare via. Io non sono di certo come loro. Troppo snob per i miei canoni e troppo convinti di essere i migliori. Ma nessuno lo è davvero se prima non ha mostrato il suo valore.
«Dagli Scorpions», esclama il ragazzo dai capelli lunghi neri lasciandosi baciare dalla sua fidanzata. Una tipa smilza, asiatica che gli mette le mani dappertutto senza la minima preoccupazione.
«Chi sarebbero?»
Davis sputa in un angolo come se avesse davanti a sé qualcuno di loro. Lo fa per sfregio.
Mi disgusta questo atteggiamento. Chi si credono di essere?
«La feccia di questo paese. I ribelli.»
Inarco un sopracciglio. Apro la bocca.
«Gente che non ci sta con la testa», aggiunge Harper interrompendoci.
Una ragazza accanto a lei, rimasta in disparte per gran parte del tempo annuisce facendo una smorfia, forse pensando a qualche aneddoto spiacevole.
«Persone da evitare perché sono come le macchie di inchiostro», dice Damon bevendo un altro sorso di vino.
Rifiuto il bicchiere che mi sta riempendo mangiando le patatine per non offenderli.
«Sono pericolosi.»
«Davis, Damon, smettetela. Non annoiate Erin con questa stupida storia. Quello che vogliono dirti in poche parole è: sta alla larga da loro se non vuoi essere macchiata a vita.»
Adesso sono curiosa ma nessuno sembra volere parlare di loro. Li evitano come la peste, parlano di loro come se parlassero del diavolo in persona. Si credono davvero migliori, temuti e rispettati.
Ma chi sono esattamente gli Scorpions? Che cosa fanno?
«Oh no, no. Mi piacciono queste storie. A quanto pare mi sono persa la nascita di due bande.»
Harper mi fissa quasi con indignazione facendomi intuire di non dovere andare oltre per non fomentare la discussione. Poi alzando le spalle si getta tra le braccia di Mason proprio davanti a me.
Evito di guardarli chiacchierando del più e del meno con questi ragazzi che continuano ad ostentare e ad annoiarmi ad ogni frase costruita, ad ogni gesto da copione.
Ma tanto lo so che è inutile parlare, tanto agli altri non importa quello che hai da dire.
La musica si leva alta e intorno iniziano i veri festeggiamenti. Urla, risate, allegria.
Damon mi afferra la mano tirandomi in piedi. Tiene un sigaro all'angolo della bocca, l'occhio sinistro strizzato per il fumo. «Fammi vedere se sai ancora ballare fatina», mi prende in giro ricordando, sfortunatamente, questo dettaglio.
Provo a rifiutarmi ma Davis mi si sistema dietro. I due più che divertiti e pronti a stuzzicarmi mi provocano schiacciandomisi addosso.
Non sono affatto cambiati.
«Non puoi rifiutarti», ballano a stretto contatto, così decido di dargli quello che gli serve ovvero: una distrazione.
Ballo con loro per qualche minuto ricevendo i complimenti per come mi muovo poi staccandomi, chiedendogli un momento torno a sedermi accanto alla ragazza dalla carnagione caffellatte che osserva Davis continuamente e che non ha ancora aperto bocca.
«Ciao», le dico. «Perché non vai a ballare con lui?»
Abbassa subito il viso guardandosi le mani in grembo. Indossa come tutte un tubino colorato adatto alla sua carnagione. I suoi occhi sono del colore del grano. È davvero bella. Più di Harper.
«Non mi guarda neanche», esclama timida.
Sollevandomi, dopo avere escogitato un piano, la costringo a ballare con me. Scoppia a ridere quando mi stringo addosso. «Sai che domani parleranno tutti di te?» alza il tono per farsi sentire.
Le faccio fare una giravolta. «Perché sto ballando con te?»
Annuisce ricambiando. «Ma anche perché hai ballato con i gemelli e sei stata con noi. Tutti sapranno che sei entrata nei King per una notte.»
Faccio una giravolta sorridendole. «Che parlino pure», le dico all'orecchio. «Io non faccio parte dei gruppi. Non mi serve e non è la mia ambizione.»
«Non hai paura?»
«Di cosa?»
«Di essere etichettata o allontanata?»
Faccio una smorfia. «Non sono un prodotto in scatola e sono abituata alla solitudine. Non mi spaventa di certo avere una macchia sulla fedina penale o nella mia vita.»
Ride. «Sei divertente e a quanto pare intelligente. Sono Dana», dice presentandosi. «Prima non ho avuto modo di parlare. Sai com'è Harper.»
«Erin, la straniera o l'aliena di turno.»
Ride maggiormente e Davis finalmente la guarda. Allora ne approfitto per avvicinarmi a quest'ultimo. Quando sono vicina la strattono per il polso verso di lui che la prende quasi al volo quando barcolla inciampando in una radice.
I due iniziano a ballare senza mai toccarsi mentre mi sposto di nuovo nel mio angolo da dove osservo tutto ciò che ho davanti.
Vedo solo persone che si preoccupano dei pregiudizi della gente senza godersi il momento. Si fingono persone per bene celando dentro i loro desideri che non scatenano perché in qualche modo è proibito.
Ma dove viviamo? Neanche nel medioevo c'era così tanta chiusura.
Sospiro sentendomi nel posto sbagliato. Mi manca Rayan. Mi manca la spiaggia. Mi mancano le nostre strane chiacchierate sotto le stelle. Mi manca il caldo e il sentirmi a mio agio. Mi manca persino la roba che mi faceva fumare, quella che mi faceva dimenticare a volte chi sono.
Io non riesco a capire perché mi sento diversa da tutte queste persone che preferiscono sorridere in modo falso, farsi inutili complimenti e ridersi alle spalle. Io amo la compagnia, quella buona, quella che nel silenzio sa ascoltare i tuoi pensieri. Preferisco un libro, una canzone, il suono profondo della notte, quello piacevole e rilassante delle onde del mare.
Non lo so con esattezza ma non voglio essere come loro. Io sono come un'aquila, mi piace volare in solitario. E mi fa sentire a disagio il non avere la libertà che cerco. Attualmente mi sento in gabbia.
Di colpo la musica si abbassa. Vedo correre dei ragazzi verso di noi mentre altri muovendosi in fretta iniziano a sussurrarsi qualcosa.
Damon si sta già posizionando davanti a noi insieme a Mason che, recupera da un borsone delle mazze da baseball distribuendole.
Harper si affianca insieme a Dana, quest'ultima allarmata.
«Che cosa succede?» Oso chiedere.
«Volevi conoscere gli Scorpions? Eccoti accontentata Erin», esclama un ragazzo portandosi la mazza sulla spalla dopo averla picchiata sulla mano.
Faccio un passo avanti ma Harper mi ferma facendomi cenno con la testa di non muovermi.
Mi scanso avanzando lo stesso per potere vedere bene che cosa sta succedendo e lei mi segue ostentando sicurezza.
Dal falò la gente sembra essersi sparpagliata e spostata alle nostre spalle.
Mason e i ragazzi raggiungono la radura, fermandosi a pochi metri dal falò ed io mi muovo insieme a loro mantenendomi a debita distanza per vedere che cosa sta succedendo e chi sono "Gli Scorpions".
Davanti a noi, una fila di ragazzi in tenuta da motociclisti. Giubbotti di pelle, il tipico pesante chiodo con il disegno di uno scorpione sulla schiena, borchie e catene. I capelli neri, qualche ciuffo colorato e sulla loro pelle: tatuaggi enormi, intricati insieme ai piercing.
Li guardo attratta uno ad uno. Hanno proprio l'aspetto di persone che sanno come difendersi. Tra loro ci sono anche delle ragazze, ma nessuno di loro è armato.
Solo in quattro avanzano verso Mason e tutte queste persone che adesso sembrano impaurite.
Il più alto tra di loro, senza paura, si fa avanti. Non tiene niente tra le mani ma apparentemente, a differenza di Mason, sembra parecchio forte e sicuro del suo potenziale. Fa il pugile. Lo sento.
«Shannon», sussurra qualcuno alle mie spalle con disprezzo e paura.
«Che cosa ci fate qui?» Chiede usando un tono pacato, alto e in grado di diffondersi tra gli alberi come un tuono. Non vuole davvero saperlo.
«Abbiamo ottenuto il permesso per fare questa festa», inizia celando l'agitazione, Mason.
Fa un cenno ad uno dei ragazzi. Questo ritorna con un foglio che porge immediatamente al tizio che non sembra neanche vederlo.
I suoi occhi neri come la pece sono rivolti solo su Mason. Lo fissa proprio come se volesse ridurlo in polvere.
I miei invece vagano intorno. Gli Scorpions non sono soli, mi dico notando delle moto a poca distanza dalle auto. Mi giro e i miei occhi catturano delle figure in movimento.
Ecco perché sono tutti spaventati. Siamo circondati da questi ragazzi.
«Ma a noi non hanno chiesto il permesso quindi dovete sloggiare immediatamente se non volete essere cacciati con la forza», replica al posto di Shannon, che non si è ancora mosso, il ragazzo alla sua destra.
Shannon prende il foglio e senza neanche leggerlo lo strappa davanti a tutti lanciandolo dentro le fiamme.
«Nessuno ha l'autorità di lasciare la nostra terra a delle disgustose checche con divise e calici di vino!» sputa a terra proprio come Davis.
Mason stringe la presa sulla mazza più che pronto a colpire. I suoi muscoli sono in tensione e la vena sul collo gli pulsa visibilmente.
«Abbiamo ottenuto il permesso scritto e nessuno sloggerà di certo perché non stiamo facendo nessuna violazione. Quindi se non volete passare dei guai dovete andarvene da qui.»
«Ah no?» ringhia Shannon rianimandosi,
avvicinandosi troppo a Mason per mettergli paura. «Nessuna violazione?»
Mason nega mantenendo la calma. «No, nessuna. Adesso andatevene qui stiamo festeggiando.»
Shannon ride. «Altrimenti che cosa mi fai?» lo provoca spingendolo.
Loro vogliono che qualcuno dei King li attacchi, penso guardandoli uno ad uno. Presto otterranno quello che stanno cercando ormai da diversi minuti.
«Userò questa mazza sulla tua testa, mi sembra ovvio. E il piacere sarà tanto...»
«Non ho paura delle tue stupide minacce, pidocchio!»
Mason freme. «Vi do due minuti», ringhia sudando freddo.
Shannon ride forte allontanandosi di un passo poi grattandosi il sopracciglio tagliato di netto all'estremità dell'occhio guarda i suoi compagni che, silenziosamente annuiscono. Il suo è un comando.
«Siete nel nostro territorio. I patti sono patti in fondo. Voi non li avete rispettati credendo che uno stupito foglio avrebbe potuto proteggervi ma... vi sbagliate di grosso. Quindi se non volete assaggiare il veleno degli Scorpions...» si mette da parte indicando il sentiero.
Mason non si scompone. «Nessuno se ne andrà perché come ho detto, abbiamo l'autorizzazione. Quindi quelli a dovere andare siete proprio voi, luridi bastardi. Altrimenti...»
In un attimo si scatena il panico.
Fiamme alte di levano intorno. Alcune ragazze urlano spaventate ritrovandosi al centro di anelli di fuoco, compresa Harper che adesso sembra avere abbandonato la sua corona da reginetta comportandosi come una ragazzina spaventata. Ma sta guardando Mason cercando come tutti delle risposte. Non guarda gli Scorpions o le sue amiche ma il suo ragazzo.
Gli Scorpions scoppiano a ridere mentre Mason stringe la presa sulla mazza non sembrando minimamente colpito dai cerchi che li tengono lontani da loro.
Un momento...
Sono stati i King a farlo? Perché?
«Credi che questo stupido trucchetto ci farà cambiare idea?» attraversa le fiamme senza la minima preoccupazione insieme ai suoi compagni. Il fuoco non sembra scalfirli. Erano preparati a questo? Si aspettavano una mossa del genere?
Li guardo sempre più impressionata.
«Ragazzi è arrivato il momento di fare sloggiare questi snob del cazzo», alza la voce.
Mason appare spaventato. Inizia a guardare ovunque forse capendo di essere caduto nella sua stessa trappola.
Il fuoco viene spento e in breve ognuno di loro viene colpito in modo feroce.
Così, ha inizio una lotta piena di urla e gente che nel panico scappa all'arrivo di tutti quei ragazzi sulle moto pronti a farli a pezzi.
E non si tratta di una lotta per un pezzo di terra. Dietro c'è qualcosa di più importante, profondo.
«L'avevo detto di non metterci contro gli Scorpions», urla una ragazza al suo fidanzato che ferito la segue perdendosi nel bosco.
Io mi guardo intorno smarrita, specie quando vedo dei lampeggianti rossi e blu tra gli alberi, sulla strada, sentendo poi le sirene e qualcuno gridare che c'è stata una soffiata.
Shannon, emettendo un verso simile ad un fischio, richiama gli Scorpions che in breve si allontanano sparendo nel buio mentre i King iniziano a contare le ferite riportate davanti agli agenti che li trascinano uno ad uno, dopo averli catturati al centro della radura dove non vi sono ancora fiamme accese.
Io, non volendo fare la fine di quegli stupidi, notando Harper e Mason in fuga, mi sposto verso il sentiero ma dalla parte opposta.
Quindi è così che funziona da queste parti? Tutti sono una famiglia ma quando arrivano gli agenti o gli Scorpions ognuno provvede a sé stesso?
Metto piede sul terreno umido trovandomi sul bordo che conduce alla strada guardando dapprima a destra poi a sinistra. Vado verso quest'ultima direzione sperando di non perdermi nel bosco.
Per fortuna raggiungo la strada dove regna sovrano il caos di auto che sgommano e gente che fugge rincorsa dalla polizia.
Vengo illuminata da una torcia e rimango di spalle, senza fiato. Il cuore prende un battito, sudo freddo.
Strizzo subito le palpebre urlandomi mentalmente addosso di essere stata una stupita per essermi lasciata trascinare in questo posto senza neanche avere avvisato mio padre che, non appena lo saprà andrà su tutte le furie. Non posso metterlo in ridicolo.
«Fermati! Ragazzi, ho qui una Scorpions», urla una voce maschile. «Che ne facciamo di lei?»
Perché disprezzarli? Solo per il colore vivace dei capelli o per i piercing? Sono persone come tutte le altre.
Faccio un passo avanti affatto intimidita.
«Ho detto fermati e girati lentamente», mi ordina una voce femminile. Non è un agente. Non è più un ragazzo.
Mi volto e Harper ordina a tutti di spegnere i flash dei telefoni. Dietro di lei qualcuno scoppia a ridere.
«Ah, ah divertente!» replico alzandogli il medio.
Purtroppo nello stesso istante in cui mi fa cenno di avvicinarmi si sentono delle sirene e qualche ragazzo che sta scappando ci urla di non farci beccare perché stanno cercando chi ha organizzato la festa e chi ha colpito per primo iniziando la rissa.
Sono troppo distante da tutti loro per cui vado un po' nel panico quando entrando in auto, Harper urla a Mason di partire e lui va subito a marcia indietro girando pericolosamente l'auto, creando un enorme polverone intorno.
Harper esce fuori dal finestrino. «Mi dispiace Erin», mi urla. «Questa è la tua prova.»
«Che significa?»
Rifletto un momento sulle sue parole poi sgrano gli occhi. Ma certo, che stupida! Vogliono vedere se farò la spia quando mi beccheranno. Ma ciò non accadrà perché non intendo finire di nuovo dentro. Ho già passato una notte in una lurida cella e non è stato bello.
Stringo i denti correndo dalla parte opposta mandandola mentalmente a quel paese. Perché è questo quello che si merita. Per me non è affatto un gioco.
Sento lo stridio degli pneumatici, delle voci poi tante luci a poca distanza dove regna il caos di agenti e ragazzi che stanno per essere portati in centrale.
Nel panico torno indietro ma anche qui, a distanza di qualche km trovo la stessa situazione.
Mi sto sentendo come una che ha corso per tutta la vita e non ce la fa più.
Ogni speranza svanisce, ogni sforzo diventa inutile. Mi sembra che non ci sia più niente da fare quando mi accorgo di essere in trappola. Ma sono sempre stata consapevole del fatto che nella vita bisogna avanzare e rischiare. Per cui stringo i denti, i pugni e ancora una volta me la cavo da sola.
Passo le mani tra i capelli per togliermi dalla faccia i ciuffi sfuggiti dallo chignon e non dandomi per vinta escogito un piano. Posso addentrarmi nel bosco, trovare il sentiero, raggiungere...
«Ehi tu...»
Vado nel panico quando un agente a poca distanza si accorge di me. Me ne sto sul ciglio della strada, impalata.
Nello stesso istante in cui mi urla di fermarmi, sentiamo un enorme rombo, delle urla e poi davanti a me si ferma un tizio degli Scorpions in sella ad una moto nera. Le ruote di questa scivolano sull'asfalto creando una sorta di fumo.
Non riesco a vedere il suo viso perché è nascosto dal casco ma vedo bene il suo cenno quando mi ordina di salire su. Senza neanche pensarci un momento mi salvo le penne.
Le sue mani, quando salgo in sella alla moto, portando le mie sul suo addome coperto dal giubbotto di pelle. Mi aggrappo guardando la scena in cui la moto dapprima ferma prende velocità impennandosi, scattando in avanti a gran velocità, balzando sul paraurti di una delle auto della polizia che sono messe affiancate per non permettere più a nessuno di scappare.
Il volo e la fase di caduta lo sento appena perché quando ci ritroviamo per strada mi rilasso intuendo di essere salva e soprattutto ancora intera.
Gli agenti urlano di fermarci rincorrendoci per qualche metro. Non mi volto neppure per non essere riconosciuta.
Mi aggrappo solo al ragazzo che mi sta salvando la pelle, chiudendo gli occhi quando il mondo davanti diventa sfuocato a causa della velocità alla quale stiamo viaggiando.
Dopo un paio di km, rallentiamo e finalmente posso aprire gli occhi. Allento lievemente la presa riprendendo a piccole boccate il fiato trattenuto durante la rincorsa, il salto e poi la corsa sfrenata e pericolosa sulla strada umida a causa della pioggia che sta iniziando a scendere da un cielo improvvisamente minaccioso.
Annuso l'aria ma alle mie narici mi arriva forte l'odore del ragazzo che sa benissimo dove lasciarmi, visto che arrivo davanti casa del tutto incolume.
Mi lascia quasi al volo e quando rimetto piede sul vialetto, traballo scossa dall'adrenalina che continua a circolarmi dentro.
I miei occhi cercano i suoi nascosti sotto la visiera del casco che non alza mentre il cuore mi batte all'impazzata.
«Grazie», dico balbettando.
«Sei in debito sirenetta», esclama una voce bassa, malinconica. «Verrò a riscuoterlo presto.»
Il suo tono mi colpisce il cuore insieme al nomignolo che usa con disprezzo misto a divertimento.
Ciò che noto, prima che faccia inversione e sparisca: è uno strano tatuaggio sul collo simile ai rami di un albero.
«Dimmi almeno come ti chiami», urlo ma è già troppo lontano per rispondere.
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