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19

Raggiungiamo il bagno tra le mie risate e il suo respiro che cambia in fretta. Mi mette giù indietreggiando verso la vasca e tenendomi d'occhio per non farmi scappare gira il rubinetto per riempirla.
Quando l'acqua è sufficientemente alta, sfiora la superficie accertandosi che non sia troppo calda.
Cerco di muovermi il meno possibile anche se dentro muoio dalla voglia di continuare a ridere e a strillare come una pazza isterica. Mi diverte il modo in cui mi sta guardando e mi fa sentire elettrizzata, piena di energie e sempre pronta a rispondere ad ogni suo possibile attacco improvviso.
Lego i capelli facendo uno chignon ordinato. Recupero due forcine per non fare scappare via qualche ciuffo ribelle.
Kay non perde un movimento. Staccandosi dalla vasca da bagno si avvicina lentamente, con le movenze di un rapace pronto ad afferrarmi, a portarmi in alto tenendomi stretta tra i suoi artigli.
Non fa male ma sento già la pelle prendere fuoco e la mente deragliare altrove.
Chiude la porta facendo scattare di proposito la serratura chiedendomi silenziosamente il permesso di avvicinarsi e spogliarmi di tutto, persino dalle incertezze che spesso non riesco a nascondere.
Anche se non è il primo ragazzo con cui ho a che fare, in sua presenza mi sento diversa. È come se dovessi affrontare un diavolo tentatore e avessi in partenza la sensazione di perdere. Cosa che non mi è mai successa. Forse perché ho sempre incontrato i tizi sbagliati e ho preferito troncare ogni tipo di relazione prima che fosse tardi.
Con lui però è diverso. Lo è sempre stato tra di noi. Sin dal primo istante ci siamo come incastrati in una trama che continua ad ingarbugliarsi e a farci avvicinare.
Penso spesso che questo sia solo il destino che ha intenzione di giocare con noi facendoci provare sensazioni ed emozioni contrastanti, spesso imbattibili, indelebili.
Vedo dai suoi occhi che preferirebbe di gran lunga agire, senza blocchi, senza filtri, senza regole. Gli è sempre piaciuto prendere quello che vuole quando lo vuole e non ha mai accettato i no come risposta.
Inizio a sentirmi in bilico quando mettendosi davanti a me afferra il bordo della maglietta grigia che indosso pronto a togliermela, a liberarmi di un primo strato di incertezza.
Anche se vedo spesso i segnali di un'attrazione fisica da parte dei ragazzi, prima di commettere un grosso errore, mi fermo sempre a pensare a quello che sento. Mai prima di adesso credo di avere percepito così tanto il suono palpitante del mio cuore. Sta battendo in modo diverso e non accenna a darsi una calmata. Tutto questo solo per uno sguardo, per un gesto da parte del mio peggiore nemico.
Tiene le dita strette e di tanto in tanto mi sfiora la pelle nascosta sotto lo strato di cotone. «Porti qualcosa sotto?»
Ed ecco che dà ufficialmente il via ad un gioco pericoloso. Quello in cui lui è il gatto demoniaco ed io il topolino angelico.
Sa benissimo che sotto la maglietta non porto niente a parte una consistente e ripetuta caterva di brividi.
Preferisce stuzzicarmi, mettermi in difficoltà, provocarmi sensazioni forti, mai percepite e che non posso più scrollarmi di dosso proprio perché sono estremamente intense, uniche.
Le mie mani indugiano prima di posarsi sulle sue spalle. «Sai che non porto niente sotto», rispondo usando un tono basso, provocatoriamente malizioso.
Indugia strizzando una palpebra facendomi fremere e avere il desiderio di affondare le dita tra i suoi capelli per attirarlo alla mia bocca.
Sto facendo del mio meglio per trattenermi. Con lui sembra così facile perdersi. Eppure c'è ancora un lato di me che non desiste. Lo ascolto con costanza perché so di dovere fare molta attenzione quando si tratta di Kay Mikaelson.
Indica la vasca. «Ti va...»
Ogni parola che lascia in sospeso è un nuovo battito che si aggiunge alla serie interminabile dentro il mio sterno.
Inumidisco le labbra prima di schiuderle. «Non avevi detto: "Visto che ho affrontato tuo padre ottenendo la sua approvazione mi devi un premio. Posso scegliere io: doccia insieme, adesso!"», lo scimmiotto ripetendo parola per parola, facendogli capire che lo ascolto con interesse e non solo quando ha bisogno di attenzioni.
Perché in fondo anche se lo nasconde bene, io so che sotto quello strato duro e resistente di ghiaccio si nasconde un ragazzo diverso.
Un lampo divertito attraversa subito le sue iridi. «Vedo che mi ascolti qualche volta. Esatto, voglio fare un bagno con te. Adesso!»
Non si muove. «Allora che cosa ti blocca?»
Lascia andare il bordo della maglietta dopo averlo stretto così forte da stropicciarlo. Le sue mani si posano sul mio fondoschiena e dopo un brevissimo istante mi avvicinano a sé.
In punta di piedi, il respiro trattenuto e gli occhi fissi, attratti dai suoi che brillano di luce propria, tremo.
«Tu», risponde semplicemente.
Sento una ruga formarmisi sulla fronte. «Io?», sono confusa e non lo nascondo.
Annuisce. «Si, tu. Riesci a bloccarmi, Erin», mormora.
Non so dire se questa cosa lo faccia arrabbiare o se sia un monito in più per farlo agire.
«Perché?»
Piega leggermente il capo studiandomi. «Perché sento che hai paura di me. Sento che non vuoi aprirti ancora un po', avere la libertà di mostrarti per quella che sei davvero con me.»
D'impulso rispondo: «Intendi nuda».
Finalmente sorride. «Anche», indietreggia verso la vasca stringendomi la mano. «Però sai che qui dentro, nel tuo bagno, siamo solo io e te. Siamo noi due. Inoltre, ho già visto il tuo seno...», sfiora le mie guance rosse con i polpastrelli sempre caldi e morbidi. Lascio che racchiuda la guancia sul palmo quando apre la mano tenendomi ferma.
Si sta aspettando una spiegazione da parte mia. Non so con esattezza se ci sia un modo per fargli capire come mi sento quanto sto insieme a lui.
Lo guardo timida. «Devo solo abituarmi ai tuoi modi. Non è che ogni giorno avevo a che fare con un ragazzo nel bagno di casa o nella mia stanza», esclamo.
Si fa attento. «E che cosa facevi con i ragazzi?»
Rido. Sento un certo sfarfallio sulla bocca dello stomaco e cerco di reprimere la voglia di gettargli le braccia al collo prendendolo un po' in giro. Piuttosto decido di essere sincera perché non mi sembra il caso, soprattutto visto il modo in cui mi sta fissando. Non è di certo lo sguardo di un orsetto di peluche.
Ha di nuovo quell'espressione distante, da rapace. Non si mettono bene le cose per me quando escogita un piano restando in silenzio.
«Niente di quello che pensi», mi avvicino al suo viso. «Posso essere sincera?»
Annuisce in fretta. «Devi!»
«Non ho mai permesso a nessuno di spogliarmi o toccarmi. Sei il primo che si permette e non ha ancora perso le dita delle mani», sussurro.
So che quello che ho appena detto mi mette in una posizione di svantaggio però non mi importa apparire per quella che non sono con lui. In fondo, mi vede intera, mi vede dentro e non scappa a gambe levate.
«Posso spogliarti?», sembra smanioso.
Parto alle contrattazioni. «Posso tenere gli slip?»
Stringe le labbra. Gli ho appena tolto il divertimento. «Se questo ti fa sentire più a tuo agio con me devi tenerli, puoi anche indossare il reggiseno», mi rassicura.
Nego muovendo la testa. «Spogliami», dico con una certa sicurezza mascherando la sorpresa.
Sorride maliziosamente. «Be', se me lo chiedi così...», mi sfila la maglietta facendo attenzione a non rovinarmi i capelli. Un gesto che apprezzo molto.
Ammira la mia pelle già piena di brividi. Non c'è uno spazio libero.
Continuando a guardarmi fisso negli occhi, si abbassa baciandomi piano il collo fino a raggiungere il mio seno. Scende poi con un sorrisetto sfrontato lungo lo sterno passando per l'addome e poi è sotto l'ombelico, sul ventre.
Le mie mani si posano sulla sua testa. Ci fermiamo, nessuno dei due si muove o osa fiatare.
Silenziosamente gli do il permesso e con un gesto secco, frenetico, tira giù i pantaloncini lasciandoli cadere al suolo. Li scaccio allontanandoli con un piede.
Si rialza. «Credo di avere finito. Anche se mi sarebbe piaciuto tirare giù anche tutto il resto. Magari con i denti», li mostra passandoci sopra la lingua.
Evito di imbambolarmi come una stupida prendendo in mano la situazione. «Tocca a me?»
Inizialmente non capisce poi i suoi occhi si accendono e sorride come se gli avessero appena detto che ha vinto alla lotteria.
«Nessuno ha mai chiesto di spogliarmi. Non che io generalmente lo permetta», ammette riferendosi alla sua schiena.
Mi avvicino. «C'è sempre una prima volta, Kay».
Sembra trattenere il fiato. «A quanto pare... si», batte le palpebre un paio di volte. «Procedi.»
Per rendere tutto più divertente e imprevedibile, muovo i fianchi come se stessi ballando. In questo modo mi strofino su di lui sfiorandogli la pelle che sembra accendersi come un falò.
Sulle guance gli di deposita un delicato alone di rossore.
È la prima volta che lo vedo vulnerabile sotto questo aspetto.
«Non mi renderai le cose facili, vero?», soffia accaldato.
Ridacchio. «Hm, no!»
Sollevo piano la maglietta fino a sfilargliela dalla testa e guardandolo con malizia indietreggio lasciandola cadere sul pavimento.
La sua mano sul fianco mi avvicina per riavere il contatto di prima. Le mie dita toccano i suoi pettorali. Faccio attenzione a non sfiorare i lividi in via di guarigione e il segno lasciato sulla sua pelle delicata dal lampo. Le faccio scorrere giù, lentamente, così tanto da farlo fremere e contrarre lo stomaco.
Inutile negare che mi sto sentendo elettrizzata e potente.
Sollevo gli occhi aprendo con movimenti lenti i pantaloni.
Si lascia sfuggire un gemito trattenendosi a stento. Odia essere frenato.
Sorrido maliziosa tirando in basso la cerniera.
Intuisce il mio gioco lasciandomi fare, torturandomi in risposta con le dita lungo la schiena nuda.
«Ti stai vendicando?», sibila a denti stretti fermando i miei gesti, premendomi a sé con forza facendomi scontrare sul suo petto scosso dall'affanno. Il respiro caldo a posarsi sulla mia pelle come una carezza ripetuta.
Avvicino il viso e lui abbassa il suo ritrovandoci a metà strada. «Ti piace così?»
Inutile descrivere il modo in cui sorride. «Posso farti sentire quanto se me lo permetti», replica sempre pronto.
Tiro in basso i pantaloni e quando poso un piccolo bacio sul suo petto chiude gli occhi inspirando di scatto passandosi la mano sul viso poi sulla nuca.
Continuò imperterrita e soffia accaldato. «Erin...», pronuncia il mio nome con voce colma di desiderio.
Capisco al volo che mi sta dando la possibilità di tirarmi indietro. Che questo è il suo unico modo. Vuole che mi sposti, che mi stacchi dal suo corpo che brucia ma non ci riesco. La sua pelle continua ad attrarmi e il suo odore ad avvolgermi.
Raggiungo tempestando di piccoli baci l'addome ridacchiando e lui mi tira subito in piedi.
Gli getto le braccia al collo facendomi sollevare leggermente. Affonda il viso sul mio collo tenendomi ferma con un braccio sulla schiena e la mano sulla nuca baciandomi sotto l'orecchio ripetutamente.
Mi agito ma questo non gli dà la giusta motivazione per smettere e io non mi stacco da lui, neanche quando tira la pelle con i denti.
«Hai un odore buonissimo», mormora piano e sensualmente da farmi tremare le ginocchia e il cuore. Mi reggo a stento sulle sue spalle. Vorrei rispondere "anche tu", ma le parole sembrano lontane e la lingua attaccata al palato.
«Così buono che mi viene voglia di assaggiarti e mangiarti», continua premendo abbastanza forte le labbra sulla mia gola da costringermi a muovere il ventre facendolo ansimare insieme a me.
Mi porta con sé verso la vasca entrando in acqua, facendomi cenno con l'indice e con l'espressione di un bambino di avvicinarmi e unirmi a lui.
Controllo che l'acqua non sia troppo calda immergendo il piede destro sistemandomi velocemente più che a mio agio davanti.
Bagno le spalle per non sentire freddo.
In un primo momento mi osserva poi prova ad avvicinarmi a sé ma premo il piede sul suo addome scolpito fermandolo, guardandolo con un sorrisetto perfido che dice: "non puoi toccarmi".
Stringe forte il bordo della vasca. Ovviamente non lo accetta. «Non era così che stavamo giocando. Avvicinati!», replica mettendo il broncio.
Non mi lascio convincere così facilmente. Gli lancio un po' d'acqua in faccia.
Mi scocca un'occhiataccia. «Non è divertente.»
Ghigno. «Neanche un po'», lo prendo in giro schizzandolo di nuovo.
Gira il viso afferrandomi. «No.»
Rido e quando mi avvicina lo abbraccio. «Invece lo è. Non riesci proprio a resistere, vero?», indico le sue braccia intorno al mio corpo già stretto al suo.
Inspira gonfiando il petto come se volesse bilanciare le parole per non sbagliare. «Direi che qui adesso abbiamo un grosso problema», indica i boxer, il rigonfiamento.
Abbasso gli occhi staccandomi leggermente da lui.
«Vuoi che mi allontani?»
Dentro di me spero vivamente di non farlo. Non ho mai percepito una sensazione di tepore sulla pelle così piacevole.
Forse è vero che in un attimo ci si ritrova in un turbine dalla quale non si può più uscire. Kay sta diventando la mia dipendenza dopo anni di distacco.
«No, ma preferirei che non ti muovessi troppo su di me», mi prega silenziosamente.
Anche se la voglia di stuzzicarlo è tanta, decido di comportarmi da adulta voltandomi, mettendomi comodamente appoggiata al suo petto.
Afferro la sua mano sfiorando i lividi violacei. «Ti fanno male?»
Ha una piccola stella sull'anulare sinistro. Mi chiedo come mi starebbe un tatuaggio così piccolo sulla pelle.
Preme la guancia alla mia. Le nostre dita giocano e quando si toccano sono innumerevoli le scosse che mi raggiungono.
Apre e chiude il pugno. «No», torna a giocare con le mie dita. «Se te lo stai chiedendo: rifarei tutto e non una ma altre volte, per te».
Mi volto girando un po' il busto. Le mie dita sfiorano una delle vene scure. Si agita allontanandomi la mano come se avesse appena acchiappato una mosca.
«Non voglio che fai a pugni per me tutte le volte che qualcuno insinua qualcosa su di noi», rispondo.
Sta già scrollando la testa. «Credi che mi importi di questo?»
La mia mano si ferma a metà strada poi la ritiro. «No... non voglio che ti fai male.»
«E io non voglio più vederti accasciata a terra», sbotta con rimprovero.
«Anche se mi dispiace ammetterlo... sei così diverso da come ti mostri...»
Prende la spugna gialla passandola sulla mia spalla. «Sono cambiato, proprio come te», lascia scivolare due gocce sul mio naso passandoci sopra l'indice. Continua sulle mie labbra. «Tu ricordi il bambino viziato e spericolato che ti faceva arrabbiare o ti stuzzicava continuamente. Adesso sono come la versione aggiornata... direi un po' più responsabile e irresistibile.»
«Quanta convinzione!»
Guardo le sue labbra e lui le mie. Nessuno dei due sembra volere smettere, spostare l'attenzione altrove.
Ci avviciniamo attratti. Lui la calamita e io il ferro.
Il cuore prende a battermi in modo convulso non più in grado di reggere la tensione.
Entrambi scattiamo all'unisono. L'acqua oscilla rischiando di uscire dal bordo della vasca mentre mi sistemo a cavalcioni su di lui.
«Forse dovresti vederti attraverso i miei occhi», sussurra.
Sorrido in modo dolce. «Ti vedo».
Racchiude il mio viso tra i suoi palmi. Siamo bocca contro bocca, a distanza, non di sicurezza.
«E dovresti anche sentire qualcosa», freme facendomi inarcare la schiena. «Magari che ti voglio...»
Mi reggo a stento sulle sue braccia. «Si?»
«Si, tanto.»
Sto per replicare ma le sue labbra si abbattono sulle mie per un bacio eloquente. Mi spingo su di lui sentendolo tremare sotto il mio corpo che si attacca al suo lasciandosi incendiare.
«Erin...»
«Lo so», mormoro tornando al posto di partenza, davanti a lui. Riprendo fiato.
Kay passa entrambe le mani sul viso poi tra i capelli tirandoli, scompigliandoli nervosamente. «Non mi sono mai dovuto trattenere così tanto. Mi rende nervoso, mi fa fare pensieri che non dovrei...»
Porto le ginocchia al petto dopo essermi abbassata sotto l'acqua per scaldarmi.
Vorrei potergli dire che provo la stessa cosa ma non sono coraggiosa abbastanza. «Per te è difficile?»
«Trattenermi? Si, soprattutto se mi resisti ed io... tendo a prenderla come una sfida rischiando di sbagliare e mandare tutto a puttane. Ma non ti farei mai fare qualcosa che non vuoi.»
«Lo so.»
«Allora perché rischi così tanto? Perché provi a farmi impazzire?»
Mi avvicino di nuovo a lui.
Freme. Con il pollice massaggia la mandibola arrivando alle mie labbra. I brividi scorrono lungo la schiena. Riesco a fare muovere la mano mettendogliela sul petto. Percepisco sotto i polpastrelli il suo cuore. Rapido come il mio.
«Dimmi di non farlo. Dimmi di fermarmi».
Rimango un momento in silenzio, incapace di dirgli che mi fido di lui. Non mi fa paura ritrovarmi tra le sue braccia ma quello che il mio corpo potrebbe spingermi a fare perché chiede bramoso il suo tocco.
«Sto cercando di mettere tutta la distanza possibile tra di noi per evitarlo. Non sono bravo a trattenermi. Tu stai rischiando grosso ed io di non resistere abbastanza. Quando si tratta di te, non mi fido più di me stesso».
Non sapendo come calmarlo cambio discorso. «Non ti preoccupa quello che potrebbe succedere oggi alla riunione?»
Riflette un momento giocando con la spugna mentre prendo il bagnoschiuma massaggiandogli il petto evitando di toccare la parte colpita dal fulmine.
Ho cambiato argomento proprio per evitare di cadere in inutili trabocchetti.
«Non ho paura per me.»
Alzo gli occhi. «E di cosa hai paura?»
Sciacquo via la schiuma e lui mi avvicina. «Di non trovarti al mio risveglio come questa mattina», dice battendo velocemente le palpebre.
La mia mano si ferma così come il mio cuore prima di tornare a battere frenetico.
«Che cosa hai provato?»
Si agita. «Posso essere sincero senza essere preso in giro?»
«Promesso», attendo impaziente.
Sfiora le mie labbra. La lingua lascia una lieve scia sul collo, sotto l'orecchio. Tiene fermo il mio viso torturandomi. «Ero terrorizzato», confessa.
Non sorrido, non gioisco euforica, non lo prendo in giro. Rimango a guardarlo fisso negli occhi spiazzata. Infine gli faccio una carezza, poi deposito un bacio sulle sue guance alzandomi.
Indosso un asciugamano dirigendomi in camera dove cerco una felpa e un paio di pantaloni comodi optando per quelli della tuta.
Mi accorgo di avere pochi indumenti puliti a disposizione. Per questa ragione separo quelli dentro la cesta per lavarli.
In realtà sto solo cercando una distrazione.
Ho paura di quello che provo per lui. Ho paura di come mi fa sentire. Ho paura di guardarlo veramente negli occhi e perdermi per sempre nell'abisso del suo sguardo così intenso. Perché quello che è per la mia anima realmente non lo so. So solo che quando mi sta accanto è come avere il sole sulla pelle e il freddo dentro le ossa. È un ossimoro tossico in grado di dare una piccola scossa ai miei sensi.
Lui scrive poesie su quelle parti di me che non sopporto. Sul cuore che batte senza controllo. Sulla mente che viaggia senza rotta.
Kay mi raggiunge sedendosi sulla sedia davanti alla scrivania guardando il letto ancora sfatto. «Perché sei scappata?»
Giro per la stanza cercando di mettere in ordine anche quello che è già al suo posto per evitare di guardarlo negli occhi e sentirmi strana.
Ho già messo in azione la lavatrice e ho tolto tutto quello che c'era da togliere, anche la polvere sulle superfici.
«Non so di cosa stai parlando», tiro le federe dai cuscini e le lenzuola prendendo quelle pulite dall'armadio e lui si alza aiutandomi a rifare il letto.
«Io dico di sì. Prima hai avuto una strana reazione. Sono stato troppo diretto o ti ho spaventata?»
Sto già negando. «No, hai fatto bene a dirmi la verità. Odio chi mente», balbetto, le mani mi tremano. In realtà sto già tremando da giorni e non dal freddo.
Mi ferma. «Erin, perché mi eviti?»
Lo spingo. «Perché mi terrorizza il pensiero di donarti la mia anima e tutto il mio cuore. Perché ho paura di fare o dire la cosa sbagliata. Io... non sono abituata ad avere qualcuno costantemente accanto perché sono sempre stata abbandonata e non so come comportarmi», strillo agitata. «E quello che sento per te mi terrorizza perché vorrei tanto lasciarmi andare completamente con te ma non ci riesco perché subito dopo penso di essere una delle tante che vuoi portarti a letto. Una sfida, proprio come hai detto.»
Mi lascia andare barcollando indietro. Cerca di capire, colpito dalla forza che stanno avendo le mie parole.
«Tu lo sai. Lo sai che io non sono una che si attacca tanto. Sono una che ci sbatte sulle cose, soprattutto contro le persone, quelle sbagliate. Sai che ho la testa incasinata e non solo dalle parole o dai ricordi. Sai che non so gestire i sentimenti. Ma non sai che quando mi tocchi di te mi rimane addosso un nuovo livido. Ed io... sono così confusa per quello che mi fai provare. Sai che mi fai male ma che non riesco a farne a meno.»
Adesso barcollo io. «È troppo quello che sento per te. Mi confondi, mi fai sentire euforica ma sei anche in grado di distruggermi e io... sono terrorizzata al pensiero di darti tutta me stessa e poi ritrovarmi... con le braccia vuote, con gli occhi pieni di tristezza e il petto colmo di rabbia. Sono anni che mi proteggo. Sono anni che non piango. Adesso arrivi tu e mandi ogni cosa a puttane!», gesticolo agitata. «E ti odio per questo!»
Sono così affannata da non rendermi conto di tremare come una foglia.
Kay scatta subito verso di me provando ad abbracciarmi. Lo lascio fare nascondendo il viso sul suo petto nudo. Mi massaggia con le dita la nuca tenendo il mento sulla mia testa, oscillando lentamente. «È la cosa più... importante che mi abbiano mai detto. Mi sento in difetto con te. Hai la capacità di strapparmi un sorriso e di lasciarmi sempre senza fiato, privo di parole che possano uguagliare le tue. Sei incredibile!»
Lo guardo smarrita. «Non è facile avere un rapporto con me. Non sono una persona equilibrata e come vedi, le due parti hanno appena lottato facendo uscire un lato che da tempo cerco di tenere a freno.»
Bacia delicatamente la mia fronte. «Ho notato e mi sono allarmato. Adesso mi sento un vero coglione ad averti provocato così tanto. Va un po' meglio?»
Lascio uscire un sospiro dopo avere riempito il petto ed essermi sgonfiata come un palloncino. «Dovevo liberarmi dai pensieri o sarei morta.»
Mi sorride. «Bene, mi fa piacere che l'hai fatto. Proverò anch'io. Dobbiamo essere sinceri tra di noi».
Mi stacco. «Distanza di sicurezza. Inizia da questo», anticipo una cosa del mio elenco personale.
Incrocia le braccia. «Quando la utilizziamo?»
«Quando sentiamo che le cose iniziano a farsi complicate proprio come adesso», detto ciò scendo al piano di sotto.
Mi raggiunge dopo qualche istante indossando una felpa sui pantaloni della tuta rigorosamente nera. Cammina a piedi nudi raggiungendomi in soggiorno dove sedendosi comodamente picchia il palmo sul divano per farmi avvicinare.
Aumento il riscaldamento e recuperando il plaid gli passo il telecomando sistemandomi accanto a lui.
Accende la tv. «Per cose complicate intendi quando l'attrazione tra di noi inizia a farsi sentire così forte da annebbiarti o...»
«Esatto», guardo lo schermo tirando sopra il mento il plaid.
Kay sistema una parte del plaid sulle gambe. «Ci comporteremo da idioti adesso?», sembra improvvisamente nervoso.
«Cioè?»
«Ci guarderemo, ci baceremo, ci toccheremo e poi faremo finta di essere due estranei? Non credo di averne voglia. Io ti voglio tutta anche quando sei un demonio.»
Ci guardiamo complici. «Ma noi siamo ancora due estranei», esclamo per stuzzicarlo.
Mi guarda subito male. «Odio quando ti comporti così!», brontola. «Sul serio. Mi viene voglia di tapparti la bocca.»
Ridacchio appoggiando la testa sulla sua spalla, intrecciando le braccia intorno al suo. «Lo so», continuo ad avere stampato in faccia un sorriso da stupida.
Mi bacia la tempia incastrando le nostre dita. «Tanto lo so che come tutte le ragazze ti piace sentirti desiderata e al centro dell'attenzione, la mia.»
«Quanta convinzione!»
Mi sbatte un cuscino in faccia e rido.
Guardo il mondo fuori dalla finestra e sta piovendo. Non c'è traccia di vento, solo una leggera pioggerella e qualche tuono che arriva da lontano.
«E poi, non stai bene qui con me? Non ti faccio sentire al sicuro?»
È così serio da trapassarmi il cuore il suo sguardo dolce e deciso. Attende una risposta e adesso sembra impaziente.
«Al sicuro come il coniglio nella tana del lupo», dico con sarcasmo.
Ricevo un'altra cuscinata. «Ahia!»
«Non mi dai mai una risposta poi ti blocchi e mi urli tutto in faccia comportandoti da stronza.»
Sospiro avvicinando le labbra sul suo collo. «A me piace essere stronza», soffio sulla sua pelle.
Si agita voltandosi, sistemandosi a distanza. «Lo vedo. Anche troppo...»
Mordo il labbro decidendo su due piedi di essere sincera con lui. Forse ha bisogno di un po' di sicurezza, magari di una certezza. «Quando sono con te mi trovo bene. Ogni tanto mi fai arrabbiare ma non mi sentirei così se non ci fossi tu.»
Corruga la fronte. «Che cosa intendi?»
Mi permette di raggiungerlo dimezzando la distanza che ci separa. Mi attira persino sulle sue gambe. Stringo le dita sulla sua felpa. «Che con te io sto bene. Con un altro non ci riesco perché a quanto pare non sei tu.»
Mi guarda per un nano secondo di troppo. Il mio cuore accelera i battiti picchiando forte sullo sterno. Porto la sua mano nel punto in cui si sente maggiormente il frastuono che mi provoca.
«Senti, io non sono capace a dire quello che provo ma voglio che tu sappia che mi sento a mio agio con te, nonostante tutto. Anche quando sei... un bastardo privo di lucidità.»
Mi fa scivolare sotto il suo peso baciandomi con una passione nuova. Le sue mani si muovono frenetiche.
«Ti fidi di me in questo momento?»
«Si», mugolo. «Se me lo chiedi così, si», aggiungo.
Affannato abbassa i miei pantaloni facendomi piegare le ginocchia. Gemo mordendogli il labbro inferiore quando la sua mano si insinua tra le mie cosce.
Che sta facendo?
Sentiamo due colpi alla porta e questi ci fanno staccare. Mi ricompongo e frastornata vado a controllare chi sta bussando ripetutamente.
Apro la porta trovando davanti a me la vicina con il suo cane simile ad una palla di pelo sottobraccio e un ombrello giallo evidenziatore da fare male agli occhi. «Ciao Erin, sono la signora Louis.»
Tengo la porta socchiusa, pronta a sbattergliela in faccia. Non sopporto la sua invadenza, specie dopo quello che ha raccontato a mio padre.
Sento ancora il fiato corto come se avessi corso per ore e le guance accaldate e mi appoggio alla superficie per avere un sostegno.
Quando penso che Kay è pericoloso, non mi sbaglio. Lui mi mette in subbuglio tutto quanto.
«Si, so chi è. Le serve qualcosa?»
«Piccola, chi è?»
Kay corre in mio soccorso spalancando la porta e la signora Louis indietreggia alla vista del ragazzo che ha tolto di proposito la maglietta mettendo in bella mostra i tatuaggi e il segno.
Vedo proprio lo sguardo allarmato della donna dai capelli cotonati di un nero sbiadito tagliati a fungo. I suoi occhi castano dorato carichi di curiosità guizzano da me a lui. Accarezza la testa del cane affondando le unghie laccate di smalto ocra sul suo pelo lungo e apparentemente morbido, questo continua a sbavare emettendo un verso simile a quello che si fa quando si ha l'asma. I suoi occhietti neri si chiudono per qualche istante per poi riaprirsi mostrandone uno più grosso dell'altro.
«Volevo solo...»
Kay esce sul portico e lei indietreggia scendendo i gradini quasi di corsa.
«Voleva sbirciare ancora dalla finestra o partecipare alla festa in salotto? L'ho vista sa, era dietro il vetro a spiarci. Non so quello che ha in mente ma so quello che farò io a breve...», ringhia minaccioso con le mani sui fianchi.
La signora Louis cammina sempre più indietro mentre Kay sembra volerla incenerire all'istante.
Io al contrario me ne sto impalata a sentirmi una vera stupita. Non avevo notato quella pettegola spiarci e mi sono lasciata annebbiare permettendo a Kay di prendermi in giro.
«Io...», prova a parlare per giustificare la sua visita ma la voce le esce stridula. «Mi dispiace...»
«Se non le dispiace adesso deve tornarsene a casa da suo marito e deve smettere di disturbare la mia ragazza. Già, ha sentito bene. Erin Wilson sta con me, Kay Mikaelson! Suo padre lo sa e approva. Adesso che conosce la verità, spero di non incrociare il suo sguardo di nuovo o chiamerò a raccolta i miei amici. Conosciamo i vostri amanti.»
La donna mette una mano in alto. Ha il viso paonazzo e gli occhi sgranati. «Scusatemi io...», balbetta e quando Kay fa un passo avanti per poco non urla scappandosene in casa.
Kay si volta vittorioso ma rientro di corsa in casa dopo averlo guardato storto.
Salgo al piano di sopra facendo i gradini a due a due, inciampo una sola volta ma arrivo in tempo chiudendo a chiave la porta della mia stanza e la finestra.
Kay, rincorrendomi e arrivando in ritardo di un secondo, picchia il pugno sulla superficie. «Erin, apri!»
Nego odiandolo. Era questo quello che intendevo prima. Riesce a farmi sentire unica e poi mi sbatte al suolo, mi usa.
Mi rannicchio all'angolo abbracciandomi, dondolando lentamente.
Kay picchia forte il pugno e per poco non lancio un urlo. «Apri o sfondo questa maledetta porta!»
Senza attendere agisce e la porta inizia a traballare. In breve si spalanca con un tonfo quando sbatte contro la parete facendo tremare tutto.
Entra come una saetta ma trovandomi all'angolo si immobilizza. I pugni stretti in vita, il petto scosso.
Mi alzo di scatto per non dargli la soddisfazione di vedermi in questo stato. «Sei una testa di cazzo!»
Stringe le dita sul dorso del naso. «Se te lo dicevo lei se ne sarebbe accorta e sarebbe scappata», ringhia innervosito.
«Non mi importa. Vattene!»
Nega. «Non se ne parla. Non reagisci così e non mi allontani, signorina!»
Prova a toccarmi e mi scanso sentendomi presa in giro. «Distanza di sicurezza, ti dice qualcosa?»
Contrae la mascella. «Cazzo!», urla picchiando il pugno contro la parete mentre scendo al piano di sotto per non averlo davanti. La voglia di urlargli in faccia è così tanta da bruciarmi le viscere.
Kay mi raggiunge e sollevandomi per le ginocchia, caricandomi in spalla, mi riporta in camera dove mi lascia cadere sul letto bloccandomi per i polsi. «Stammi bene a sentire: ho passato anni a sopportare a malapena la tua mancanza e adesso che sei tornata non ho nessuna intenzione di sentire ancora quella cazzo di sensazione. Tu non puoi andartene. Non puoi lasciarmi così. Urlami addosso piuttosto ma non farmi sentire...», deglutisce. «Solo», sussurra lasciandomi andare.
Sono sconvolta quanto lui. Massaggio i polsi. L'impronta della sua stretta brucia ma in questo momento poco importa.
«L'ho fatto per aiutarti. Non ho elaborato nessun piano. Non c'era malizia. Pensavo che avresti capito e so che hai capito ma non so quello che ti sta frullando dentro la testa in questo istante.»
Mi sento una stupita. Ho avuto una bruttissima reazione. Mi sono sentita una vera idiota e la sensazione mi ha lasciato dentro un fastidio che vorrei strapparmi di dosso.
Lo avvicino. Con un ringhio di desiderio le sue labbra si infrangono sulle mie. Ogni parte di me reagisce rispondendo al suo bacio.
«Adesso arriva la parte in cui mi faccio perdonare?», soffia a fior di labbra.
«Si», rispondo incerta.
«Allora preparati, ti porto a pranzo. Sarà meglio uscire.»
Scruto nei suoi occhi. «Non è un appuntamento, vero?»
Indossa un paio di jeans neri e una camicia sagomata dello stesso colore che abbottona velocemente, quasi come se lo facesse da una vita.
Le sue dita si muovono sicure e non posso togliergli gli occhi di dosso, neanche quando si avvicina. «Perché? In caso contrario ti rifiuterai categoricamente? Sai che ho i miei metodi di persuasione», sorride tutto denti.
Lo spingo. «Mi sarebbe piaciuto rimanere a casa oggi ma va bene, solo se andiamo a piedi».
«Hai accettato?»
«Si», dico insicura.
Emette un sospiro. «Pensavo sarebbe stato difficile convincerti.»
Indosso un top con il pizzo e jeans a vita alta. Il tutto davanti a lui che si gode lo spettacolo dopo avere sistemato i cardini della porta.
Indosso il cappotto prendo la borsa e sono pronta. «Sono presentabile?», chiedo sciogliendo i capelli che scendono sulle spalle in morbide onde.
Mi porge la mano. «Non chiederlo neanche! Sei l'unica ragazza presentabile senza trucco, in realtà anche in pigiama e al risveglio», scende il primo gradino voltandosi vedendomi indugiare. «Che c'è?»
«Era un complimento?»
Sorride in modo dolce. La tempesta sembra essere passata e un raggio di sole si fa strada sul suo viso. Mi riscalda facendomi sentire al sicuro.
«Non sono bravo con queste cose, ma può darsi», mi lascia il dubbio addosso.
Fuori, la giornata sembra ancora incerta. Non piove più ma per sicurezza prendo il mio ombrello nero a pois bianchi infilandolo dentro la borsetta.
«Perché ti vesti sempre di nero?»
«Penso sia uno dei colori più profondi e significativi», rispondo brevemente. «Non dovresti fare queste domande, visto che sei il primo ad essere monocromatico.»
Nasconde il sorriso camminandomi a fianco senza mai avvicinarsi troppo. Non fa movimenti strani, non mi coglie alla sprovvista ma si limita a tenermi d'occhio quando superiamo un incrocio ed io non guardo da nessuna parte perdendomi nel suo profilo simile a quello di una scultura in movimento.
«Dove mi porti?», mi fermo davanti a lui.
«Vuoi un pranzo particolare o per te va bene qualsiasi cosa?»
«Non ho ancora visitato i posti presenti in questa landa desolata. Possiamo andare al "Chocolate Shop"?»
Valuta attentamente la mia proposta poi le sue dita sfiorano la mia mano prima di afferrarla. «Sai che è il posto in cui tutti vedono tutto?»
«Non pensavo che avevi bisogno di nasconderti», replico fermandomi ancora. «Ti vergogni di me?»
Lascia la mia mano come se lo avessi scottato. «Non è come pensi», inizia.
Intuendo di avere appena detto la cosa più stupida si riprende recuperando in extremis. «Quello che voglio dire è che hai rifiutato più volte la mia proposta di essere la mia ragazza quindi... pensavo che la ragione fosse proprio per il fatto che poi avresti dovuto farti vedere con me», spiega.
Sorrido. Anche lui pensava la stessa cosa, che mi vergogno a farmi vedere con lui. «Pensa alla tua di anima, alla mia provvedo io», rispondo.
«Sai, sei strana a volte... e mi piace», sfiora di nuovo la mia mano. «Non hai pregiudizi? Non hai paura che qualcuno ti additi?», sembra volere altre certezze.
Nego. «Sono io a decidere con chi uscire, con chi vedermi e dove vedermi. Non mi importa del resto. Mi basta stare bene e passare una giornata tranquilla.»
Proseguiamo in direzione del locale superando la piazza dove al bar sono raccolti molti Scorpions. Se ne stanno seduti sotto il tendone a fumare e a scherzare tra loro.
Quando vedono Kay urlano festosi ma lui si limita ad un breve cenno della testa per salutarli.
Non sembra contento di avere ottenuto un così grande successo pestando Mason.
Entrati nel locale, noto il proprietario scambiarsi uno sguardo con le figlie e poi pulire il bancone come se niente fosse.
I tavoli sono quasi tutti pieni. Io e Kay ci sediamo in fondo, lontano da occhi indiscreti anche se non passiamo di certo inosservati insieme.
Lui si siede accanto a me, il braccio sul bordo del divano e la gamba piegata sull'altra. Sembra improvvisamente nervoso.
Che gli succede?
Prendo il tablet. «Allora... che cosa prendi?»
Lo allontana prendendomi le mani, racchiudendole nelle sue sempre calde. «Devo dirti una cosa», inizia quasi a disagio.
«Sei ricercato e qui non possiamo entrare insieme?»
Sorride negando. «No, niente del genere.»
«Bene allora sceglierò io per te», premo le icone ordinando per entrambi il pranzo. «Spero sia di tuo gradimento quello che ho ordinato.»
«Sono allergico ai cetriolini», afferma per mettermi alla prova.
«Lo so. Per questo ho scelto un panino al pollo anziché un hamburger. In questo modo eviteremo che mettano quei dannati cetriolini o quella salsa che ha un gusto orribile in certi posti.»
«Come fai a...»
«A ricordare che sei allergico? Una volta ti si è gonfiata la lingua a scuola. Forse è stata la prima e ultima volta che il tuo stesso corpo si è ribellato impedendoti di parlare», rispondo di getto.
Mi guarda storto. «Potrei morire», usa uno sguardo da peluche con gli occhi dolci.
Al tavolo arrivano le bibite. «Grazie», dico alla ragazza dalle trecce colorate. Oggi ha un trucco eccessivamente vistoso. Lei non mi degna di uno sguardo continuando piuttosto a richiamare l'attenzione di Kay che, al contrario sembra scocciato.
«Se ti serve qualcosa...»
«Si, si...», la manda via con un gesto della mano chiedendole silenziosamente di lasciarci soli.
Quando si allontana quasi furiosa cerco una risposta. «Perché ti guardava in quel modo? Voleva dirti qualcosa? Vi conoscete?»
Alza le spalle bevendo un sorso di limonata, la mia. «Non ne ho idea. Se te lo stai chiedendo forse ci ho flirtato una volta ed ero pure ubriaco, ma solo perché avevo una scommessa da vincere con Shannon. Da allora aspetta ancora il seguito che non è mai avvenuto.»
Sono sbalordita. «Una scommessa? Maturo da parte vostra. Io rientro tra le scommesse?»
Intanto mi ritrovo il panino davanti e non posso non dargli un morso anche se mi sento improvvisamente inappetente. Il pensiero che lui possa stare con un'altra mi infastidisce.
«No, tu non sei una scommessa. Sei una puntata così alta da rischiare di perdere tutto perché non sai mai quello che uscirai fuori. Hai troppi assi nella manica.»
Lo guardo sorpresa pulendomi gli angoli della bocca. «Quindi sono il premio di una competizione silenziosa tra te e...»
Deglutisce pulendo le dita. Dopo avere bevuto un sorso d'acqua si avvicina al mio viso in fretta e così tanto da sentire le sue labbra sfiorare le mie, lasciandomi un formicolio così forte da farmi accelerare il respiro.
«E nessuno. Tra me e nessuno. Perché tu sei solo m...»
Una voce si schiarisce disturbandoci. Il mio cuore nel frattempo sta battendo così forte da farmi male. Stava dicendo che sono solo sua?
Il proprietario del locale guarda Kay torturandosi le mani in grembo. «Scusate l'interruzione ma non sono riuscito a trattenermi quando ti ho visto entrare. Volevo... ecco io volevo solo ringraziarti per quello che avete fatto ieri. In paese non si parla d'altro. Adesso quel bastardo ci penserà due volte prima di entrare qui e iniziare una rissa perché intendo farvi da sponsor per la squadra. L'avete proprio conciato per le feste, eh?»
Kay rimane composto. «Si, ci abbiamo pensato noi a quel farabutto figlio di papà», dice brevemente contenendosi. «Per lo sponsor deve parlare con Shannon. Sa bene che non faccio parte degli Scorpions.»
L'uomo sembra guardare una divinità. Dopo qualche istante si scusa ancora augurandoci un buon proseguimento correndo dietro il bancone con un sorriso vittorioso.
Mi rivolgo a Kay. «E così...»
Passa una patatina piena di ketchup sulle mie labbra. «Mangia», ordina imboccandomi, tappandomi la bocca. «Dovrei ricambiare adesso?», lecco le labbra.
Sembra eccitato al pensiero. «Si, comportiamoci come una coppia per un giorno, così saprai quello che non ti sei persa...», dice con finto sarcasmo arricciando il naso. «Non sarebbe da noi. Ma se proprio ci tieni...»
Lo spingo bevendo un sorso di limonata usando la cannuccia dove prima lui ha posato più volte le sue labbra. «Scordalo!»
Dopo pranzo, uscendo dal locale, una forte pioggia riempie ogni pozzanghera, strada o panchina del paese impedendoci di passeggiare o di fermarci al parco. L'aria è impregnata dell'odore di pioggia in netto contrasto con quello che si respirava qualche istante fa al locale.
Apro l'ombrello e Kay non accenna a mettersi al riparo pertanto lo sollevo alla sua altezza.
Sembra sempre sorpreso quando faccio qualcosa di carino per lui.
«Possiamo passare un momento da mio padre? Devo parlargli della vicina. Non mi sento tranquilla a stare in casa».
«Si, andiamo.»
Inizialmente sembra sereno. Questo fino a quando non raggiungiamo la struttura, il comune di Oakville. Kay davanti il portone di legno antico sembra improvvisamente scostante e nervoso. «Mi è venuto in mente che devo fare una cosa urgente e non posso proprio accompagnarti», dice indicando alle sue spalle, guardando lo schermo del telefono.
Anche se ci rimango male perché so che mi sta mentendo per qualche ragione a me sconosciuta, annuisco a malincuore lasciandolo andare. «Non ho bisogno che mi accompagni. Vado da sola.»
Mi ferma stringendo il braccio. «Erin... rientra tra le cose che non ti ho detto e di cui avremmo dovuto parlare», spiega brevemente continuando a saettare con gli occhi da me al portone come se da un momento all'altro qualcuno potesse uscire e ucciderlo.
Aggrotto la fronte. «Si, ma ovviamente preferisci sempre lasciarti distrarre da altro anziché dirmi la verità. Io ti vado a genio solo quando hai bisogno di essere un ragazzo normale o di avere qualcuno da tormentare per distrarti. Bene, io vado. Tu... fai quello che ti pare.»
Detto ciò, scrollandomi la sua mano di dosso mi avvio verso il portone salendo i gradini di pietra con le colonne alte in stile classico. Chiudo l'ombrello e lanciandogli un ultimo sguardo turbata, faccio il mio ingresso.
Ad accogliermi c'è subito una piccola sala d'attesa alla mia destra dotata di poltrone comode, una palma all'angolo e un tavolo da caffè di vetro pieno di depliant e giornali con le ultime notizie. Due macchinette una per gli snack e una del caffè in fondo al corridoio dalla quale proviene l'odore del te', della menta e della cioccolata.
Il pavimento a scacchi si dirama in due direzioni che conducono rispettivamente una all'ufficio anagrafe e le scale.
L'ambiente sembra arioso e luminoso nel complesso ma non così spazioso come appare dall'esterno.
Salgo le scale arrivando al primo piano. In fondo al corridoio dalle pareti tappezzate di tabelloni e volantini c'è l'ufficio di mio padre.
Chiedo ad una delle segretarie presenti e impegnate a scannerizzare le copie di un documento dove si trova attualmente e mi indica il terzo piano dove in questo momento si sta tenendo la riunione.
La donna dai boccoli biondi perfetti e dal profumo di margherite mi consiglia di non andare e di aspettare mio padre nel suo ufficio perché andrà lei ad avvisarlo e così faccio.
Appena entro, trovo una persona seduta sul divano: Shannon.
Sembra assorto. Non si accorge di me fino a quando non poso l'ombrello dentro il cestino vuoto avvicinandomi a lui.
«Ehi, anche tu qui?»
«Mi hanno consigliato di scendere e calmarmi un momento. A quanto pare sono come una pentola a pressione. Stai bene? Che ci fai da queste parti?»
Sul naso ha un taglio rosso evidente, il labbro spaccato tumefatto e le nocche piene di lividi. Nel complesso ha un aspetto riposato seppur provato.
«Si, io... sto bene. Sono solo venuta per parlare di una cosa a mio padre.»
Non so perché ma sento l'aria dentro la stanza che profuma di spray per ambienti alla vaniglia, caricarsi di tensione. «Tu come stai?», sfioro le sue mani e si scansa anche se non di scatto.
«Io benissimo. Mai stato meglio», scruta nei miei occhi cogliendo il lampo di qualcosa. «Che succede? Sembri nervosa.»
Prendo un respiro mettendomi comoda sul divano. «Ho appena avuto l'ennesima discussione con Kay. A volte non lo capisco. Non appena ho chiesto di venire qui per parlare a mio padre della vicina che oggi stava per entrare in casa, non appena si è ritrovato qui davanti ha detto di avere un impegno. E stava mentendo. So quando lo fa.»
Shannon mi ascolta con attenzione senza interrompermi. Massaggia la mascella guardando fuori dalla finestra.
Mi piacerebbe sapere quello che pensa davvero.
«Non dovrei essere io a dirtelo ma alla riunione è presente una persona e lui... tende ad evitarla da anni. Onestamente non conosco i dettagli, Kay sa essere misterioso ed evasivo quando si tratta della sua vita privata ma sono sicuro che non l'ha fatto di proposito o per farti un dispetto.»
Sospiro. «E perché non me l'ha detto? Avrei capito. In fondo non mi sembra di chiedergli la luna. Non lo farei mai...»
Le dita di Shannon scostano il ciuffo di capelli dalla mia faccia e smetto di agitarmi e di parlare. «Kay è fatto così. Se non vuole vedere qualcuno trova il modo di sparire dalla circolazione per qualche ora.»
Rifletto un momento. «Ok, ma era sereno solo quando ho chiesto di fermarci ha cambiato espressione. Come ieri...»
Gratta la tempia. «Già, ieri è stata tosta. Mi dispiace che hai dovuto assistere.»
«Non farlo mai più davanti a me», lo rimprovero.
Mi sorride. «Va bene, principessa!», esclama divertito. «Adesso dimmi che cosa ha fatto la vicina?»
«Ci stava spiando», dico d'impulso. «Nel vero senso del termine.»
«Vuoi che faccia qualcosa?»
Sto già negando immaginando al contempo i possibili scenari. «Me la caverò!»
Inumidisce le labbra. «Senti, Erin...», inizia con un tono di voce basso. «Non so quello che c'è tra di voi ma sappi che non ha apprezzato il tuo tentativo di farlo ingelosire ieri. Ha dato di matto quando te ne sei andata e io... be' gli ho restituito il favore. Sappi solo che sono interessato a te», dice con una sincerità disarmante.
Ascolto attentamente cercando di non arrossire sotto i suoi occhi da predatore. «Non sono un premio quindi non voglio essere trattata come una preda da acchiappare e azzannare», finalmente mi libero da questo peso.
Shannon ride. «È così che ti vedi quando una persona ti dice che prova interesse per te?»
«No, odio essere contesa.»
La porta si apre e il mio sorriso si spegne. Kay entra quasi urtando il cestino con l'ombrello. I suoi capelli sono attaccati alla fronte, gocciola di pioggia e punta dritto verso me. Afferrandomi per un braccio mi fa sollevare e mi strattona fuori dalla porta spingendomi sulle scale e poi verso la sala riunioni.
Mi fermo a metà rampa. «Che diavolo stai facendo? Non avevi un impegno?»
«No, non avevo un impegno. Sai bene cosa sto facendo!», mi urla addosso facendomi sussultare. «Ti avevo avvisata... che se ti avessi visto con qualcuno mi sarei comportato da maniaco», ringhia a fatica. «E visto che non capisci che ti voglio davvero nella mia vita perché sei impegnata a guardarti intorno e a fare gli occhi dolci ad altri ragazzi mentre le provo tutte per arrivare al tuo cuore, mi comporterò per quello che meriti: da bastardo. Adesso sta zitta e comportati come la mia finta ragazza. Volevi la situazione per aiutarmi e ricambiare il favore? Eccotela servita. E fa che sia credibile.» È una maschera di furia.
Detto ciò, guardandomi così male da spaventarmi, spalanca la porta della sala riunioni.

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