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Mura domestiche - parte 2

Mi mordo subito la lingua consapevole di aver esagerato. Ma è troppo tardi. Il veleno si è già propagato nell'aria.

Ci sono dei tasti che non si dovrebbero mai toccare. Sono come quei punti del corpo che se stimolati provocano dei riflessi involontari. Tu dai un colpo con il martelletto sotto il ginocchio e tac, la gamba reagisce contro ogni tua volontà e dà un calcio a chi ha colpito.

Lei ha toccato il tasto Amanbir ed è partito il calcio su papà.

Che poi come si fa a non amare Amanbir? Forse non corrisponde esattamente al suo stereotipo del genero perfetto. Che so io, magari si aspettava un dottore o un avvocato, al posto di un immigrato precario. Ma i soldi non hanno mai fatto la felicità di nessuno. Guarda Jack e Kate, ricchi sfondati e amareggiati fino al midollo.

In quanto a papà, ammetto di non poter dire che mia madre se la sia cercata. E chi se lo poteva immaginare che il padre modello, ad un certo punto della sua vita impazzisse e mandasse tutto all'aria scomparendo dalla circolazione? Un giorno è uscito di casa e non è più tornato. Come la vogliamo chiamare? Crisi della mezza età? Non so, so solo che se non fosse stato per quel suo insano gesto, forse ora non avrei tanto terrore della mezza età. E' come se temessi che da un momento all'altro anche nel mio cervello potrebbe saltare quella molla che ti fa schizzare via, come se non ci fosse più un domani, dimenticandoti di tutti i fili intrecciati alla tua vita, che incurante strappi, lasciando dietro a te solo brandelli.

"Come ti permetti di parlarmi così?" sento nella sua voce i primi segni di un pianto pronto a sgorgare da un momento all'altro. "E' questo che pensi? Che i miei guai me li sia andati a cercare? Un giorno avrai anche tu dei figli e allora forse capirai che cosa significa avere dei figli ingrati che ti incolpano delle loro disgrazie."

Vorrei davvero non andasse sempre a finire così tra di noi. Poi si sorprende se evito le sue chiamate.

Nell'istante in cui termina la frase entra Amanbir. Gli corro incontro e lo abbraccio forte e gli sussurro nell'orecchio: "Per fortuna sei arrivato!"

"Signora Lucia, che piacere vederla qui. Ci fa sempre tanto piacere ricevere una sua visita" esclama Amanbir con il suo solito entusiasmo, ignaro delle cattiverie che sono fino a poco fa volate sulle nostre teste.

"Ciao" - mugugna lei indecisa se prendersela pure con lui o meno.

"Si ferma con noi a cena?"

"No grazie. Stavo giusto andando via" – sembra aver deposto l'ascia di guerra per oggi. Ha l'aria afflitta e io mi sento terribilmente in colpa per non esser riuscita a metter freno alla mia boccaccia.

Mi avvicino a lei e le do un bacio sulla guancia, come se avesse il potere di guarire tutte le ferite. Quando ero piccola funzionava. Bastava un suo bacino sulla bua per farla sparire come per magia.

Lei si discosta infastidita, lasciandomi bene intendere che non me la posso cavare con così poco.

"Arrivederci Amanbir. Buona serata" – per me niente arrivederci, né ciao, né saluto alcuno.

"Allora che è successo?" – mi chiede lui appena lei si è allontanata tanto da non poter più sentire nemmeno da dietro la porta.

"Da dove devo cominciare?"



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