Capitolo 3
Questi sono i calciatori:
uomini che giocano con la testa,
ma soprattutto con il cuore.
Alessandro
M'inginocchio per allacciare gli scarpini da calcio, per poi tirarmi su.
«Pronto, Alessandro?» mi chiede Diego Godín.
A volte mi chiedo come mai uno come lui, che ha giocato due finali di Champions League ed è il capitano della propria nazionale, l'Uruguay, parli con un ragazzo di vent'anni come me.
Mi ha accolto come se fossi suo figlio, prendendomi sotto la sua ala, e mi ha aiutato a migliorare sempre di più, soprattutto nelle anticipazioni.
Non potrei essere più felice di avere uno come Diego come guida.
Annuisco in risposta alla sua domanda.
«Andiamo pure, Diego.»
Lui s'incammina verso l'entrata del campo, seguito a ruota da me. Lo guardo come se stessi guardando uno dei giocatori più forti al mondo, cosa che molto probabilmente è vera: ho ancora tanto da imparare ed allenarmi con Diego sotto lo sguardo di Antonio Conte è il massimo, a parer mio. Dò il massimo in ogni allenamento e partita che faccio per non deludere me stesso, i miei genitori, i miei amici, i miei compagni di squadra, il mister, ma soprattutto lei...
Entro nel campo di allenamento con Diego, venendo accolto dagli applausi dei tifosi che sono venuti ad assistere alla seduta di allenamento. Non dovremmo fare molto: è giovedì e domenica giocheremo contro l'Udinese. Sicuramente non sarò titolare, ma m'impegnerò al massimo per far capire al mister che sono disponibile e pronto per giocare titolare. Conte ha fiducia in me e voglio ripagare la sua stima nei miei confronti dando il meglio di me, sputando sangue se necessario. Dopotutto, gioco nell'Inter, una delle tre "grandi" d'Italia assieme a Juventus e Milan, visto che sono le uniche squadre italiane ad aver vinto almeno una Champions League: devo arrivare ad un certo livello per essere degno di questa maglia.
Iniziamo subito il riscaldamento, correndo sul bordo campo ad un ritmo lento, sotto lo sguardo attento del mister e del suo vice.
«Bella, Basto!» mi saluta Sebastiano Esposito.
«Ciao Seba.» sorrido ricambiando il saluto. Mi sta abbastanza simpatico: non è il mio migliore amico come Filippo Melegoni, ma la sua compagnia mi fa piacere. È un 2002, ma è davvero forte.
Pure in allenamento mi dà del filo da torcere, tuttavia sto imparando a conoscerlo: so come fermarlo.
«Come stai?» gli chiedo.
«Bene, grazie. Tu?»
«Tutto bene. Com'è andata in discoteca?»
Gli piace uscire con gli amici la sera: come dargli torto? Anche a me piace uscire con gli amici, ovviamente non ogni sera, visti gli impegni che il calcio comporta, ma mi fa piacere vederli, soprattutto quelli di Bergamo. Li conosco da quando giocavo all'Atalanta e ogni volta che possono vengono a vedermi giocare: non potrei desiderare amici migliori.
«Benissimo, mi sono divertito un sacco. Ho anche preso tre numeri da delle ragazze.»
Sorrido: come al solito rimorchia un sacco. Saranno gli occhi azzurri, il fatto che giochi a calcio, il suo stile... chissà. Io non rimorchio così tanto. Certo, ci sono delle ragazze, anche molto belle, che mi seguono su Instagram, ma non ho la fila di ragazze dietro.
«Serata movimentata, allora.» deduco.
«Assolutamente sì!»
Finiamo i giri di corsa di riscaldamento, prima di metterci intorno ad Antonio Conte, pronti per iniziare il vero allenamento.
Devo dimostrare che sono degno di questa squadra e cercare di stare al passo di Diego.
Finito l'allenamento, il mister ci dice di fare due giri di defaticamento. Sembra soddisfatto delle nostre condizioni fisiche.
«Bravo, Alessandro.» ammette mentre gli passo accanto.
Mi giro a guardarlo dall'alto.
«Grazie, mister.»
Raggiungo Diego Godín, Milan Skriniar e Stefan de Vrij di corsa. Mi stanno tutti e tre simpaticissimi, e mi fanno da punto di riferimento. Sono dei difensori eccezionali: non capita tutti i giorni di allenarsi con dei giocatori così.
Finiti i due giri di corsa, ci fermiamo.
Mi asciugo il sudore dalla fronte con il bordo della maglietta, mentre camminiamo verso l'uscita del campo, sotto gli applausi dei tifosi che hanno assistito agli allenamenti.
Mi piace che i tifosi siano soddisfatti del nostro lavoro: non voglio mai deluderli.
Giro la testa verso gli spalti e guardo le persone: non sono molte, ma poco importa. Sempre di tifosi si trattano.
Noto una ragazza bionda e bassa parlare con un ragazzo, mentre entrambi sono appoggiati alla ringhiera. Non è bellissima, ma neanche tanto brutta: ho visto di meglio e di peggio, diciamo.
Esco dal campo per andare a cambiarmi negli spogliatoi con i miei compagni.
Ci fermeremo a fare le foto con i tifosi, ovviamente. Come potrei negare un autografo? Sono anch'io un fan del calcio: so cosa si prova ad avere davanti il proprio calciatore preferito. Peccato che i miei giocatori preferiti si siano ritirati: Paolo Maldini, Alessandro Nesta e Fabio Cannavaro. Non so cosa darei per incontrarli e parlarci. Probabilmente sverrei sul colpo, ma questi sono dettagli altamente trascurabili. Dopotutto, sono leggende del calcio mondiale: è impossibile non rispettarli.
Esco dagli spogliatoi e vengo accolto dai tifosi che si sporgono dalle transenne per porgere i fogli da autografare con tanto di pennarello. Senza neanche pensarci, inizio ad autografare i vari fogli.
«Grazie, Ale!» mi ringrazia un bambino con la maglia dell'Inter addosso.
Sorrido: sembra di vedermi da piccolo, quando andavo a vedere le partite delle varie squadre e restavo incantato da quegli uomini che maneggiavano la palla come se fosse parte del loro corpo.
«A te.» rispondo per poi riprendere a fare autografi, fermandomi anche a fare foto con i tifosi che me lo chiedono.
Mi fermo davanti alla ragazza che ho adocchiato prima sugli spalti. È davvero bassa: sarà alta un metro e sessanta circa. Ha un Septum al naso che non le sta affatto male, considerando che a me i piercing al naso non piacciono per niente.
Mi porge il foglio da autografare con un sorriso a trentadue denti e io lo prendo senza esitare.
«Come ti chiami?» chiedo iniziando a scrivere.
«Camilla.» mi risponde lei.
Scrivo "A Camilla, con simpatia" per poi autografare la dedica.
«Possiamo fare una foto?» mi chiede.
«Certo.»
Lei si gira verso un'altra ragazza.
«Vale, puoi farmi una foto con lui?»
«Certo.»
Mi giro verso la ragazza a cui si è rivolta Camilla e la guardo prendere il telefono.
Resto folgorato sul posto, bloccandomi ed aprendo di poco la bocca alla vista di quella ragazza.
Mi ritrovo a guardare il suo viso abbronzato per il sole preso al mare durante l'estate, al quale dei lunghissimi capelli castani e mossi fanno da cornice, come se fosse un quadro di un pittore. È abbastanza alta e magra, ed il suo fisico è messo in risalto dai jeans aderenti e dalla maglietta color porpora.
Quando i miei occhi incrociano i suoi, mi si blocca appena il respiro. Osservo le iridi azzurre come il cielo della ragazza che ho davanti come se stessi guardando le stelle cadenti.
Che sguardo...
Mi sono trovato davanti molte ragazze, ma lei le batte tutte. È davvero bellissima.
Talmente bella da lasciarmi sbigottito ed immobilizzato.
Inspiro, cercando di calmarmi. Devo riprendermi: non sono più un bambino che perde la testa per la prima bambina carina che vede.
Ma con una così davanti, come posso non guardarla?
Sentendo Camilla mettersi accanto a me, mi riscuoto e sorrido per la foto.
«Grazie!» ringrazia la bionda dopo aver fatto la foto.
«Figurati.»
«Vale, falla anche tu!»
La castana aggrotta le sopracciglia, mettendo in mostra un piccolo segno sulla fronte simile ad una cicatrice priva di crosta.
«Dai!» guardo Camilla sussurrare qualcosa all'amica restando fermo.
Non so cosa le abbia detto, ma appena vedo la castana avvicinarsi a me, esulto internamente come un bambino a cui hanno appena comprato un giocattolo nuovo.
La osservo mettersi accanto a me mentre incrocia il mio sguardo con il proprio e mi sorride.
Cazzo, ha pure un bel sorriso. Ma c'è qualcosa in questa ragazza che non sia bello?!
Lei si gira verso la bionda, che sta per fare la foto, e lo stesso faccio anch'io.
«Fatta.» annuncia fiera.
La ragazza accanto a me gira il viso verso di me, facendomi notare i piercing all'orecchio sinistro.
«Grazie.» mi dice.
«A te.» e la guardo allontanarsi da me per tornare dalla sua amica.
«E brava la nostra Valentina!» esclama un'altra ragazza bionda.
Valentina... che bel nome, proprio come la proprietaria.
Torno a fare gli autografi richiesti, senza togliermi dalla testa il viso della castana. Mi si è proprio impressa nella mente e non riesco a mandarla via. Non che mi dispiaccia, però.
Finiti gli autografi, salgo sul pullman della squadra che ci riporterà a casa e mi siedo dalla parte del finestrino, mettendomi a guardare fuori.
«Ciao, Basto.» mi saluta Federico Di Marco sedendosi al posto davanti al mio.
«Ciao, Fede.» rispondo.
«Tutto okay? Ti vedo molto pensieroso.»
Annuisco.
«Sì, sì. Tranquillo: è tutto a posto.»
Nemmeno io sono convinto della mia risposta, ma Federico ci crede e si mette le AirPods alle orecchie.
Giro il viso per guardare fuori dal finestrino, senza tuttavia soffermarmi su un punto preciso. Mi limito a fissare il Centro Sportivo Suning senza motivo.
Deglutisco per far scendere il groppo che ho in gola e mi sistemo meglio sul sedile, mentre la mia mente ricade, ancora una volta, sul viso di Valentina e sui suoi occhi azzurri.
Dannazione, ma che diavolo mi prende?
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