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Capitolo 8


"Adesso tu le chiedi scusa e te ne vai di qui". Isaac sta scandendo parola per parola con un tono tanto glaciale che se non sapessi che non è rivolto a me, starei già tremando.

"Oh andiamo amico, non dirmi che quella è roba tua"

"Stai attento" ringhia Isaac e stringe la presa sul collo dell'uomo che diventa immediatamente rosso per la mancanza di ossigeno.

"Volevo solo provarci, sai per divertirmi. Lo sappiamo entrambi che non può essere definita neanche quella di una notte".

"Risposta sbagliata" risponde calmo Isaac e in un attimo il suo pugno entra a contatto con il naso dell'uomo; si sente un rumore strano, forse glielo avrà rotto e dal sangue che sgorga dalle narici, sembra proprio di si.

Tenendolo sempre fermo per la gola lo porta davanti a me e gli tira un paio di calci dietro le ginocchia in modo da farlo inginocchiare.

"Adesso le chiedi scusa" intima tirandogli i capelli in modo che guardi in alto, verso di me. Quando non si decide a parlare, tira più forte e alla fine lui borbotta un "Scusa".

Isaac lo alza di peso e lo porta fuori dalla libreria; poi sbatte la porta dietro di sé, gira il cartello con scritto "CHIUSO" verso l'esterno e si poggia con le spalle al legno. Chiude gli occhi e trae un sospiro; poi si avvicina a me con la sua solita andatura lenta. Scavalca il bancone e si ferma esattamente di fronte a me che sono ancora schiacciata lì.

Vedo le sue labbra muoversi ma non riesco a sentirlo e non appena me ne rendo conto, sono consapevole che gli attacchi di panico sono appena tornati.

Mi capitava spesso quando stavo con mia madre. Forse erano un tentativo da parte del mio corpo di difendermi dalla cattiveria di quella donna: quando il dolore diventava troppo, smettevo di ascoltarla e così non poteva più farmi male. Capitava che a volte mi strattonasse, forse per capire se la stavo ascoltando e, alla fine, se ne andava via.

Purtroppo il tutto non finiva lì: sapevo che a breve avrei iniziato ad avere problemi a respirare, che la vista mi si sarebbe appannata e che avrei persino rischiato di svenire, così chiamavo Jamie e, quando lui rispondeva ma non sentiva alcun suono da parte mia, correva da me. Letteralmente, dopo pochi minuti me lo ritrovavo davanti. Certo, è capitato che qualche volta fosse ubriaco e una volta penso che fosse a dirittura fatto, però non ha mai perso la lucidità e ha sempre saputo cosa fare.

Sapeva che non doveva avvicinarsi troppo, così si abbassava verso il mio viso ponendo i suoi occhi nei miei come se volesse dare al mio cervello la possibilità di capire chi realmente avevo di fronte. Non so cosa lo spingesse qualche minuto dopo a tirarmi a sé e stringermi in un abbraccio confortevole; potevo sentire il suo profumo e in risposta i miei muscoli iniziavano a sciogliersi ma quella sensazione non se ne andava via dal centro del petto. Lo sapevo io e lo sapeva lui. Allora mi portava fuori, sul patio e lì finalmente potevo riprendere a respirare.

Quando capiva che ero tornata in me, non mi chiedeva mai che cosa mi fosse successo; lo sapeva già. Allora se ne usciva con qualcosa che mi faceva ridere: come quella volta in cui mi disse che potevo aspettare un altro paio di minuti visto che era <<impegnato>> e io lo avevo interrotto sul più bello.

Ora ho Isaac davanti a me; non so quanto tempo sia passato da quando la mia mente mi ha portato indietro. Posso notare nei suoi occhi un velo di preoccupazione. Forse gli sembrerò strana oppure pazza oppure tutte e due le cose insieme. Però non se ne va. Si avvicina di un passo, poggia le sue mani sulla mia vita ed esercita una leggera pressione: mi sta sollevando e in attimo mi ritrovo seduta sul bancone e lui è tra le mie gambe. Finalmente ora posso guardarlo negli occhi senza dover sollevare la testa e si, quegli occhi sono davvero preoccupati. Vorrei dirgli che va tutto bene ma non posso perché non è così. Vorrei che mi tirasse fuori da questa bolla ma non so neanche io come potrebbe fare.

E allora mi abbraccia. Isaac mi sta abbracciando. Percepisco il suo profumo, il leggero velo di barba che mi solletica il collo; le sue mani che premono in maniera decisa sulla mia nuca e sulla mia schiena per avvicinarmi a lui. E succede, finalmente: pian piano la vista mi ritorna limpida, il peso all'altezza dello stomaco si allevia e poi si dissolve, sento l'aria riempirmi i polmoni e la mente tornare lucida.

So che Isaac era preoccupato solo che io gli potessi svenire tra le braccia: è stato fin troppo chiaro l'altra notte su quanto lui ami il contatto con il mio corpo, quindi, seppur a malincuore, allento la presa su di lui e mi stacco.

Non lo guardo negli occhi, per paura di quello che potrei leggervi e borbotto un semplice "Grazie". Lui però non si sposta e continua a guardarmi.

"Potrei scendere adesso? Sto bene davvero" Chiedo evitando nuovamente il suo sguardo.

"Davvero?"

"Si è stato una specie di attacco di panico ma ora è passato"

Ma lui non si scosta: sento di nuovo le sue mani sulla mia vita, una leggera stretta e poi mi solleva. Credo che non abbia preso bene le misure perché nel farmi scendere, ogni mio singolo muscolo entra a contatto con il suo corpo. Scivolo su di lui fin quando non tocco di nuovo con i piedi per terra e sento di nuovo mancarmi l'aria, ma non come prima. È una sensazione quasi piacevole e sento il calore arrivarmi fino alle guance che sicuramente saranno diventate rosse.

Ora mi ritrovo a fissare il suo petto coperto da una semplice maglietta bianca e in me cresce la voglia di poggiarci la guancia per riascoltare di nuovo il battito regolare del suo cuore. Ma non lo faccio, anzi faccio una leggera pressione sulle sue braccia e, finalmente, riesco ad allontanarmi. Non so cosa gli sia preso oggi: mi ha difesa, mi ha tenuto stretta e soprattutto non sembrava particolarmente felice all'idea di lasciarmi andare. Probabilmente saranno tutte mie congetture; leggo decisamente troppi libri.

Ho bisogno di prendere aria e di allontanarmi da questo posto e da lui. Quindi prendo velocemente le mie cose e torno da Isaac che non si è mosso dal punto in cui l'ho lasciato a parte il fatto che ora sta stringendo il bordo del bancone fino a farsi sbiancare le nocche. Non ho idea di cosa possa averlo infastidito tanto ma spero di non essere stata io. Gli sono davvero riconoscente per quello che ha fatto per me poco fa. Quindi mi faccio coraggio e mi avvicino a lui: gli tocco la schiena e so che lui ha avvertito il mio tocco perché lo sento tendersi sotto le mie dita però non si volta.

"Senti non vorrei sembrarti irriconoscente: ti son davvero grata per quello che hai fatto per me oggi. Se non fossi arrivato non so cosa sarebbe successo e ti ringrazio anche per.. beh per prima."

Ancora nessuna risposta. L'unica cosa che noto sono le sue dita ancora più strette intorno al tavolo. Forse lo sto infastidendo e, inspiegabilmente, sento un magone formarsi in gola e so che da un momento all'altro inizierò a piangere. Quindi, prima di sotterrare definitivamente la mia dignità, devo andare via.

"Ti dispiace dire alla signora Lane che sono andata via? Magari dille che mi sono sentita poco bene – dico camminando a passo militare verso la porta- fai pure come se fossi a casa tua" urlo mentre sono già fuori dalla libreria.

L'aria fresca aiuta a farmi sentire meglio. Scelgo un altro percorso rispetto a quello che faccio abitualmente per evitare di imbattermi in Caroline o nella signora Lane e quando arrivo nell'androne del mio palazzo, cerco di fare meno rumore possibile nel caso in cui la mia amica sia ancora in casa. Non voglio nasconderle quello che mi è accaduto ma non sono nello stato d'animo adatto per affrontare lei e il suo interrogatorio.

Arrivata a casa, senza il minimo dubbio, mi spoglio dei miei abiti e metto dei pantaloncini che arrivano un po' più su del metà gamba e la felpa mia e di Isaac. È solo mia in realtà però il fatto che ci abbia dormito una notte e che si senta ancora il suo profumo, la rende anche un po' sua.

Accendo la televisione e mi dedico un po' a quei programmi spazzatura, che oggi trovo stranamente divertenti. La quiete è interrotta poco dopo dalla porta di casa mia che viene spalancata così forte da sbattere contro il muro. Il cuore mi balza in gola per un istante ma so che c'è solo una persona al mondo che potrebbe mostrare tanta delicatezza e capisco, al volo, che Isaac almeno con lei non è capace di fingere. La signora Lane fa il suo ingresso con un sacchetto enorme tra le braccia, che le copre completamente il viso; mi chiedo come abbia fatto a salire le scale.

"Quel ragazzino non è proprio capace di mentirmi. Ci ho messo sette minuti per farmi dire la verità". Mh, ha resistito un pochino, almeno ci ha provato. Avrei pagato per vederlo mentre cercava di convincere la signora Lane e soprattutto avrei pagato per vedere lei che lo metteva alle strette e lui che confessava. L'idea di vederlo in imbarazzo mi fa sorridere ma smetto subito quando il viso della signora Lane compare nel mio campo visivo mentre si tira su gli occhiali e ha un'espressione per niente conciliante.

"Perché non mi hai chiamata quando quel tipo ha provato ad importunarti? Lo avrei preso a calci in culo". Oh, so bene che lo avrebbe fatto.

"Isaac è arrivato in tempo. Gli ha rotto il naso"

La signora Lane sembra rilassarsi un pochino.

"Dobbiamo comprarti un cellulare. L'ha detto anche Isaac. Non è normale che tu non ne abbia uno. Dovresti comprartelo e portartelo sempre dietro così potresti chiedere aiuto se ne avessi bisogno. Te ne procurerò uno al più presto". Questo penso che lo abbia detto più a se stessa che a me ma non voglio che lei spenda altri soldi per me. Ha già fatto più di quello che avrebbe dovuto trovandomi un lavoro e un posto in cui stare: le sarò riconoscente per il resto della vita ma non posso coinvolgerla oltre.

"Sa, stavo mettendo da parte dei soldi proprio per quello, ho raggiunto una buona somma e in questi giorni andrò a comprarmi un cellulare come si deve. Quindi non si preoccupi, davvero".

"Mi stai dicendo la verità?" chiede sospettosa. Spero con tutta me stessa che non legga la risposta nei miei occhi perché al momento non ho che quattro spiccioli da parte e di sicuro con quelli non posso acquistare neanche un telefono giocattolo.

"Certo" e accompagno la mia risposta con un sorriso.

"Vedremo bambina, vedremo" annuisce mentre si tira su gli occhiali ancora un po'.

Detto ciò, prende possesso della mia cucina ed inizia a preparare un'infinità di roba. Forse pensa che sia malata, oppure Isaac le ha raccontato dei miei attacchi di panico.

"La paura apre lo stomaco, quindi siediti qui e mangia" mi dice quando ha finito di sistemare tutto quello che ha cucinato. Mi riempie un piatto enorme con tutte le cose che sa che mi piacciono e non si muove finché non ho finito la mia parte.

Ripone in frigo gli avanzi, lava i piatti nonostante i miei tentativi di prendere il suo posto e prima di andar via si assicura che io sia comoda sulla mia poltrona e che non mi alzi di lì per fare altro. So bene che quello è il suo modo per dimostrarmi il suo affetto e il fatto che è dispiaciuta per non essermi stata vicina stamattina anche se lei non ha nessuna colpa.

Decido di concedermi questa giornata di relax e mi godo il dolce far niente lasciandomi persino andare ad una leggera sonnolenza almeno fin quando qualcuno non prende a bussare insistentemente alla porta. Di mala voglia mi alzo, sciolgo la coda ormai disfatta e mi raddrizzo la felpa prima di andare ad aprire. Mi trovo di fronte Isaac e i suoi occhi che bruciano su di me, così mi ricordo delle mie condizioni e gli chiudo la porta in faccia.

Corro in camera ad indossare i pantaloni del pigiama: sono larghi e coprono quello che devono, lego i capelli in uno chignon e mi lavo il viso con l'acqua fredda per essere sicura di non aver sognato tutto. Ma è impossibile che io stia sognando visto che Isaac è ancora fuori dalla porta e continua a bussare, in modo più deciso di prima.

Gli riapro la porta e lui si ferma con il pugno a mezz'aria. "Non volevo lasciarti fuori, solo non ero presentabile" gli dico imbarazzata.

Non riesco a capire esattamente cosa dice mentre borbotta qualcosa; colgo solo l'ultima parte della frase "Altroché se lo eri" ma non voglio indagare oltre.

"Ti ho portato le chiavi" mi dice sventolandomele sotto il naso e solo ora mi accorgo che nella fretta di scappare da lui, questa mattina, avevo completamente dimenticato di riprendermele. Chissà perché non me le ha riportate la signora Lane prima. Forse gliele ha lasciate per permettergli di rimanere a studiare fino a tardi.

"Bene, ti ringrazio". Dico prendendo le chiavi e riaprendo la porta che lui aveva chiuso poco prima alle sue spalle. "Buonanotte" continuo cercando di invitarlo in maniera gentile ad andare via ma lui non sembra cogliere il messaggio. Anzi, si avvicina a me e poggia la sua mano poco sopra la mia, sullo stipite. Esercita un po' di forza e richiude la porta per poi farmici poggiare le spalle. E, come ha fatto stamattina per due volte stamattina, poggia le mani sulla mia vita e mi tira su finché non raggiungo i suoi occhi.

"Mi hai fatto davvero incazzare quando stamattina sei scappata via. Anche se l'unica cosa che mi viene in mente ora, è schiacciarti contro questa porta e baciarti dopo che ti sei presentata con quei miseri pantaloncini e la nostra felpa addosso, ci siederemo e parleremo come due persone civili. Tutto chiaro?"

E prima che possa connettere il cervello con il corpo, mi ritrovo ad annuire.


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