Capitolo 7
Un tuono, l'ennesimo, mi fa spalancare gli occhi. Sta ancora piovendo e io ho perso completamente la percezione del tempo. Mi giro alla mia destra per vedere che ora segna la sveglia sul mio comodino e noto che sono le 6.30 del mattino. È ancora prestissimo per alzarsi visto che è domenica.
In un attimo dei flash riempiono la mia mente: Isaac che viene a casa, io che gli do dei vestiti per cambiarsi e lui che mi tira tra le sue braccia e mi dice di dormire. Eravamo entrambi sulla poltrona mentre, ora, io sono sul mio letto. Che sia già andato via?
Richiudo per un attimo gli occhi e prendo un respiro profondo; mi metto a sedere sul letto e noto che ho ancora addosso il mio pigiama e sui piedi un plaid, l'unico che ho in realtà. Lo scosto e poggio i piedi a terra e per mia fortuna ho i calzini così almeno evito di rabbrividire per il contatto con il freddo pavimento.
La treccia che avevo ieri sera si è completamente disfatta così la rifaccio rapidamente e, dopo un ultimo sbadiglio, mi alzo convinta di essere sola.
Invece Isaac è ancora lì, che dorme beato sulla mia poltrona. E allora perché io non sono con lui? Gli dava così fastidio il contatto con me che non è riuscito a sopportarmi per più di 20 minuti? Una sensazione strana, come di tristezza mi assale. Non so cosa mi sarei aspettata dopo quello che è successo ieri però al posto della pace che ho provato prima di lasciarmi andare tra le sue braccia, sento solo un grande senso di inadeguatezza. Ben presto però il senso di rifiuto lascia il posto alla rabbia: se non voleva stare con me, allora non avrebbe dovuto spingermi su di sé. Nessuno gli ha chiesto di fare quello che ha fatto e io sono stata un'ingenua a lasciarmi andare. Nella vita non bisogna fidarsi di nessuno, a volte neppure di se stessi.
Devo trovare un modo per farlo andar via senza risultare infastidita dal suo gesto: devo crearmi la stessa maschera di indifferenza dietro cui si nasconde lui e devo farlo in fretta.
Mi avvicino di qualche passo e, magari, potrei aspettare ancora qualche minuto prima di scacciarlo via. È così bello: le labbra leggermente dischiuse mentre dorme silenzioso, il filo di barba che gli ricopre le guance, le ciglia che gli toccano gli zigomi e nessun cipiglio nel bel mezzo della fronte.
La mia mano parte prima che la mia testa l'abbia autorizzata e gli tocco leggermente la spalla: lui scatta all'improvviso e mi guarda ad occhi spalancati come se non si rendesse conto di dove si trovi. Rapidamente, sbatte le palpebre qualche volta e poi si passa le mani sul viso.
"Buongiorno, vuoi un the?"
"No" risponde. Bene, siamo tornati di nuovo ai monosillabi. Vorrei tanto sapere il motivo della scenetta di ieri sera, visto che dopo solo poche ore siamo ritornati al punto di partenza. La mia testa, però, mi ricorda che devo mostrare indifferenza. INDIFFERENZA.
"Perché ieri sera ti sei comportato così?". Ecco appunto, indifferenza.
"Ho sentito che hai problemi a dormire e volevo ripagarti il favore di avermi prestato le chiavi".
"Bene, da oggi in poi puoi evitare di essere così generoso e soprattutto di ascoltare le mie conversazioni private". Rispondo acida e con questo posso dire addio al mio piano.
Lascio l'acqua per il the sul fornello e vado in bagno. Recupero la maglietta e il giubbino che lui stesso aveva sapientemente ripiegato ieri sera e glieli riporto. È strano che un ragazzo sia così ordinato ma mi obbligo a non pormi ulteriori domande.
"Questi sono tuoi. Se vuoi la felpa puoi tenerla e all'ingresso c'è un ombrello. È della signora Lane ma puoi riportarglielo domani" gli dico prima di dargli le spalle e tornare in cucina.
Non mi aspetto che ribatta e infatti dopo qualche minuto sento la porta d'ingresso sbattere in modo poco delicato.
Bevo il mio the nella tranquillità data dal silenzio di casa mia e poi mi decido a rassettare un po' casa: rifaccio il letto, lavo le stoviglie di ieri sera e alla fine, mi vesto per andare a fare una passeggiata.
Amo camminare sotto la pioggia, per lo meno quando ho un ombrello. Cerco quello che ho comprato un po' di tempo fa e lo trovo nell'ultimo cassetto dell'armadio. Recupero le chiavi di casa e vado verso la porta quando sulla poltrona noto la mia felpa. È ripiegata alla perfezione e involontariamente la prendo tra le mani e me la porto al viso. Il mio profumo è misto al suo ed è quello che di più vicino mi sembra casa, in questo istante.
So che dovrei lavarla e cancellare il ricordo di ieri sera e so che dovrei ancora essere arrabbiata per quello che è successo stamattina, ma sembra che la mia coerenza sia andata a farsi benedire in questi giorni, così torno in camera e la poggio sul mio cuscino. La guardo ancora un istante e quasi riesco di nuovo a percepire il calore della sua stretta intorno a me.
Quando ero più piccola e vivevo ancora con... dove vivevo prima, capitava che qualche volta Jamie mi ospitasse a casa sua. Ero molto affezionata a sua madre e lei a me; così di tanto in tanto, quando la malinconia diventava insopportabile, mi fingevo figlia di quella donna dai morbidi capelli biondi. Lei mi preparava la cena, mi pettinava i capelli prima di andare a dormire e mi faceva compagnia quando non riuscivo a dormire a causa dell'insonnia: ce ne stavamo sedute sul suo divano con la TV accesa ma il volume a zero e guardavamo le immagini. Se dopo un incubo mi ritrovavo in lacrime, lei mi faceva poggiare la testa sulle sue gambe e mi accarezzava le guance rigate di lacrime. Mi sarebbe piaciuto molto se lei fosse stata mia mamma e mi sarebbe piaciuto ancora di più se fosse morta la donna che mi ha partorito al posto suo. So che è brutto da dire, ma avrei preferito che ci fosse stata lei in quell'auto, che fosse finita lei contro quel camion che non ha rispettato lo STOP. Se lei fosse morta, nessuno avrebbe pianto, mentre quando la madre di Jamie è morta, io e lui ci siamo trovati da soli, come due cuccioli in mezzo alla strada, senza nessuno che badasse a noi. Abbiamo imparato a cavarcela da soli e lui è diventato per me come un fratello. Certo, non ho sempre approvato le sue scelte o le sue amicizie ma sono consapevole che lui non mi ha mai giudicato, che lui per me c'è sempre stato e che io ho fatto lo stesso.. beh almeno fin quando non sono scappata via quel giorno. Scuoto la testa per uscire dal viaggio nel viale dei ricordi, recupero dalla libreria la mia copia di Jane Eyre e, finalmente, esco.
Piove ancora. Non so neanche se ha mai smesso da ieri sera. Più tempo passo a Londra e più mi abituo al suo clima uggioso. Direi quasi che inizio ad apprezzare anche i suoi temporali: la pioggia è sempre accompagnata da un silenzio piacevole e le gocce che ti bagnano il viso sembrano una carezza dal cielo oppure un segno di quanto Dio, da lassù Ami te, la tua vita, gli errori che commetti e i peccati che compi.
Passo davanti al parco dove spesso i bambini si fermano a giocare ma a causa del tempo, è praticamente deserto; alla fine mi accontento del bar dove vado spesso con Caroline. Fortunatamente non è pieno come mi sarei aspettata per una domenica mattina e sono ancora più contenta quando scorgo un tavolino nascosto in un angolo, completamente vuoto. Lo occupo velocemente e ordino un muffin al cioccolato. Non fatico molto a trovare una posizione comoda e dopo aver dato un morso al mio dolce, mi immergo nelle discussioni tra Mr Rochester e Jane Eyre. Il carattere schivo di lui mi ricorda tanto Isaac: vorrei tanto entrare nei suoi pensieri e capire cosa c'è che lo tormenta tanto. Io l'ho visto: dietro quella indifferenza con cui cerca di proteggersi e farsi forza, c'è un dolore enorme, probabilmente più grande di lui. Forse è quello che gli è successo che lo ha portato ad essere così chiuso, così diffidente nei confronti del mondo. Ma io non ho colpe: ho dentro di me un insano desiderio di conoscerlo, di farmi apprezzare da lui e, anche se sono ancora reticente ad ammetterlo, il mio cuore aggiunge anche che vorrei essere amata da lui.
Trascorro ore a leggere e ho quasi finito il romanzo quando un tenue raggio di luce mi illumina il viso. Ha finalmente smesso di piovere e un timido sole fa capolino tra le nuvole. Sono riuscita nell'intento di distrarmi e ho abbandonato del tutto le vicissitudini delle ultime ore; è incredibile come un romanzo riesca a coinvolgermi così tanto. So che la vita non è quella che è raccontata nei libri ma ogni tanto è vitale fuggire dalla realtà.
Raccatto le mie cose e, dopo, aver saldato il conto, torno a casa. È ormai passata l'ora di pranzo così passo il pomeriggio a rilassarmi e prima di andare a letto faccio un bagno veloce. Racchiudo il mio corpo in un asciugamani ma quando è il momento di scegliere cosa indossare per la notte, tentenno.
So che dovrei affidarmi al mio amato pigiama azzurro eppure la felpa è lì e sono sicura che se me la portassi al naso potrei sentire il suo odore. Non so da dove venga la mia ossessione per quel ragazzo ma non credo che il mio comportamento sia normale. Prendo la felpa, la porto in soggiorno sulla mia poltrona, torno in camera, indosso il pigiama e mi metto a letto.
Solo che passano prima dieci minuti, poi trenta, poi un'ora ma i miei occhi non vogliono saperne di chiudersi. La mia mente corre sempre a quella felpa. Magari se la indossassi solo stasera, non succederebbe nulla, no? Anzi se riuscissi a dormire domani sarei più riposata per poter affrontare lucidamente la situazione. Così finisco con l'alzarmi e tornare nell'altra stanza. Rapidamente mi svesto della maglia che indosso lasciandola cadere ai miei piedi ed indosso quella che ieri sera aveva Isaac. Immediatamente lo stesso senso di pace mi investe e torno a letto. Sono ormai le due prima che io riesca a chiudere gli occhi e lasciarmi andare al sonno.
***
Le poche ore di sonno non sono sufficienti a farmi sentire riposata ma quanto meno saranno abbastanza per non crollare durante la giornata. Arrivo in libreria di buon'ora, come al solito, e sono sorpresa di non trovare Isaac già lì. Mi sistemo e prima che il mio sedere possa toccare lo sgabello, suona il telefono.
"Pronto?"
"Bambina sono io. Tra poco arriverà un fabbro per riparare la serratura della porta di ingresso."
"Come mai questa decisione?" chiedo guardando verso la porta. Non so neanche io il perché.
"Beh non vorrei che prima o poi restassimo fuori davvero"
"Chi è il fabbro?"
"Non lo conosco. Ho trovato il suo numero sull'elenco. Si chiama Mark Cullen. Ora scusami ma devo proprio andare, ci vediamo dopo!"
Non mi da neanche il tempo di rispondere che mi ha già chiuso il telefono in faccia. Tipico della signora Lane.
Dopo poco la porta si apre ma purtroppo non è chi aspettavo. Si tratta di un uomo che dall'aspetto sembra avere circa 30 anni. È alto e robusto ed ha un'espressione alquanto inquietante con una piccola cicatrice al centro della guancia sinistra. Porta i capelli corti, quasi rasati e ha gli occhi scuri, praticamente neri.
Non mi piace lo sguardo con cui mi fissa e spero che qualcuno arrivi al più presto. Mi sforzo di non sembrare spaventata.
"Buongiorno"
"Mi hanno chiamato per riparare una serratura"
"Si, venga, è proprio questa all'ingresso" rispondo facendogli nuovamente strada verso la porta dalla quale è entrato.
"La seguo" sibila e posso percepire il suo sguardo sulla mia figura. Sento il sudore scorrermi lungo la spina dorsale e prego che vada via il più in fretta possibile. Non appena lui si mette a lavoro, mi rifugio nuovamente dietro il bancone. Dopo aver armeggiato per un po', finalmente rimette i suoi attrezzi a posto. Ma le mie preghiere non vengono esaudite. Si avvicina al bancone fermandosi al bordo laterale e riducendo così la distanza che ci separa. Inizio a sentirmi in trappola.
"Quanto le devo?".
"È stato un piacere lavorare per te. Che ne dici di uscire a cena insieme per ripagarmi?"
"Non credo sa il caso" provo ad obiettare ma lui non sembra gradire la mia risposta. Anzi supera il bancone e si avvicina a me e prima che me ne renda conto le sue mani sono ai lati del mio corpo e io sono bloccata contro il legno alle mie spalle.
"Io credo di si. Sai sono convinto che ci divertiremo tanto insieme o, almeno, io lo farò di sicuro".
Si avvicina a me ma io riesco solo a poggiare le mani sul suo corpo cercando di allontanarlo. A nulla serve perché rapidamente me le blocca dietro la schiena e continua ad avvicinarsi a me con un sorriso perfido sul viso.
"Per favore, no" piagnucolo ma lui sembra non sentirmi, o quanto meno non vuole ascoltarmi.
Provo a girare il viso dall'altra parte rispetto alla sua direzione ma lui usa l'altra mano per bloccarmi il mento. Stringo gli occhi più forte che posso rassegnata all'inevitabile ma all'improvviso non me lo sento più addosso.
Apro gli occhi e trovo quel verme schiacciato contro il muro mentre un Isaac arrabbiato quanto mai avevo visto prima, lo tiene bloccato per la gola.
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